domenica 8 gennaio 2012

Federali_sera_8.1.12. Filadelfo Scamporrino: Su un totale di 78 nuove imprese nei primi tre giorni del 2012 a Milano, ben 15 sono a titolare straniero e così composte in accordo con quanto recita una nota dell’Ente camerale: sette nuove imprese con titolare cinese, due americani, due egiziani, un peruviano, un imprenditore bulgaro, uno nigeriano ed uno turco.---Ticino, Silvano Toppi: Meglio così, si potrebbe dire (qui sta il paradosso comico), in quanto è fatto certo che forse mai come ora sono affluiti tanti capitali (cento miliardi?) dall’Italia nelle banche svizzere e ticinesi. Tanto è vero che sono riapparsi i “muri” fluidi dall’altra parte della frontiera, i fiscovelox. Conta più la storia e i muri non riescono a contrastarla: in fondo, le disgrazie italiane ci hanno sempre giovato.---Il premier inglese David Cameron bloccherà una Tobin tax europea. E che la Francia faccia come vuole.

Bozen, oltrepadania. Costi, nuova campagna contro l'autonomia
Il redditometro dopo il «blitz», i parametri aggiornati del Fisco
Milano, padania. Imprese straniere a Milano crescono
I patrimoni italiani in poche mani quasi la metà al 10% delle famiglie
Cameron: "Mi opporrò a Tobin tax"
Ticino. Muri solidi e muri fluidi



Bozen, oltrepadania. Costi, nuova campagna contro l'autonomia
Dopo i politici, ora polemica di Stella. Zeller: «Governo contrario anche all'Accordo di Milano»
Francesca Gonzato
BOLZANO. E' ripartita la campagna contro le autonomie speciali. Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato in prima pagina un editoriale di Gian Antonio Stella intitolato «Quelle Regioni troppo speciali». L'ultima voce sul tema nelle ultime settimane. In questo clima i presidenti Durnwalder e Dellai preparano l'incontro con il presidente del Consiglio Mario Monti.
Il deputato della Svp Karl Zeller vede nero e lo spiega: «Nessuno finora si era comportato nei confronti del nostro Statuto di autonomia, come sta facendo il nuovo governo. Non ho ragioni di pensare che andrà meglio, nonostante le rassicurazioni sul fatto che le violazioni alle regole siano state dettate dalla fretta di approvare il decreto Monti. Il ministro Piero Giarda in colloqui informali mi ha fatto capire di non condividere l'Accordo di Milano e di essere stupito che il governo Berlusconi lo avesse ratificato. Aspettiamo l'ufficialità, ma se questa è la linea del ministro e del governo...».
Stella mette a confronto bilanci e capitoli di spesa delle Regioni ordinarie con le «speciali», tra cui Bolzano e Trento, da cui si evincono «distanze siderali tra queste due Italie» e spese che «offendono» il resto d'Italia. Sulle cifre e l'impostazione generale del discorso risponde nell'articolo sotto l'assessorato alle finanze di Roberto Bizzo. Durissima anche la presa di posizione del presidente regionale e governatore trentino Lorenzo Dellai. Anche perché l'elenco degli attacchi alle autonomie speciali torna a farsi affollato, come ai tempi delle
esternazioni dell'ex governatoreveneto Galan.
 «Le motivazioni su cui i padri costituenti fondarono le Regioni autonome, aree privilegiate del Paese, oggi non sussistono più» ha dichiarato Luca Antonini, presidente della Commissione tecnica per l'attuazione del federalismo. «La Regione Lombardia ponga nella Conferenza Stato-Regioni il problema del superamento delle Regioni e delle Province a Statuto speciale»: è stata la richiesta di alcuni consiglieri regionali del Pdl. «Una deriva populista, demagogica e parolaia. Sentenze salottiere», commenta Dellai, «Andrà sempre peggio, ci aspetta una traversata nel deserto. Ormai questa linea di demagogia antiautonomista si sta diffondendo a maccia d'olio». Dellai parla anche di «salotti buoni centralisti», che «ce l'avranno sempre più con noi».
 E all'accusa di avere molti più soldi da spendere delle Regioni ordinarie replica così: «Siamo tranquilli. Se spendiamo di più per salute e istruzione, pensiamo che sia un merito non un demerito». Zeller commenta così i diversi passaggi del decreto Monti in cui è previsto che lo Stato trattenga decine di milioni (per Imu e altro) in attesa di regolarizzare la partita dei tributi locali con norme di attuazione: «E' una presa in giro: avevano bisogno di soldi e li hanno presi. Non faranno norme di attuazione, visto che non hanno interesse economico a farle».
 Alle spinte politiche contro le autonomie speciali, Zeller risponde: «E' una dialettica che conosciamo. Se alle parole dovessero seguire i fatti, ci difenderemo. C'è un ancoraggio internazionale che ci difende? Qualcuno vuole andare a uno scontro tra Stati o provocare un referendum per l'autodeterminazione? Credo che l'Italia abbia problemi più urgenti».
 Anche la deputata del Pd Luisa Gnecchi è abituata alle bordate di colleghi parlamentari contro i privilegi di Bolzano & C. «In queste polemiche si sparano cifre senza rapportarle alle competenze che Bolzano deve gestire e alla specificità di una provincia che deve finanziare scuole per tre gruppi linguistici», dice Gnecchi, «L'invidia non è buona consigliera».

