Basilicata. La Total annuncia 54 assunzioni per
Tempa Rossa. Ma è una beffa, i posti sono vecchi
Contratti a settembre e formazione
all'estero, si inizierà a lavorare solo nel 2015. I 54 posti sono frutto
dell’accordo del 2004, quando governatore era ancora Bubbico. I sindacati: «Solo briciole, ci trattano come
terra di conquista». Cgil, Cisl e Uil lamentano il silenzio sugli impegni
occupazionali che Regione e parti sociali chiedono da tempo sui lavori di
realizzazione del Centro Oli
di MARIATERESA LABANCA
Total E&P Italia rende noto di “aver
completato il processo di selezione dei 54 futuri operatori che
lavoreranno presso il Centro Oli e il
Centro Gpl di Tempa Rossa, nella Concessione Gorgoglione”.
“L’ultima fase della selezione – spiega la
società in una nota - era stata avviata nel dicembre 2012. I candidati selezionati
sono tutti lucani. L’assunzione è prevista all’inizio di settembre 2013. A tal
fine è stata inviata una comunicazione ai candidati prescelti per
l’espletamento delle ultime, obbligatorie, procedure di assunzione. A partire
dall’assunzione e sino all’inizio delle operazioni di produzione, che
avverranno nel corso del 2015, tutti gli operatori seguiranno un intenso e
specifico programma di formazione. La prima parte dell’attività formativa della
durata di circa un anno avrà luogo presso il Centro di Formazione Total nel
Comune di Corleto Perticara (PZ) con tappe intermedie all’estero per attività
di Job Orientation; successivamente la formazione teorico-pratica si svolgerà
all’estero, presso differenti siti produttivi di Total”.
“Nell’ultimo periodo di formazione –
conclude la nota - gli operatori affiancheranno i tecnici incaricati delle
attività di collaudo degli impianti di Tempa Rossa per poi iniziare il loro
lavoro da operatori con l’avvio della produzione”.
LA notizia, ai profani, è sembrata nuova e pure
buona. Total assume. Cinquantaquattro unità. Tutte lucane. Peccato che per i
sindacati - che di recente hanno minacciato di portare la compagnia petrolifera
davanti ai magistrati - si tratta solo dell’ennesimo bluff. Non che la notizia
non sia vera. Ma di nuovo non ha proprio nulla. E soprattutto non cambia il
giudizio assolutamente negativo sulla società francese.
Total lancia la notizia come fosse una svolta storica nei difficili rapporti con
il territorio. In realtà i posti di lavoro non sono affatto una novità. Bensì
frutto dell’accordo del lontano 2004, quando governatore era ancora Bubbico. Si
tratta di assunzioni dirette, cioè derivanti dall’entrata in funzione del
Centro Oli.
Quindi di occupazione vera e propria non se
ne parlerà prima del 2016. Nel frattempo, questi 54 futuri operatori che
lavoreranno presso tema Rossa a Gorgoglione saranno sottoposti a formazione. E
questo è comunque è un bene. Ma la beffa sta nel fatto che Total - nonostante
“le minacce” di Cgil, Cisl e Uil - nulla dice su quegli impegni occupazionali
che Regione e parti sociali chiedono da tempo sui lavori di realizzazione del
Centro Oli.
Dopo la diffida presentata dai sindacati, e
dopo il coinvolgimento del viceministro agli Interni, Filippo Bubbico, quello
che la Basilicata strappa a Total è l’incontro che si terrà il prossimo 22
luglio con il prefetto. Nel corso del quale sarà sottoscritto il protocollo di
legalità, finora completamente assente. Ma per ora null’altro.
«Se abbiamo ottenuto questo risultato -
commenta il leader della Cgil lucana, Alessandro Genovesi - è solo grazie alle
denunce del sindacato e alla sensibilità delle istituzioni. Per Total il problema
non si pone neppure».
Così come, la compagnia francese, elude del
tutto la richiesta avanzata in termini occupazionali: che almeno l’80 per cento
dei circa 1500 lavoratori che saranno necessari per realizzare l’investimento
da 1,3 miliardi a Gorglione sia costituito da manodopera lucana. Le
sollecitazioni sono state numerose. Ma Total semplicemente ignora le ragioni
del territorio.
«Nell’unico recente incontro che abbiamo
tenuto in regione - commenta il segretario regionale della Uil, Carmine Vaccaro
- abbiamo potuto registrare tutta l’arroganza della compagnia petrolifera».
«Continuano a trattare la Basilicata come terra di conquista, e i lucani come
popolo senza dignità», affonda Genovesi. Il segretario della Cisl, Nino
Falotico, aggiunge: «Fino a questo momento è stato impossibile costruire un
dialogo costruttivo con francesi del petrolio. Con Eni abbiamo realizzato cose
buone come “il contratto di sito”. Total non mostra alcuna attenzione al
territorio».
Insomma, se non cambia qualcosa in termini
rapporti società territorio difficile immaginare un ammorbidimento delle
posizioni.
Una ulteriore occasione di confronto
potrebbe arrivare dall’incontro del 22 in Prefettura. Nello stesso giorno il
sindaco di Gorgoglione ha organizzato un incontro con gli amministratori
dell’area e con le stesse parti sociali per tornare a porre la questione
occupazione. Nel frattempo, l’unica cosa certa rimangono i 54 “vecchi” posti di
lavoro. L’ultima fase della selezione era stata avviata nel dicembre 2012.
L’assunzione - fa sapere Total - è prevista
all’inizio di settembre 2013.
A partire dall’assunzione e sino all’inizio
delle operazioni di produzione, che avverranno nel corso del 2015, tutti gli
operatori seguiranno un intenso e specifico programma di formazione. La prima
parte dell’attività formativa della durata di circa un anno avrà luogo presso
il Centro di Formazione Total nel Comune di Corleto Perticara con tappe
intermedie all’estero per attività di job orientation. Successivamente la
formazione teorico-pratica si svolgerà all’estero, presso differenti siti
produttivi di Total. Nell’ultimo periodo di formazione gli operatori
affiancheranno i tecnici incaricati delle attività di collaudo degli impianti
di Tempa Rossa per poi iniziare il loro lavoro da operatori con l’avvio della
produzione. I profili professionali selezionati sono vari. Ma per ora si tratta
solo di briciole. Nulla a che vedere con le più di mille assunzioni che
potrebbero arrivare dai lavori del Centro oli di Tempa Rossa, se solo Total lo
volesse.
Legambiente dice no alle trivelle nello Ionio
«Fermate le compagnie»
BARI - Sono 5mila i chilometri quadrati di
fondali del mar Ionio sotto la minaccia delle trivelle. Un tratto di mare che
non è stato risparmiato dalla nuova dissennata corsa all’oro nero, ripartita
grazie agli atti normativi degli ultimi due anni che annullano i vincoli per la
tutela delle aree marine di pregio e per le coste approvati dopo il disastro
causato nel Golfo del Messico dall’incidente della piattaforma della BP.
Oggi
nel mar Ionio sono attive 10 richieste per la ricerca di petrolio per un totale
di 5.041,23 kmq. Di queste, 8 sono in corso di Valutazione di Impatto
Ambientale per un totale di 4.046,93 kmq. Una è in fase di rigetto (si tratta
della richiesta della NorthernPetroleum, che riguarda oltre 700kmq al largo di
Cirò Marina) e una è in fase decisoria, ovvero ha finito il suo iter ed è in
attesa dei decreti autorizzativi (si tratta della richiesta di Apennine Energy
per un’area di 63 kmq a ridosso della costa tra le Marine di Sibari e
Schiavonea).
Chilometri di fondali che, se sommati a quelli
richiesti in tutt’Italia, restituiscono una fotografia agghiacciante: sono,
infatti, decine di migliaia i kmq di aree marine oggetto di richieste delle
compagnie petrolifere per le loro attività di ricerca o di coltivazione dei
giacimenti concentrate nello Jonio, nell’Adriatico centro meridionale e nel
Canale di Sicilia. Progetti che se approvati aggiungerebbero decine di nuove
trivelle alle 10 piattaforme che già oggi estraggono petrolio dai mari
italiani. Una scelta scellerata di politica energetica.
È
per questo che da Goletta Verde, la storica campagna di Legambiente che da
ventotto anni è in prima linea a difesa del mare e delle coste italiane, arriva
un appello a Governo e Parlamento affinché vengano riviste le scellerate scelte
politiche in materia energetica.
Puglia. «No Tap», cominciata petizione
internazionale
di Fabio Casilli
SAN FOCA - Il «no» a Tap dalla Rete al
Governo. Proprio ieri il comitato costituito contro la realizzazione del
gasdotto a San Foca, da parte del consorzio azero di Shah Deniz, ha lanciato
una petizione internazionale on line sul sito www.change.org. La raccolta di
firme, poi, sarà consegnata ai ministri dello Sviluppo economico Flavio
Zanonato e delle Infrastrutture Maurizio Lupi.
«Il punto d’arrivo dell’infrastruttura si
collocherebbe in Salento, zona a forte vocazione turistica dove è stato speso
molto in risorse umane ed economiche negli ultimi anni - si legge nella
petizione - Una struttura industriale del genere mal si concilia con le realtà
locali votate all’agricoltura, alla pesca e alle bellezze artistico naturali.
Le piattaforme Tap, avvicinandosi alla costa oltre il limite consentito, hanno
già distrutto le attrezzature dei pescatori locali in due casi. E crediamo che
presto arriveranno ulteriori danni al territorio e alle sue comunità se il progetto
di costruzione del gasdotto non verrà fermato».
Poi i promotori del comitato ribadiscono le
ragioni economiche della loro contrarietà.
Energia: Up, consumi petroliferi -9,1% a giugno
16 Luglio 2013 -
16:45
(ASCA) - Roma, 16 lug - I consumi petroliferi
italiani anche nel mese di giugno 2013 hanno mostrato una nuova e consistente
flessione. Lo annuncia l'Unione petrolifera, spiegando che nel complesso i
consumi sono ammontati a circa 5 milioni di tonnellate, con una diminuzione del
9,1% (-502.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2012. I prodotti
autotrazione, con un giorno di consegna in meno, hanno rilevato le seguenti
dinamiche: la benzina nel complesso ha mostrato un decremento pari al 12,3%
rispetto a giugno 2012 (-95.000 tonnellate), mentre il gasolio autotrazione
dell'8,5% (?173.000 tonnellate). La domanda totale di carburanti (benzina +
gasolio) nel mese di giugno e' cosi' risultata pari a circa 2,6 milioni di
tonnellate, di cui 0,7 milioni di tonnellate di benzina e 1,9 di gasolio
autotrazione, con un calo del 9,5% (-268.000 tonnellate) rispetto allo stesso
mese del 2012. A parita' di giorni di consegna, il calo per la benzina sarebbe
stato del 6,8%, mentre per il gasolio del 4,5%. Nel mese considerato le
immatricolazioni di autovetture nuove sono diminuite del 5,5%, con quelle
diesel che hanno rappresentato il 53,8% del totale (era il 53% a giugno 2012).
