giovedì 8 agosto 2013

VIII.VIII.MMXIII – Luigia Ierace: Una doccia fredda per i lucani, che gela ogni aspettativa: in sostanza, il fondo per la riduzione del prezzo alla pompa, dei carburanti, alimentato per lo più dalle royalty della regione Basilicata, dovrà essere ridistribuito anche a quelle regioni dove non si producono idrocarburi, ma sono ospitati impianti di rigassificazione.

Potenza, Card benzina «svuotata» da sentenza del Consiglio di Stato
L'UNIONE SARDA - Economia: «Gli artigiani subiscono la crisi del turismo»
Catania. Dopo 35 anni chiude Bronte Jeans: l'azienda simbolo del made in Italy
P. A.: retribuzione scende dello 0, 6% in 2012, occupati -2%
Lavoro, 13% pmi interessate ad assunzione giovani con incentivi
Pensioni d'oro, classifica: Mauro Sentinelli 91 mila euro al mese
Trst, oltrepadania est. «Niente seduta dedicata a Trieste Libera»
Aumentano i disoccupati in Slovenia, a luglio +9,6% annuo
Fisco chiude albergo in Croazia e caccia decine di turisti




Potenza, Card benzina «svuotata» da sentenza del Consiglio di Stato
di LUIGIA IERACE
 Addio bonus idrocarburi. Il Consiglio di Stato dà ragione al Veneto e di fatto «scippa» alla Basilicata il beneficio respingendo il ricorso dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico. Scaduto appena una settimana fa il termine per la presentazione delle domande alle Poste da parte dei maggiorenni, patentati, residenti in Basilicata per chiedere il terzo bonus idrocarburi, che si profilava ben più corposo visto l’aumento delle produzioni e il costo del greggio (oltre 180 euro a fronte dei 100,70 euro del primo bonus e dei 140,25 euro del secondo) arriva la sentenza del Consiglio di Stato. Accoglie il ricorso dei veneti ed estende il beneficio anche ai residenti delle regioni ospitanti impianti di rigassificazione, come il Veneto e la Liguria e in futuro anche la Toscana quando entrerà in funzione, il nuovo rigassificatore.
 Una doccia fredda per i lucani, che gela ogni aspettativa: in sostanza, il fondo per la riduzione del prezzo alla pompa, dei carburanti, alimentato per lo più dalle royalty della regione Basilicata, dovrà essere ridistribuito anche a quelle regioni dove non si producono idrocarburi, ma sono ospitati impianti di rigassificazione. Un’attività che non genera royalty e quindi non alimenta il Fondo idrocarburi, in quanto non è un processo produttivo, ma una trasformazione di uno stato fisico (liquido) a un altro (gassoso). Di diverso avviso il Veneto che già in fase di aumento delle royalty e di destinazione di quel 3% alla costituzione del Fondo, aveva spinto sul legislatore facendo inserire all’ultimo momento, con un blitz dei Leghisti, quella postilla che includeva «le attività di rigassificazione», senza però prevedere da dove sarebbero state attinte le risorse economiche per il ristoro dei residenti. E così quando i Ministeri dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico hanno emanato i decreti per la ripartizione del Fondo tra le regioni interessate dalle attività di estrazione, in funzione del quantitativo di idrocarburi estratti, il Veneto li ha impugnati e prima il Tar e ora il Consiglio di Stato gli hanno dato ragione.
 Tutto da rifare, quindi. Cambieranno i criteri di ripartizione di un Fondo, tutto lucano che andrà a beneficio di altri territori. Basti pensare che per la terza erogazione il fondo ammonta complessivamente a circa 79 milioni di euro, oltre 70 dei quali sono royalty che le compagnie petrolifere (Eni e Shell) hanno versato allo Stato per le attività di produzione di idrocarburi della Val d’Agri. Il resto dei fondi si riferiscono alle royalty versate per le attività estrattive di Piemonte, Puglia, Calabria, Emilia Romagna, Molise e Marche. Solo la Basilicata avrebbe beneficiato del bonus idrocarburi, versato sulla card dei patentati, maggiorenni, residenti in Basilicata, nel 2011 e 2012, mentre le altre regioni avendo diritto a un beneficio inferiore a 30 euro pro capite su base annua, la somma spettante è stata versata direttamente alle regioni.
 A una settimana dal ferragosto il Consiglio di Stato rimette tutto in discussione penalizzando la Basilicata e i lucani che già sopportano sul loro territorio l’attività di estrazione petrolifera. Ma questo ai giudici non importa. «Non vi è possibilità di suddividere, come vorrebbero gli appellanti, le risorse del fondo per attribuirvi diverse destinazioni, essendo esso unico e finalizzato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi nonché dalle attività di rigassificazione attraverso impianti fissi offshore». Per il Consiglio di Stato «appare dunque in contrasto con tale chiaro dettato normativo – frutto della volontà parlamentare di estendere l’utilizzazione del Fondo a beneficio dei residenti di tutte le indicate regioni – la limitazione della destinazione dell’intero fondo, mediante l’istituzione del “bonus idrocarburi”, in favore di alcuni soltanto dei beneficiari indicati dalla legge». Nè è decisiva la circostanza «che il Fondo sia alimentato (in parte, ma certamente preponderante)» soltanto da alcuni territori non essendo stabilita alcuna correlazione tra produzione e soggetti che ne beneficiano. Nessuna limitazione neppure intorno al concetto di produzione «potendosi estendere il concetto di produzione dai beni (idrocarburi) ai servizi (trasporto), con ciò comprendendo anche le imprese che svolgono attività di rigassificazione». Non mettono soldi, insomma, ma li prendono.
08 Agosto 2013

