sabato 30 aprile 2011

Federali Mattino-Primo maggio 2011. In Italia sono stati persi 533.000 posti di lavoro con un vero e proprio tonfo nell'industria. La metà dei posti persi rispetto al 2008 era al Sud.----Cgil: Con inattivi e cassintegrati disoccupazione al 18,32%.----Palermo: Il 90 per cento delle aziende edili sequestrate e confiscate alla mafia si è già estinto.----Svizzera: Nel frattempo, l’economia italiana ristagna, la disoccupazione giovanile è sempre su livelli preoccupanti, riforme essenziali per migliorare le condizioni della società non sono da lungo tempo proposte. Il governo non governa ma tira a campare, il parlamento è quasi esclusivamente occupato a risolvere, con metodi chiaramente antidemocratici, i problemi giudiziari del premier.---- Libia, Gheddafi: Tra noi e Italia è guerra aperta.

Avanti padani, alla riscossa, bandiera verde vincera', la bambolina:
Crisi, Cgil: Con inattivi e cassintegrati disoccupazione al 18,32%
Lavoro, Cgia Mestre: Quasi 22 mln gli occupati, 61% nelle Pmi
Svizzera, Canton Ticino. L’Italia nel baratro

Avanti Sud, sopravviverai, nonostante Napoli, nonostante questi e quelli:
Il 1º Maggio prima che fosse «festa dei lavoratori»
Primo maggio: 533.000 posti persi in 2 anni, meta' a sud
Palermo. Aziende confiscate ai boss, il 90 % muore
L'Università italiana è da buttare?
Immigrati, nuova ondata di sbarchi a Lampedusa
Libia, Gheddafi: Tra noi e Italia è guerra aperta


Crisi, Cgil: Con inattivi e cassintegrati disoccupazione al 18,32%
Roma, 30 apr (Il Velino) - Le percentuali sullo stato in cui versa il mercato del lavoro non raccontano tutto. Ne è convinta la Cgil secondo la quale alcune rilevazioni diffuse recentemente dall’Istat (Rilevazione sulle forze di lavoro - media 2010), e relative alla situazione occupazionale registrata lo scorso anno, “restituiscono una versione più realistica sull’andamento del nostro paese e su come ha pesantemente inciso la crisi, anche in termini di scarsa crescita economica e crollo dei consumi”. Eppure, sostiene il sindacato rilanciando le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio, “manca ancora un tassello, ovvero la platea di lavoratori in cassa integrazione”. L’istituto di statistica ha infatti reso nota la cifra di un esercito di scoraggiati pari a 1,5 milioni di italiani che sarebbero disponibili a lavorare ma non cercano attivamente lavoro perché convinti di non trovarlo. Un numero che andrebbe sommato ai 2,1 milioni di disoccupati ufficiali. Nel complesso, come certifica l’Istat, coloro che si percepiscono in cerca di occupazione sono 4.397.000. Una platea fatta di disoccupati e scoraggiati che, attraverso una elaborazione dell’Osservatorio Cig della Cgil Nazionale, “porta il dato di disoccupazione relativo al 2010, pari all’8,42%, al 16,55%”. Inoltre, considerando i cassintegrati a zero ore registrati lo scorso anno, pari a oltre 576 mila persone, secondo l’Osservatorio della Cgil “si determina una percentuale complessiva di disoccupazione e inattività del 18,32%”. Per la Cgil “non è solo un esercizio statistico” perché, afferma il segretario confederale, Vincenzo Scudiere, “se non si interverrà al più presto, il dato sulla disoccupazione che abbiamo calcolato, e che contempla gli inattivi e i cassintegrati, sarà quello vero a tutti gli effetti”. Infatti il dirigente sindacale sottolinea come questi numeri vadano letti “in relazione alle tante, troppe aziende, in crisi che abbiamo registrato in questi anni di crisi e che ancora non trovano soluzioni positive”. Sono infatti 183 i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico, molti di questi si trascinano da anni, e il quadro che emerge passando in rassegna le vertenze più significative è sconfortante.
(com/rog) 30 apr 2011 12:04