Nel primo semestre del 2013, i consumi sono stati invece pari a circa 29,5
milioni di tonnellate, con un calo dell'8% (-2.550.000 tonnellate) rispetto
allo stesso periodo del 2012. Se il trend attuale dovesse proseguire fino al
termine dell'anno, torneremmo sui livelli di consumo di meta' anni '60. La
benzina nel periodo considerato ha mostrato una flessione del 6,8% (-284.000
tonnellate), il gasolio del 4,5% (-522.000 tonnellate). Nel periodo considerato
la somma dei soli carburanti (benzina+gasolio), evidenzia un calo del 5,2%
(-806.000 tonnellate). Nei primi sei mesi dell'anno, le nuove immatricolazioni
di autovetture sono risultate in diminuzione del 10,3%, con quelle diesel a
coprire il 53,5% del totale (era il 53,9 nei primi sei mesi del 2012). Nel
primo semestre del 2013 il gettito fiscale stimato e' risultato in calo di
circa 570 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2012 (-3,1%).
com-sen/
L'UNIONE SARDA - Economia: «Nessuna intesa per
le trivelle»
15.07.2013
SANLURI «No alle
trivelle nel Medio Campidano». È un no corale e convinto quello dei 14 sindaci
del territorio contro le trivellazioni delle lobby del petrolio e del gas
naturale. Compatti nell'assumere una posizione forte e comune contro questo
tsunami silenzioso. Pronti a utilizzare le armi istituzionali e reagire, fosse
solo per il via libera a livello diagnostico. Punto di partenza è dire chiaro e
tondo all'assessorato regionale dell'Industria che non intendono siglare
un'intesa con le società interessate: la Saras, la Tosco Geo e la Geoenergy.
LA REGIONE «
Villacidro - dice il sindaco Teresa Pani - è il Comune più coinvolto:
l'esplorazione, infatti, abbraccia il 60 per cento del territorio. Siamo
veramente indignati e in rivolta contro questo disegno criminale, purtroppo in
corso, destinato a sottrarre al paese ogni altra occasione eco-compatibile,
fondata sulla valorizzazione del patrimonio identitario e condiviso». Spiega
che molte delle terre da perforare sono gravate dagli usi civici, altri
ricadono in aree d'interesse comunitario e sotto la tutela paesaggistica.
«Giovedì - aggiunge - sono certa che il Consiglio sarà unanime nel bocciare la
proposta». Tutti accusano la Regione. «A parte la doverosa difesa dei nostri
beni ambientali, archeologici, delle risorse minerarie e dei bacini idrografici
- commenta Rossella Pinna di Guspini -, è vergognoso che questi progetti cadano
dall'alto, senza un minimo di preavviso e di coinvolgimento. La Regione,
piuttosto che invitarci all'intesa, farebbe bene a dotarsi di un Piano
energetico per poi informarci di quanta energia si consuma e di quanta se ne
produce».
LA STORIA Non manca
chi guarda al passato e si dice pronto a dare battaglia. «La problematica è
vecchia - ricorda Alessandro Collu di Sanluri -. Nel 2008 il Consiglio
comunale, su richiesta della Regione, si era espresso a favore di Igia,
progetto di ricerca idrocarburi liquidi e gassosi. Oggi diciamo no, perché un
conto è conoscere le potenzialità del sottosuolo, altro piazzare impianti,
utili soltanto agli imprenditori per fare cassa». Ribadisce che «questa volta
non ci sarà alcuna delega in bianco». La paura deriva dalle troppe concessioni,
per ciascuna più piattaforme e, sopra ogni piattaforma, decine e decine di
pozzi. Uno stop senza se e senza ma, arriva da Arbus . «Di buchi nel suolo -
ricorda Franco Atzori - ne sono state fatti troppi. Molti abbandonati a se stessi.
Ora basta».
LE RISORSE «Siamo
titolari- precisa Giuseppe Garau ( Sardara ) - di concessione mineraria per
l'acqua termale. Le trivelle da poco hanno trovato nuove falde acquifere e,
mentre siamo in attesa di una legge che regoli il termalismo, arriva la
richiesta di ulteriori concessioni: è inammissibile». Teme rischi e pericoli
per i cittadini Sergio Murgia di Serramanna . «In una conferenza di sevizi -
ricorda il sindaco - siamo stati i soli ad esprimerci in senso negativo. La
motivazione è chiara: non avendo aderito ad Abbanoa, l'acqua potabile nelle
case arriva da otto pozzi artesiani che si trovano nell'area del Rio Leni,
proprio la zona interessata alle trivelle. È facile intuire i danni che le
trivellazioni potrebbero arrecare».
I CITTADINI «Sì o no
- precisa il sindaco di Collinas , Franco Cannas- sarà il paese a dirlo.
Sull'argomento è prevista un'assemblea pubblica. Terremo conto della volontà
dei giovani e non degli anziani: il futuro è loro». Telegrafico quanto
perentorio Gianni Cruccu di San Gavino : «Trivellare? Non se ne parla neppure.
Proprio adesso che si sta procedendo a verificare le problematiche legate alla
fonderia, sono gli stessi cittadini pronti a ribellarsi».
LE INCERTEZZE
«Quando capiremo se ci saranno e quali saranno i benefici - incalza Enrico
Pusceddu di Samassi - diremo la nostra. Intanto nessuno tocchi una terra che
vive di agricoltura». Così Italo Carrucciu di Lunamatrona : «Sino ad oggi
nessuna comunicazione ufficiale è arrivata in Comune. Ci esprimeremo su dati
certi e benefici assicurati. Sicuramente non a scatola chiusa». Santina Ravì
Ue: aree economiche esclusive in Adriatico e
Canale Sicilia
Damanaki: da
iniziative possibili benefici per mld euro
12 luglio, 11:35
BRUXELLES - La
Commissione europea lancia una sfida ai partner del sud dell'Europa: esplorare
e sfruttare le attivita' economiche che il Mare Mediterraneo offre loro per
trarre benefici che si calcolano in miliardi di euro l'anno. La conferma viene
da uno studio, presentato dalla commissaria europea alla pesca Maria Damanaki,
in cui emerge che la creazione nel mare Mediterraneo di tre grandi ''zone
economiche esclusive'', (in Italia l'Adriatico-Ionica e lo stretto tra Sicilia,
Malta e Tunisia e il Golfo dei Leoni tra Francia e Spagna) porterebbe in quelle
aree 2,7 miliardi di benefici netti l'anno''.
Queste zone
marittime sono previste dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del
mare del 1982 e danno la possibilita' agli Stati che lo desiderano di estendere
la loro giurisdizione fino ad un massimo di 200 miglia dalla costa. Sono
molteplici - ha spiegato la commissaria europea - le attivita' che possono
essere sviluppate nelle zone economiche esclusive: dalla pesca
all'acquacoltura, dall'energia come quella eolica al turismo fino alla ricerca.
In caso poi di inquinamento marittimo, come nel 1999 con il naufragio della
petroliera Erika sulle coste francesi, i Paesi interessati potrebbero
richiedere i relativi risarcimenti.
Cosi', sulla base
delle attivita' che potrebbero essere realizzate, gli scienziati europei hanno
calcolato che un area esclusiva tra lo stretto di Sicilia, Malta e la Tunisia,
potrebbe generare un vantaggio annuo di 802 milioni di euro, di cui 384 milioni
per la sola Italia. Per quanto riguarda invece l'Adriatico il beneficio annuo
tra i partner interessati - Italia, Croazia, Montenegro, Albania e Grecia -
sarebbe di 718 milioni l'anno, di cui 289 andrebbero all'Italia. Come creare
queste specifiche aree marine? ''La loro designazione - ha detto Damanaki -
resta un diritto sovrano di ciascun Stato membro. La responsabilita' dell'Ue e'
garantire che sussistano le condizioni adeguate per permettere all'economia blu
di prosperare''. Il tutto - ha aggiunto - ''rientra in un quadro di
cooperazione e di dialogo che e' alla base stessa del diritto internazionale
del Mare''.
Ad esempio, ha
spiegato Damanaki, ''la Commissione sta attualmente negoziando con la Libia un
accordo, e in questo ambito potrebbe chiedere di sottoscrivere la Convenzione
del mare''. Nel Mediterraneo gia' 12 Paesi hanno una legislazione in vigore che
prevede l'istituzione di una zona economica esclusiva o hanno adottato misure
per stabilirla: sono Albania, Croazia, Cipro, Egitto, Israele, Libano, Libia,
Monaco, Montenegro, Marocco, Siria e Tunisia. Francia, Italia e Slovenia, hanno
invece istituito zone di protezione ecologica.
Basilicata. Royalties, non solo Val d'Agri. E'
battaglia per la redistribuzione
Il Ministero valuta
la distribuzione del surplus di entrate lungo la filiera della raffinazione,
quindi non solo nei luoghi delle estrazioni ma anche in quelli delle
"terminazioni industriali" come, ad esempio, la Valbasento e Taranto.
di LEO AMATO
POTENZA - Portare le
nuove "royalties" anche dove hanno sede le «terminazioni industriali»
della filiera del petrolio. L'ultimo ostacolo nel negoziato per l'aumento delle
estrazioni in Val d'Agri sarebbe un braccio di ferro in corso proprio su questo
tema.
E' la distribuzione
territoriale della quota delle maggiori entrate fiscali previste dalle prossime
intese la questione più scottante sui tavoli del Ministero dello sviluppo
economico. Si intendono gli stessi dove da un anno e mezzo si rimpallano le
bozze del regolamento attuativo dell'articolo 16 dell'ex dl
"liberalizzazioni". Una paralisi che ha finito per espropriare il
governo del pallino della trattativa ripresa dai comuni lucani interessati
dagli impianti di Eni e Shell. Tanto che soltanto la scorsa settimana è arrivato
l'accordo di massima con la compagnia del cane a sei zampe e il suo socio anglo
olandese per la destinazione alle amministrazioni di quasi 45mila metri cubi di
gas naturale al giorno da destinare come meglio crederanno. Ma a una
condizione. Ossia che la produzione passi dagli attuali 104mila barili al
giorno ai 129mila previsti. Poco più di un patto tra gentiluomini, messa sul
valore legale dell'accordo appena raggiunto. Eppure un segnale politico
inequivocabile della voglia di autogestione dei sindaci dell'enclave
petrolifera stretti tra le esigenze di bilancio e le annose questioni
ambientali.
Riusciranno i primi
cittadini ad affermare la loro "piattaforma" nella capitale? Resta da
vedere, anche se l'interesse mostrato dalla Regione e i segnali inequivocabili
di ottimismo arrivati da via Verrastro come dai palazzi più importanti della
capitale lasciano credere di sì. A scapito di chi come l'assessore all'ambiente
di Pisticci solo la scorsa settimana diceva al Quotidiano che la «ricchezza
generata dalle risorse del sottosuolo dovrebbe essere distribuita tra tutti i
comuni lucani». Queste le parole di Lino
Grieco il giorno della firma di una convenzione per il monitoraggio delle
matrici ambientali sul modello di quella già avviata dal Campus biomedico di
Roma e dal comune di Viggiano, capoluogo del greggio lucano, che ospita la
maggioranza dei pozzi attivi e il centro oli, l'infrastruttura fondamentale
della concessione per la coltivazioni di idrocarburi in Val d'Agri.
A Pisticci c'è un
altro centro oli dell'Eni ma ogni giorno lavora meno di 300 barili al giorno,
perciò niente a che vedere con gli 86mila di Viggiano. Eppure è proprio lì, tra
i campi squarciati dai calanchi, che le autocisterne trasportano a ritmo
continuato l'acqua e i fanghi di scarto delle estrazioni effettuate nel paese
della madonna nera e dintorni. «Siamo l'ultimo anello della filiera che parte
dai pozzi valligiani». Insiste l'assessore col sostegno del sindaco Antonio Di
Trani. Motivo per cui chiedono la loro parte di proventi del greggio come li si
voglia chiamare, "royalties" o quote di partecipazione alle relative
entrate fiscali, secondo il dettato dell'articolo 16 del dl "Sviluppa
Italia" approvato un anno e mezzo fa dal governo Monti. «Non è una presunzione
ma un atto a mio avviso dovuto». Queste le espressioni di Grieco evidenziate
dal Quotidiano. «Ci vogliono risorse per garantire che attività importanti
legate al petrolio come quelle che hanno sede nel nostro territorio vengano
svolte in sicurezza». Se si pensa che a Viggiano nel 2012 la convenzione con
l'ateneo romano è costata 100mila euro si capisce bene che cosa intenda.
