Tre armatori napoletani comprano la Tirrenia
Il bilancio del Comune di Caserta finisce sul tavolo della Corte dei conti
Cozze alla diossina. Regione propone marchio qualità Taranto
Napoli. Caldoro a Calderoli: «Campani vogliono lavorare. Tagliate le vostre provincie»
Monfalcone, oltrepadania. Fincantieri, revocati scioperi e presìdi
Verona, padania. Sono pronti altri 150 milioni
Quando gli stranieri sono gli svizzeri
Il vil denaro fa litigare Svizzera e Italia
Tre armatori napoletani comprano la Tirrenia
La compagnia è della Cin di Vincenzo Onorato,
Gianluigi Aponte ed Emanuele Grimaldi
NAPOLI— Un atto d’amore per Napoli, secondo gli armatori partenopei Vincenzo Onorato, Gianluigi Aponte ed Emanuele Grimaldi, «big» a livello mondiale nel settore, che nel novembre 2010 fa hanno creato la Compagnia italiana di navigazione (Cin) per rilevare la Tirrenia in liquidazione. Un impegno mantenuto dal Governo, secondo il ministro dei Trasporti Altero Matteoli. Ieri la Cin ha firmato il contratto di acquisizione della compagnia marittima, che segue l’autorizzazione all’accettazione dell’offerta da parte del ministero dello Sviluppo economico a fine maggio. L’accordo è stato sottoscritto dal commissario straordinario di Tirrenia Giancarlo D’Andrea e dall’ad della Cin Ettore Morace e prevede l’acquisto del marchio «Tirrenia» , di 18 navi e delle linee attraverso la convenzione che sarà stipulata con il ministero dei Trasporti. Sono esclusi dall’acquisizione della Siremar, i fast ferries, le proprietà immobiliari e le opere d’arte.
Da notare che il piano industriale di Cin prevede la sostituzione immediata del naviglio obsoleto, il potenziamento della rete commerciale, l’adeguamento degli standard di bordo ai livelli internazionali, il miglioramento dei servizi e delle condizioni di viaggio dei passeggeri e, soprattutto, il mantenimento dell’intero organico di 1.300 marittimi, che potranno finalmente tirare un sospiro di sollievo. Per concludere l’operazione la cordata ha messo sul piatto quasi 400 milioni. Perché il contratto entri in vigore manca solo il via libera dell’Antitrust europea. Anche se la Regione Sardegna minaccia di impugnare la legge sulla privatizzazione, sollevando un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale, con l’obiettivo di entrare nel cda della nuova Tirrenia, «con pari dignità rispetto agli altri soci e con diritti amministrativi speciali, che devono essere statutari» . La Sardegna diventerebbe il socio pubblico con possibilità di un voto determinante su rotte, frequenze, qualità delle navi e politica tariffaria su ogni singola rotta. Intanto, la somma messa in gioco dalla Cin lascia chiaramente intendere che l’operazione è stata attentamente valutata, non solo nello spirito ma anche per la sua valenza economica. In occasione della fondazione della società, un comunicato ufficiale spiegò che «L’obiettivo è quello di strutturare una società autonoma e indipendente, dotata di una propria governance, che possa operare in modo efficiente e orientato al mercato, supportata dal know how e dalle competenze di tutti i soci, pur senza essere controllata da nessuno di essi» .
La stessa nota, tuttavia, affermava che «La condivisione delle radici napoletane e il profondo attaccamento alla città hanno indotto i tre armatori a creare una nuova società» per rilevare la Tirrenia. E Onorato puntualizzò: «Se Tirrenia fallisse, ci troveremmo su un piatto d’argento sia il mercato di Tirrenia che le sue rotte e tutto senza l’esborso di 380 milioni. Ma con 2.400 famiglie napoletane senza sostentamento. Quello mio di Aponte e Grimaldi è un atto di amore per la città di Napoli, perché siamo tutti e tre partenopei, e per la Sardegna» .
