Rifiuti, tra Puglia e Campania è scontro
Al Sud arrivano i «benecomunisti»
S&P's taglia rating 7 banche italiane rivisto a 'negativo' outlook di 15 banche
Parlamento Grecia approva estensione poteri Efsf
Svizzera. Il debito sovrano pesa sulle banche europee
Rifiuti, tra Puglia e Campania è scontro
«Sono irregolari». «C'è la certificazione»
Botta e risposta tra gli assessori regionali all'Ambiente
Nicastro e Romano. Bloccati gli arrivi di monnezza
BARI - La Puglia dice no ai rifiuti campani perché «non vengono trattati e quindi si viola la legge». E la questione riaccende lo scontro tra le due Regioni. «La Regione Puglia - afferma Giovanni Romano, assessore regionale all'Ambiente - ha inteso prendere una posizione di natura politica che dovrà essere valutata in sede amministrativa. Adesso si dovrà verificare come i gestori degli impianti pugliesi reagiranno alle richieste provenienti dalle società provinciali di Napoli e Salerno». Romano, inoltre, ha spiegato che «i rifiuti che escono dagli impianti Stir campani pubblici sono tutti rifiuti urbani trattati che diventano speciali come prevede la vigente normativa nazionale». In merito al ritrovamento di batterie e pneumatici tra i rifiuti da smaltire in Puglia, Romano si dice «sicuro di poter escludere che quei rifiuti siano partiti da impianti Stir pubblici della Campania». «Il sistema pubblico degli Stir - ha spiegato l'assessore - è costantemente monitorato e controllato e prevede che tutti i rifiuti siano trattati, diverso è se i rifiuti arrivati in Puglia provengono da impianti privati».
LA REPLICA - Contrariamente a quanto sostiene l'assessore all'Ambiente della Regione Campania anche per i carichi provenienti dagli impianti Stir pubblici della Campania, i tecnici dell'Arpa Puglia hanno riscontrato gravi irregolarità». È la risposta di Lorenzo Nicastro, assessore all'Ambiente della Regione Puglia. «Tra le più significative irregolarità - sottolinea Nicastro - Arpa Puglia ha evidenziato, in occasione di entrambi i sopralluoghi effettuati presso la discarica Italcave di Taranto nelle giornate del 9 e 14 settembre, carenze riguardo le caratterizzazioni analitiche svolte per la verifica della conformità dei rifiuti. Sono risultate assenti le determinazioni relative ai parametri diossine e furani e ai Pop (inquinanti organici persistenti), inoltre le analisi condotte non sono risultate completamente idonee ai fini dell'attribuzione delle caratteristiche di pericolosità; vieppiù, con specifico riferimento ai rapporti di prova è stata evidenziata l'incompleta indicazione dei dati relativi ai laboratori di analisi nonché dei chimici abilitati».
Al Sud arrivano i «benecomunisti»
Teorici che conquistano il potere e animano movimenti
Né con Hobbes (Stato) né con Locke (proprietà privata)
di MARCO DEMARCO
NAPOLI - C'erano una volta i comunisti. Vennero poi i comunisti rifondati. Arrivano ora i «beneconunisti», che non sono, sia chiaro, quelli dei quartieri alti o dalle buone maniere, ma comunisti veri e propri, solo che hanno sostituito l’economia con l’ecologia. Il concetto chiave della loro filosofia sono i Beni comuni come l’acqua, l’aria, il mare; ma anche, in un prossimo futuro, come la sanità, l’università, le piazze, i musei, la proprietà immobiliare e via condividendo.