Il redditometro dopo il «blitz», i parametri aggiornati del Fisco
Accertamenti sugli esercizi che fatturano tre volte di più durante i controlli. Auto, gli incroci dei dati
Gli incassi del Natale a Cortina del Fisco rischiano di battere alla grande quelli dell'omonimo cinepanettone. E se non si placano le polemiche seguite al blitz con cui gli ispettori hanno messo al setaccio esercenti e ospiti della Perla delle Dolomiti in cerca di evasori fiscali può essere interessante capire quale seguito potrà avere un'operazione che, al di là del grande richiamo mediatico, ha avuto anche una scansione temporale non lasciata al caso; con l'arrivo del 2012 infatti i rapporti tra contribuenti e Fisco appaiono destinati a un punto di svolta, che porterà, tutto lascia prevedere, ad accentuare le diffidenze reciproche e ad aumentare il contenzioso. Entra infatti a pieno regime la limitazione nell'uso del contante, arriva il supercalcolatore Serpico che potrà incrociare i dati delle dichiarazioni fiscali con quelli dei pagamenti telematici, e arriva anche il nuovo redditometro.
Tornando alla vicenda di Cortina, bisogna distinguere la posizione degli esercenti, che il 30 dicembre hanno miracolosamente battuto scontrini superiori tra tre volte (bar ed alberghi) e quattro volte (i negozi di lusso) rispetto allo stesso giorno del 2010 e anche rispetto al giorno prima il giro d'affari ufficiale è in molti casi raddoppiato. Il prodigio è stato possibile, come raccontano dall'Agenzia delle Entrate, posizionando due ispettori in ognuno dei negozi controllati. Per gli esercenti monitorati ora scatterà il cosiddetto accertamento analitico-induttivo. In pratica il Fisco accerterà il reddito degli esercenti partendo dal dato ufficialmente acquisito il giorno dell'ispezione: va da sé che non si potrà moltiplicare l'incasso di un giorno di altissima stagione come il 30 dicembre per tutti i giorni di apertura annua ma si potrà presumere il grado di incoerenza del contribuente, proiettando lo scostamento registrato nel singolo giorno su tutto l'imponibile.
Diverso il caso dei possessori di auto di extralusso identificati nel medesimo blitz: non battere uno scontrino è sempre illegittimo, detenere in proprietà una fuoriserie no, ma certo se ci si presenta al Fisco con una dichiarazione dei redditi inferiore a 30mila euro mentre si posseggono vetture che valgono cifre a cinque zeri il sospetto è legittimo e nel caso sembra riguardi un possessore su tre tra quelli identificati.
In questo caso scatta il cosiddetto accertamento sintetico: il Fisco presume sulla base del tenore di vita del contribuente (l'auto è solo uno degli aspetti) quale può essere il reddito congruo; tocca al contribuente dimostrare che ha i mezzi per permettersi ugualmente le spese che fa. Se è in grado di farlo può sfuggire alle pretese del Fisco. Può capitare ad esempio di aver ereditato una casa e di averla ceduta: il valore rilevante ai fini fiscali non è quello effettivo di vendita ma quello catastale. Se il contribuente ha avuto l'accortezza di dichiarare nel rogito anche la cifra reale può giustificarsi e farla franca.
Se il caso delle fuoriserie da milionari riguarda pochi fortunati, una ben più vasta platea di contribuenti potrebbe incappare nell'accertamento sintetico con la grande mole di informazioni finanziarie che il Fisco sarà in grado di elaborare. Uno strumento fondamentale per capire fino a che punto si è a rischio è il nuovo redditometro, che sarà presentato ufficialmente nelle prossime settimane e servirà di supporto per la prossima dichiarazione dei redditi. Di questo nuovo strumento si sa quasi tutto (il software, denominato reddiTest, è liberamente scaricabile sul sito www.agenziaentrate.gov.it) tranne la cosa più importante: come verranno pesate le varie voci e a quali risultati porteranno.
Il programma prevede 100 tipologie di entrata e di uscita, suddivise in sette macrocategorie: l'abitazione (entrano nel computo le spese per le utenze, il mutuo e l'affitto) i mezzi di trasporto, le assicurazioni e i contributi previdenziali, ma anche le spese per l'istruzione, le attività sportive e ricreative (come la palestra e la pay tv) e per la cura delle persone, gli investimenti immobiliari e finanziari (sia gli acquisti sia le dismissioni). Il risultato finale dipenderà anche dalla ampiezza del nucleo familiare, dall'ubicazione degli immobili, dall'attività lavorativa svolta. L'Agenzia delle entrate, una volta abbattuta di fatto la possibilità di transare per contanti su importi significativi, potrà disporre autonomamente di tutti i dati finanziari oggetto del redditometro: il contribuente con il software potrà controllare se corre il rischio di essere messo sotto la lente di ingrandimento del Fisco, cosa che potrà avvenire se risulta uno scostamento significativo tra reddito presumibile e reddito dichiarato. Anche se beninteso la congruità con il redditometro non mette al riparo da accertamento e relative sanzioni se si sono occultati redditi.
Certo le sorprese non mancheranno: dagli ultimi dati disponibili (quello relativi alle dichiarazioni Irpef del 2010, di cui diamo in tabella un estratto) si evidenzia che per il Fisco siamo un popolo allo stremo, con redditi imponibili medi di 19.030 euro. Poco più alto il guadagno dei lavoratori dipendenti, che arrivano a 19.790 euro. Il luogo comune per cui gli autonomi guadagnano meno dei loro dipendenti non trova riscontro nei dati dell'Agenzia del Territorio, che segnala come i professionisti dichiarino in media 42mila euro all'anno. Sopra i 70 mila euro all'anno (che, lo ricordiamo significano circa 4000 euro netti al mese, certo non un introito da nababbo) ci sono meno del 3% dei contribuenti. C'è da dire però che da soli pagano più di un quarto del totale dell'Irpef.
Gino Pagliuca