Angelo Lomonaco
Il bilancio del Comune di Caserta finisce sul tavolo della Corte dei conti
Sotto osservazione sono le società miste, contenzioso e patrimonio. L’opposizione: si rilevano aspetti poco chiari
CASERTA — Gli atti relativi Bilancio saranno portati all’attenzione della Corte dei conti. L’annuncio è di ieri mattina, nel corso della conferenza stampa a cui partecipano Luigi Cobianchi (Fli) e Nicola Melone (Speranza per Caserta), titolati a parlare anche in nome e per conto del Pd e dei Socialisti, assenti ‘‘ giustificati’’. «Nulla di personale, non è un dispetto a nessuno, ma bisogna andare fino in fondo», dice Cobianchi. Che dopo aver ripercorso le cause delle presunte irregolarità formali già contestate in aula, entra nel merito del Bilancio: «Ci sono tre aspetti che vanno esaminati: contenzioso, patrimonio, società partecipate». Nell’ordine, quanto al contenzioso «non c’è alcuna contezza esatta del contezioso in essere»; stesso discorso per il patrimonio del Comune: «Non si sa esattamente cosa possiede il Comune, quali terreni, quali immobili, quali fitti vadano rinnovati: non c’è alcuna forma di perizia estimatoria». E, poi, infine, le società partecipate. Cobianchi prende il faldone degli atti relativi al Bilancio, lo spulcia, poi punta il dito ed indica alla stampa: «Ecco— legge —: alla dicitura relativa agli utili delle aziende partecipate e dividendi in società, il rigo è bianco: come si può presentare un bilancio così?».
Ce ne è anche per i revisori dei conti: «In una relazione certificante, non si usa il modo condizionale», bacchetta. Il leader di Speranza, Nicola Melone, si dice «arrabbiato come cittadino, prima che come consigliere», contesta la conferenza stampa «con cui la maggioranza ci ha attaccati il giorno dopo» e rileva: «Alcune affermazioni lasciano trasparire una cultura democratica abbastanza scarsa in alcuni di coloro i quali circondano il sindaco. Tra l’altro hanno una maggioranza schiacciante, da 21 a 23 consiglieri, noi siamo un’opposizione di undici-dieci nove, potrebbero metterci in difficoltà in consiglio e invece in un dibattito di 15 ore abbiamo sentito parlare due massimo tre esponenti di maggioranza».
Nell’incontro si parla anche della vicenda rifiuti, già all’attenzione della Guardia di Finanza. «Il problema dei rifiuti andava risolto imponendo alla società di eseguire il servizio; è suo compito pagare gli stipendi dei lavoratori e agire nelle forme opportune contro il Comune debitore», rileva Melone. Quanto alla gara da 60 milioni di euro per l’affidamento del servizio dal prossimo anno, Cobianchi propone: «Tutto ciò che può essere affidato alla Stazione Unica Appaltante, lo si affidi; altrimenti si può pensare all’istituzione di una commissione in cui ci sia l’apporto del mondo universitario e di magistrati contabili in pensione, per garantire la massima trasparenza e scongiurare ogni forma di inquinamento della gara».
Antonella Palermo
Cozze alla diossina. Regione propone marchio qualità Taranto
BARI – Istituire un marchio di qualità per gli allevamenti di mitili bivalvi che si trovano in aree idonee nel Comune di Taranto (escluso il primo seno di Mar Piccolo che risulta allo stato contaminato da sedimenti di diossina) perchè sia esposto nei punti di commercializzazione e somministrazione dei mitili per garantire i consumatori sulla tracciabilità del prodotto.
E’ questa una delle proposte, che dovrà essere vagliata dalla giunta regionale pugliese, scaturita dalla riunione del tavolo tecnico regionale istituito nell’ambito del piano straordinario per la valutazione e gestione del rischio da diossina riscontrato in alcuni allevamenti di cozze a Taranto.
Il tavolo ha confermato oggi il divieto di commercializzazione per le cozze prodotte nel primo seno del Mar Piccolo, ma a tutela della produzione e commercializzazione dei mitili prodotti in altre aree taratine non contaminate, ha proposto anche la realizzazione di una campagna di comunicazione e di promozione dei mitili di Taranto con marchio di qualità.