Né con Hobbes né con Locke. I «beneconunisti» praticano un particolare terzismo fondato sulla equidistanza tra Stato e proprietà privata. «Né demanio né dominio» scrivono nel loro manifesto fresco di stampa. Lo Stato, quello che una volta si abbatteva e non si cambiava, torna sotto accusa, perché quando demanializza allontana dall’uso diretto dei beni comuni; e quando privatizza, invece, è come se requisisse la quota parte di proprietà pubblica di ogni singolo cittadino. D’altro canto, la proprietà privata è null’altro che «un cancro». Proprio così: una cellula cancerogena che causa la diseguaglianza e che dunque, «deve essere riportata immediatamente sotto rigoroso controllo pubblico e drasticamente limitata, con ogni mezzo, prima che sia troppi tardi».
Oltre che l’economia, i beneconunisti hanno definitivamente archiviato anche il progresso e la modernità. Meglio il comunitarismo feudale: meglio i campi che le fabbriche, meglio il baratto che la moneta, meglio la sussistenza che il benessere. Vengono dopo Marx e Pasolini, ma hanno letto nel frattempo il fisico- filosofo Fritijof Capra e il premio Nobel Elinor Ostrom, l’ex teorico dell’Autonomia Toni Negri e l’antagonista no logo Naomi Klein. Il loro ideale di società è stato descritto non proprio ieri, ma sul finire dell’Ottocento da Friedrich Engels nel saggio sulla Marca tedesca, e riguarda l’organizzazione agricola comunitaria delle tribù germaniche prima del contatto con i Romani. Un modello alquanto risalente nel tempo, insomma. Eppure, i benicomunisti sono certi di possedere la ricetta per il migliore dei futuri possibili. La qual cosa ci riguarda direttamente, perché i beneconunisti sono ormai al potere, gestiscono amministrazioni comunali e regioni, sono da tempo scesi in politica e cominciano a trasformarne usi, costumi e linguaggio. Inoltre, ispirano movimenti più o meno di massa e progettano rivoluzioni seppure non più rosse ma arancioni.
Benecomunisti sono Vendola, de Magistris, e molti epigoni di una sinistra orfana di ideologie e di strategie finalistiche. E benecomunisti sono molti degli intellettuali e dei tecnici che collaborano con i nuovi leader meridionali. Un nome per tutti: l’assessore napoletano Alberto Lucarelli, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico, con la delega, manco a dirlo, ai Beni comuni e, le parole contano, alle Assemblee di popolo. Non a caso, Lucarelli, che è stato tra gli estensori dei quesiti referendari sull’acqua pubblica plebiscitati dagli elettori, è citato e ringraziato da Ugo Mattei, autore di Beni comuni, un manifesto, appena edito da Laterza; un libro che, non solo per i contenuti, ma anche per i toni esortativi con cui è stato scritto, si propone esplicitamente come manuale teorico per i militanti. E se Regan diceva che il privato e il profitto non erano il problema, ma la soluzione, qui si dice l’esatto l’opposto: sono il problema, altroché se lo sono.
Teoria planetaria che ha la sua origine nel mito della rivoluzione zapatista in Chapas e la sua applicazione quotidiana nelle lotte no Global, no Tav, antiinceneritori e antinucleare, il benecomunismo sembra fatto apposta per un Mezzogiorno in cerca di nuove utopie e già battuto da culture politiche dichiaratamente antimoderniste. Dopo il pensiero meridiano del sociologo pugliese Franco Cassano; dopo la teoria della decrescita rielaborata, tra gli altri, dallo storico calabrese Piero Bevilacqua; dopo il nostalgismo duosiciliano dei neoborbonici e di Pino Aprile, autore di Terroni; e dopo Roberto Saviano, che nel suo catalogo esistenziale mette la mozzarella di bufala al primo posto tra le dieci cose per cui vale la pena vivere, ecco infatti delinearsi, nel vivo di un un romanticismo sudista sempre più contagioso, una filosofia utilissima per tenere vive l’illusione dell’armonia perduta, la falsa speranza del ritorno al passato e l’incontenibile fiamma dell’orgoglio identitario.