Ma quelle del paese
dai piedi d'argilla non sono le uniche rivendicazioni a cui si starebbe dando
ascolto al ministero. Altro tema è infatti quello dei paesi attraversati
dall'oleodotto che ai ritmi attuali trasporta ogni giorno trasporta 7 milioni
di greggio nell'impianto di raffinazione Eni di Taranto. Nell'ordine: Viggiano,
Grumento Nova, Montemurro, Corleto e Guardia Perticara, Gorgoglione, Aliano, Stigliano,
Craco Montalbano Jonico, Pisticci, Bernalda, Ginosa, Castellaneta, Palagiano e
Massafra. C'è chi sostiene per cominciare che vada considerata
un'infrastruttura a rischio di incidente rilevante, e la fuoriuscita avvenuta
l'anno scorso a Bernalda sembra dargli ragione, a maggior ragione se si è
trattato davvero di un gesto doloso.
Poi della Città dei
due mari, e dei corpi già piagati dai fumi tossici dell'Ilva. Nei mesi scorsi
si è fatta sentire più volte l'opposizione degli ambientalisti e dell'amministrazione
comunale ai programmi di sviluppo dell'impianto della compagnia del cane a sei
zampe.
L'articolo 16
dell'ex dl "liberalizzazioni parla di «sviluppo di progetti
infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento
degli impianti produttivi e dei territori limitrofi». Escludere il sito della
raffineria dove converge tutto il greggio estratto in Basilciata solo perché
non lavora soltanto quello per qualcuno potrebbe sembrare una forzatura.
Petrolio, ora anche l'Eni punta sullo Jonio
Arriva una nuova
richiesta di trivellazione nello specchio di mare del Golfo di Taranto. Pronto
all'apposizione il Comitato "No Triv"
di ANTONIO CORRADO
POLICORO – Non si
ferma l'assalto delle compagnie petrolifere allo specchio di mare del golfo di
Taranto.
Ad oggi sono ben 11
le istanze di ricerca di idrocarburi, da parte di molte società petrolifere
interessate alle estrazioni nel mar Jonio, anche nell'area lucana. Qualora se
ne trovasse, c'è la certezza si tratti di fossile di scarsa qualità, seppur
piuttosto conveniente, perchè in italia le Compagnie possono pagare royalties e
compensazioni ambientali particolarmente basse, rispetto a quelle pagate nel
resto del mondo.
E' notizia recente
che, dopo l'Appenine Energy Srl e la Shell, anche l'Eni ha presentato, con
l'istanza d 67, richiesta di cercare idrocarburi nello Jonio; ma in questo
caso, rispetto a tutte le altre società petrolifere, l'Eni ha ricevuto anche
l'esclusione Via (Valutazione d'Impatto Ambientale) per la fase iniziale.
«L'esclusione della
Via -fanno sapere dal comitato civico “No Triv” tramite la portavoce Giovanna
Bellizzi- preclude ai comitati di cittadini di partecipare attivamente a una
fase amministrativa importantissima, escludendo, di fatto, la possibilità di
presentare osservazioni ed esprime parere negativo alla ricerca di idrocarburi
in mare, a causa del grave pericolo di danno ambientale che tale attività
industriale comporta».
E' per questo
motivio che il Comitato mediterraneo No Triv, ha deciso di inviare al Ministero
dell'Ambiente, richiesta di motivazione della esclusione Via per l'istanza
dell'Eni.
«In effetti
-spiegano ancora da No Triv- per la prima volta un comitato di cittadini si
avvale di una direttiva della Corte di giustizia Comunità europea, che nel 2009
ha indicato l'obbligo delle autorità amministrative competenti di comunicare ai
cittadini che ne hanno fatto richiesta, dei motivi per i quali la decisione di
esclusione della valutazione degli impatti ambientali è stata assunta. Inoltre,
il Comitato mediterraneo No Triv chiede che il Ministero dell'Ambiente non si
limiti a considerare ogni singola istanza delle società petrolifere
separatamente ma di valutarle complessivamente. Se una sola richiesta di
ricerca e poi di estrazione di petrolio in mare può avere conseguenze anche
gravi sull'ambiente e la salute dei cittadini, appare quantomeno necessario
considerare tali effetti moltiplicati per ogni singola autorizzazione richiesta
dalle società petrolifere. La Comunità europea -ricorda ancora No Triv- ha assunto
un indirizzo di tutela ambientale molto forte, con la decisione del Consiglio
del 17 dicembre 2012 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea
il 9 gennaio 2013. L'Ue ha così aderito al protocollo relativo alla protezione
del mare Mediterraneo dall'inquinamento derivante dall'esplorazione e dallo
sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo del mare e del
sottosuolo. La Comunità europea -concludono da No Triv- si impegna, quindi, a
proteggere il mare Mediterraneo dalla attività petrolifere offshore, mentre
l'Italia disattende nei fatti tali principi, autorizzando un numero
esoribitante di ricerca petrolifera in mare».
E' per questi motivi
che il Comitato mediterraneo No Triv ha anche deciso di sottoporre la questione
alla Comunità europea con una formale denuncia, illustrando la necessità di
agire con tempestività per fermare una politica di sfruttamento intensivo in un
golfo come quello di Taranto a forte vocazione turistica.
Petrolio, le guerre di Casaleggio e le
estrazioni in aumento
Il guru del M5S,
intervistato dal Corsera, dice che in futuro sia possibile una guerra mondiale
per risorse come gas,acqua e petrolio. E in Basilicata che succederà?
di VALERIO
PANETTIERI
«CHE IN FUTURO sia
possibile una guerra mondiale — che non auspico — per le risorse come il gas,
l'acqua e il petrolio, non sono certo l’unico a dirlo, e un governo mondiale
con forti autonomie nazionali può essere nell'ordine delle cose». Gianroberto
Casaleggio, guru elettronico dietro il Movimento 5 Stelle e il blog di Beppe
Grillo esce, finalmente, dal guscio e si concede al Corsera in una lunga
intervista. Uno dei passaggi riguarda ovviamente il video "Gaia",
dove si annuncia la nascita di un nuovo ordine mondiale, previsto nel 2050, a
base di democrazia diretta nata dalla Rete. E qui Casaleggio scopre l'acqua
calda, come se le guerre, o meglio le "missioni di pace" fatte fino
ai giorni nostri, dalla Libia all'Iraq, non avessero come base proprio la
ricerca di risorse primarie energetiche.
Diciamo che parlare
di "guerra mondiale" somiglia più ai teorici complottisti del Nwo,
tema carissimo a certa ultradestra, piuttosto che ad una riflessione legittima
e anche probabile, visti gli assetti geopolitici contemporanei. Ma cosa ci
azzecca la Basilicata? Molto, perché questa regione ha due risorse
fondamentali: l'acqua, il gas ed il petrolio. Certo, ci riesce davvero
difficile pensare alla Basilicata come un fronte di guerra per accaparrarsi di
risorse. Cerchiamo di essere più pragmatici. Sono tempi di discussioni sulle
moratorie, di glaciali bocciature ministeriali osteggiate da De Filippo, che
annuncia battaglia per ogni singola concessione, mentre sbocciano come foreste
d'acciaio, neanche fosse l'Infinite Jest di Wallace, i parchi eolici. Ad oggi
la Lucania contribuisce per il 75% per tutta la produzione di greggio in Italia
e oltretutto sta aumentando la produzione. Si è passati, infatti, da 3,7 a più
di 4 milioni di tonnellate (+8,1%) di petrolio estratto e +15% nell'estrazione
di gas naturale.
La fonte è il
rapporto dell'Unione Petrolifera, che disegna uno scenario da milioni di euro e
in costante aumento, alla faccia delle moratorie. Il risparmio, per l'Italia,
in termini di acquisto di risorse sarebbe di 6,3 miliardi, 834 milioni in più
rispetto al 2011. E lo scorso anno la Basilicata era la prima in assoluto.
Il super giacimento
è ancora sotto i piedi dei lucani, ed è quel sito di Tempa Rossa che tanto fa
gola alle aziende petrolifere. Sotto quel giacimento gestito da Total per il
50%, Shell per il 25% e la giapponese Mitsui per il restante 25% ci starebbero 50mila
barili di petrolio estraibili al giorno. Ai quali bisognerà aggiungere i
230mila metri cubi di gas naturale, 240 tonnellate di gpl e 80 tonnellate di
zolfo. Tempa Rossa, con la produzione a pieno regime prevista per il 2016 è una
miniera d'oro gigantesca. Nell'alta valle del Sauro ci starebbero infatti 440
milioni di barili. Tantissimi. Qui dovranno partire 8 pozzi, di cui 6 già
perforati, un centro di trattamento degli oli e condotti interrate, centri di
stoccaggio del gpl, più i vari adeguamenti stradali.
Per come la vede
l'Unione Petrolifera ci starebbero ancora «troppi limiti allo sviluppo», forse
alimentati dalle recenti discussioni sulle moratorie previste per la creazione
di nuovi pozzi. Non sarà un clima da guerra mondiale, ma i numeri parlano chiaro.
Questa regione è completamente sfruttabile, con un tornaconto in termini di
royalties che ha permesso, fino ad oggi, di tenere in piedi la Basilicata al di
fuori della legge Obiettivo. Il prezzo da pagare però è altissimo e a Pisticci
come anche fuori regione, a Taranto per essere precisi, ne sanno qualcosa.
Petrolio, così fanno altrove.
L'esempio della Norvegia
La
scadenza degli impegni per le royalties e la nuova programmazione: la politica
torni a parlare di pianificazione
di Mariateresa Labanca
giovedì
27 giugno 2013 10:07
POTENZA
- L'interrogativo è vecchio quanto il mondo, almeno quanto la storia del
petrolio in Basilicata. Perché non siamo la Norvegia? Perché l'oro nero lucano
non è riuscito a innescare un processo di sviluppo e di benessere diffuso? La
riflessione, dicevamo, non è affatto nuova. Ma ci sono almeno due motivi validi
per tornare a parlare di quello che la ricchezza del nostro sottosuolo - il
giacimento su terra ferma più grande d'Europa - potrebbe rappresentare per la
Regione.
Da una
parte la trattativa quasi chiusa con Eni portata avanti dai comuni della Val
d'Agri - in testa l'amministrazione di Viggiano - che costituisce un altro modo
di pensare ai vantaggi che le popolazioni locali possono trarre dalla
convivenza con il petrolio. Materia prima, 45.000 metri cubi di gas al giorno,
che si aggiungerà alle royalty. Con effetti diretti sulla qualità della vita
dei residenti. Ci sono voluti 15 anni di estrazioni per arrivare a questo
risultato: riduzione delle spesa energetica a vantaggio di privati, pubbliche
amministrazioni e imprese. Con cui
attrarre nuovi investimenti nell'area della Val d'Agri in modo da
stimolare l'economia locale. Una maniera diversa di pensare alle compensazioni
che porta la firma delle singole amministrazioni comunali.
L'altro
motivo per tornare a porre la questione è rappresentato, invece, dalla nuova
programmazione della forma più classica di indennizzo, ovvero le royalty.
Parliamo di una somma che oscilla tra i 70 e i 100 milioni all'anno. Largamente
impegnate nel bilancio della Regione per coprire i buchi della sanità (anche se
come annunciato dall'asssessore Martorano la quota per il prossimo si sarebbe
ridotta sensibilmente), nei programmi di Forestazione, e in generale per far
fronte ad emergenze sociali. Dieci milioni vanno poi all'Università di
Basilicata che senza questo sostegno economico potrebbe tranquillamente
chiudere i battenti. «Nessun investimento, nessuna iniezione all'economia
lucana»: un ritornello che periodicamente ritorna.