Napoli. Caldoro a Calderoli: «Campani vogliono lavorare. Tagliate le vostre provincie»
Il leghista aveva detto: «Inutile il ministero del lavoro a Napoli, non sanno di cosa si parla». La replica: sbagli
NAPOLI - Stefano Caldoro non ama le polemiche. Ma stavolta è il ministro per la semplificazione normativa, il leghista Roberto Calderoli, a tirarlo per la giacca. Tanto che il governatore campano non ha potuto fare altro che rispondergli per le rime, dopo che Calderoli, in una intervista, aveva insinuato che sarebbe stato inutile insediare «il ministero del lavoro a Napoli, dove non sanno di cosa si parla».
Per Caldoro, intervenuto ieri in diretta web nel consueto appuntamento con le domande dei cittadini, le parole del ministro leghista sono «totalmente false, nonché offensive». Le sue affermazioni, ha aggiunto, «dimostrano come Calderoli non conosca la situazione campana: noi siamo vittime di condizioni di non lavoro, di carenza di sviluppo dovuto a uno squilibrio nazionale che è cresciuto nel corso dei decenni. Non solo i napoletani, i campani sanno bene cos’è il lavoro, ma lo chiedono, lo cercano, lo pretendono perché sono dei lavoratori straordinari e lo Stato e gli enti locali devono garantire che su questo sia un equilibrio nazionale».
«Noi», ha proseguito Caldoro, «vantiamo esperienze di aziende che hanno impianti a Napoli e anche al Nord: quegli imprenditori sono straordinariamente soddisfatti dell’attività degli impianti campani e li definiscono tra i più produttivi. Quindi, se il lavoro va visto secondo un vero riassetto federalista, il Sud pretende che ci sia un equilibrio nazionale e non rendite di posizione che oggi si pagano soprattutto al Nord, mentre il Sud vive in piena difficoltà». Il presidente della giunta regionale, sollecitato da alcune domande, è tornato su quanto affermato qualche giorno fa al Corriere del Mezzogiorno: «Anche se sono consapevole che perderò un po’ di consensi, ho proposto di accorpare i comuni più piccoli, i quali potranno trarre giovamento dalla riorganizzazione di servizi come l’anagrafe e l’attività di polizia municipale, e di unificare le province di Avellino e Benevento». Per poi chiarire che l’apertura di uffici ministeriali del turismo a Napoli può essere una occasione, ma prestando attenzione alla necessità di aprire «sportelli che potenzino gli uffici territoriali, ma senza incidere sui costi, bensì puntando a ridurli.
«Nell’ambito di un federalismo vero», ha sostenuto il governatore, «si può discutere se favorire azioni di governo più forti sul territorio, ma poi significa che occorrerà chiudere le sedi a Roma, per evitare di moltiplicare poltrone inutili. Se chiediamo sacrifici ai cittadini, non possiamo non farne noi. A cominciare proprio dalla riduzione degli uffici e degli enti. Lombardia, Piemonte, Veneto hanno decine e decine di Province e Comuni piccoli: sarebbe giusto partire proprio dalla loro riduzione». Infine, Caldoro ha consegnato un augurio al Napoli calcio: «Sono tifoso del Napoli», ha confessato, «e vedo finalmente che la nostra squadra è guidata da un uomo deciso come de Laurentiis. Sono fiducioso, credo che il Napoli tornerà ad essere una squadra competitiva in Europa».
Angelo Agrippa
Monfalcone, oltrepadania. Fincantieri, revocati scioperi e presìdi
Dopo due assemblee “calde” la decisione di accettare la via del tavolo istituzionale. I sindacati: non è una resa.
MONFALCONE. Finito lo sciopero alla Fincantieri di Monfalcone, i sindacati interni ritirano la vertenza per il mancato pagamento del premio dopo il mancato raggiungimento dell’obiettivo di programma fine giugno (l’imbarco di una sezione di nave). Nessuna “marcia indietro” per quanto riguarda i contenuti, «una protesta di principio giusta non per i 290 euro, ma per i premi futuri», continuano a ripetere le Rsu, ma che in «questo contesto di grande difficoltà» con Monfalcone unico cantiere del gruppo che ha ancora lavoro di fronte agli altri stabilimenti italiani con centinaia di lavoratori in cassintegrazione, richia di «trasformarsi in un suicidio».