Tra i due paradigmi che da sempre si confrontano, quello «dominante» fatto di mercato e competizione, nonché di consumismo e di individualismo narcisistico; e quello «soccombente», che resiste alla crescita, allo sviluppo e alla catastrofe ambientale, i beneconunisti optano ovviamente per il secondo, solo che non lo definiscono soccombente ma «recessivo». Questo modello, si legge nel manifesto di Ugo Mattei, è lo stesso che ha caratterizzato «l’esperienza politico-giuridica medievale, in cui la parcellizzazione del potere feudale manteneva al centro della vita in società la comunità corporativa pre-statuale a matrice locale». Come costruire questo futuro post-moderno immaginato più come un Robin Hood in metropolitana che come un Conan il barbaro? Non con un partito, ovviamente, che sarebbe uno strumento della modernità politica, ma con l’armamentario tipico delle utopie: i movimenti, l’inclusione partecipativa, il potere diffuso e, alla fine di tutto, la rete relazionale.
Ma proprio sulla «rete» ecco cascare l’asino. Cosa c’è di più comune di Internet? Ebbene, cosa è diventato questo bene comune senza recinti, selvaggiamente di tutti, libero e costruito «dal basso»? Una trappola, spiega Ugo Mattei; un terreno occupato «dai grandi latifondisti intellettuali». In ultima analisi, una rete virtuale «che cattura i tonni rendendolo idioti». E allora? Meglio tornare alla fisicità, alla politica dei movimenti, ai militanti che si incontrano nelle piazze e nei caffè piuttosto che su Facebook.
D’accordo, allora: né con Hobbes (lo Stato) né con Locke (la proprietà privata), ma chi governerà i beni comuni? Con quali istituzioni e con quali poteri? Può servire chiedere lumi al buon selvaggio di Rousseau? Chissà. Di certo è da escludere che possa rispondere con un Sms o una e-mail.
S&P's taglia rating 7 banche italiane rivisto a 'negativo' outlook di 15 banche
21 settembre, 20:20
(ANSA) - ROMA, 21 SET - Standard and Poor's ha tagliato il rating di 7 banche italiane dopo la decisione di ridurre il giudizio sull'Italia. L'agenzia di rating ha anche rivisto l'outlook sul rating di 15 banche italiane a 'negativo'. Il taglio da parte di Standard and Poor's alle banche italiane colpisce il rating del lungo termine di Mediobanca, di Findomestic, di Intesa Sanpaolo e delle sue controllate Banca Imi, Cassa Risparmio Bologna e Biis che passano da A+ ad A.
Ridotto anche il rating della Bnl a A+/A-1-.
Parlamento Grecia approva estensione poteri Efsf
Il parlamento greco ha approvato la legge per l'estensione dei poteri dell'Efsf, il fondo europeo salva-stati. La legge è stata passata, in via generale, con 183 voti favorevoli su 300, compresi quelli dei deputati del maggiore partito dell'opposizione conservatrice, e 38 contrari. Nei prossimi giorni è previsto un voto confermativo articolo per articolo. La riforma dell'Efsf prevede un potenziamento della capacità di credito del fondo a 440 miliardi di euro, la possibilità di prestare soldi ai governi per ricapitalizzare le banche, fornire prestiti precauzionali ai paesi sotto attacco speculativo e comprare titoli di Stato sul mercato secondario.
Svizzera. Il debito sovrano pesa sulle banche europee
Peter Pönitzsch, Credit Research
21.09.2011- Dalla metà dello scorso luglio, le quotazioni di azioni e bond bancari hanno accusato un brusco crollo a causa dei timori circa l'esposizione del settore verso i titoli degli emittenti sovrani UE periferici. Di conseguenza, durante le ultime settimane sono emersi segnali di stress sul mercato interbancario.
