venerdì 23 settembre 2011

Federali.sera_23.9.11. Svizzera, Filippo Celio: Difficile spiegare oltre Gottardo che il Ticino serio è un’altra cosa. Sono regolarmente in Svizzera tedesca e provo spesso un senso di disagio e impotenza nel dover spiegare ad amici, colleghi e imprenditori i motivi per cui il clima politico in Ticino si sia a tal punto deteriorato.----Benevento, Valeria Catalano: Lo sconcerto è unanime: residenti, studenti e lavoratori che ogni giorno, e soprattutto nel week end, usufruiscono della linea ferroviaria per raggiungere Napoli. Nel mirino i «tagli indiscriminati» che per nulla mettono in conto le esigenze in primis dei pendolari. Al coro d’indignazione si aggiunge anche la voce del sindaco di Benevento Fausto Pepe, che lamenta il mancato coinvolgimento dell’amministrazione comunale in una decisione di tale importanza: «Quella della Valle Caudina è una linea storicamente fondamentale, una linea strategica nello scenario regionale senza la quale quattro province su cinque vengono nei fatti allontanate e isolate dal capoluogo di Regione».

Benevento. Sannio isolato, addio ai treni di domenica Pepe: la Regione vuole la secessione.
In Puglia rischio taglio per 300 scuole
Con le famiglie numerose sono perfino più generose le banche del governo.
Svizzera. Quale Ticino vogliamo?
Svizzera. L'Italia ci ricasca e inventa lo "scudo solare".


Benevento. Sannio isolato, addio ai treni di domenica Pepe: la Regione vuole la secessione
Stop ai viaggi che collegano Benevento e provincia a Napoli anche nei festivi. Il sindaco:«Sconcertante»
BENEVENTO - Battuta d’arresto per la già precaria linea ferroviaria che collega il Sannio a Napoli. Il piano di tagli previsto dall’assessore regionale ai Trasporti Sergio Vetrella investe infatti anche la tratta Benevento-Cancello-Napoli o meglio conosciuta come «Valle Caudina». A parte le corse che saltano, a volta senza preavviso, durante la settimana, particolarmente grave appare la decisione del totale azzeramento del servizio su rotaia la domenica e nei giorni festivi, in atto da domenica 18 settembre. I rappresentanti sindacali di Metrocampania Nordest, la società che cura i collegamenti su rotaia e su gomma tra Benevento e Napoli hanno comunicato sin dall’inizio di settembre lo stato di agitazione dei lavoratori alla luce di provvedimenti che penalizzano ancora una volta il trasporto pubblico locale e mettono a rischio gli attuali livelli occupazionali.

IL PRIMO CITTADINO: NESSUNO CI HA COINVOLTO - Lo sconcerto è unanime: residenti, studenti e lavoratori che ogni giorno, e soprattutto nel week end, usufruiscono della linea ferroviaria per raggiungere Napoli. Nel mirino i «tagli indiscriminati» che per nulla mettono in conto le esigenze in primis dei pendolari. Al coro d’indignazione si aggiunge anche la voce del sindaco di Benevento Fausto Pepe, che lamenta il mancato coinvolgimento dell’amministrazione comunale in una decisione di tale importanza: «Quella della Valle Caudina è una linea storicamente fondamentale, una linea strategica nello scenario regionale senza la quale quattro province su cinque vengono nei fatti allontanate e isolate dal capoluogo di Regione». Un dietrofront «incomprensibile»secondo il sindaco poiché «si erano avviati anche percorsi tesi al rafforzamento dei collegamenti attraverso l’acquisto di nuovi beni e nuovi investimenti». Quella in atto, attacca il primo cittadino appare una vera e propria «spinta secessionista che isola sempre più Benevento, un provvedimento completamente sbagliato: è assurdo pensare infatti d’isolare per un intero giorno la città, il tutto peraltro intensificando il trasporto su gomma e non tenendo per nulla conto dell’inquinamento che così si viene a incrementare all’interno di un contesto ambientale come quello della regione Campania già profondamente preoccupante».