L'UNIONE SARDA - Economia: «Gli artigiani subiscono la crisi del turismo»
08.08.2013
Sono circa 6.700, in calo dell'1% rispetto allo scorso anno, le imprese artigiane sarde potenzialmente coinvolte nel mercato turistico isolano. Lo rileva un'elaborazione dell'Ufficio Studi di Confartigianato, su dati UnionCamere-Movimprese del 2013, che sottolinea anche come queste rappresentino il 17,1% del totale del comparto artigiano isolano, coinvolgendo settori come quelli dell'agroalimentare, delle manifatture e dei servizi, dell'abbigliamento e delle calzature, delle attività ricreative, culturali e dell'intrattenimento, dei bar, caffè e pasticcerie, dell'editoria, della somministrazione di alimentari e bevande, delle strutture ricettive, e dei trasporti. A livello nazionale, il trend peggiore lo registra l'Abruzzo (-2,2%), seguito dalla Basilicata (-1,9%), la Puglia (-1,5%) e la Sardegna (-1%). Fra le vecchie province cresce solo Cagliari (2.617 imprese con un +0,2% rispetto al 2012), mentre arretrano Sassari (2.358 aziende, -0,9%), Nuoro (1.240, -2,6%) e Oristano (1.240, -3,2%). «Le imprese sarde legate al turismo soffrono la crisi quasi come quelle dell'edilizia», ha commentato Confartigianato Sardegna, «con problematicità legate alla diminuzione delle disponibilità delle famiglie, al costo dei mezzi di trasporto (aerei e navi) e all'inadeguata programmazione turistica. Purtroppo ci si accorge solo adesso che la “bacchetta magica”, che funzionava qualche tempo fa al solo pronunciare il nome Sardegna, non è più sufficiente».