I patrimoni italiani in poche mani quasi la metà al 10% delle famiglie
Come sono distribuiti immobili e titoli. In media in portafoglio 1,6 milioni, 22 volte di più dei ceti popolari. Le abitazioni continuano a fare la parte del leone con un valore di 5 miliardi di euro. Negli ultimi anni è affondata la classe media e sono cresciute le proprietà di imprenditori e commercianti. I cittadini hanno tra risparmi e ricchezza 8.600 miliardi, pari a quattro volte il debito pubblico
 di MAURIZIO RICCI
Tosate i ricchi!. Con le pensioni, l'appello ad una severa imposta patrimoniale è stato uno dei temi più dibattuti in questi mesi, suscitando passioni che sembravano scomparse dalla scena politica, fino a indurre anche parecchie vittime potenziali della tassa a rivendicarne l'attuazione.
La crisi ha, infatti, messo a nudo un rancore crescente verso l'ineguaglianza sociale e verso il paradosso che vede l'Italia come uno dei paesi più ricchi del mondo, senza che questo venga riconosciuto nell'esperienza quotidiana. Un paese ricco, abitato da poveri, si è detto. Per sciogliere il paradosso, bisogna rispondere a due domande. Quanti sono i ricchi, in Italia? E quanto sono ricchi?