VERTICE CON CALDORO - Nei giorni scorsi a Benevento ha avuto luogo un vertice istituzionale con il presidente della Regione Stefano Caldoro. Anche in questo caso l’amministrazione comunale sannita ha inteso rimodulare i tagli che investono Metrocampania Nordest. Il sindaco Pepe infatti se da un lato ben comprende «la necessità di risparmi in un momento difficile e di crisi» sembra non trovare una ratio alla completa soppressione domenicale «che manca di logica e si rivela assolutamente dannosa per l’intera collettività». Per questo, conclude, «faremo sentire la nostra voce in tutte le sedi competenti».
Valeria Catalano

In Puglia rischio taglio per 300 scuole
La Regione presenta piano a dicembre
Il Governo:no agli istituto con meno di 1000 studenti
L'assessora Alba Sasso: «Costretti dalla legge»
LECCE - Trecento scuole a rischio chiusura. Secondo quanto stabilito dal decreto legge approvato nel luglio scorso, non dovranno più esistere istituti con meno di 1000 alunni. In Puglia quindi tutte le scuole dovranno essere «comprensive» (includere materna, elementare, media): questo comporterà inevitabilmente la soppressione, prima solo amministrativa e poi effettiva, di istituti con una popolazione studentesca bassa. Ci sono in Puglia 18 scuole con meno di 300 alunni, 180 con meno di 500 e 125 con meno di 1000, per un totale di 323. L’assessora «Abbiamo già cominciato ad incontrare gli assessori provinciali e comunali - spiega l’assessora regionale al Diritto allo studio, Alba Sasso - perché questa scelta che dovremo applicare per forza, non vogliamo effettuarla senza conoscere davvero il territorio». La Regione vuole evitare che si presentino situazioni come quelle della Liguria, dove un solo dirigente guida 17 plessi. «In Puglia - prosegue Sasso - ci sono tante piccole scuole che sono dei veri e propri presidi della legalità. Togliendo l’autonomia, le famiglie pian piano cominceranno a scegliere altri centri e quelle scuole scompariranno a poco a poco. C’è poi il problema del trasporto: ci hanno tagliato i fondi. Come faremo a garantire gli spostamenti ai ragazzi?. Quel decreto l’abbiamo quindi impugnato alla Corte Costituzionale». Per la dirigente dell’Ufficio regionale Lucrezia Stellacci, «la nostra rete scolastica presenta molti buchi ed io sono per gl i istituti comprensivi, purché le scelte vengano fatte con competenza e attenzione».

Il nuovo piano di ridimensionamento dovrà essere presentato entro dicembre. Ieri la Stellacci ha inaugurato l’anno scolastico. In classe si sono seduti, a partire dal 15 settembre, 643mila studenti, 4mila e 747 in meno rispetto allo scorso anno. Resta alto il rapporto alunni/classe, con una media di 23 contro il dato nazionale che è di 22. «Oggi abbiamo voluto presentare il sistema scolastico regionale - prosegue Stellacci - per evidenziare il duro lavoro che ogni anno viene compiuto per assicurare il diritto allo studio». In Puglia ci sono più di 55mila docenti e 16mila Ata. «Proprio sui collaboratori scolastici - prosegue la dirigente - abbiamo deciso di concedere una serie di deroghe, perché in seguito ai tagli, ci sono presidi che non riescono a gestire i plessi con lo scarso personale a disposizione». I docenti E poi un annuncio: le riduzioni negli organici sono finite. «Abbiamo affrontato un durissimo triennio - conclude Stellacci - dall’anno prossimo il contingente docenti e Ata non sarà toccato. I tagli sono finiti». Infine, in questi giorni, l’Ufficio regionale sta predisponendo la macchina organizzativa per il concorso da dirigente scolastico: in Puglia hanno fatto domanda 3.942 persone (54 sono stati esclusi). Il 12 ottobre in dieci istituti, divisi in gruppi di 400, gli insegnanti affronteranno la prova per entrare in graduatoria e diventare dirigenti. I posti a disposizione sono solo 236.
Samantha Dell'Edera