Lavoro, Cgia Mestre: Quasi 22 mln gli occupati, 61% nelle Pmi
Roma, 30 apr (Il Velino) - Gli autonomi e i lavoratori dipendenti (sia pubblici che privati) sono 21.726.547, quasi il 61% (pari a 13.199.866 unità) è occupato nelle piccole imprese al di sotto dei 50 addetti. Addirittura il 50,7% del totale (in valore assoluto pari a 11.011.563) presta la propria attività lavorativa nelle microimprese al di sotto dei 20. Una mappa, quella che emerge dall’ elaborazione realizzata dalla CGIA di Mestre, che disegna un quadro molto nitido: il mercato del lavoro del nostro Paese ha nelle piccole, e soprattutto nelle piccolissime aziende, il suo asse portante. Infatti, tra le medie e grandi imprese (quelle al di sopra dei 250 addetti) gli occupati sono solo 5.795.642 (pari al 26,7% del totale). “Peccato – sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – che la grande maggioranza degli osservatori ritenga che la presenza così diffusa di tante piccole e microimprese costituisca un elemento di arretratezza. Invece, rappresentano la modernità, perché sono il risultato del profondo cambiamento sociale, economico e tecnologico che l’Italia ha subito negli ultimi 30 anni. Un Paese competitivo ha bisogno anche delle grandi imprese – prosegue Bortolussi – purtroppo, se negli ultimi decenni il loro numero è costantemente sceso, la responsabilità non va certo imputata alla grande diffusione del capitalismo molecolare, ma all’incapacità dei nostri grandi gruppi di reggere l’urto della concorrenza internazionale”. Se le piccolissime imprese danno lavoro alla stragrande maggioranza degli italiani, anche nel 2010, anno di durissima crisi, sono state quelle che hanno creato il maggior numero di nuovi posti di lavoro. Su oltre 802.000 previsioni di assunzione dichiarate dagli imprenditori, il 62,7% (pari ad un valore assoluto di 502.970) ha trovato un nuovo lavoro in una azienda con meno di 50 dipendenti. Addirittura il 40,5% del totale (pari a 324.900) è stato assunto in una micro impresa con meno 20 addetti.
(com/rog) 30 apr 2011 11:41

Svizzera, Canton Ticino. L’Italia nel baratro
di Diego Scacchi - 04/30/2011
Le vicende politiche italiane non cessano di stupire, e di indurre a un sempre più accentuato senso di disgusto chi, nella vicina penisola, trovava una comune identità culturale. Infatti, quel personaggio che ormai da quasi vent’anni domina la scena politica (e non solo) italiana, continua a far precipitare il suo paese in un regime che, a parte le apparenze formali, è sempre meno una democrazia.

Il problema cruciale è sempre quello: i processi che, a causa dei comportamenti illegali di Berlusconi (altro che accanimento giudiziario!) lo concernono, e che egli evita grazie alla complicità di una maggioranza parlamentare a lui totalmente sottoposta e acriticamente schierata sulle sue posizioni.
La sequela di leggi ad personam, che nel corso degli anni hanno salvato il premier da condanne sicure (basti pensare al processo per corruzione di giudici nel lodo Mondadori, dove i suoi mandatari e complici – sono stati condannati, mentre lui se l’è cavata con la prescrizione) hanno deteriorato il sistema giudiziario italiano, creando situazioni di intollerabile disuguaglianza di fronte alla legge. Recentemente, la Corte di Cassazione, pur prendendo atto dell’intervenuta prescrizione, ha stabilito che l’avv. inglese Mills era stato corrotto – in un procedimento giudiziario da Berlusconi, contro il quale, per questo capo, è pendente un processo a Milano (sospeso per parecchi mesi grazie al cosiddetto “lodo Alfano’’, ennesima legge salva-Berlusconi, annullata poi per incostituzionalità dalla Consulta). In un paese normale, la condanna dell’illustre imputato, corruttore dell’avv. Mills, sarebbe una cosa del tutto ovvia. Non così in Italia, poiché gli scagnozzi del capo del governo hanno proposto una modifica legislativa, prontamente accolta dalla maggioranza della Camera (nonostante la protesta di molti cittadini, indignati anche per il fatto che ciò avrebbe causato, unicamente per salvaguardare gli interessi indifendibili di una sola persona, l’annullamento di molti altri procedimenti giudiziari, con grave danno per le vittime), che accorcia la prescrizione (già peraltro ridotta in precedenza con altre leggi). Per cui è da prevedere che Berlusconi, tra pochi mesi, sarà beneficiario di una ennesima prescrizione.

Nella seconda metà dell’anno scorso, con la scissione di Fini dal PdL, sembrò che questa deleteria situazione politica fosse alla fine: le illusioni scomparvero con il voto di fiducia alla Camera del 14 settembre, ottenuto con una manovra tipicamente berlusconiana: l’acquisto, nel vero senso della parola, di deputati (come fu ammesso da componenti della stessa maggioranza, con precisazione della tariffa) appartenenti ad altri schieramenti (tra i quali, particolare pietoso, quello facente capo a Di Pietro). La maggioranza fu salvata, e in seguito anche rafforzata, dalla corruzione parlamentare. La quale continuò con la nomina di un esponente dei cosiddetti “responsabili’’, indagato per mafia, a ministro dell’agricoltura e prosegue con la prossima nomina di diversi sottosegretari in cambio del voto acritico e ossequiente a favore della maggioranza.