PORTAFOGLIO GONFIO
La risposta è che una delle duecentomila famiglie di straricchi, in Italia, ha, in media, un patrimonio che vale 65 volte quello di cui dispone una qualsiasi della maggioranza delle famiglie italiane. In termini statistici complessivi, non sembra una gran novità: l'Italia era un paese più egualitario negli anni '70 e '80, ma, dai primi anni '90, è andata avvicinandosi agli squilibri sociali tipici di paesi come Usa e Gran Bretagna. Negli ultimi vent'anni, tuttavia, la situazione è rimasta, più o meno, stabile. Questo, però, è uno dei tanti miraggi delle statistiche. Due fattori hanno profondamente modificato, in quantità e qualità, la piramide sociale italiana. Il primo è che, avvertono gli studi della Banca d'Italia, si è aperta  una spaccatura verticale: un travaso progressivo di ricchezza, dai lavoratori dipendenti agli autonomi: imprenditori, liberi professionisti, commercianti. Il secondo è il lungo ristagno dei redditi, che ha svuotato e affondato i ceti medi. Quando si sono accorti di non essere affatto sulla strada per diventare ricchi, anche nei ceti medi si è risvegliata l'insofferenza verso gli squilibri sociali.

QUATTRO VOLTE IL DEBITO
Secondo le indagini della Banca d'Italia, la ricchezza netta degli italiani (tolti, cioè, mutui e prestiti) era pari, nel 2010, a 8.640 miliardi di euro. Una cifra imponente, pari ad oltre quattro volte la montagna del debito pubblico. In media, significa una ricchezza di poco inferiore a 400 mila euro, per ognuna dei 24 milioni di famiglie italiane. Ma, naturalmente, quei 400 mila euro sono il consueto miraggio statistico. Il 50 per cento delle famiglie italiane possiede, infatti, dice sempre Via Nazionale, meno del 10 per cento di tutta quella ricchezza. Ovvero, 12 milioni di famiglie si spartiscono, in realtà, un patrimonio di non più di 860 miliardi di euro. Questi 12 milioni di famiglie più povere costituiscono quelli che i sociologi di una volta avrebbero definito ceti popolari. Un termine che, con il progressivo svanire di operai e contadini, è diventato sempre più sfuggente e che, oggi, probabilmente, comprende soprattutto impiegati, insegnanti e la massa dei precari. In media, la ricchezza di ognuna di queste famiglie è di 72 mila euro in tutto, al netto di mutui e prestiti, ma casa e risparmi compresi.
L'altra metà degli italiani ha, invece, le mani su quasi 8 mila miliardi di euro. Ma non è così che va vista la divisione della torta. Al di sopra dei ceti popolari e dei ceti medi in via di affondamento ci sono, elaborando i dati della Banca d'Italia, quelli che possiamo chiamare ceti medi benestanti. Circa 9 milioni 600 mila famiglie, il 40 per cento del totale, che controlla il 45 per cento della ricchezza italiana: 3 miliardi 880 milioni di euro. In media, ognuna di queste famiglie benestanti ha un patrimonio, fra case e investimenti finanziari, pari a 405 mila euro.

AL VERTICE DELLA PIRAMIDE
Da qui in su, si entra nel mondo dei ricchi. Il 10 per cento delle famiglie italiane, cioè circa 2 milioni 400 mila famiglie, controlla il 45 per cento dell'intera ricchezza nazionale. Quanto 10 milioni di famiglie benestanti e oltre quattro volte quello di cui dispone la metà meno fortunata del paese. Sono gli altri 3 miliardi 880 milioni di euro di ricchezza che ancora mancavano al totale. In media, ognuna di queste famiglie ricche ha un patrimonio di 1 milione 620 mila euro, oltre 22 volte la ricchezza di quella metà d'Italia che sono le famiglie dei ceti popolari.
Ma sono davvero questi i ricchi italiani? O ci sono anche gli straricchi? La risposta è che gli straricchi ci sono, sono pochi, ma hanno abbastanza soldi da modificare profondamente la mappa sociale del paese. Proviamo, infatti, a togliere l'1 per cento di famiglie più ricche - gli straricchi - dal plotone del 10 per cento di ricchi. Il 9 per cento di ricchi che è quasi in cima, ma non ci arriva, corrisponde a 2 milioni 160 mila famiglie. Il loro patrimonio complessivo è pari a 2.765 miliardi di euro, un terzo della ricchezza nazionale. In media, ognuna di loro dispone di un solido patrimonio, pari a 1 milione 280 mila euro.
Infine, l'1 per cento di straricchi: meno di 240 mila famiglie. Fa capo a loro il 13 per cento dell'intera ricchezza italiana, ovvero oltre 1.120 miliardi di euro, almeno quelli rintracciabili nel catasto e nelle banche nazionali. In media, ognuna di queste famiglie straricche dispone di un patrimonio di poco inferiore a 4 milioni 700 mila euro.
Non basta, insomma, essere un paese in cui l'80 per cento delle famiglie è proprietaria della casa in cui vive per riequilibrare la piramide rovesciata della ricchezza nazionale. Del resto, le abitazioni (che, nelle indagini della Banca d'Italia, vengono valutate a prezzo di mercato) costituiscono la parte maggiore della ricchezza nazionale, ma non di molto: quasi 5 miliardi di euro su un totale di 8.640 miliardi. Una eventuale patrimoniale sui soli grandi patrimoni immobiliari escluderebbe quasi 3.600 miliardi di euro di investimenti finanziari che, si deduce dalle indagini a campione di Via Nazionale, sono più comuni e frequenti, man mano che si sale nella scala della ricchezza. I dati disponibili non consentono di ripartire questi investimenti fra benestanti, ricchi e straricchi. Permettono, però, di abbozzarne una geografia, anche se monca: i dati si riferiscono a quanto è depositato e investito presso banche italiane. Di quanto si trova in Svizzera o in Lussemburgo, sappiamo molto poco.