Dalla metà dello scorso luglio i timori del mercato circa l’esposizione del settore bancario europeo verso determinati paesi periferici della zona euro, nella fattispecie Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna (GIIPS), hanno generato un’ondata di vendite di titoli azionari e obbligazionari degli emittenti bancari. Le valutazioni rimangono tuttavia su livelli superiori rispetto ai minimi registrati a marzo 2009. A questa situazione si sono però aggiunte le incertezze macroeconomiche e la scarsa liquidità dei mercati creditizi, che a loro volta hanno messo pressione sul settore bancario. La percezione che il mondo della politica rimanga perennemente un passo indietro, o che manchi di volontà o addirittura del potere per gestire la questione della sostenibilità del debito sovrano di molti paesi, crea un tail risk sui mercati a reddito fisso verso cui il settore bancario è esposto in maniera più immediata.
Le banche quali detentrici del debito sovrano
Le banche detengono ampie quote di debito sovrano, mentre alcuni di questi stati continuano a loro volta a possedere ampie partecipazioni nelle banche ed erogano prestiti agli istituti dei paesi in maggiore difficoltà. Sebbene l'acquisto di titoli di stato italiani e spagnoli da parte della Banca Centrale Europea (BCE) abbia momentaneamente posto un freno ai rispettivi rendimenti, si tratta di fatto di un provvedimento d'emergenza, concepito per coprire il periodo di transizione fino alla ratifica del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) da parte dei parlamenti nazionali dell’Eurozona. A partire da tale momento, il FESF sarà incaricato di fornire sostegno agli stati sovrani o indirettamente alle loro banche. I politici hanno fino ad oggi evitato di affrontare alcune delle decisioni più spinose, come l’aumento della dotazione del FESF – di cui è probabilmente necessario un multiplo – e continuano a ridurre al minimo le possibilità della creazione di un'autorità emittente centrale di eurobond per conto degli stati membri dell'UE. Il mondo politico ha inoltre predisposto un livello di molteplici garanzie congiunte che risulterebbero difficili da far accettare alle istanze nazionali.
L'esposizione delle grandi banche europee verso i GIIPS
Tra gli istituti finanziari appartenenti ai paesi principali, le banche tedesche e francesi sono le più esposte verso i GIIPS – sia per quanto riguarda i titoli sovrani che quelli non sovrani. L’esposizione delle banche francesi nei confronti della Grecia e dell’Italia risulta particolarmente interessante e spiega il motivo dei timori accentuati del mercato nei confronti di questi emittenti. Se da un lato la significativa esposizione verso l'Italia rappresenta una potenziale fonte di vulnerabilità, la politica fiscale di questo paese, così come il suo mercato immobiliare, il suo settore bancario e l’indebitamento privato si mostrano in una forma relativamente migliore rispetto a quelli di Grecia, Irlanda e Portogallo. Inoltre, nel raffronto con la situazione di questi tre ultimi paesi, anche le condizioni economiche e fiscali generali della Spagna si collocano su un gradino più elevato. L’esposizione delle banche nei confronti della Grecia riportata nella figura 1 appare gestibile. Se prendiamo in considerazione le grandi banche in Italia e in Spagna, è interessante notare che la loro esposizione in paesi periferici diversi dal proprio (verso il quale essa è ovviamente è cospicua) risulta comparativamente bassa e solo nel caso del Santander è in qualche misura elevata rispetto al Portogallo.