Il tutto condito con la prepotenza, totalmente avversa al principio della separazione dei poteri, con la quale Berlusconi, agitando la favola della sua persecuzione giudiziaria, si sta scagliando contro la magistratura, dalla Corte costituzionale in giù. Prendendo lo spunto dai suoi numerosi processi, ultimo dei quali quello del caso Ruby in cui è imputato per coazione nei confronti della questura di Milano e per prostituzione minorile, nel quadro delle nottate passate con escort all’insegna del bunga-bunga (che documentano, al di là delle diverse sensibilità di ordine morale di chi le valuta, un comportamento in ogni caso indegno di un capo di governo), egli ha avuto la spudoratezza di parlare di “brigatismo giudiziario’’, ventilando un “ fine eversivo’’ dei magistrati che l’hanno incriminato. Una vera e propria istigazione, subito raccolta da suoi seguaci, che hanno tappezzato Milano di manifesti con la scritta “ Via le BR dalle procure”. Tanto per chiarire, qualora ce ne fosse bisogno, i suoi intendimenti, Berlusconi ha poi accompagnato l’attacco all’ordine giudiziario con quello alla scuola pubblica, e relativa esaltazione di quella privata. Il tutto di fronte a seguaci plaudenti, anche ai suoi comportamenti ridicoli (a cominciare dalle barzellette di gusto più che dubbio), e indegni di un uomo politico, divenuto peraltro lo zimbello della stampa estera, e sempre meno considerato dai governanti degli altri Stati.

Nel frattempo, l’economia italiana ristagna, la disoccupazione giovanile è sempre su livelli preoccupanti, riforme essenziali per migliorare le condizioni della società non sono da lungo tempo proposte. Il governo non governa ma tira a campare, il parlamento è quasi esclusivamente occupato a risolvere, con metodi chiaramente antidemocratici, i problemi giudiziari del premier. Una situazione che non trova riscontro negli altri paesi europei. Potranno piacere o meno i governanti di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, ma perlomeno esiste una normale dialettica democratica, e i problemi sociali ed economici, con minori o maggiori difficoltà, sono debitamente affrontati. Anche nella nostra Svizzera, pur in presenza di un forte partito di destra anche nazionalista come l’Udc, la situazione politica è tutto sommato soddisfacente.

Il pantano nel quale si trova l’Italia è da attribuire alla sola responsabilità di un capo populista, autoritario, dai metodi decisamente discutibili? Ovviamente no: i danni prodotti da Berlusconi sono palesi, ma la sua ascesa al potere e le successive conferme (dovute anche, in una certa misura, alla debolezza dell’opposizione) sono state possibile grazie alle favorevoli contingenze. In primo luogo la disgregazione del tessuto sociale, con un sempre più pronunciato individualismo cui fa riscontro il discredito degli interessi della collettività. Un fenomeno sicuramente generale (anche da noi lo si avverte) ma favorito in Italia da una secolare tendenza a privilegiare i propri egoismi personali a scapito della comunità; non per nulla già nel XVI secolo Guicciardini denunciava l’amore italiano per il proprio particolare. Ciò ha portato alla diffusione di una mentalità edonistica, favorita dalla predominanza della televisione di massa, segnatamente di quelle commerciali, alla quale (guarda caso) Berlusconi deve le sue fortune. Significativamente, i valori dell’antifascismo si sono parallelamente di molto affievoliti.

Di pari passo, si è sempre più diffuso un impoverimento del sentimento etico, per il quale il furbo, l’impunito è il modello da seguire: i valori dell’onestà e della correttezza sono sempre meno seguiti. Di conseguenza non può stupire che la maggioranza degli elettori scelga un personaggio la cui carriera, dapprima di imprenditore e quindi di politico è stata tutt’altro che limpida: dagli inizi caratterizzati dall’ambiguità dei finanziamenti utilizzati, dei quali non si è mai saputo la provenienza, alle frequentazioni di odore mafioso, alla “discesa in campo’’ per salvare dalla catastrofe finanziaria le sua imprese e per sfuggire agli incombenti procedimenti penali. Se l’elettorato, evidentemente influenzato dalle televisioni berlusconiane, sceglie un simile personaggio, esiste un sentimento collettivo di disarmo etico.