Con le famiglie numerose sono perfino più generose le banche del governo
 di Franco Adriano 
Il governo Berlusconi, complice la crisi, ha portato per la prima volta in piazza le famiglie numerose italiane riunite nell'associazione omonima. Si tratta di quelle con più di tre figli a carico, il 5,9% del totale. «Quelle», confida uno dei manifestanti davanti a Montecitorio, «che sembrano essersi concesso un lusso a fare figli mentre stanno garantendo il futuro di tutti («C'è una possibilità su nove che chi si prenderà cura di te fra vent'anni sarà uno dei nostri figli», si legge sui volantini distribuiti ieri). Ma che avrà fatto mai l'esecutivo per far arrabbiare una platea di solito moderata e non schierata (così tanto da averli indotti a scrivere alla cancelliera Angela Merkel e al presidente Nicolas Sarkozy per chiedere ospitalità in Germania e in Francia «dove le famiglie numerose sono considerate preziose per la società e lo sviluppo»)? Di sicuro, l'ultima manovra economica ha dato una mazzata pesando, secondo i calcoli del presidente dell'associazione Mario Sberna, per 4mila euro all'anno su chi ha quattro figli. Ma anche il sottosegretario Carlo Giovanardi ci ha messo del suo. È successo, infatti, che Sberna ha inserito tra i punti della protesta la provocatoria restituzione della delega sulle politiche familiari da parte di Giovanardi «per manifesta inutilità». Il sottosegretario, allora, ha scritto al presidente del Forum delle famiglie, Francesco Belletti (che peraltro ha in preparazione una manifestazione di protesta ancora più ampia) elencando quanto fatto di buono. Ma tra i punti di vanto Giovanardi ci ha messo anche «il Fondo nuovi nati che ha garantito 20mila prestiti corrispondenti ad una erogazione di circa 110 milioni di euro». Sberna, a questo punto non ci ha visto più. Ha chiesto scusa a denti stretti a Giovanardi per la personalizzazione dello scontro, come evidentemente dagli ambienti Cei qualcuno gli ha suggerito, ma ha fatto notare che il governo ha prestato soldi al 4% «indebitando un bimbo fin dalla culla», mentre per esempio «l'Ubi Banca, che di mestiere fa fruttare i soldi, in questi giorni presta fino a 1500 euro alle famiglie ad un Taeg dell'1,5% per far fronte alle spese scolastiche».

Svizzera. Quale Ticino vogliamo?
di Filippo Celio - 09/22/2011
Una domanda che sembra scontata ma non lo è.
Stiamo sempre più assistendo ad una spaccatura tra, da una parte, coloro che desiderano un Ticino aperto e progressista, un Cantone lungimirante che partecipa e contribuisce attivamente e a pieno titolo alla definizione della politica nazionale e internazionale, un Cantone credibile e affidabile che dice la sua e viene ascoltato oltre Gottardo e, dall’altra parte, coloro che invece aspirano ad un Ticino chiuso in se stesso, provinciale e senza visioni, un Cantone che porta avanti una politica tendenzialmente rivendicativa, che reagisce invece di agire.
Una politica, che pensa di poter risolvere i suoi problemi scaricando le responsabilità sugli altri, siano essi i balivi oltre Gottardo oppure i frontalieri verso sud. Questa spaccatura si sta allargando in vista delle elezioni di ottobre. Il deterioramento del clima politico sta sempre più danneggiando l’immagine del Canton Ticino oltre Gottardo e ciò non può non preoccupare. Il nostro Cantone viene ormai sistematicamente considerato solo quale meta turistica e il nostro peso politico è ai minimi storici. Le ragioni sono molteplici e interconnesse. Ne vorrei brevemente evidenziare alcune che mi sembrano importanti. Innanzitutto gli operatori turistici, in particolare Svizzera Turismo, veicolano da troppo tempo un’immagine stereotipata del Ticino fatta di vacanze, sole e palme. Essendo considerato un resort di vacanza, oltre Gottardo si parla e si discute raramente di cosa pensa e di cosa fa il Ticino in ambito politico, economico, imprenditoriale e culturale.
In secondo luogo l’esito delle votazioni e delle elezioni degli ultimi vent’anni ha sempre più contraddistinto il Ticino quale Cantone conservatore e chiuso. Una tendenza che non si può spiegare e giustificare semplicemente con il fatto che siamo una realtà di frontiera.
Il terzo motivo è la pessima immagine e reputazione dell’attuale partito di maggioranza relativa che porta avanti una politica populista e provinciale in contrasto con la politica e i politici che il nostro Cantone ha potuto con fierezza vantare e presentare in passato. Il messaggio che Lega e Udc vogliono dare e portare a Berna con i loro candidati è ben rappresentato dal ridicolo e improponibile manifesto elettorale con tanto di guerrieri armati pronti a conquistare la capitale. Difficile spiegare oltre Gottardo che il Ticino serio è un’altra cosa. Sono regolarmente in Svizzera tedesca e provo spesso un senso di disagio e impotenza nel dover spiegare ad amici, colleghi e imprenditori i motivi per cui il clima politico in Ticino si sia a tal punto deteriorato.
L’ultimo motivo è da ricollegare a una politica cantonale troppo distante e sconnessa da Berna e dal resto della Svizzera. Bene ha fatto la scorsa settimana il Consiglio di Stato al completo a recarsi in visita a Palazzo federale per una due-giorni di riunioni, durante la quale sono stati discussi due temi vitali e attuali quali la ripresa della negoziazione dell’accordo fiscale con l’Italia e il fenomeno del frontalierato. Quello che però manca è una visione permanente e attenta su quanto accade nel resto della Svizzera. Non due giorni all’anno ma tutto l’anno. Manca una presenza costante della Svizzera italiana oltre Gottardo che permetta di capire meglio la realtà e le mentalità delle altre regioni svizzere, e viceversa. Auspicabile sarebbe inoltre un agire più unito e coordinato tra il Consiglio di Stato e la deputazione ticinese a Berna sui temi cardine così da essere allineati e sulla stessa lunghezza d’onda al fine di avere più voce e peso politico. Se Fabio Abate ha avuto l’impressione che la ministra Leuthard abbia affrontato con sufficienza e poca considerazione l’incontro con la delegazione ticinese a Berna, non ci si dovrebbe solo irritare, ma dovremmo contemporaneamente chiederci perché ciò può accadere.
Ben venga infine la figura del delegato per i rapporti con la Confederazione. Utile sì, ma dietro le quinte. I contatti e le relazioni vanno invece creati e costantemente mantenuti dagli stessi deputati, dai membri del Consiglio di Stato e dagli alti funzionari del Cantone. Si potrebbe a tal scopo creare un ufficio di rappresentanza ticinese a Berna dove consiglieri di Stato, politici e rappresentanti delle associazioni e delle varie categorie della Svizzera italiana possano marcare presenza, a turno ma in maniera permanente. In altre parole una piccola ma dinamica “Casa della Svizzera italiana”: inizialmente a Berna e in seguito in altre città svizzere, prima di tutte a Zurigo. Sarebbe un ottimo e lungimirante investimento.