La
Regione Basilicata, dal canto suo, ripete che è perfettamente inutile tirare le
royalty da una parte o dall'altra, perché tanto sono già impegnate. Fino al
2013. Ebbene, quella scadenza è arrivata. E, a proposito di contenuti, sarebbe
bello se i protagonisti della compagna elettorale che ci accompagnerà fino a novembre
mettessero al centro del confronto non
solo la solita battaglia sui nomi ma idee buone per una nuova pianificazione
delle opportunità da cogliere dalla ricchezza del sottosuolo lucano. Fino ad
ora non si è sentito molto. E allora
vale la pesa andare a rispolverare i casi più significativi di chi altrove ha
fatto in modo che il petrolio rappresentasse un'occasione di crescita, un
motore potente in grado di generare sviluppo. Più volte si è parlato
dell'esperienza norvegese. E' il
principale produttore di petrolio dell'Europa occidentale, la nazione seconda
al mondo per Pil pro capite, terzo esportatore mondiale, una sorta di Emirati
Arabi dall'altra parte del Continente. Dove vengono prodotti 3 milioni di
barili al giorno, molti di più dei quasi 170.000 - con la produzione di Tempa Rossa a regime - estratti in Basicata. Ma pure
facendo le dovute proporzioni, la Basilicata resta lontana anni luce. Il
settore estrattivo in Norvegia dà lavoro a 80.000 persone. In regione non si
arriva nemmeno a 500 unità.
La
ricchezza proveniente dal fondale marino, gestita fino al 2007 dalla società
statale Statoil, è servita a trasformare il Paese in uno dei più moderni al
mondo, grazie agli ingenti investimenti in infrastrutture. Ed aumentare il benessere collettivo
attraverso un paradigma riduzione dei costi-aumento del reddito. Ma da quelle
parti hanno pensato anche il futuro: spalmare la ricchezza generata su un
periodo più lungo, in vista della graduale diminuizione delle risorse, fino al
loro completo esaurimento. Hanno costituito una sorta di fondo pensione
petrolifero: il secondo più grande al mondo. Risorse investite in azioni, bond e obbligazioni. E'
interessante poi analizzare l'approccio del paese del Nord Europa rispetto alla
questione energetica: i proventi generati dalle fonti "sporche" sono
stati utilizzati per investire su fonti pulite: idroelettrico ed eolico off
shore. Già due anni fa la Norvegia era in grado di soddisfare il 60 per cento dei suoi bisogni
energetici attraverso le rinnovabili (tre volte l’obiettivo europeo per il
2020). E proprio dal più grande produttore di petrolio dell'Europa occidentale
è arrivata l'auto pulita, completamente elettrica, che si è classificata al top
di tutte le classifiche di vendita. Ci sono almeno due motivi per opporre che
la semplice sovrapposizione dei due casi non puo' funzionare.
La
prima sta nelle condizoni di partenza: prima che iniziasse l'esperienza
petrolio il Paese del Nord Europa aveva già un benessere diffuso, al contrario
della Basilicata, da sempre regione povera.
L'altra, sicuramente più importante, è che nel primo caso si tratta di
una risorsa nazionale, e non regionale, per altro in quantitativi nettamente
superiori, con tutto quello che ciò comporta in termini di peso nelle
contrattazione. Il presidente De Filippo lo ricorda in tutte le occasioni:
quando la Regione Basilicata, allora presieduta dall'attuale viceministro,
Filippo Bubbico andò a trattativa con Eni riuscì a strappare un importante
risultato: ancorare il valore della compensazione economica al prezzo del
petrolio. Oggi sappiamo che il 7 per cento di royalty sul valore totale
prodotto è troppo poco, che quell'accordo ha fatto la sua storia, che c'è un
Memorandum che dà nuovi indirizzi in fatto di opportunità per il territorio.
L'instabilità
politica anche a livello nazionale non aiuta la causa lucana. Ma è anche vero
che la Basilicata in questo particolare compagine politica può contare su una
rappresentanza istituzionale più forte a Roma, con un vice ministro e un
capogruppo alla Camera. Sul territorio, invece, si dovrebbe partire da qui:
nuova programmazione delle royalty, anche in virtù della fetta liberata dalla
riduzione del debito della Sanità, e accordo regionale sulla nuova produzione
di gas in Val d'Agri implementata dalla V linea, sulla scorta di quanto hanno
fatto i comuni dell'area. Che in pratica potrebbe significare questo: ridurre
sensibilmente i costi energetici di tutti i lucani. Ben oltre la miseria della
card carburi che assegna non più di 100 euro annui a patentato. Vale la pena
ricordare che a esempio che negli Emirati Arabi un litro di benzina costa meno
di un litro d'acqua. Lo sconto gas sarebbe già un buon punto di partenza per
iniziare a cambiare la percezione dei lucani rispetto al petrolio. Seppure i
risultati raggiunti altrove, a causa delle eccessive diversità delle condizioni
di partenza, non potranno essere ripetuti a casa nostra, sarebbe interessante
incominciare a ragionare almeno sull'importazione del metodo.
La Cgil: 'Non consentire trivellazioni nello
Ionio calabrese' 20 giugno 2013
CATANZARO.
"Mentre l'Ue dà indicazioni nette e perentorie nella strategia conosciuta
come 'Europa 2020', affermando di voler sostenere la transizione verso
un’economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori ed a ciò vincola
anche gli obiettivi per la programmazione dei fondi 2014-2020, il nostro Paese
declina in maniera assurda ed anomala questa strategia consentendo o
apprestandosi a consentire trivellazioni alla ricerca di petrolio, di gas in
aree come il golfo di Taranto e lo Ionio calabrese, già fortemente segnate da
gravi problemi ambientali, in assenza di alcun interesse pubblico e di rispetto
del bene comune, a solo vantaggio delle multinazionali candidate". E'
quanto si afferma in un comunicato della segreteria regionale della Cgil.
"La verità è che la strategia energetica nazionale (Sen) - prosegue la
nota - lungi dall'essere un vero piano energetico nazionale, individua in molte
aree del Mezzogiorno e della Calabria i luoghi per uno sfruttamento
inaccettabile, affastellando diverse cose e rinunciando a quella pianificazione
richiesta e necessaria sulla impiantistica e le reti, veri nodi irrisolti,
nonché trascurando di sostenere la ricerca e l'innovazione tecnologica indispensabile
per uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili. Tale ipotesi è ancora di più
anomala ed inaccettabile dal punto di vista delle popolazioni meridionali e
calabresi che, in materia di produzione energetica, non solo da fonti
rinnovabili, hanno offerto ed offrono le migliori performance produttive
dell'intero Paese, in molti casi senza un reale beneficio né economico né
sociale per il territorio, le imprese, i lavoratori ed i cittadini residenti. A
tal proposito basta leggere i dati sulla produzione energetica per constatare
che la Calabria, ad esempio con le fonti rinnovabili, pagando costi altissimi
in materia d’impatto ambientale, è in netto vantaggio, quasi il doppio, nel
2010 il 29% a fronte del 16,7%, rispetto alla media nazionale". "Dovessero
essere autorizzate le trivellazioni - prosegue la nota - sarebbe oltremodo
negativo l'impatto su settori strategici e fondamentali come il turismo, la
pesca, l'itticoltura, meritevoli questi sì di incentivi e sostegno anche per il
loro forte impatto occupazionale, nonché di imprevedibile misurazione sui
fenomeni di erosione costiera, squilibrio dell'ecosistema marino e quant'altro.
Per queste ragioni la Cgil calabrese chiede al Governo nazionale di sospendere
ogni autorizzazione in ipotesi e di convocare immediatamente un tavolo
nazionale di confronto istituzionale, sociale ed economico tenendo conto delle
forti e condivise contrarietà già manifestate dal sistema Istituzionale locale
e dalle forze sociali. Al Presidente Scopelliti chiediamo la convocazione urgente
di una riunione di Giunta aperta alle parti economico, sociali, istituzionali
interessate, nella quale, partendo dal valore dell'odg n.97 votato
all'unanimità dal Consiglio regionale, affronti il tema della strategia
energetica regionale dentro un quadro di nuova pianificazione energetica,
ambientale ed industriale, da troppo tempo rivendicata e disattesa, per
raccordarla al servizio di una prospettiva di crescita dell'economia regionale
nel rispetto e nella salvaguardia delle sue risorse naturali e paesaggistiche,
coerente con un modello di sviluppo sostenibile e durevole".
«Inventagiovani» la Basilicata migliore
POTENZA –
Alfabetizzazione della lingua inglese nei territori periferici della
Basilicata, importazione e commercializzazione in Gran Bretagna dei prodotti
tipici lucani e del Mezzogiorno d’Italia, un’agenzia che organizza matrimoni ed
altri eventi in regione: sono le tre idee imprenditoriali emerse in particolare
dalla terza edizione di “Shell InventaGiovani”, un programma di investimento
sociale e sviluppo sostenibile che la compagnia petrolifera ha avviato in
Basilicata.
I risultati del programma e il “lancio” del
quarto anno sono stati presentati stamani, a Potenza, dal country manager per
Shell in Italia, Marco Brun, dal presidente della giunta regionale della
Basilicata, Vito De Filippo, dal professor Carmine Serio (Università della
Basilicata). Il programma di sostegno alla nuova imprenditorialità è stato
lanciato nel Regno Unito nel 1982: la compagnia petrolifera offre supporto,
formazione e servizi di orientamento e consulenza per verificare la solidità
dell’idea e favorirne l'avvio. All’incontro con i giornalisti hanno partecipato
sia alcuni degli autori dei progetti “vincenti” (Valentina Falconieri, Claudio
Gallucci e Mara Daniela Giurni) sia altri giovani che hanno comunque scelto di
continuare a portare avanti la loro idea imprenditoriale.
Nel 2012, in Basilicata circa 90 persone hanno
partecipato a corsi di formazione imprenditoriale di un giorno e circa 28 ne
hanno completato uno più approfondito, di tre giorni: sono nati cinque nuovi
imprenditori. Nel 2013 Shell ha previsto tre cicli di formazione: sei di un
giorno e tre da cinque giorni. I numeri dei partecipanti – ha spiegato Brun -
lasciano già credere che le cifre del 2012 saranno superate.
“La Regione Baislicata – ha detto De Filippo
prima della consegna dei diplomi ai partecipanti ai corsi svolti nel 2012 - ha
rivolto sempre grande attenzione a questo innovativo programma di Shell e, in
generale, ai modi per favorire l'occupazione giovanile, che oggi è un problama
in tutto l'Occidente”. Dopo che Serio aveva sottolineato l’importanza delle
grandi imprese per lo sviluppo di un territorio, Brun ha definito il programma
“InventaGiovani” un “successo in Basilicata come altrove. Qui abbiamo trovato e
troviamo sempre giovani preparati e dotati di idee straordinarie: noi non
facciamo altro – ha concluso – che offrire loro la possibilità di confrontarsi
con i giovani di altre zone del mondo”.
Sotto i mari di Puglia tanto gas come in Texas
di NICOLÒ CARNIMEO
Nell’Adriatico meridionale e nello Jonio ci sono enormi giacimenti di gas,
ormai è certo, recenti prospezioni lo hanno dimostrato con chiara evidenza, si
tratta delle riserve europee attualmente più ricche e meno sfruttate. Per fare
un esempio facile, la Puglia è ricca di idrocarburi quanto il Texas, solo che
queste risorse si trovano principalmente in mare, e devono essere estratte o
meglio “coltivate”, così come si dice in gergo tecnico, da grandi piattaforme
off shore.