Non va poi dimenticata l’azione, chiaramente favorevole a Berlusconi, esercitata dalla Chiesa, segnatamente dalle alte gerarchie (a volte anche contro il sentimento di una buona parte della base cattolica), che ha contribuito non poco all’affermazione del suo potere. Non è un mistero il favore espresso dai cardinali Ruini e Bertone, in cambio dell’appoggio dato dal governo alle tesi del Vaticano su importanti questioni quali i problemi eugenetici, il testamento biologico, e degli aiuti finanziari concessi alla Chiesa: dalle esenzioni fiscali ai sussidi alle scuole cattoliche, concessi nonostante il taglio generale alle spese statali. Il silenzio delle alte gerarchie sulle vicende giudiziario-parlamentari, o tutt’al più qualche tiepida considerazione sui comportamenti decisamente poco consoni alla morale cristiana del premier, sono molto significativi.

A ogni episodio che contrassegna il regime berlusconiano c’è chi ritiene che si è toccato il fondo. Purtroppo non è così: tutte le volte si deve constatare che c’è ancora spazio per un ulteriore degrado. Anche i continui richiami sulla fine di Berlusconi e del suo sistema appaiono purtroppo superati dai fatti. Questo ottimismo antiberlusconiano arrischia di imbattersi in nuove cocenti smentite.

Il 1º Maggio prima che fosse «festa dei lavoratori»
di PIETRO SISTO – La Gazzetta del Mezzogiorno
Se è vero che a partire dalla fine dell’Ottocento il 1° maggio coincide con la festa dei lavoratori, ovvero con un evento che accompagna la tumultuosa e contraddittoria crescita dell’Occidente industrializzato, è anche vero che in tempi molto più remoti i primi giorni del mese erano dedicati a cerimonie e rituali di tutt’altro genere.

Ci riferiamo al «Calendimaggio» o alle cantate di maggio, che salutavano con festosa allegria il trionfo della primavera e l’inizio di un periodo ciclicamente caratterizzato, secondo antichissime leggende, dalla comparsa sulla terra non solo delle anime dei defunti, ma anche di streghe e diavoli: si trattava, in realtà, di un momento quanto mai importante e decisivo sia per l’imminente raccolta dei prodotti della terra, sia per l’antica usanza di promettere legami affettivi e matrimoniali attraverso il dono di ramoscelli fioriti.

Il cronista Giovanni Villani racconta che nel «calendimaggio» del 1304 «compagnie e brigate di sollazzi» misero in scena sul ponte alla Carraia di Firenze con «nuovi e più diversi giuochi» un gruppo di «uomini contrafatti a demoni» che distribuivano pene e tormenti a «figure d’anime ignude (…) con grandissime grida, e strida, e tempesta». E il pubblico convenuto fu così numeroso da far crollare il ponte e da trasformare la festa in tragedia: «molti n’andarono per morte a sapere novelle dell’altro mondo, con grande pianto e dolore a tutta la cittade».

Ma al di là di quell’episodio, premonitore di ben più gravi e luttuose sciagure che avrebbero caratterizzato la vita di Firenze «per lo soperchio delle peccata de’ cittadini», Villani ricorda che nei primi giorni di maggio ogni anno le strade della città erano percorse da brigate di giovani che trascorrevano allegramente il tempo ballando, cantando, «stando in giuochi e in allegrezze, e in desinari e cene».

Non meno ricorrente nelle cronache medievali era anche il richiamo ai balli e ai festeggiamenti che si tenevano intorno ai «maggi», a grandi e maestosi alberi spiantati dai boschi e piantati nelle piazze dei paesi proprio nei primi giorni del mese: addobbati con fiocchi e nastri multicolori e in molti casi con salumi, selvaggine, formaggi e leccornie di ogni genere erano quasi sempre destinati a trasformarsi in veri e propri alberi della cuccagna e a propiziare la fertilità dei campi e gli accoppiamenti sessuali tra uomini e donne.

Sopravvive ad Accettura in Basilicata il rito dello «sposalizio» degli alberi, famoso e suggesivo (studiato tra gli altri dall’antropologo G. B. Bronzini).

E riti «carnevaleschi» di questo genere, di origine sicuramente pagana e totemica, riferibili alla venerazione della Grande Madre, sopravvissero per tutto il Rinascimento e l’età moderna, nonostante i tentativi della Chiesa di sostituirli con riti più «ortodossi» come il culto della Santa Croce, previsto dal calendario per i primi giorni di maggio, e quello mariano destinato ad accompagnare le liturgie dell’intero mese. Sono infatti numerose le testimonianze che raccontano dell’antica usanza - sopravvissuta fino a qualche anno fa soprattutto in alcune zone rurali della Toscana - di organizzare delle vere e proprie serenate e di offrire doni e ramoscelli in fiore alle donne affacciate ai balconi. Che in quelle circostanze godevano di libertà e licenze impensabili per gli altri periodi dell’anno in quanto «simboli di generazione, scrigni di quelle forze creatrici della natura di cui si celebrava il rinnovamento» (A. Castellani).