NEI FORZIERI BANCARI
Ci sono, dunque, quasi mille miliardi di euro depositati nei conti presso le poste o le banche italiane. Non si tratta solo di soldi parcheggiati per le piccole necessità quotidiane. Il 30 per cento di quei mille miliardi - esattamente 276 miliardi di euro - è depositato in conti fra i 50 mila e i 250 mila euro. Un altro 13 per cento, circa 120 miliardi di euro, si trova in conti che superano i 250 mila euro. Chi tiene tutti questi soldi in banca? Non lo sappiamo. Al massimo, dice l'aritmetica, mezzo milione di persone ha un conto in banca almeno di 250 mila euro. Probabilmente, sono assai di meno. Se, per pura ipotesi, supponessimo che ne sono titolari le 240 mila famiglie straricche, ne ricaveremmo che ognuna di loro ha, in media, mezzo milione di euro sul conto in banca.
Poi ci sono i titoli. Fra azioni, obbligazioni e fondi comuni, ci sono oltre 1.500 miliardi di euro depositati nei conti titoli delle banche italiane. Un terzo è piccolo risparmio, cioè conti titoli inferiori a 50 mila euro. Un altro terzo, è risparmio, per così dire, benestante: titoli fra i 50 mila e i 250 mila euro. Poi ci sono 150 miliardi di euro, investiti in titoli per 250-500 mila euro. Il risparmio, probabilmente, si ferma qui. Il resto è investimento ed è un salto: 300 miliardi di euro in conti titoli superiori a 500 mila euro. Roba da straricchi.
(08 gennaio 2012)

Milano, padania. Imprese straniere a Milano crescono
Filadelfo Scamporrino - 8 gennaio 2012
Nei primi tre giorni del 2012 a Milano si viaggia al ritmo giornaliero di 26 nuove attività imprenditoriali. A rilevarlo è stata la Camera di Commercio di Milano in accordo con un’elaborazione da cui è emerso come le prime imprese iscritte nel nuovo anno a Milano siano cinesi; l‘iscrizione, per via telematica, è avvenuta proprio il primo dell’anno, e riguarda un commerciante di scarpe, abbigliamento e bigiotteria, ed un bar con titolare cinese. Su un totale di 78 nuove imprese nei primi tre giorni del 2012 a Milano, ben 15 sono a titolare straniero e così composte in accordo con quanto recita una nota dell’Ente camerale: sette nuove imprese con titolare cinese, due americani, due egiziani, un peruviano, un imprenditore bulgaro, uno nigeriano ed uno turco.
Nei primi tre giorni del 2012 a Milano è stata rilevata una buona percentuale di nuove imprese con titolare o con rappresentante il gentil sesso; la percentuale di donne è infatti al 33%, corrispondente a 26 nuove attività imprenditoriali su un totale di 78.
E riferendoci ai soli nuovi imprenditori cinesi a Milano, oltre la metà sono rappresentati da donne. Il 19% sono giovani, ma tra i soli titolari stranieri la percentuale balza al 50% di nuovi imprenditori sotto la soglia di età dei 30 anni. Ma in quali settori scommettono su se stessi a Milano gli imprenditori italiani e stranieri con il nuovo anno? Ebbene, al riguardo la Camera di Commercio di Milano rivela come le nuove attività spazino dai francobolli su internet ai trasporti ed alla logistica, e passando per gli impiantisti, venditori di kekab, servizi immobiliari e commercianti di abbigliamento.