Un atteggiamento «di responsabilità» da parte di Fim, Fim e Uilm che ora attendono, come invocato dalle istituzioni e in particolare dal presidente della Provincia Enrico Gherghetta e dal sindaco di Monfalcone Silvia Altran un tavolo istituzionale in cui ci sia anche l’azienda per parlare dei problemi di organizzazione del lavoro. Ieri la decisione delle Rsu al termine delle due assemblee, quella al mattino e poi quella del pomeriggio. Due appuntamenti affollati sopprattutto alle 9, oltre 500-600 persone che hanno riempito la sala mensa, ma che hanno visto grandi malumori tra le maestranze, molto silenzio e nessuna reazione di fronte alla decisione annunciata dai tre sindacalisti, Moreno Luxich della Fiom, Andrea Holjar della Uilm e Michele Zoff della Fim.
Nessun commento ufficiale da parte di questi ultimi al termine delle assemblee, «faremo un comunicato domani (oggi, ndr)» è stato lo scarno commento di Luxich all’uscita dei cancelli. Ma da quanto è trapelato, tra i lavoratori, ma anche all’interno delle Rsu, c’è una grande delusione e una forte preoccupazione. «Nessuno ha capito cosa stavamo facendo e perchè stavamo combattendo» è stato il commento dei sindacati e di molti lavoratori, una delusione per il fatto che non c’è stato il sostegno esterno da parte delle istituzioni, ma anche dagli stessi sindacati provinciali, e per la divisione tra le maestranze. Che dopo aver votato in massa per lo sciopero oltre dieci giorni fa durante le assemblee (oltre 500) non hanno preso parte se non in minima parte ai picchetti.
http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2011/07/26/news/fincantieri-revocati-scioperi-e-presidi-1.746399
Verona, padania. Sono pronti altri 150 milioni
L’ultimo visto in Corte dei Conti
I rimborsi ai danneggiati, famiglie e imprese
SAN BONIFACIO (Verona)—Il «libro dei sogni», come lo chiama il governatore del Veneto Luca Zaia, contiene un assegno da 2,7 miliardi di euro. Tanti ne servirebbero per sistemare i corsi d’acqua dell’intera regione. «La sfida è portare il Veneto a non essere più una groviera», ha spiegato ieri il presidente. In tempi di crisi, però, non c’è molto spazio per i sognatori. E allora occorre essere realisti e trarre il massimo dalle risorse disponibili. «La fase acuta della devastazione - assicura - è alle spalle. In neppure nove mesi abbiamo dato il via a 250 cantieri, 220 dei quali conclusi, per un ammontare di cento milioni di euro. Abbiamo fatto tanto, ma l’impegno continua». Intanto, la scorsa settimana Zaia ha inviato alla Corte dei Conti l’ultima ordinanza. «Appena arriverà il via libera, avremo a disposizione circa 150 milioni di euro per risarcire aziende e privati ». Le imprese potranno così ottenere rimborsi per i danni subiti fino al 75 per cento, trentamila euro per gli arredi e fino al 30 per cento per le scorte che vennero distrutte dall’ondata di acqua e fango.
Alle famiglie, trentamila euro per gli arredi e altrettanti per i danni alle abitazioni. I fondi per le 10.040 richieste arrivate, verranno dirottati ai Comuni che li distribuiranno o, nel caso abbiano anticipato le somme, rientreranno delle spese. Ora che i lavori più urgenti sono quasi conclusi, già si pensa al futuro. Senza farsi troppe illusioni. «Il commissario non è quello dei telefilm - ammette Zaia - la realtà purtroppo è fatta di burocrazia, riunioni e accordi con le Soprintendenze. Ma questa esperienza ci ha lasciato in eredità nuove conoscenze, come i punti precisi in cui rompere gli argini in modo da limitare i danni». Per quanto riguarda i progetti futuri, gli interventi più importanti riguarderanno i bacini di laminazione. «Sei sono già in fase di finanziamento, ma per gli altri occorrono soldi che per ora non ci sono ». Ironia della sorte, nei giorni scorsi la Corte di Giustizia ha stabilito che gli aiuti ricevuti da alcune regioni d’Italia, tra cui il Veneto, per le calamità naturali del 2002 sono illegittimi. Quindi, lo Stato dovrà recuperare quanto stanziato, ad esempio, per le inondazioni nel nord Italia. Zaia non fa una piega: «Quei soldi sono già stati spesi, non tornano indietro».