Dai primi giorni di Carnevale alla festa dell’Ascensione erano molto diffusi nel Mezzogiorno d’Italia i giochi dell’altalena di cui erano protagoniste soprattutto le fanciulle che si facevano dondolare dopo aver legato ai rami di un albero o all’architrave dei portoni una grossa e lunga corda con una tavoletta: e quasi sempre il rito era accompagnato da canti di corteggiamento cadenzati, inneggianti all’amicizia, alle gioie della vita e soprattutto all’amore. Li descrisse con straordinaria efficacia Ernesto De Martino nel reportage Gente di Lucania pubblicato nel periodico «Viaggi in Italia» agli inizi degli anni Cinquanta: «Sulla collina su cui sorge il santuario della Madonna di Fondi, presso Tricarico, vidi una volta, in occasione della festa che vi si celebra in maggio, giovani contadine che volteggiavano in altalene sospese fra gli alberi, spinte da uomini: cantavano i giovanotti nel ritmo della spinta, rispondevano le ragazze nel ritmo del volteggio, e il canto violento, monotono, arcaico si diffondeva nello splendore del sole di maggio quasi come un lamento animale che sorgesse dalle viscere del suolo pietroso».

I canti pugliesi dell’altalena (tundre, ndravatura, sciambolo) furono raccolti da Saverio La Sorsa soprattutto a San Nicandro Garganico dove la tradizione era evidentemente molto sentita e diffusa. Ed erano tutti pressappoco di questo genere: «Sop’a na cuppetèlla scèva lu sole/ Sop’a nu monde celèste ne arriave,/ Stèvene duie amande, che lu mio core se jucàvene,/ E a lètte ne me facèvene ripusà./ I so na giuvenètta de valore,/ E so bbène lu monde cammenà./ Diteme se ho fatte qualch’errore,/ O puramènte m’avite da ngannà./ Te lasse da cantà, fiore de bontà,/ Mecizia e prim’amore ne nze scordene mà».

Del resto, secondo la tradizione popolare pugliese il mese di maggio era il più bello dell’anno proprio perché evocava gli amori, i giochi e i canti all’aria aperta e soprattutto l’allegria che contagiava persino gli animali: «Je so Maxe u chjù maggior de tutte/ U chjù maggiore de tutte l’alte mise,/ Ogne spendone de strade se scioche e cande,/ Finanche re ciòccere stanne allègramènde».

Anche per i baresi il mese di maggio è forse il più bello, non solo per i festeggiamenti in onore di san Nicola ma anche per i ricordi legati al «Maggio di Bari», una manifestazione che per diciotto anni animò la città con una serie di eventi, alcuni di grande richiamo, e che durava oltre un mese, per concludersi con la sfilata dei carri, il Corso dei Fiori. La prima edizione fu inaugurata il 7 maggio 1951 con un manifesto raffigurante una rosa scarlatta e una conchiglia, realizzato da Gino Boccasile (Bari 1901-Milano 1952), l’inventore delle «Signorine Grandi Firme».
30 Aprile 2011

Primo maggio: 533.000 posti persi in 2 anni, meta' a sud
Dati Istat sulla media del 2010. Vero e proprio tonfo nell'industria
30 aprile, 13:04
ROMA - La crisi economica ha avuto effetti consistenti sull'occupazione ma soprattutto sulla mappa del mercato del lavoro: negli ultimi due anni - secondo quanto emerge dai dati dell'Istat sulla media del 2010 - in Italia sono stati persi 533.000 posti di lavoro (da 22.405.000 occupati a 21.872.000) con un vero e proprio tonfo nell'industria (l'80% dei posti persi nel complesso). La metà dei posti persi rispetto al 2008 (280.000) era al Sud. Il calo è arrivato comunque dopo una crescita molto sostenuta nel decennio precedente, con un aumento di tre milioni di occupati in Italia tra il 1997 e il 2008.

L'aumento degli occupati stranieri ha contenuto il calo di quelli italiani: nella media del 2010 il calo di 533.000 occupati rispetto al 2008 - secondo quanto emerge dai dati Istat - è il risultato di un aumento di 330.000 occupati stranieri e una riduzione di 863.000 lavoratori italiani. Gli occupati regolari stranieri, durante la crisi economica, sono passati, anche grazie alla sanatoria del 2009, dai 1.751.000 del 2008 a 2.081.0000 nella media 2010.