Cameron: "Mi opporrò a Tobin tax"
Francia, Germania e Italia da sole
Per il premier britannico: "Se i francesi vogliono introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie nel loro Paese sono liberi di farlo". Berlino punta a ottenere l'introduzione dell'imposta a livello europeo e anche per il premier Mario Monti "sarebbe necessario che i Paesi non vadano avanti da soli"
LONDRA - Il premier inglese David Cameron bloccherà una Tobin tax europea. E che la Francia "faccia come vuole". Nell'intervista alla Bbc Cameron è stato netto: "Se i francesi vogliono introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie nel loro Paese dovrebbero essere liberi di farlo. Ma l'idea di una nuova tassa europea, quando quella stessa tassa non verrà introdotta in altri luoghi, non penso sia logica e la bloccherò".
Il premier inglese ha aggiunto che "in realtà una tassa sulle transazione in Gran Bretagna esiste già e abbiamo uno dei mercati più competitivi e di successo". Una tassa solo europea dunque "ci costerebbe posti di lavoro e gettito fiscale, sarebbe nefasta per tutto il continente da cui vedremmo andarsene moltissime aziende finanziarie" ha avvertito Cameron, ribadendo così ancora una volta la sua posizione di distacco dall'Europa. "Io mi opporrò, a meno che il resto del mondo decida in tempi brevi di adottare una tassa simile".
Ma sulla Tobin Tax, idea fortemente spinta dalla Francia nonostante le resistenze inglesi, Sarkozy non si ferma 1. Parigi è intenzionata ad andare avanti anche da sola, forse già entro febbraio come ha reso noto il sottosegretario per l'edilizia popolare, Benpoit Apparu, intervistato dall'emittente francese Radio J. L'ipotesi era già stata respinta da paris europlace,  organizzazione che rappresenta le piazze finanziarie francesi, contraria al varo di una "tobin tax" se questa nascesse da un'iniziativa unilaterale di parigi e non fosse adottata in sede europea: "non è certo perché i finanzieri dicono di non voler essere tassati che li ascolteremo, non è affatto illogico ed è in ogni caso morale che le piazze finanziarie debbano contribuire all'uscita dalla crisi", ha ribattuto apparu.
Intanto la Germania punta però a ottenere un'introduzione dell'imposta a livello europeo e anche per il premier Mario Monti 2 "sarebbe necessario che i Paesi non vadano avanti da soli nell'applicazione della tassa". Sulla Tobin tax esiste una proposta della Commissione europea entro il 2014 per un incasso di circa 50 miliardi di euro. Contro il progetto si oppongono, oltre la Gran Bretagna, anche Svezia e Malta.
La posizione di veto portata avanti da Cameron lo ha fatto risalire nei sondaggi ed è appoggiata dagli euroscettici del partito Conservatore, ma delude e allontana i suoi partner pro-Europa, tra cui i Liberali democratici il cui leader, Nick Clegg, ha già organizzato un incontro lunedì a Londra per cercare di ricucire la situazione con l'Unione europea.
(08 gennaio 2012)