Non è questa
la sede prendere alcuna posizione, pro o contro, o parlare dell’ opportunità o
meno di queste iniziative che hanno un impatto molto forte sull’opinione
pubblica, ma semplicemente cercare di delineare lo scenario reale, e capire
qual’è lo stato dell’arte nella coltivazione di idrocarburi nei mari della
Puglia. E, soprattutto, se e come il gas pugliese possa divenire o meno una
opportunità. Dalla nostra indagine emerge che oggi il nodo principale (che si
dovrebbe affrontare con urgenza) è piuttosto legato alle royalties, ovvero alle
possibili compensazioni economiche sul nostro territorio, nel caso ormai assai
probabile che si dia inizio alle attività estrattive. Più che puntare l’indice
solo sulle compagnie petrolifere, bisogna comprendere che l’attività
decisionale su quanto sta accadendo si svolge altrove e parte dall’Europa. La
scelta di sfruttare le riserve di gas nel Mediterraneo, così come si fa già da
molto tempo nel mar del Nord è, infatti, prima di tutto europea e poi
nazionale. Certo, Bruxelles punta sulle rinnovabili, da quanta promozione se ne
fa sembra che l’energia da produrre da ora in poi debba essere - o sarà - tutta
verde, ma al palazzo di vetro c’è uguale consapevolezza che le sole rinnovabili
non possono bastare al nostro fabbisogno attuale e che l’Europa debba comunque
tenere in buon conto un pezzo importante e monolitico della sua industria, che
piaccia o no le imprese petrolifere europee rappresentano il 52% della
produzione mondiale di idrocarburi. Quanto al fabbisogno nazionale, l’Italia
importa combustibili fossili in tale quantità che la bilancia energetica
nazionale è in negativo per 62 miliardi di euro sino al 2012, ed è una voce che
pesa in modo determinante non solo sull’economia nazionale, ma anche sul costo
dell’energia per le imprese e le famiglie. Il gas lo importiamo quasi
totalmente.
E costa
molto caro. I magnati russi della Gazprom non sono ricchi per caso. Per questo
l’Europa già da tempo ha deciso che oltre alle riserve di idrocarburi del mar
del Nord bisogna incrementare la produzione di quelle mediterranee dove sono
già attive centinaia di piattaforme off shore. Come si diceva, recenti
prospezioni hanno dimostrato che i giacimenti di gas più ricchi di trovano
proprio al largo dell’Adriatico e dello Jonio meridionale dove esistono ampie
aree che sono state già date in concessione. Non è un fenomeno nuovo perché,
seppure la generalità ne abbia poca consapevolezza, gli idrocarburi si
coltivano già da molto tempo, specialmente nell’Adriatico del nord e centrale.
Per l’off shore italiano dove sono state localizzate apposite zone per la
prospezione, la ricerca e l’estrazione, al 31 dicembre 2012 erano presenti 722
pozzi attivi di cui 396 in produzione e 335 a gas e 61 ad olio e 312
potenzialmente produttivi ma non eroganti. Le concessioni di coltivazione
totali sono in tutto 66. Sulla base di queste considerazioni è stato redatto il
documento di Strategia Energetica Nazionale (SEN) sino al 2020 nel quale si
stima di raddoppiare l'attuale produzione annuale italiana, sia di gas che di
olio, portando dal 7% al 14% il contributo al fabbisogno energetico totale.
Come si legge nel piano “si vogliono così mobilitare investimenti per circa 15
miliardi di euro con l’obiettivo di ottenere un risparmio sulla fattura
energetica per circa 5 miliardi a beneficio di tutti i cittadini”. E per far
questo le concessioni in Adriatico e Jonio sono strategiche, tanto che è stato
realizzato un imponente impianto normativo per poter adeguatamente realizzare
l’iniziativa, individuando le zone ed eliminando i vincoli che ne impedivano
l’attuazione. Con i decreti detti “sviluppo” e “crescita” di Monti sono stati
sbloccati ben 3,5 miliardi di investimenti per le prospezioni e ricerca di
idrocarburi, ripetiamo per gran parte gas e una limitata quantità di olio nei
nostri mari. ...
Una lega Adriatica contro il petrolio
di Giuseppe Armenise
Fedele al suo credo
politico, l’onorevole leghista Angelo Alessandri, presidente della commissione
Ambiente della Camera battezza la nascita di una Lega Adriatica in occasione
della conferenza internazionale delle Regioni adriatiche e ioniche sulla salvaguardia
delle regioni del Mediterraneo dall’estrazione di idrocarburi che si è tenuta
ieri a Venezia. Una lega transnazionale nel nome della salvaguardia del mare
bene comune e contro gli appetiti delle potentissime multinazionali del
petrolio titolari di ben 70 richieste di autorizzazione alla prospezione
sismica e potenziale coltivazione di idrocarburi sui fondali del mare
Adriatico.
Puglia, Molise,
Abruzzo, Veneto e Friuli Venezia Giulia insieme al Montenegro (la Slovenia ha
dato la sua disponibilità, ma senza impegno formale) sono i «soci fondatori» di
questo nuovo fronte le cui rivendicazioni si innescano a pieno titolo nel
dibattito in atto in Italia sul nuovo piano energetico allo studio del governo,
che parrebbe, al contrario, puntare molto sull’incremento del contributo del
petrolio «made in Italy» alla percentuale di energia necessaria al fabbisogno
nazionale.
Prima che sia troppo
tardi (sperando che non sia già troppo tardi) lo stesso Alessandrì, insieme al
presidente della commissione Ambiente al Senato, Antonio D'Alì (Pdl), hanno
assunto ieri l’impegno a far approvare entro la fine della legislatura le
proposte di legge alle Camere di moratoria (sospensione delle attività di
ricerca ed estrazione del petrolio eventualmente in fase di autorizzazione) e
precauzione. Proprio quest’ultimo concetto, quello di precauzione, ispira le
parole di Francesco Tarantini (presidente Legambiente Puglia), il quale
chiarisce: «Con la strategia energetica nazionale in discussione, che riapre la
strada alla ricerca ed estrazione di idrocarburi in Italia, ponendo per il
contributo dell’estrazione dal mare e da terra un obiettivo di crescita dal 7
al 14% del fabbisogno energetico, si sta operando una scelta insensata. Le
ultime stime del ministero dello Sviluppo economico valutano nei nostri fondali
marini la presenza di 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe,
che, stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7
settimane. Anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato
soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel Paese verrebbe
consumato in appena 13 mesi. Il settore è destinato a esaurirsi in pochi anni.
Il gioco non vale la candela visti i danni che gli idrocarburi già oggi
provocano in mare Adriatico».
Alla conferenza di
Venezia era atteso il ministro all’Ambiente, Corrado Clini, rimasto invece a
Roma per il Consiglio dei ministri. Ma il contraddittore naturale sarebbe stato
il ministro allo Sviluppo Economico, Corrado Passera, cui si deve in qualche maniera
la regia della politica energetica nazionale in via di predisposizione. «Da
Venezia - commenta il presidente del Consiglio regionale della Puglia, Onofrio
Introna, che della conferenza è stato il promotore - si alza un grido forte e
chiaro contro politiche di corto respiro in materia di energia. È chiaro che,
essendosi espressi i cittadini contro il nucleare, bisogna puntare forte, in
maniera radicale e con coraggio su contenimento dei consumi, energie
rinnovabili, politiche sulla mobilità. La Puglia ha scelto e io credo che un
piano energetico nazionale non si possa fare senza coinvolgere le Regioni».
Petrolio:
Recchi (Eni), riserve per 170 anni
06 Novembre 2012 - 15:25
(ASCA) - Torino, 6 nov - Le riserve di greggio
conosciute ammontano a 5.500 miliardi di barili che significano un indice di
consumo per 170 anni. Lo ha sottolineato il presidente dell'Eni, Giuseppe
Recchi, intervenendo oggi alla facolta' di Economia dell'Universita' di Torino
per una lezione sul ruolo del gruppo nell'economia nazionale ed internazionale.
''Sembra poco'', ha spiegato Recchi, ma la tecnologia sta migliorando
costantemente e i sistemi di estrazione sono sempre piu' complessi. Questo
secondo gli esperti, ha osservato Recchi, portera' ad un aumento della
produzione dagli attuali 90 milioni di barili al giorno a 110 milioni di barili
al giorno nel 2030. ''Si tratta - ha detto Recchi - del piu' grande incremento
in un decennio dagli anni '80''. eg/cam/ss
Petrolio, Puglia unita per dire no alle
trivelle
5 novembre 2012. BARI - «Tutta la
Puglia che punta su uno sviluppo ecosostenibile e ecocompatibile e che dice no
alle trivelle e alle piattaforme off shore in mare sarà idealmeante al fianco
del presidente del consiglio regionale, Onofrio Introna, venerdì per
l'iniziativa organizzata in collaborazione con il Consiglio del Veneto e della
Conferenza nazionale delle Assemblee legislative, a Palazzo Ferro-Fini che
ospiterà a Venezia il convegno internazionale delle regioni adriatiche e
ioniche». È quanto afferma il vicepresidente del gruppo Pdl alla Regione Puglia
Massimo Cassano. «Uniti, oltre ogni appartenenza politica, per scongiurare il
dramma di coste e acque del Mediterraneo distrutte da decine di torri per le
estrazioni di idrocarburi e per affidare al ministro per l'ambiente Corrado
Clini e al presidente del consiglio Mario Monti, un messaggio di sviluppo che
metta il turismo al centro dell'azione del governo regionale e nazionale»,
aggiunge l’esponente del Pdl. «Il nostro mare rappresenta un patrimonio per
tutto il Paese che deve essere tutelato e preservato da ogni scempio per
salvaguardare, al contempo, un territorio le cui ricchezze infinite - conclude
Cassano - sono rappresentate da turismo, pesca, bellezze naturali, artigianato,
commercio, beni culturali e religiosi».
Come si ricorderà,
più volte le associazioni ambientaliste hanno nei mesi scorsi lanciato
l’allarme per il possibile arrivo nei mari italiani di altre settanta
piattaforme petrolifere, oltre alle nove già attive nel mare italiano che
complessivamente metterebbero a rischio una superficie marina più grande della
Sicilia. Greenpeace, Legambiente e Wwf affermano che secondo le stime del
ministero dello Sviluppo economico ci sarebbero nei nostri fondali marini solo
10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe. Parametrandola ai
consumi attuali questa quantità di greggio coprirebbe il fabbisogno nazionale
per sole 7 settimane. Non solo, sempre secondo quando affermano le associazioni
ambientaliste, anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo,
concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe del nostro
Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.
Gli altri elementi
evidenziati da Wwf, Legambiente e Greenpeace sono che «l’Italia è una sorta di
paradiso fiscale per i petrolieri» e che inoltre «le royalty sul prodotto
estratto in Italia sono di gran lunga le più basse al mondo e su 59 società
operanti in Italia solo 5 le pagano».