Palermo. Aziende confiscate ai boss, il 90 % muore
La Cgil: «Subito nel mercato per salvarle»
Il caso dell'Ati Group appartenuta a Michele Aiello: 150 dipendenti, di cui metà in Cig, rischiano il posto
PALERMO - Il 90 per cento delle aziende edili sequestrate e confiscate alla mafia si è già estinto. Per le altre che restano ancora in vita con grande difficoltà, la Fillea Cgil chiede una norma che le aiuti a immettersi sul mercato, un provvedimento per la «continuità d'esercizio d'impresa che garantisca i lavoratori». L'Ati Group di Bagheria, appartenuta a Michele Aiello, in amministrazione giudiziaria, con i suoi 150 dipendenti, di cui metà in Cig, dopo 6 anni di ammortizzatori sociali rischia di chiudere perché i cantieri si stanno esaurendo. E questa è l'azienda simbolo: ce ne sono decine di altre a rischio decesso.

«Siamo a un punto di non ritorno», è l'allarme lanciato dal segretario della Fillea Cgil di Palermo Mario Ridulfo e dal segretario nazionale Fillea Cgil Salvatore Lo Balbo al convegno «Lotta alle mafie. Bonifica e prospettive per le imprese delle costruzioni sequestrate e confiscate», organizzato dalla Fillea Cgil e dal centro Pio La Torre, alla Sala delle Capriate dello Steri. Al convegno, che sabato prosegue nell'aula gialla di palazzo dei Normanni, dopo la commemorazione di via Turba in ricordo di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, sarà lanciata la proposta della Fillea Cgil con le nuove regole per immettere sul mercato le imprese sequestrate e confiscate alla mafia, la maggior parte delle quali risiedenti in Sicilia. A Palermo oltre all'Ati Group, che ingloba tre aziende, e ha completato gli ultimi lavori edili all'ospedale di Biancavilla e una ristrutturazione di un edificio in via Bandiera, le altre principali imprese edili confiscate alla mafia sono l'«Immobiliare Strasburgo», ex gruppo Piazza, con 40 dipendenti, l'«Immobiliare Raffaello», ex gruppo Piazza, 6 dipendenti, e le aziende delle cave, una trentina di dipendenti. L'Immobiliare Strasburgo gestisce un grosso patrimonio immobiliare tra cui il palazzo sede dell'assessorato a Beni culturali, in piazza Croci.

«L'Ati Group ha invece come patrimonio i lavoratori e le attrezzature. È necessario - ha dichiarato il segretario della Cgil Maurizio Calà - un intervento immediato di bonifica, mantenimento e immissione nel mercato per evitare che queste aziende chiudano. Il problema dei beni confiscati, con il tentativo sempre presente della mafia di infiltrarsi sui mercati legali, deve essere affrontato anche dal punto di vista delle aziende. È quello che intendiamo fare con questa iniziativa». «Chiediamo per le imprese edili la costruzione di un percorso di tutoraggio con le pubbliche amministrazioni, per avere affidate manutenzioni e ristrutturazioni di uffici Sin dalla fase del sequestro è importante che le aziende siano seguite da amministratori giudiziari con capacità manageriali - aggiunge Ridulfo -. È importante creare occasioni per queste imprese, per fare passare il principio che l'antimafia conviene».
Fonte Italpress

L'Università italiana è da buttare?
di NICOLA COSTANTINO Rettore del Politecnico di Bari
Parafrasando Jacques Seguela, potrei esordire affermando: “non dite a mia madre che faccio il rettore: lei pensa che io diriga una casa d’appuntamenti”. L’opinione pubblica nazionale, infatti, ha sviluppato negli ultimi anni un’immagine fondamentalmente negativa dell’università pubblica: l’iter di approvazione della cosiddetta “riforma Gelmini” ha visto l’intero arco parlamentare, il mondo delle imprese e quello della stampa – pur con distinguo significativi – concordare sull’ineluttabile urgenza di sostanziali, rivoluzionari interventi riformatori. E’ corretta questa visione “catastrofica” dei nostri atenei? Proverò a rispondere alla critica principale dalla quale prendono le mosse quasi tutti gli attacchi: l’Università italiana non reggerebbe il confronto internazionale.