Catania. Dopo 35 anni chiude Bronte Jeans: l'azienda simbolo del made in Italy
Certi 175 licenziamenti e oltre 200 posti a rischio
CATANIA - Chiude dopo 35 anni e licenziando 175 persone, di cui 144 donne, «Bronte Jeans», il gruppo tessile che aveva fabbricato prodotti per macrchi come Benetton, Diesel, Jacob e tanti altri. L'azienda aveva registrato un andamento negativo dal 2008 in poi e avendo fino ad oggi usato tutti gli ammortizzatori possibili cercando di proseguire il lavoro di uno dei gruppi tessili del made in Italy più noto tra le aziende dell'indotto moda.
DELOCALIZZAZIONE DEI MARCHI - Problemi economici, fa sapere la Cgil Catania, si prospettano anche per altre centinaia di lavoratori che pur non lavorando direttamente per la Bronte, facevano comunque parte del suo indotto. Sempre dal sindacato fanno sapere che la crisi e la conseguente chiusura è dovuta al crescente decentramento verso l'estero dei produttori di importanti marchi. «È chiaro ed evidente che la delocalizzazione a basso costo nel settore tessile continua ad averla vinta alla faccia del tanto enunciato 'Made in Italy' - afferma Giuseppe D'Aquila, segretario della Filctem Cgil di Catania - tutti i grandi marchi italiani, se non costretti attraverso una legge dello Stato a mantenere almeno parte delle loro produzioni in Italia, continueranno su questa strada». Il sindacato sollecita «l'intervento delle istituzioni locali e regionali» e si è già «attivato con le segreterie nazionali per aprire un tavolo al ministero dello Sviluppo economico».
MADE IN ITALY FATTO ALL'ESTERO - Se si continuerà così quindi non ci saranno più cuciture, ricami e tessuti siciliani, o italiani, allora per i jeans dei grandi marchi. «Ci limiteremo - ha continuato Dell'Aquila - ad attaccare etichette italiane a prodotti manufatti in Turchia, Ucraina, Egitto, Bangladesh, Romania». Ma soprattutto quasi 200 persone si troveranno nel giro di poco senza lavoro.

P. A.: retribuzione scende dello 0, 6% in 2012, occupati -2%
15:10 08 AGO 2013
(AGI) - Roma, 8 ago. - La retribuzione media dei dipendenti pubblici nel 2012 e' stata di poco superiore ai 34.400 euro annui, lo 0,6% in meno rispetto all'anno precedente. E' uno dei dati contenuti nel rapporto presentato oggi dal presidente dell'Aran, Sergio Gasparrini. Alla fine dello scorso anno gli occupati nella pubblica amministrazione erano circa 3.350.000, il 2% in meno rispetto al dato del 2011. In due anni la cifra e' diminuita di 120mila unita', mentre la spesa (lordo contributi) e' diminuita di 6,6 miliardi di euro. "Si conferma la tendenza, gia' messa in luce dagli ultimi rapporti, di una diminuzione delle retribuzioni medie pagate dal settore pubblico, quale effetto delle misure di blocco della dinamica retributiva e dei rinnovi contrattuali, varate dal 2010", ha spiegato Gasparrini .

Lavoro, 13% pmi interessate ad assunzione giovani con incentivi
 8 agosto 2013
ROMA (ITALPRESS) – Sono oltre 190mila (di cui 54mila operanti nel Mezzogiorno) le imprese con 1-49 addetti orientate ad utilizzare gli incentivi previsti dalla Legge di conversione del Decreto Lavoro approvata ieri in Parlamento per assumere giovani a tempo indeterminato nei prossimi 12 mesi. Si tratta del 13% delle piccole e medie imprese fino a 49 addetti.
 Questo è il principale dato che emerge da una rilevazione ad hoc eseguita dall’Unioncamere, su richiesta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nell’ambito dell’indagine trimestrale Excelsior. L’analisi è diretta a valutare il grado di conoscenza degli incentivi previsti dal Decreto Lavoro presso le imprese e soprattutto il loro interesse ad utilizzarli per assumere giovani (18-29 anni) senza lavoro a tempo indeterminato o per conversioni di contratti a tempo determinato che comportino comunque un aumento complessivo del numero di occupati.
 Secondo quanto emerso dalla rilevazione, oltre il 76% delle imprese è a conoscenza dell’esistenza degli incentivi, percentuale che supera l’80% per le imprese con 10-49 addetti e per le imprese esportatrici. Circa il 20% delle imprese con 10-49 addetti prevede di usare gli incentivi sicuramente o probabilmente, a fronte del 12% di quelle di più piccola dimensione. Le imprese esportatrici sono più propense ad utilizzare gli incentivi (22%) rispetto a quelle non esportatrici (12%), così come quelle innovatrici, il 23% delle quali prevede di volerne usufruirne, a fronte di una quota del 12% di quelle non innovatrici.
 Considerando solo le imprese da 1 a 49 addetti che contano di utilizzare gli incentivi previsti dalla nuova normativa, il 38% afferma che, in mancanza di essi, non procederebbe ad alcuna assunzione (percentuale che sale al 39% per le imprese del Mezzogiorno e al 40% per le imprese con 1-9 addetti), mentre il 31% si dice pronta ad effettuare immediatamente un’assunzione che era stata programmata per il prossimo futuro. Inoltre, il 15% delle imprese ritiene che gli aiuti determineranno l’assunzione a tempo indeterminato di un giovane che, senza di essi, sarebbe stato impiegato con altra forma contrattuale (tipicamente a tempo determinato). Solo il 15% ritiene che l’assunzione a tempo indeterminato sarebbe avvenuta anche in assenza di incentivi.
 Tra le imprese che dichiarano di non voler utilizzare gli aiuti, la motivazione prevalente è quella della “non necessità” di una nuova assunzione nei prossimi 12 mesi (88%), con una percentuale relativamente stabile nei diversi settori e per diverse dimensioni aziendali.
 (ITALPRESS).