Basilicata, sbloccato il bonus benzina entro
Natale 140 euro
di LUIGIA IERACE
La Basilicata batte
il Veneto. È proprio un regalo di Natale quello che il Consiglio di Stato ha
fatto ai lucani sospendendo la sentenza del Tar del Lazio e di fatto dando via
libera all’erogazione del bonus idrocarburi agli oltre 319 mila patentati aventi
diritto. Quasi tutti, praticamente più del 95% dei patentati residenti in
Basilicata. Così, entro la fine dell’anno i lucani (vecchi e nuovi aventi
diritto) si vedranno caricare sulla loro card la somma di circa 140 euro. Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione Quarta), riunitosi due
giorni fa, ha accolto l’istanza di sospensiva presentata dall’Avvocatura di
Stato e «sospeso l’esecutività della sentenza» del Tar del Lazio. Questo vuol
dire, in sostanza, che in attesa del dibattimento di merito, si può procedere
all’erogazione dei fondi. Ma nell’ordinanza, depositata ieri, il Consiglio di
Stato si spinge oltre la semplice sospensiva introducendo anche qualche
valutazione di merito «ritenuto che le questioni evocate dall'appello
necessitano di attento approfondimento nella sede del merito, e che nelle more
di ciò appare prevalente l'esigenza di evitare i gravi inconvenienti
organizzativi e finanziari che discenderebbero dall'esecuzione della sentenza
impugnata, con l'interruzione delle attività in corso per la distribuzione ed
erogazione dei benefici di cui al Fondo per cui è causa».
E «rilevato, per
converso - come si legge ancora nell’ordinanza -, che alcun serio pregiudizio
subisce la Regione ricorrente in primo grado (il Veneto, ndr) dal differimento
dell'esecuzione del “decisum” giurisdizionale, in quanto nell'ipotesi di esito
favorevole del giudizio potranno essere adottate le necessarie misure di
conguaglio rispetto alle altre Regioni che hanno già fruito dei benefici». In
sostanza, il Consiglio di Stato a fronte dei «gravi inconvenienti»
organizzativi e finanziari che deriverrebbero dal blocco e dalla mancata
erogazione del bonus, e che ritiene pertanto prevalenti, indica la strada da
seguire nella prosecuzione delle operazioni di erogazione del bonus, nella
consapevolezza che nel caso di un giudizio di merito favorevole al Veneto si
potrebbe poi procedere ad un successivo conguaglio.
Appena appreso
l’esito del ricorso, il Ministero dello Sviluppo economico si è subito attivato
per la nuova erogazione sospesa in attesa del giudizio. Il tempo di trasferire
le somme a Poste Italiane e definire l’importo unitario preciso da assegnare ai
circa 319 mila aventi diritto e già intorno alla metà di novembre, si potrebbe
partire con l’erogazione delle somme. Come regalo di Natale o al massimo di
fine anno, Poste permettendo, arriveranno quindi, secondo i primi conteggi
circa 140 euro per patentato (nella prima annualità il bonus ammontava a 100
euro e 70 centesimi).
Il primo round della
battaglia Basilicata-Veneto per il «bonus» idrocarburi si conclude quindi con
il Consiglio di Stato che accoglie le motivazioni dell’Avvocatura di Stato (in
rappresentanza dei Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo
Economico) contro la sentenza del Tar del Lazio che nel maggio scorso aveva
dato ragione ai Veneti «scippando» quasi due terzi di quel 3% di royalty che le
compagnie petrolifere che operano in Basilicata versano ogni anno per
alimentare il Fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti delle
regioni interessate dall’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi. Secondo
il Tar del Lazio, i lucani con la nuova ripartizione del Fondo avrebbero avuto
solo 50 euro a testa, il resto sarebbe andato a beneficio delle altre regioni
(Veneto e Liguria) interessate da attività di rigassificazione. Ma il Consiglio
di Stato ha ora accolto le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato che
difendendo l’operato dei Ministeri e i decreti impugnati, aveva chiesto di
disporre «la sospensione della sentenza considerando il pregiudizio grave e
irreparabile che deriverebbe dall’esecuzione della sentenza del Tar». Sentenza
sospesa, quindi, Ministero pronto alla seconda erogazione e regalo di Natale
per i lucani.
Energia/Sen: revisione limiti trivellazioni e
15 mld in nuova produzione
16 Ottobre 2012 -
15:51
(ASCA) - Roma, 16 ott - Nella Strategia
energetica nazionale esaminata dal Consiglio dei Ministri viene confermata
l'intenzione di rivedere i limiti di tutela alle trivellazioni offshore e la
stima di 15 miliardi di investimenti attivabili in nuova produzione di idrocarburi
in Italia entro il 2020.
Nel documento di consultazione della SEN,
pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico, viene definito l'obiettivo
di sviluppare l'attuale produzione nazionale di circa 24 milioni di barili di
olio equivalente l'anno di gas e 57 di olio portando da circa il 7% a circa il
14% il contributo della produzione di idrocarburi italiana al fabbisogno
energetico nazionale.
''Questo - secondo il Mise - consentira' di
mobilitare investimenti per circa 15 miliardi di euro, 25.000 nuovi posti di
lavoro, ed un risparmio sulla fattura energetica di circa 5 miliardi di euro
l'anno''.
In quest'ottica verra' introdotto il ''titolo
abilitativo unico per esplorazione e produzione'' che semplifichera' l'iter
autorizzativo per le nuove estrazioni ''prevedendo un termine ultimo per
l'espressione di intese e pareri da parte degli enti locali''.
Per quanto riguarda le trivellazioni in mare,
la strategia conferma l'intenzione di ''rimodulare i limiti di tutela
offshore'' fissati nel 2010 dopo il disastro della piattaforma Deepwater
Horizon nel Golfo del Messico e che, secondo le rilevazioni del governo, hanno
causato la cancellazione di progetti per 3,5 miliardi di euro.
Limiti, si legge nel documento, ''di
particolare rilevanza per la produzione di gas naturale'' che saranno comunque
rivisti ''conservando margini di sicurezza uguali o superiori a quelli degli
altri Paesi UE''.
L'Italia, ricorda il Mise, ''ha a disposizione
significative riserve di gas e petrolio, le piu' importanti in Europa dopo i
paesi nordici. In questo contesto e' doveroso fare leva anche su queste
risorse, dati i benefici anche in termini occupazionali e di crescita
economica''. Si stimano risorse disponibili per almeno 700 Mtep, equivalenti a
50 anni della produzione nazionale attuale.
Nella Sen vengono identificate in particolare
5 zone in Italia che offrono ''un elevato potenziale di sviluppo''. Si tratta
della Val Padana, dell'area dell'Alto Adriatico, dell'Abruzzo, della Basilicata
e del Canale di Sicilia.
fgl/
Energia: Monti, oggi parte strategia energetica
nazionale
16 Ottobre 2012 -
14:01
(ASCA) - Roma, 16
ott - ''Oggi viene presentata la strategia energetica nazionale: sono 15 anni,
dal 1988, che non si faceva''. Lo afferma il presidente del Consiglio Mario
Monti in conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri. ''L'Italia -
spiega il premier - cerca di darsi una strategia complessiva energetica e
siccome si tratta di un argomento di grande importanza per cittadini, imprese e
ambiente, su questo il governo ha deciso di avviare una grande consultazione''.
Oggi, precisa Monti, ''non e' stata adottata una decisione, ma un disegno
strategico che sara' oggetto di consultazioni pubbliche al termine delle quali
il governo trarra' delle conclusioni''. Fdv
Consumi petroliferi: Up, a settembre -14,8% ma
gettito fiscale sale
11 Ottobre 2012 -
19:05
(ASCA) - Roma, 11 ott - Consumi petroliferi in
calo, ma gettito fiscale in crescita in Italia. Secondo i dati dell'Unione
Petrolifera a settembre si registra una ''preoccupante battuta d'arresto per i
consumi petroliferi italiani ammontati a circa 5,3 milioni di tonnellate, con
una diminuzione del 14,8% (-920.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del
2011''.
I prodotti autotrazione - si legge in una nota
-, con due giorni di consegna in meno, hanno rilevato le seguenti dinamiche: la
benzina nel complesso ha mostrato un calo pari al 18,2% (-147.000 tonnellate)
rispetto a settembre 2011, mentre il gasolio autotrazione del 15,6% (- 345.000
tonnellate). A parita' di giorni di consegna, il calo per la benzina sarebbe
stato del 9,9% e per il gasolio del 6,3%.
La domanda totale di carburanti (benzina +
gasolio) nel mese di settembre e' cosi' risultata pari a circa 2,6 milioni di
tonnellate, di cui 0,7 milioni di tonnellate di benzina e 1,9 di gasolio
autotrazione, con un decremento del 16,3% (-492.000 tonnellate) rispetto allo
stesso mese del 2011.
Nel mese considerato
le immatricolazioni di autovetture nuove sono diminuite del 25,5%, con quelle
diesel che hanno rappresentato il 52,7% del totale (era il 55% nel settembre
2011).
Nei primi nove mesi 2012, i consumi sono stati
pari a circa 48,6 milioni di tonnellate, con un calo del 9,3% (-4.977.000
tonnellate) rispetto allo stesso periodo del 2011. La benzina nel periodo
considerato ha mostrato una flessione del 10,7% (-760.000 tonnellate), il
gasolio del 9,9% (-1.903.000 tonnellate). Nel periodo considerato la somma dei
soli carburanti (benzina + gasolio), evidenzia un peggioramento del 10,1%
(-2.663.000 tonnellate). Nei primi nove mesi dell'anno, le nuove
immatricolazioni di autovetture sono risultate in diminuzione del 20,4%, con
quelle diesel a coprire il 53,8% del totale (era il 55,6 nei primi nove mesi
del 2011). Nonostante la forte flessione, nei primi nove mesi del 2012 il gettito
fiscale derivante da benzina e gasolio (accisa + iva) e' stato pari a circa
27,5 miliardi di euro, 3,7 miliardi in piu' rispetto allo stesso periodo del
2011 (+15,6%). red/glr
«Stop devolution» In Basilicata si teme una
nuova Scanzano
di MASSIMO BRANCATI 11 ottobre 2012
Il Governo centrale
intende sottrarre alle Regioni la competenza in materia di energia. Un
cambiamento, quello voluto dal disegno di legge costituzionale di modifica del
titolo V, che tocca da vicino la Basilicata, il serbatoio petrolifero d’Italia.
Se dovesse andare in porto l’iter di revisione della Costituzione (difficile
che si raggiunga l’obiettivo entro la fine di questa legislatura), la
Basilicata perderebbe qualsiasi margine di trattativa con le compagnie
petrolifere, alle quali basterà bussare a Roma per poter perforare nel
territorio lucano. Diventerebbero «carta straccia» tutti gli accordi presi dal
Governo regionale con Eni e Total e, soprattutto, perderebbe di efficacia la
«moratoria» delle trivelle votata all’unanimità dal Consiglio regionale.
Insomma, non ci sarebbe alcuna condivisione con il territorio e tutte le
decisioni verrebbero centralizzate sulla scia della cosiddetta «clausola di
supremazia» contenuta nel disegno di legge.
Uno scenario che
preoccupa il presidente della Giunta regionale, Vito De Filippo, il quale
condensa nelle sue dichiarazioni il pensiero dei colleghi della conferenza
Stato-Regioni: «Non pensiamo che l’ipotesi di modifica del titolo V possa
portare a concreti sviluppo in tempi brevi - dice il governatore lucano - ma
vogliamo contrastare i germi di una cultura di mancanza di dialogo verso la
quale non solo esprimiamo poco apprezzamento ma anche preoccupazione, non
rinunciando a pensare che non sia frutto di una posizione di chi ha
responsabilità di governo, ma solo degli affanni del momento. Un momento che,
dopo la stagione del federalismo a tutti i costi e contro ogni ragionevolezza -
spiega De Filippo - con questo ultimo ddl del Governo sembra figlio di una repentina
conversione emozionale alla cieca osservanza di un centralismo che va dal
turismo ai trasporti dalle comunicazioni, appunto all’energia».