A.Pri.
Quando gli stranieri sono gli svizzeri
Di Eveline Kobler, swissinfo.ch
Cosa differenzia gli elettori svizzeri in Germania da quelli in patria? Dei membri dell'Associazione degli svizzeri di Monaco di Baviera si dicono irritati dall'atteggiamento "germanofobo", alimentato dall'UDC, che si sta diffondendo nella Svizzera tedesca.
"Se in Svizzera si crea un'atmosfera anti-stranieri, mi fa male", spiega a swissinfo.ch Karoline Frauenlob, che vive a Monaco di Baviera ed è nella locale associazione degli svizzeri. "Qui anche noi siamo stranieri", osserva. L'espatriata dichiara che alle elezioni federali del 23 ottobre non darà il voto all'Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) perché il partito polemizza sugli stranieri.
Spesso conoscenti tedeschi la interpellano sul sentimento anti-tedesco che denotano in Svizzera. "Non ci volete proprio, ci dicono molti tedeschi". I suoi conoscenti tedeschi, per esempio, non capiscono che dapprima vengano assunti negli ospedali come medici e infermieri e che poi siano trattati in modo ostile.
"Sono per un affinamento degli accordi bilaterali (fra la Svizzera e l'Unione europea, Ndr.) e assolutamente contro la loro disdetta. Sarebbe la cosa peggiore che si potrebbe fare", dice Karoline Frauenlob.
Manifesto aggressivo
Anche alla cassiera dell'associazione Verena Typelt dà fastidio la polemica contro gli stranieri in Svizzera. "Ho molti parenti e sono spesso in Svizzera. Quando vedo i manifesti aggressivi dell'UDC a Zurigo mi spavento".
Suoi conoscenti tedeschi le hanno raccontato che faticano a integrarsi in Svizzera. Verena Typelt, tuttavia, ritiene che "i tedeschi in Svizzera dovrebbero adattarsi un po' di più alla mentalità elvetica. Non possono pretendere di trapiantare tale e quale in Svizzera la mentalità che c'è in Germania".
Lei stessa quando è giunta in Germania si è dovuta adattare, osserva. I tedeschi non possono aspettarsi che in Svizzera la gente parli loro tedesco (invece del dialetto svizzero tedesco, Ndt.), "così come non se lo aspetterebbero in Francia".
In ogni caso, anche Verena Typelt pensa che non sia una buona idea correre il rischio di denunciare gli accordi bilaterali. "La Svizzera potrebbe isolarsi ancora di più. Tutto diventerebbe molto più caro". Le esportazioni verrebbero intralciate. "In gioco non ci sono solo la cioccolata e il vino", dice.
Xenofobia
Sulla stessa lunghezza d'onda si esprime Gabriela Marti, una svizzera che risiede a Ulm. A suo parere, la polemica sugli stranieri nuoce alla Svizzera. "Per me l'UDC è troppo xenofoba e unilaterale. Penso che gli altri partiti si siano resi conto troppo tardi che ci sono davvero dei problemi". Perciò Gabriela Marti spera che l'UDC non aumenti ancora la quota di voti alle prossime elezioni federali.
In molti giornali tedeschi si tende a rappresentare Svizzera come un'approfittatrice. "Personalmente non trovo che sia cosò. La Svizzera offre anche delle contropartite. L'UE calpesta un po' la Svizzera". Il contenzioso fiscale, per esempio, è stato esagerato, sostiene.
Fra quello che apprezza della Svizzera, Gabriela Marti cita la democrazia diretta. "In Germania a volte si ha la sensazione che la gente non voce in capitolo sulla politica del proprio paese. Come svizzera questo mi colpisce". Come esempio cita un progetto di sviluppo urbano "Stoccarda 21", che ha destato grande una opposizione della popolazione. "Si è visto che un po' più di codecisione non sarebbe male".