LE CIFRE - In realtà è vero il contrario: è questo uno dei pochi ambiti in cui l’Italia (nonostante le tante pecche, che vanno corrette, ed i tanti abusi, che vanno severamente puniti) ben figura. Nei ranking internazionali, il nostro paese è infatti al 118° posto per efficienza del lavoro, al 48° per competitività del sistema industriale, al 51° per information technology, al 49° posto per libertà di stampa, al 67° posto (dopo il Ruanda!) per trasparenza nella pubblica amministrazione, mentre i ricercatori universitari italiani si collocano – secondo differenti classifiche – in una posizione compresa tra l’8° e addirittura il 3° posto, risultati comunque eccezionalmente buoni, più che adeguati al nostro peso economico e demografico (siamo in 7° posizione per PIL). Eppure, paradossalmente, sono proprio industriali, giornalisti e politici (di ogni parte) a vedere la pagliuzza nell’occhio dell’università prima delle travi nei loro occhi, predicando la “in - derogabile urgenza” delle riforme in corso, insieme all’insostenibilità dell’attuale status quo. Anche per quanto riguarda la didattica, i risultati delle università italiane possono essere considerati più che soddisfacenti: secondo un recente studio dell’OCSE, nonostante la quota di spesa pubblica destinata in Italia all’istruzione sia la più bassa in assoluto tra tutti i paesi OCSE, e nonostante questa quota privilegi (relativamente) l’istruzione primaria e secondaria rispetto a quella universitaria, nel nostro paese la probabilità di occupazione di un laureato nella fascia d’età 25-64 anni è di oltre l’80%, contro valori di meno del 75% e di poco più del 50% rispettivamente per i diplomati ed i non diplomati (analogamente a quanto avviene negli altri paesi più industrializzati, caratterizzati da ben più massicci investimenti in istruzione).
Tutto ciò nonostante che i dati P.I.S.A. dimostrino che la qualità dei diplomati, cioè degli studenti in ingresso nel sistema universitario, sia in Italia nettamente inferiore ai valori medi degli altri paesi OCSE: l’università italiana, quindi, nonostante sia drammaticamente sotto finanziata, non solo fa ottima ricerca, ma trasforma dei (mediamente) mediocri diplomati in più che buoni laureati. A questi dati, difficilmente contestabili, i critici obiettano però con u n’altra classifica: nel ranking mondiale delle migliori università non ce n’è nessuna italiana nelle prime 100, solo due nelle prime 200, quindici nelle prime 500. E’ vero: ma chiediamoci il perché. La chiave di lettura di questo dato, solo apparentemente in contraddizione con quelli sopra esposti, va ricercata in una “splendida anomalia” ita - liana: il valore legale del titolo di studio che, unito al controllo centralizzato della qualità degli insegnamenti ed a un sistema di reclutamento nazionale (criticabilissimo, ma non da buttare) ha finora (per quanto ancora?) garantito che le differenze di livello (che pure ci sono) tra le varie facoltà e le diverse università nel nostro paese siano – tutto sommato – contenute, come potrà confermare qualunque responsabile del reclutamento in grandi imprese. Nella maggior parte degli altri paesi industrializzati vige invece un modello di “università di mercato”, con differenze qualitative enormi. Tutti conosciamo, ed ammiriamo, ottime istituzioni come il M.I.T. o la Columbia University (con le quali il nostro Politecnico collabora peraltro abitualmente), research university con poche migliaia di studenti ed un’elevatissima concentrazione di docenti d’eccellenza, ma pochi hanno mai sentito parlare – ad esempio – dell’University of Phoenix (Arizona), azienda privata con 200 campus ed oltre 450.000 studenti (per la maggior parte on line): vero “fast food” dell’istr uzione superiore. La logica di mercato (con livelli enormemente differenti di tasse universitarie, ma anche di retribuzione dei docenti) fa sì che il valore (“di mercato”, e non “le gale”) del titolo di studio in questi contesti vari enormemente, secondo l’ateneo in cui è stato conseguito, con buona pace per quella funzione di “ascensore sociale” ch e l’università pubblica può (e deve) garantire a tutti i cittadini, anche (soprattutto) ai meno abbienti.