De Filippo
sottolinea che, come la storia recente insegna (la rivolta di Scanzano su
tutti), quando scelte a forte impatto sui territori, come sicuramente sono le
estrazioni ma anche i rigassificatori e le rilevanti reti di trasporto, vengono
fatte senza un percorso di condivisione con le popolazioni che quel territorio
lo abitano, «non ci sono solo rischi per la qualità della democrazia, con
l’affermazione di una sorta di colonialismo centralista, ma anche rischi per la
riuscita degli stessi progetti che troverebbero la contrarietà delle
popolazioni locali portando addirittura all’esasperazione di posizioni di
negazione totale che potrebbero essere conciliate su punti di equilibrio».
Progetti di
rigassificatori condivisi con i territori - rileva De Filippo - pure ne
esistono e vanno avanti, e anche le scorie nucleari, dopo la protesta per il
sito unico geologico, non sono scomparse, ma stanno trovano una sistemazione
d’intesa con tutti i territori interessati. «Nel voler salvaguardare salute,
ambiente e sicurezza energetica - conclude il governatore lucano - non posso
non difendere un bastione fondamentale, ossia la necessità della fiducia nello
Stato inteso in tutte le sue articolazioni. E questa fiducia verrebbe meno, con
conseguenze nefaste e difficilmente contenibili, se i territori si sentissero
traditi e sopraffatti sapendo che prima o poi potrebbe toccare a tutti». De
Filippo parla del rischio di reazioni anche dure da parte dei vari segmenti
territoriali del Paese. Al di là delle collocazioni geografiche e delle
appartenenze politiche.
Petrolio, «Eni raddoppierà le estrazioni»
In Senato
l’esultanza dell’ad Paolo Scaroni. Latronico e Viceconte favorevoli assieme a
Confindustria. Digilio annuncia «barricate», Bubbico pessimista: «Gravissimo»
11/10/2012 POTENZA - «Tutto quello che ripristina
un’autorità centrale ben venga. Per quello che riguarda il settore energia, le
modifiche fatte in passato al Titolo V le considero una tragedia greca, un
disastro assoluto». Se l’amministratore delegato di Eni non ha brindato alla
riforma della Costituzione presentata martedì sera in Consiglio dei ministri
dev’esserci mancato poco. Ma ieri pomeriggio, a margine dell’audizione davanti
alla commissione industria del Senato, il suo entusiasmo non si poteva
contenere, e lascia intravedere meglio di tante parole quello che attende la
Basilicata se il progetto di Monti e Passera dovesse andare in porto.
Sono state di tenore molto diverso le reazioni
al disegno di modifica della Costituzione presentato a Palazzo Chigi meno di 48
ore fa, dopo una lunga serie di indiscrezioni e anteprima filtrate nei mesi
scorsi. Il Governo ha deciso di provare a riportare a Roma la competenza
esclusiva in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia», che oggi è condivisa con le Regioni. Per i lucani vale a dire
petrolio, innanzitutto, e poi fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico.
Se si considera l’inclinazione del ministro
per lo Sviluppo Corrado Passera che ha già annunciato un ambizioso piano di
riduzione della dipendenza energetica nazionale, sbloccando le trivelle anche a
pochi chilometri dal litorale, all’amministratore delegato del cane a sei
zampe, Paolo Scaroni, non dev’essere apparso vero. A maggior ragione dopo
l’opposizione che si è levata soprattutto negli ultimi tempi da parte delle
Regioni, inclusa proprio la Basilicata che dopo gli accordi e le “magnifiche
sorti” disegnate a dicembre dal cosiddetto decreto “liberalizzazioni” a luglio
ha fatto una repentina marcia indietro varando una “moratoria” a ulteriori
intese per la ricerca e la coltivazioni di idrocarburi sul suo territorio. Sarà
per questo che Scaroni ha bollato come del tutto «insensato» fare discorsi
regionali in materia energetica, aggiungendo che «andare a dare responsabilità
alle Regioni lo considero uno dei tanti errori che abbiamo inanellato per non
realizzare opere in Italia».
Gli ha fatto eco dopo poco anche Confindustria
che in realtà per voce del suo presidente, Giorgio Squinzi, aveva già espresso
tutto il suo favore all’iniziativa del Governo martedì pomeriggio sostenendo
che il Titolo V della Costituzione «deve essere profondamente rivisto» per
togliere potere alle Regioni e diminuire i costi della politica a causa dei
«disastri che abbiamo sotto gli occhi giorno per giorno». Insomma «un passaggio
essenziale per rendere più efficiente il sistema istituzionale del nostro
Paese». Ha ribadito ieri il comitato di presidenza dell’associazione degli
industriali, esprimendo «forte apprezzamento per l’iniziativa legislativa, che
le imprese chiedevano da tempo», in particolare in tema di porti, aeroporti,
trasporti, comunicazioni, energia e commercio estero, per «assicurare regole
uniformi e processi decisionali più rapidi in settori fondamentali per lo
sviluppo economico del Paese». Con tanto di invito al Governo e alla forze
parlamentari a «un forte impegno per l’approvazione del disegno di legge entro
la fine della legislatura, che ritiene possibile e urgente».
In realtà il fronte politico è diviso e tra i
lucani presenti ieri sera in Senato si sono registrate opinioni opposte.
Favorevoli i pidiellini Viceconte e Latronico. Contrario Digilio ed
«esterrefatto» l’ex presidente Bubbico.
«L’amministratore delegato dell’Eni - ha
spiegato Cosimo Latronico - ha confermato che il potenziale della Val d’Agri è
molto elevato, e che Eni può raddoppiare le produzioni con benefici per la
regione, per lo Stato, in relazione al gettito fiscale aggiuntivo e per il
miglioramento della bilancia dei pagamenti (...) L’ad Scaroni ha ribadito che
la Basilicata ha il potenziale per diventare un polo petrolifero per i prossimi
20 /30 anni (...) La speranza è che da parte di tutti i soggetti interessati –
ha concluso Latronico - si possano realizzare azioni concordanti nel solco del
memorandum sottoscritto nei mesi scorsi da Governo e Regione, così da dare
corso all’attuazione dell’articolo 16 del dl liberalizzazioni con l’emanazione
dei decreti ministeriali per istituire un fondo permanente di sviluppo».
Nuove estrazioni, ben oltre i 25mila barili
d’incremento già previsti in Val d’Agri e i 50mila in arrivo dalla Valle del
Sauro, un maggiore gettito fiscale e interventi mirati per la promozione dello
sviluppo infrastrutturale e produttivo della regione Basilicata: questo lo
schema dell’ex decreto “liberalizzazioni” e dei pidiellini. «Faremo questa
revisione del dettato della Costituzione - ha confermato Guido Viceconte -
perché ci sono scelte che non possono essere demandate alle Regioni, impedendo
la realizzazione di impianti strategici di interesse nazionale».
Di tutt’altro avviso il senatore Egidio
Digilio, coordinatore regionale di Fli. «Scaroni ha gettato la maschera».
Sostiene Digilio. «Siamo di fronte alla testimonianza che intorno al petrolio
lucano si sono saldati, ai danni del nostro territorio e delle nostre comunità,
interessi politici sostenuti dal Governo Monti con le lobby petrolifere (...)
Un autentico oltraggio a chi rappresenta le Regioni e ha continuato a credere
nella concertazione con Eni sino a firmare il Contratto di sito. Piuttosto, si
prenda atto da parte del Governatore De Filippo come di tutti i partiti lucani
che è radicalmente cambiato per la Basilicata il quadro della questione
energetica e che pertanto la strategia del Memorandum, che mi ha visto unico
parlamentare lucano disertare la storica ed ormai inutile cerimonia della firma
e tenace oppositore, è sepolta».
Nel ricordare che “le avvisaglie nei mesi
scorsi non sono mancate come la minaccia del Ministro Passera, presa sotto
gamba, dell’adeguamento «agli standard nazionali della nostra normativa di
autorizzazione e concessione», che oggi prevede, a suo giudizio, «passaggi
autorizzativi lunghissimi», Digilio ha affermato che «più che evocare lo
spettro di Scanzano, che è una pagina storica irripetibile e va storicizzata a
quel contesto specifico, o allo spauracchio della lotta armata del popolo del
Niger, De Filippo forse mai come in questa circostanza dovrebbe avvertire il
dovere di un confronto con tutti i soggetti politici, istituzionali e sociali
per concordare cosa fare». Infine il
senatore ha annunciato «barricate» in
Commissione affari istituzionali dove il ddl del Governo approderà a breve.
«E’ un disegno gravissimo che segna la fine
dell’esperienza regionalista. Così succede in Italia dove si vive di eccessi:
prima c’è stata la corsa per poter chiamare qualcuno “governatore” di questo o
di quell’altro, ora si svuotano le prerogative delle Regioni, e magari tra 15
anni ci accorgeremo che stiamo sbagliando». L’ex presidente della giunta
regionale lucana, Filippo Bubbico, è pessimista quanto alla possibilità di
bloccare il progetto di riforma del Governo. «Possiamo anche darci agli
emendamenti - spiega Bubbico - ma le furbizie potranno salvare soltanto la
carriera personale di qualcuno, perché la sostanza non cambia. Di fronte agli
scandali che sono esplosi le Regioni avevano il dovere di riconoscere i propri
errori e pensare di concerto a una riforma. Invece hanno abdicato al Governo e
una volta rotta la diga mettercisi davanti non serve a nulla». L’unica nota di
speranza è lo scadere della legislatura. «Ma la questione si riproporrà anche
nella prossima». Conclude Bubbico. «La prospettiva è un commissariamento di
fatto, la trasformazione delle Regioni in agenzie al servizio dell’esecutivo, e
cambiarla sarà difficilissimo».
De Filippo: «Se volete il petrolio lucano,
dateci lavoro e sicurezza»
di MASSIMO BRANCATI - 7 ottobre 2012
POTENZA - Il
governatore lucano, Vito De Filippo, l’ha definita una «rivoluzione
copernicana» nei rapporti che ruotano attorno all’orbita del petrolio in
Basilicata. Un’intesa che va in controtendenza rispetto alle rotte seguite dal mercato
del lavoro, con le imprese (Fiat insegna) che tendono a smarcarsi da obblighi e
vincoli territoriali. È in questo contesto generale che, secondo De Filippo, il
«contratto di settore» per la Val d’Agri, sottoscritto a Viggiano (Potenza) da
Regione, Eni, Cgil, Cisl e Uil, Confindustria Basilicata e associazioni
datoriali, assume un significato «epocale».
Anche perché da
quando l’Eni ha messo piede in Basilicata per estrarre petrolio (il primo
giacimento è stato scoperto nel 1981) i rapporti di interscambio tra la
compagnia petrolifera e il territorio non sono mai andati al di là delle
«royalties », peraltro considerate dai più non proporzionate al flusso di
greggio estratto e ai sacrifici della Basilicata sul fronte ambientale.
L’intesa viggianese traduce in impegni scritti l’appello della Basilicata per
un maggiore ritorno in termini di sviluppo economico.
Nel protocollo, che
si compone di sei assi, l’industria del petrolio s’impegna a garantire
occupazione - favorendo imprese e lavoratori locali attraverso il
«frazionamento» dei grandi appalti - e investimenti, a cominciare dai 500
milioni di euro che consentiranno di completare le attività individuate
nell'intesa del 1998: è prevista, in particolare, la realizzazione della quinta
linea di trattamento del gas all'interno del Centro Oli (Cova) e di 9 pozzi
produttori già previsti nell’accordo di 14 anni fa che consentiranno di
raggiungere un livello produttivo di 104 barili al giorno. Un asse specifico
del protocollo, inoltre, prevede l’impe gno di manodopera lucana nell'ambito
delle attività poste in essere dagli appalti nel settore oil&gas. Con
l’obiettivo di specializzare i lavoratori, particolare importanza è attribuita
alla formazione sia per trasferire alta professionalità e conoscenze specifiche
agli addetti e alla manodopera locale, sia per creare le professionalità
necessarie alle attività geo-minerarie, oggi non disponibili nell'offerta dei
Centri per l'impiego.