Un parlamento un po' più verde
Il vicepresidente dell'Associazione degli svizzeri di Monaco, Albert James Küng non dice per che partito voterà alle elezioni di ottobre. Prevede però che, come successo nel Baden-Wuerttemberg, ci sia uno spostamento dell'elettorato verso i Verdi. Egli si aspetta infatti che la politica energetica sia il tema dominante della campagna elettorale.
"La questione da porsi è se i partiti che si occupano di questi problemi, saranno in grado di gestire tutto a lungo termine. Questo punto di vista, naturalmente, è anche condizionato dalle mie esperienze in Germania", dice Albert James Küng. Ma bisogna dare una possibilità ai nuovi dirigenti.
A suo avviso, gli accordi bilaterali non sembrano in grande pericolo: "La Svizzera è sempre stata multipartitica. Così il principio del consenso si è sempre sviluppato".
Se qualcosa andasse storto, gli svizzeri sarebbero perfettamente in grado di correggere di nuovo il tiro, dice. "La Svizzera ha sempre saputo come cavarsela", commenta.
Eveline Kobler, swissinfo.ch
Monaco di Baviera
(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)
Il vil denaro fa litigare Svizzera e Italia
Di Andrea Clementi, swissinfo.ch
La recente decisione del governo ticinese di congelare la metà delle imposte alla fonte dei frontalieri ha riacceso la vertenza in corso ormai da alcuni anni tra Roma e Berna. Anche in Ticino, la mossa non ha suscitato solo consensi: c'è chi ha denunciato l'esecutivo per abuso d'autorità.
La fiscalità dei redditi da risparmio «è un tema serio, che va trattato in modo serio, non in modo svizzero», affermava il ministro italiano delle finanze e dell'economia Giulio Tremonti in tempi recenti. E ancora: «Ci sono più società di Cayman a Lugano in Svizzera, che non a Cayman; e più società di Cayman a Lugano che di residenti a Lugano». La replica non si è fatta attendere: «Fascetto Tremonti», «Tremonti Achtung!», «Mafialand» e «Italia paese fallito», si leggeva sul Mattino della domenica, l'organo della Lega dei ticinesi.
Una cosa è certa: tra Svizzera e Italia – al di là delle dichiarazioni diplomatiche – i rapporti sono piuttosto tesi da un paio d'anni. I motivi d'attrito sono in buona parte riconducibili ai capitali depositati da cittadini italiani nelle banche svizzere, in particolare ticinesi.
Capitali che Giulio Tremonti tenta di recuperare attraverso vari scudi fiscali e che l'hanno portato a esprimere a più riprese giudizi molto negativi sulla Confederazione. Parole accompagnate da fatti: l'inserimento della Svizzera nella lista italiana dei paradisi fiscali, le misure "discriminatorie" adottate contro la Confederazione nell'ambito dello scudo fiscale, le perquisizioni delle filiali in Italia di alcune banche elvetiche, i più severi controlli con tanto di "fiscovelox" alla dogana.
Una serie di decisioni che hanno ostacolato non poco le relazioni economiche tra Svizzera e Italia, creando soprattutto problemi alle aziende svizzere interessate a lavorare nella Penisola.
Dalla Libia ai ristorni
Sulla scia delle questioni finanziarie, le incomprensioni si sono poi moltiplicate, basti pensare alle critiche del ministro degli esteri italiano Franco Frattini per le misure adottate da Berna contro Tripoli (blocco dei visti Schengen) durante la crisi tra Libia e Svizzera e le discussioni sui frontalieri italiani durante la campagna elettorale per le recenti elezioni ticinesi.
Ultimo episodio in ordine di tempo: la decisione del cantone Ticino, il 30 giugno, di non riversare all'Italia la metà delle imposte alla fonte dei frontalieri per il 2010. La cifra – 28,5 milioni di franchi – è stata bloccata su un conto bancario, in teoria finché Italia e Svizzera non siederanno al tavolo delle trattative. In pratica, i soldi dovranno comunque essere versati – in questo caso da Berna – come stabilito dall'accordo.