METAFORE - A chi ama le metafore calcistiche delle varie classifiche, propongo un esempio: se tutti i calciatori della serie A e B fossero casualmente distribuiti (senza calcio-mercato ma, ad esempio, per sorteggio) tra tutte le squadre interessate, coinvolte in un unico campionato nazionale, avremmo classifiche molto più equilibrate; certo, nessuna squadra di club potrebbe competere a livello europeo, ma tutti gli stadi vedrebbero un gioco di buona qualità, e la nostra nazionale (nella quale continuerebbero ad essere convocati solo i migliori) potrebbe sempre esprimersi ai massimi livelli. Fuor di metafora: vogliamo che l’università pubblica continui ad essere garantita, con la migliore qualità possibile, a tutti i cittadini, o vogliamo sposare un modello di università di mercato, che veda i docenti migliori, e gli studenti più abbienti, migrare verso gli atenei (privati o pubblici che siano) più ricchi? Discutere oggi del futuro dell’università significa dare una risposta a questi interrogativi: dalle decisioni che il Parlamento, il Ministero dell’Università e - ancor più - quello dell’Economia hanno già preso e stanno prendendo dipende in grande misura il livello di opportunità che potremo e sapremo offrire ai nostri figli.
29 Aprile 2011

Immigrati, nuova ondata di sbarchi a Lampedusa
Sull’isola arrivati oltre 2.000 extracomunitari. Avvistato altro barcone con 500 persone in acque maltesi
Roma, 30 apr (Il Velino) - Continua l’arrivo di immigrati a Lampedusa. Un barcone con a bordo oltre 500 extracomunitari è stato avvistato a una quarantina di miglia a Sud dell’isola. In soccorso del natante, che si troverebbe in acque di competenza maltese, sono partite alcune motovedette. Nelle ultime ore a Lampedusa sono arrivati altri quattro barconi con a bordo complessivamente circa duemila profughi. Gli immigrati saranno imbarcati sul traghetto Flaminia per essere trasferiti al più presto in altri centri della Penisola. Le condizioni meteo nel Canale di Sicilia sono intanto in netto peggioramento, con mare forza 5-6 e forti raffiche di vento. La situazione sull’isola siciliana sarebbe nuovamente al limite, con il centro di contrada Imbriacola e l'ex base Loran al massimo della capienza. All'inizio della prossima settimana circa 2.500 immigrati ospiti dei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) saranno trasferiti nelle regioni "secondo l'equa distribuzione - con l'esclusione dell'Abruzzo - prevista dal Piano elaborato dal Sistema nazionale della Protezione civile”. È quanto comunicato a tutte le Regioni dalla struttura del commissario delegato per l'emergenza umanitaria, Franco Gabrielli. I migranti arrivati a Lampedusa saranno accolti temporaneamente nei posti resi disponibili nei Cara, prima di essere a loro volta accompagnati nei luoghi che, di volta in volta, le Regioni predisporranno.
(red/rog) 30 apr 2011 12:24

Libia, Gheddafi: Tra noi e Italia è guerra aperta
Il Colonnello apre a cessate il fuoco ma avverte che non lascerà il suo paese
Roma, 30 apr (Il Velino) - Muammar Gheddafi si è detto pronto ad un cessate il fuoco “non unilaterale”, ma ha annunciato che non lascerà il potere e ha chiesto negoziati con Usa e Francia per “fermare i bombardamenti della Nato”. In un discorso in diretta sulla tv di Stato e durato 80 minuti il Colonnello ha sottolineato che “La porta della pace è aperta”, “i libici non possono combattersi l'un l'altro”. “Paesi che ci attaccate – ha aggiunto - fateci negoziare con voi”. “Noi non li abbiamo attaccati, non abbiamo oltrepassato i loro confini, perché loro ci stanno attaccando?”. Il Rais ha anche sottolineato che “Un cessate il fuoco non può venire da una parte sola”. E sulla possibilità di farsi da parte ha aggiunto “Nessuno può persuadermi a lasciare il mio paese e nessuno può dirmi che non posso combattere per il mio paese”. Rivolgendosi alla comunità internazionale ha sfidato a “ trovare mille morti in questo conflitto”, negando attacchi contro la popolazione civile. Se non ci sarà la pace, ha avvertito “il popolo libico non si arrenderà: libertà o morte. Nessuna resa, nessuna paura, nessuna partenza”. “Tra noi e l'Italia è guerra aperta”, ha poi detto il colonnello in un passaggio del suo discorso trasmesso dalla tv di stato libica. "L’Italia – ha attaccato il Rais - ha ucciso i nostri figli nel 1911, all'epoca della colonizzazione, e ora lo fa di nuovo nel 2011”. Gheddafi ha aggiunto che nel 2008 l'Italia ha fatto le sue scuse e “ha detto che (il colonialismo, ndr) è stato un errore che non si sarebbe ripetuto, ma ora sta facendo lo stesso errore”. “Con rammarico prendiamo atto che l'amicizia tra i due popoli è persa - ha concluso Gheddafi - e che i rapporti economici e finanziari sono stati distrutti”.
(red/rog) 30 apr 2011 11:23

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