Segnali di stress intorno alla liquidità bancaria
In questo momento, le incertezze relative ai finanziamenti si sono focalizzate intorno agli istituti finanziari europei e alle loro linee di finanziamento in USD. Dall’inizio di giugno 2011, sia i volumi dei commercial paper americani in circolazione emessi da istituti finanziari stranieri negli Stati Uniti sia i depositi a termine hanno subito un brusco calo; in particolare, questi ultimi si collocano su livelli prossimi ai minimi del 2008-2009. Questa evoluzione riflette i maggiori timori manifestati dagli Stati Uniti nei confronti delle banche europee, in particolare per quanto riguarda i fondi monetari americani e il loro grado di esposizione verso i titoli degli stati sovrani europei in difficoltà. Un'altra misura dello stress interbancario è rappresentata dallo spread Libor-OIS, che ha evidenziato un aumento nelle ultime settimane, sebbene rimanga a livelli ben inferiori rispetto al picco raggiunto nel 2008. Per inciso, i depositi bancari overnight collocati presso la BCE sono cresciuti nelle ultime settimane, a indicazione che gli istituti europei preferiscono investire le loro eccedenze di liquidità presso la banca centrale piuttosto che prestarle ad altri operatori finanziari europei. Questa pratica, secondo cui gli istituti depositanti accettano un tasso d'interesse inferiore a quello di mercato, è il segnale di una mancanza di fiducia potenzialmente grave all’interno del settore bancario e deve essere monitorata attentamente. Nonostante la minore attività di emissione da parte degli istituti finanziari nel corso degli ultimi mesi, in media oltre il 70 per cento delle loro esigenze di finanziamento a lungo termine è stato coperto. Le banche dei paesi periferici si sono dovute impegnare duramente per raggiungere questo obiettivo e, anche attraverso concessioni di pricing, hanno combattuto per attrarre la domanda. Invece di emettere obbligazioni senior non coperte, le banche hanno altresì fatto ricorso con successo all’emissione di covered bond con rating di tripla A.
In forma migliore rispetto al 2008
In generale, fin dai prodromi della crisi finanziaria mondiale nel 2008, la liquidità del settore bancario europeo e la sua dotazione di capitale hanno fatto registrare un miglioramento. Attualmente il settore fa un affidamento nettamente inferiore sui finanziamenti a lungo termine e detiene molta più liquidità. Inoltre, i diversi istituti centrali stanno attuando molteplici piani di liquidità a favore delle banche. Gli istituti europei hanno effettivamente rafforzato la loro base di capitale in vista degli stress test bancari di quest’anno, sia attraverso raccolta di capitale che con la conservazione dello stesso. Alcune delle banche più deboli potrebbero incontrare difficoltà per soddisfare i requisiti più restrittivi in materia di capitalizzazione previsti da Basilea III. Poiché i trend qualitativi delle attività bancarie presentano una correlazione con il PIL, l’indebolimento delle prospettive di crescita potrebbe condurre a sua volta ad un deterioramento della qualità degli asset, oppure rallentare il trend di miglioramento. Gli operatori di mercato potrebbero trarre un po’ di conforto dal cambio di finalità del FESF che,
in caso di necessità di ricapitalizzazione delle banche europee, sarà in grado di fornire loro sostegno attraverso i rispettivi paesi. Tuttavia, non va dimenticato che la ricapitalizzazione di una banca in difficoltà può essere attuata attraverso operazioni su attivi-passivi, ossia essenzialmente convertendo strumenti profondamente subordinati in modo da incrementare il core capital. Nel complesso, questa soluzione offre agli istituti finanziari europei la capacità di assorbire ulteriori svalutazioni di posizioni del debito sovrano periferico.
Preservare la dotazione di capitale delle banche
Come già verificatosi con il secondo pacchetto di salvataggio per la Grecia, l’ipotesi è che le banche partecipanti svalutino soltanto il 21per cento delle obbligazioni del governo greco in loro possesso in scadenza prima della fine del 2020, mentre i prezzi di mercato suggerirebbero un haircut compreso tra il 40 per cento e il 50 per cento. Apparentemente, gli stati europei e la BCE si mostrano a favore di un approccio graduale alla gestione della questione del debito sovrano. In questo modo si lascia tempo alle banche di ridurre la loro problematica esposizione verso i titoli degli stati sovrani, senza riconoscere perdite mark-to-market potenzialmente destabilizzanti. In questo modo, sia gli organi di vigilanza bancaria che le autorità preservano la dotazione di capitale degli istituti, evitando la necessità di ricapitalizzazione che, in una situazione di stress, potrebbe essere attuata probabilmente solo attraverso un’iniezione di capitale da parte degli stati sovrani.
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