L'iniziativa – votata dalla maggioranza del governo (due leghisti e un popolare democratico) – mira a "muovere le acque", ovvero spingere Berna ad agire contro i ripetuti attacchi di Giulio Tremonti e a rinegoziare al ribasso il tasso di ristorno (attualmente 38,8%) all'Italia delle imposte alla fonte, stabilito da una convenzione del 1974 e molto più elevato rispetto a quello concordato con l'Austria (12,5%).
Tentativi infruttuosi
La decisione ticinese ha da un lato messo in imbarazzo il governo svizzero, secondo il quale un'azione di forza non è mai auspicabile, ma ha nel contempo ottenuto alcuni risultati. Tra le parti sono infatti previsti incontri diplomatici per cercare di far avanzare i dossier in sospeso.
La ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf ha detto in proposito di capire la posizione ticinese, aggiungendo che l'accordo sui ristorni non corrisponde effettivamente più alle condizioni attuali. La consigliera federale ha precisato che la mossa ticinese ha certamente avuto il merito di stimolare Berna, anche se il consiglio federale si sarebbe comunque attivato presso l'Italia.
In realtà, però, il governo svizzero si sta attivando già da un paio d'anni nei confronti di Roma ma senza successo. Infatti, tutti i tentativi dell'esecutivo elvetico per rilanciare un accordo di doppia imposizione – in cui verrebbero regolate le vertenze in materia fiscale – non hanno ottenuto alcun riscontro nella capitale italiana.
«Pagliacci»
La decisione ticinese ha intanto suscitato polemiche all'interno del cantone stesso. «Finora le pagliacciate erano confinate sul Mattino della domenica: dal 10 aprile [elezione di un secondo rappresentante leghista nell'esecutivo ticinese] tre pagliacci [il terzo sarebbe il popolare democratico Beltraminelli] comandano anche in governo. Poveri ticinesi, che state a guardare con le mani in mano». Parole di Paolo Bernasconi, avvocato ticinese e professore universitario di diritto, intervistato dalla Regione Ticino lo scorso 8 luglio.
A suo parere, «la decisione governativa è illegale. Infatti, i rapporti tra la Confederazione e i cantoni sono disciplinati dalla Costituzione e dalla legge. I rapporti fra gli Stati sono disciplinati dal diritto internazionale e dai trattati: il cantone Ticino deve quindi eseguire un trattato stipulato fra la Confederazione svizzera e l'Italia, e non ha alcuna competenza per interferire».
Secondo l'avvocato, l'interferenza lede oltretutto un principio fondamentale del diritto internazionale, ossia il rispetto degli accordi presi. Per disdirli, occorre rispettare l'apposita procedura. Bernasconi ritiene quindi che quanto fatto equivale a «un abuso d'autorità punibile in base al codice penale».
Affaire à suivre
Due giorni dopo giunge puntuale la replica dalle colonne del Mattino: «Paolo Bernasconi si dimostra […] per quello che è: un emerito cretino […] che si rode il fegato perché la maggioranza del governicchio ha almeno avuto gli attributi di dare un segnale forte al fascetto Tremonti». A Bernasconi viene inoltre rimproverato di voler sfasciare la piazza finanziaria luganese, quando invece l'esecutivo ticinese ha agito per difendere il cantone, oltre che dall'ostilità del ministro italiano, anche «dalla nullafacenza di Berna».
Un privato cittadino ticinese – Alberto Di Stefano, direttore di banca a Lugano – ha dal canto suo segnalato il comportamento del governo ticinese alla magistratura, che ha però decretato il 22 luglio un non luogo a procedere, «non essendo adempiuti gli elementi costitutivi del reato ipotizzato».
Di Stefano ha annunciato che intende ricorrere se necessario fino al Tribunale federale, la massima istanza giudiziaria svizzera. Nel frattempo, un altro ticinese, Arnaldo Alberti, ha denunciato il governo per appropriazione indebita.
Anche se la soluzione del contenzioso italo-svizzera pare dunque ancora lontana, le parti sembrano comunque fiduciose: «La Svizzera e l'Italia sono paesi talmente amici da non riuscire a immagine l'insorgere di problemi o, per lo meno, non se lo augurano», ha commentato l'ambasciatore italiano a Berna Giuseppe Deodato, il giorno seguente la decisione di bloccare i ristorni.
Andrea Clementi, swissinfo.ch
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