Pensioni d'oro, classifica: Mauro Sentinelli 91 mila euro al mese
L'ex Telecom riceve 3.000 euro al giorno
Roma - Si torna a parlare di pensioni d'oro e a indignare il Paese è la classifica dei 100 uomini "pensionati" più ricchi d'Italia. Al primo posto della classifica si posiziona Mauro Sentinelli, ex manager e ingegnere elettronico della Telecom che percepiscce un assegno di 1.118.381 euro, vale a dire 91.337 euro al mese ossia 3.044 euro al giorno circa. A questa pensione d'oro vanno inoltre aggiunti i gettoni di presenza che Sentinelli precepisce come membro del Consiglio di amministrazione di Telecom e da presidente del Consiglio di amministrazione di Enertel Servizi.
A rendere nota la classifica è stata la deputata del Pdl Debora Bergamini che ha diffuso la risposta del ministro Giovannini a una sua interrogazione.
Mistero sul pensionato d'oro classificatosi secondo nella lista con 66.436 euro al mese mentre al terzo posto figura Mauro Gambaro, ex direttore generale di Interbanca che percepice solo 51.000 euro al mese.
Scendendo ai "piani bassi" della classifica troviamo tra i politici, l'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che riceve 53.000 euro al mese di pensione tra Bankitalia, `Inps e `indennità da parlamentare.  Lo segue Lamberto Dini con 44.000 mila euro al mese tra Bankitalia, ’Inps e Senato.
Le pensioni d'oro costano allo Stato ogni anno13 miliardi di euro, il controvalore di una manovra finanziaria. Per pagare queste assurde pensioni servono ogni anno i contributi di ben 2.200.000 lavoratori italiani.

Trst, oltrepadania est. «Niente seduta dedicata a Trieste Libera»
Stoppato l’ordine del giorno di Paolo Rovis (Pdl), solo i “grillini” favorevoli a portare in aula la questione                                                                                                                                                                              
Il Consiglio comunale dice “no” alla convocazione in aula di una seduta dedicata alla questione del Territorio Libero di Trieste. La proposta di organizzarla era stata lanciata, tramite un ordine del giorno, dal consigliere pidiellino Paolo Rovis, che aveva anche suggerito di invitare nell’occasione «gli esperti giuridici e i rappresentanti istituzionali che si riterranno utili per una migliore analisi della questione». Rovis, nell’odg presentato, aveva rilevato nelle premesse come sia attivo un movimento (cioè Trieste Libera) «che persegue l’obiettivo del ripristino del “Territorio Libero di Trieste”» , che «diversi cittadini aderiscono alle tesi avanzate dal Movimento, adottando comportamenti conseguenti, tra i quali il non-riconoscimento delle elezioni e dell’attuale sistema di imposizione fiscale», e ancora come venga «disconosciuta la legittimità di enti e istituzioni» tra cui Consiglio comunale stesso, giunta e sindaco, e infine che «tale fenomeno, per le fasce di popolazione che coinvolge, per numerosità, per le possibili conseguenze, si può definire sociale» e perciò «non può venire ignorato dalla massima assemblea elettiva di Trieste».
Alla proposta di Rovis, presentata come allegato al bilancio di previsione, ha opposto una pregiudiziale Alessia Rosolen (Un’Altra Trieste). «Primo, non si tratta di un tema da bilancio - spiega Rosolen -. Secondo, non penso che a nessuno sia passato per la mente di convocare un’audizione sul fenomeno grillino, e prim’ancora sulla Lega Nord. Questo, come ogni altro fenomeno politico, ritengo vada studiato da sociologi e non da chi fa politica su altri fronti». Al voto, la pregiudiziale mirata a stoppare l’odg di Rovis è passata con 11 voti favorevoli (Andolina e Furlanic della Fds, Barbo, Cimolino e Muzzi del Pd, Bandelli e Rosolen di Uats, Bassi del Gruppo misto, Decarli di Trieste cambia, Karlsen dei Cittadini e il sindaco Cosolini), tre contrari (Rovis ovviamente e i due M5S Menis e Patuanelli), nove astenuti (i Pd Carmi, Coloni, Faraguna, Lepore, Mozzi, Petrossi, Ravalico, Svab e Ukmar) e quattro non votanti (i tre di Sel e il leghista De Gioia) sui 27 consiglieri presenti.
Rovis, in ogni caso, non si arrende: «Presenterò lo stesso testo in una mozione urgente, che a questo punto andrà in aula a settembre». E su quanto accaduto l’altra notte in Consiglio comunale, nell’ultima seduta prima della pausa, Rovis osserva di aver scorto «un po’ la volontà di schivare un argomento che evidentemente molti considerano spinoso. Nell’odg - evidenzia - non prendevo assolutamente posizione, ma è un tema che riguarda i cittadini e secondo me per questo va affrontato». (m.u.)