Svizzera. L'Italia ci ricasca e inventa lo "scudo solare"
di Cecilia Brenni
Dopo lo scudo fiscale e quello dei cervelli, è in arrivo quello solare? A sollevare il quesito – che invero ha più il sapore di un’affermazione –, lunedì di fronte al Consiglio federale, sarà il deputato del PLR Ignazio Cassis. In Italia il 5 maggio scorso è entrato in vigore un decreto denominato Quarto Conto Energia che introduce nuove tariffe per incentivare la promozione di impianti fotovoltaici. Tra i vari “premi” contenuti nel nuovo decreto di legge, è previsto anche un aumento del 10% degli incentivi finanziari agli impianti che utilizzano prodotti costruiti nell’Unione europea. A segnalare la situazione di «ingiustificata penalizzazione» a cui da mesi sono sottoposte le aziende svizzere è stata la ditta “Sunage” di Mendrisio che si è rivolta all’associazione di settore Swissolar. «La situazione sta diventando insostenibile – afferma l’ingegner Claudio Caccia, responsabile regionale –. Complessivamente le aziende svizzere che producono moduli fotovoltaici esportano verso l’Italia per un importo annuo di circa 500 milioni di franchi; un mercato davvero importante».
Swissolar aveva segnalato la situazione già in primavera, prima ancora dell’approvazione del decreto, sia alla Sezione economia del Cantone, sia alla Segreteria di Stato dell’economia. «Entrambe si sono adoperate – ricorda Caccia – per impedirne l’approvazione formale, ma purtroppo non c’è stato nulla da fare». Da qui la decisione, nei giorni scorsi, di appellarsi ai deputati ticinesi a Berna, per fare leva su una possibile non conformità della legge in relazione agli accordi di libero scambio. «Le ditte Svizzere che lavorano in questo settore – si legge nel testo che Ignazio Cassis sottoporrà lunedì al Governo federale durante l’ora delle domande – sono fortemente penalizzate, oltre che dal superfranco, da questa discriminazione. La Svizzera è nuovamente confrontata con un trattamento discriminatorio illecito? Se sì, cosa intende fare il Consiglio federale per sbloccare la situazione?».
In Svizzera il mercato fotovoltaico cresce, ma a ritmi ancora contenuti. «Le nostre fabbriche – spiega Caccia – sono costrette ad esportare il 90-95% della loro produzione perché il mercato interno è ancora troppo debole». Ha infatti superato quota 10.000 il numero di progetti di impianti solari fotovoltaici sulla lista d’attesa di swissgrid. Progetti non ancora ritenuti idonei di accedere alla rimunerazione a copertura dei costi. «Se questa situazione si sbloccasse, il problema con l’Italia sarebbe meno drammatico». E se anche il Consiglio federale dovesse fare orecchie da mercante? «Il prossimo passo – avverte Caccia – sarà un’interpellanza a Bruxelles».

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