Ticino. Muri solidi e muri fluidi
di Silvano Toppi - 01/05/2012
Tiriamo su un muro e il problema è risolto. Sembra una battuta di scarso spirito, ma è sempre più una strategia politica suggerita o applicata. Un muro solido, di pietre o cemento oppure fluido di ritorsioni e ricatti.
Nel primo caso è voluto come difesa da una minaccia fisica, da qualcuno o da qualcosa, nel secondo caso come ipotesi d’uscita da una situazione intollerabile o di crisi causata da altri.
“La storia è piena di muri in rovina”, ha scritto uno storico-giurista francese parlando dei muri solidi (Jean-Marc Sorel,Les Murs et le Droit international, ed. Pedon).
È vero, ma non sono passati di moda se si pensa a quanto è stato costruito negli ultimi dieci anni, dopo il crollo del muro di Berlino. Il geografo Foucher, tra muri “politici” esistenti e progetti in corso, ci dà una somma di 18 mila chilometri, sessanta volte la distanza tra Chiasso e Basilea.
Nel Telegiornale della Rsi, che ha avuto la buona idea di assegnare ad alcuni nostri registi una loro “prospettiva di fine anno”, Bruno Soldini, non senza humour, ha raccontato l’idea che lo scorso anno ha avuto successo politico-elettorale, quella di «tirar su un muro» (Bignasca) che separi Ticino e Italia per difenderci dall’invasione di uomini dal sud, richiedenti l’asilo, clandestini, frontalieri, criminali. Soldini ha mostrato esempi internazionali, come il muro innalzato dagli Stati Uniti per difendersi dall’immigrazione clandestina messicana (65 chilometri, in parte costruiti con i materiali provenienti dalla guerra del Golfo del 1991).
Poteva anche portare altri esempi, come il muro che separa Israele dalla Palestina (4,5 milioni di franchi al chilometro), la barriera elettrificata che nel Kashmir separa l’India dal Pakistan (65 mila franchi al chilometro), la linea Attila a Cipro per separare turchi e greci, gli innumerevoli muri a Baghdad per evitare i contatti tra sciiti e sunniti… Soldini ha quindi computato uno studio di ingegneria: un muro prefabbricato alto 6 metri per mettere al sicuro il Ticino sulla lunghezza di 250 chilometri di frontiera costerebbe 750 milioni di franchi. Se poi volessimo pensare ad una variante tipo Muraglia Cinese per promuovere pure un trekking sui camminamenti, risollevando le sorti turistiche del Ticino, due miliardi e mezzo di franchi non basterebbero ma, soprattutto, dovremmo ricorrere a un esercito di frontalieri o immigrati per costruirlo.
Osare di fronte a certa politichetta
Raffrontare in pochi minuti alcune realtà mondiali alla piccola realtà ticinese è un colpo da maestro poiché si dimostra contemporaneamente l’assurdità delle prime e la ridicolaggine cui può portare certa politichetta nostrana. La quale ottiene però consenso perché nessuno osa, nella comunicazione, riportarla dall’immaginazione sparata che ha una sua efficacia elettorale alla banale ipotesi di concretezza che la demolisce. Proprio come ha fatto Soldini.
Lo storico-giurista che ho citato all’inizio, commenta: «I muri denotano piuttosto l’impotenza dell’‘immurante’ (emmureur) a dominare l’avvenire e l’ossessione a evitare l’estraneo chiudendosi in se stesso». Come la storia insegna, «i muri della separazione, persino in funzione ideologica (basterebbe pensare al muro di Berlino), dell’esclusione, dell’apartheid, dell’umiliazione, delle lacrime non hanno mai risolto niente».
Il muro del denaro
C’è anche il «muro del denaro», come quello di Wall Street che deve il suo nome proprio a un muro eretto dai primi coloni per difendersi dagli animali selvaggi e dagli Indiani. Oggi la difesa andrebbe ovviamente rovesciata ma qui nessuno ne parla.
Nel Ticino non si vogliono erigere muri solidi contro i capitali in fuga che arrivano nelle nostre banche. Si è però passati all’altro tipo di muro, quello fluido, costruito con ritorsione e ricatti, che ha assunto valore istituzionale perché approvato dal Consiglio di Stato e tollerato dal Consiglio federale.
Forse proprio per questo motivo qui si inserisce un paradosso alquanto comico e sottaciuto. Con quel muro (il blocco del ristorno fiscale dei frontalieri) si voleva indurre Roma a più miti giudizi sulla Svizzera paradiso fiscale e sul Ticino peggiore delle isole Cayman (Tremonti), proponendo un conclamato accordo. Il muro fluido non ha smosso un gran che e finora non c’è ombra di intesa.
Meglio così, si potrebbe dire (qui sta il paradosso comico), in quanto è fatto certo che forse mai come ora sono affluiti tanti capitali (cento miliardi?) dall’Italia nelle banche svizzere e ticinesi. Tanto è vero che sono riapparsi i “muri” fluidi dall’altra parte della frontiera, i “fiscovelox”.
Conta più la storia e i muri non riescono a contrastarla: in fondo, le disgrazie italiane ci hanno sempre giovato.

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