Aumentano i disoccupati in Slovenia, a luglio +9,6% annuo
Sono 117.143 i registrati, +0,5% rispetto a giugno
08 agosto, 12:01
(ANSA) - LUBIANA - L'Ufficio di collocamento della Repubblica di Slovenia ha registrato a luglio 117.143 disoccupati in Slovenia.
Si tratta di un aumento dello 0,5% rispetto a giugno e del 9,6% rispetto a luglio dell'anno scorso. E' il primo aumento del numero dei disoccupati da cinque mesi a questa parte.
 A luglio c'erano 8.675 nuovi disoccupati, il 44,1% in più rispetto a giugno e l'1,3% in meno a luglio dell'anno scorso. La maggioranza dei nuovi disoccupati sono quelli a cui è cessato il contratto a termine.
 L'Ufficio di collocamento ha chiarito che il trend di aumento dei disoccupati dopo il primo semestre a causa della cessazione dei contratti a termine è un fatto abituale. A questi vanno aggiunti i giovani in cerca del primo impiego. Nell'anno in corso è stato inoltre registrato un aumento dei licenziamenti per motivi economici. (ANSA).

Fisco chiude albergo in Croazia e caccia decine di turisti
Unico hotel di Senj colpito da severe misure antievasione
07 agosto, 17:46
(ANSA) - ZAGABRIA - In un intervento degli ispettori del fisco croati, particolarmente attivi e severi quest'estate come parte della politica di lotta all'evasione fiscale messa in atto dal governo di Zagabria, oggi è stato chiuso un albergo sulla costa, pieno di turisti stranieri. Per un debito verso il fisco di circa 110 mila euro, gli ispettori del ministero delle Finanze hanno ordinato la chiusura dell'hotel Libra, l'unico albergo esistente a Senj, piccola località turistica nel nord Adriatico. La stagione turistica in Croazia è al suo punto massimo e l'albergo registra il tutto esaurito con quasi 70 presenze. Secondo i media locali, tutti i turisti devono lasciare l'albergo entro il tardo pomeriggio, e il personale li starebbe cercando sulle spiagge circostanti per avvisarli dell'accaduto e pregarli di andare via. Il ministro delle Finanze, Slavko Linic, aveva promesso alcune settimane fa che non ci sarebbero stati sconti o trattamenti particolari per gli alberghieri e i ristoratori ''solo perché hanno i locali pieni''. Il ministro ha anche annunciato che gli ispettori chiuderanno gli esercizi commerciali in presenza anche di una minima infrazione, ''come per esempio un euro o due in più in cassa di quello che mostrano gli scontrini emessi'', fatto già accaduto per alcune gelaterie. Il debito verso il fisco in Croazia ammonta a circa 3 miliardi di euro, e una delle politiche del governo per stabilizzare le finanze pubbliche comporta proprio una severissima lotta all'evasione. (ANSA).

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