«Questa intesa -
sottolinea De Filippo - va oltre l’idea iniziale di giungere ad un contratto di
settore che tuteli i lavoratori del bacino lucano del petrolio, allargandosi a
interventi in grado di coinvolgere ulteriormente il sistema locale delle
imprese».
Presidente, si parla
di aziende, economia, lavoro. E la sicurezza e la tutela dell’ambiente?
«Abbiamo ribadito il principio che la coltivazione delle risorse energetiche
presenti nel sottosuolo lucano deve rispondere al rispetto dei vincoli
ambientali, geologici e territoriali e la strategia di crescita degli
investimenti deve avvenire in un contesto di massima prevenzione per la salute
e per l'ambiente».
Chi controlla che
tutto proceda senza pericoli per i cittadini? «Il nostro Osservatorio
ambientale è tra i più avanzati. Abbiamo anche stipulato un accordo con
l'istituto Superiore della Sanità e con la «Bocconi» per l'interpretazione e
comunicazione dei dati ambientali». Quando si parla di pericoli il riferimento
va anche a chi oggi lavora a diretto contatto con i pozzi. Come saranno
tutelati? «Nell’accordo c’è un capitolo dedicato a loro e alle imprese che
operano in prossimità del Centro Oli. Il contratto di settore garantisce le condizioni
di sicurezza anche prevedendo sul territorio postazioni sanitarie e dei Vigili
del Fuoco».
Non c’è il rischio
che l’intesa si riveli una semplice enunciazione di principi? Chi garantisce
che l’Eni rispetti gli impegni? «C’è un documento sottoscritto. E per
verificare lo stato di avanzamento dei programmi abbiamo istituito un «Tavolo
della trasparenza» che si riunirà a partire da gennaio con cadenza semestrale e
ogni qualvolta sopravvenute esigenze lo richiedano».
In concreto, cosa
farà l’Eni per assicurare tangibili riflessi occupazionali ed economici sul
tessuto produttivo lucano? «Si eviterà, come accaduto in passato, il rischio
per i lavoratori di essere espulsi dal ciclo produttivo o di subire
ridimensionamenti durante il passaggio da un’impresa appaltatrice a u n’altra.
Nel rispetto delle normative, inoltre, l’Eni s’impe gna a massimizzare la
partecipazione delle aziende lucane a gare regionali e nazionali e a curare la
qualificazione delle aziende locali che ne facciano richiesta e che operano nei
settori interessati dal piano di spesa di Eni».
Presidente, in
attesa che l’intesa venga valutata per ciò che produrrà, c’è chi oggi l’accusa
di averla sottoscritta troppo tardi... «Ci abbiamo lavorato per tre anni. Le
imprese non accettano facilmente certi impegni ed è la prima volta che l’Eni
firma un contratto di settore. Ad ogni modo, questo protocollo lo considero un
punto di partenza. Non ritengo che sul petrolio la partita si possa chiudere
qui».
Petrolio, firmato contratto di settore per Val
D'Agri
05/10/2012 Il protocollo «getta le basi – è scritto
nella nota – per la promozione di iniziative nel settore geo-minerario e, in
particolare, per lo sviluppo degli investimenti Eni in Val d’Agri e in tutto il
territorio regionale. Tenendo fermo il principio che la coltivazione delle
risorse energetiche presenti nel sottosuolo lucano 'deve rispondere al rispetto
dei vincoli ambientali, geologici e territorialì e 'la strategia di crescita
degli investimenti deve avvenire in un contesto di massima prevenzione per la
salute e per l’ambientè».
Il contratto di settore per la Val d’Agri, che
si compone di sei assi, «pone in primo piano la salvaguardia dei livelli
occupazionali, per evitare, come già accaduto, il rischio per i lavoratori di
essere espulsi dal ciclo produttivo o di subire ridimensionamenti durante il
passaggio da un’impresa appaltatrice a un’altra. Un asse specifico del
protocollo d’intesa, infatti, è dedicato alla 'valorizzazione delle risorse
umane» attraverso iniziative tese a impiegare manodopera lucana nell’ambito
delle attività poste in essere dagli appalti nel settore oil&gas»
Petrolio, De Filippo: "Rivoluzione
copernicana nei rapporti"
05/10/2012 «L'intesa a cui giungiamo oggi rappresenta
una rivoluzione copernicana nei rapporti produttivi che ruotano intorno le
estrazioni in Basilicata, ma non riteniamo che la partita si chiuda qui. In
particolare mi sento di chiedere ulteriori impegni da parte dell’Eni per il
coinvolgimento diretto di lucani nelle proprie attività ed è una richiesta
formale che avanzo alla compagnia come traguardo immediato nell’ottica di un
sempre maggiore radicamento della sua presenza nel tessuto lucano». Lo ha detto
– secondo quanto reso noto dall’ufficio stampa della giunta lucana – il
Presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, nel corso dell’incontro
che si è tenuto stamani, a Viggiano (Potenza).
«Penso sia opportuno guardare a quanto c'è
ancora da fare e sul tema delle opportunità occupazionali - ha aggiunto De
Filippo - da offrire ai residenti nei nostri territori e sono convinto che Eni
possa e debba ancora fare altro, ritenendo che l’intesa abbia forza di
benchmarking per le imprese petrolifere e tutti gli operatori»
Basilicata. Petrolio, la Regione ricorre alla
Consulta per la legge sulle estrazioni
Il consiglio
regionale ha appena dato parere favorevole al governatore De Filippo a
impugnare l’articolo 38 della legge 134 perché «lesiva delle prerogative della
Regione», nella parte che riguarda le intese per le estrazioni petrolifere
02/10/2012 La Regione Basilicata ricorrerà alla Corte
Costituzionale impugnando l’articolo 38 della legge 134 del 2012 poichè «lesiva
delle prerogative della Regione», nella parte che riguarda le intese per le
estrazioni petrolifere. Il governatore lucano, Vito De Filippo, ha annunciato
l'intenzione di impugnare la legge nel corso della riunione del Consiglio
regionale, che si sta svolgendo a Potenza: l'assemblea, all’unanimità, ha dato
parere favorevole al ricorso. De Filippo ha evidenziato che la lesione delle
prerogative riguarda in particolare una parte dell’articolo 38 in cui si
definisce la «mancata espressione da parte delle amministrazioni regionali
degli atti di assenso o di intesa» per le estrazioni petrolifere, e la
possibilità data al ministero dello Sviluppo economico, «in caso di ulteriore
inerzia», di rimettere «gli atti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la
quale, entro 60 giorni», provvede «con la partecipazione della regione
interessata». Il governatore lucano ha infine evidenziato che «nella lunga e
articolata giurisprudenza, l’intesa prevista per le concessioni ha una sua
forza e una sua consistenza giuridica che con la modificazione non vedrebbe
solo mutata la tempistica, ma ridurrebbe la partecipazione della Regione a un
mero parere una procedura che noi riteniamo rilevante».
Tar del Lazio accoglie ricorso Comuni foggiani contro
trivellazione (2 ottobre 2012)
TERMOLI (CAMPOBASSO)
– Il Tar del Lazio, Sezione seconda bis, ha accolto il ricorso presentato dai
comuni di Peschici, Rodi, Vieste, Vico del Gargano e Manfredonia (Foggia)
contro la Petroceltic Italia srl per l’annullamento di un decreto del 29 marzo
2011 che valuta positivamente, sotto il profilo della compatibilità ambientale,
il programma di indagini sismiche proposto dalla multinazionale per
l’individuazione e lo sfruttamento di giacimenti petroliferi sottomarini in
Adriatico”

Trivelle alla Tremiti il Pd alza il tiro contro Clini
BARI - Una «doccia fredda» per i pugliesi la risposta del ministro dell’Ambiente Cor rado Clini sull’impossibilità per il governo di impedire le trivellazioni al largo delle Tremiti a meno che non venga modificata la normativa nazionale. Ad insorgere è innanzitutto il Pd, il cui capogruppo alla Regione Antonio Decaro ricorda che «esiste già un disegno di legge, presentato quasi un anno fa dai senatori del Pd, che intende non solo vietare nuove ricerche di idrocarburi, ma anche stabilire per legge il coinvolgimento di Regioni e Enti locali nelle procedure autorizzative, cosa che adesso non è neppure lontanamente pensabile».
Senza contare che alle Camere è stata già inoltrata la proposta di legge sul divieto di prospezione «presentata dal consiglio regionale della Puglia». Di qui l’attesa sia per la conferenza delle regioni dell'Adriatico, che si dovrebbe tenere a Trieste, sia per una mobilitazione dei parlamentari «di ogni schieramento politico».
Una mobilitazione, in realtà, già annunciata da tutti i partiti ma che sta già provoncando qualche tensione a livello locale. Il deputato Udc Angelo Cera, dopo le tensioni conclamate tra i centristi e il governo Vendola, attacca a muso il presidente della Regione per l’iniziativa tenuta con lo stesso Clini nei giorni scorsi. «Ha mortificato tutte le istituzioni del Gargano - dice - pur sapendo gli impegni del ministro a Taranto, ha preferito scippare ai sindaci l'opportunità di un confronto serio e costruttivo sulla questione. Vendola non ha perso occasione per fare un gravissimo sgarbo politico-istituzionale non solo all'Udc, ma a tutti i sindaci del territorio interessato dalle ricerche petrolifere a largo delle coste. Grazie al Ministro Clini (che ha promesso di incontrare i sindaci dell’area, ndr) però, avremo occasione di ridare dignità al ruolo dei sindaci e alla cittadinanza tutta che merita coerenza e serietà. Vendola ha detto che il parlamento lavora con sciatteria. Bene, mi sento sereno nell’invitare il governatore - dice Cera - ad occuparsi della sciatteria che regna nel suo consiglio regionale».
Sempre dal Pd, è invece Michele Bordo ad incalzare il governo proponendo «una mozione parlamentare per bloccare le indagini geosismiche per la ricerca del petrolio in Adriatico e una proposta di legge che vieti questo tipo di attività industriale nel mare su cui si affacciano centinaia di comunità che vogliono vivere senza l'incubo di un disastro ambientale e prosperare investendo le proprie energie e risorse in attività economiche sostenibili e compatibili con questo ecosistema».
Come il ministro predecessore, Prestigiacomo, Clini invoca «il notarile rispetto della legge che svilisce la funzione anche politica di un ministro, il quale, invece, prima di rilasciare un'autorizzazione come quella data per le trivellazioni al largo delle Tremiti, dovrebbe compiere valutazioni di ordine sociale e territoriale, non solo tecnico-legislative. Cercare ed estrarre petrolio dal fondo dell'Adriatico è un gravissimo errore di politica ambientale e industriale, perché se ne ricaverebbe materia prima di scarsa qualità e in quantità modesta a fronte dell'enorme danno verso il turismo sostenibile». Per questo, «la decisione del Ministro Clini di convocare una conferenza internazionale dei Paesi dell'Adriatico è insufficiente - continua Bordo - se non sarà accompagnata dalla sospensione immediata delle attività di ricerca - conclude Bordo - E sarà proprio la richiesta al Governo di sospendere l'autorizzazione rilasciata l'obiettivo della mozione che presenterò a giorni in Parlamento insieme con la proposta di legge che punta al divieto assoluto di svolgere tali attività in Adriatico, perché è questo che chiedono e pretendono decine di migliaia di cittadini e le loro rappresentanze istituzionali».