di Nouriel Roubini e Stephen Mihm - 05/23/2011
Nouriel Roubini e Stephen Mihm sono co-autori di Crisis Economics: A Crash Course in the Future of Finance, recentemente pubblicato in edizione economica negli Usa e nel Regno Unito.
I paesi noti come PIIGS – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – sono sempre più schiacciati dal peso insostenibile del debito pubblico e privato. Non avendo più accesso al mercato, i paesi maggiormente colpiti – Portogallo, Irlanda e Grecia – hanno fatto ricorso ai piani di salvataggio finanziati dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale, ma ciononostante nelle ultime settimane i loro costi di indebitamento sono schizzati a livelli record. E lo stesso vale ora per la Spagna.
La Grecia è ovviamente insolvente. Nonostante il rigoroso pacchetto di austerità, pari al 10% del Pil, il suo debito pubblico è salito al 160% del Pil. Il Portogallo registra una crescita stagnante da un decennio e ora vive un disastro fiscale che sta lentamente consumando il paese e che lo porterà dritto a un’insolvenza del settore pubblico. L’Irlanda e la Spagna, che stanno trasferendo le ingenti perdite dal sistema bancario al bilancio del governo – alle prese con un debito pubblico in escalation – alla fine incorreranno in un’insolvenza sovrana.
L’intervento ufficiale, il Piano A, è stato quello di fingere che il problema di queste economie fosse una carenza di liquidità e non una crisi di solvibilità, e che la prospettiva dei prestiti di salvataggio, a braccetto con l’austerità fiscale e le riforme strutturali, potesse ripristinare la sostenibilità debitoria e l’accesso al mercato. Questo approccio del tipo “concedere e fingere” o “prestare e pregare” è destinato a fallire, perché sfortunatamente gran parte delle opzioni utilizzate in passato dai paesi indebitati per districarsi dall’eccessivo debito non è realizzabile.
La tradizionale soluzione di stampare moneta e scampare al debito ricorrendo all’inflazione, ad esempio, non è praticabile per i PIIGS, intrappolati nella camicia di forza dell’Eurozona. L’unica istituzione che è in grado di mettere in moto la macchina per stampare moneta, la Banca centrale europea, non farà mai ricorso alla monetizzazione dei deficit fiscali.
Non possiamo nemmeno aspettarci che a salvare questi paesi sia una rapida crescita del Pil. Il peso debitorio dei PIIGS è talmente elevato da rendere quasi impossibile una robusta performance economica. Per di più, qualsiasi crescita economica venga mai registrata nei paesi in questione è vincolata all’attuazione di riforme politicamente impopolari che funzioneranno solo a lungo andare – causando una certa sofferenza nell’immediato futuro.
Per rilanciare la crescita, questi paesi devono riguadagnare competitività attuando un reale deprezzamento delle loro valute, trasformando i deficit commerciali in surplus. Un euro in salita – spinto in alto dalla prematura stretta monetaria della Bce – implica al contrario un maggiore apprezzamento, che andrebbe a minare ulteriormente la competitività.
La soluzione tedesca a questo enigma – mantenere l’incremento dei salari al di sotto della crescita di produttività, riducendo i costi del lavoro per unità – ha atteso oltre un decennio prima di vedere dei risultati. Se i PIIGS iniziassero oggi questo processo, i benefici arriverebbero troppo tardi per poter ripristinare competitività e crescita.
L’ultima opzione, che prevede la deflazione di salari e prezzi per ridurre i costi, ottenere una reale svalutazione della moneta e rilanciare la competitività, porterebbe ad una recessione sempre più grave. La svalutazione necessaria per ripristinare il saldo con l’estero farebbe salire vertiginosamente il reale valore dei debiti europei, rendendoli ancor più insostenibili.
Abbassare i consumi privati e pubblici per incentivare i risparmi privati, e mettere in atto l’austerità fiscale per ridurre i debiti privati e pubblici non sono opzioni contemplate. Il settore privato può spendere meno e risparmiare di più, ma ciò implicherebbe un costo immediato, noto come il paradosso della parsimonia di Keynes: una produzione economica in calo e un aumento del debito rispetto al Pil. Secondo studi recenti, condotti dal Fmi e da altri enti, l’aumento delle tasse, i tagli ai sussidi e la riduzione della spesa governativa (anche della spesa inefficiente) soffocherebbero la crescita nel breve periodo, esacerbando il problema debitorio.
Se i PIIGS non riusciranno a sfruttare l’inflazione, a crescere, a svalutare la propria moneta o a risparmiare per trovare una via di uscita ai propri problemi, il Piano A fallirà miseramente. L’unica alternativa è quella di passare rapidamente al Piano B, che prevede una sistematica ristrutturazione e riduzione dei debiti relativi ai governi, alle famiglie e alle banche di questi paesi.
Sono diverse le strade percorribili a tal scopo. Si potrebbe effettuare una riprogrammazione metodica dei debiti pubblici dei PIIGS senza ridurre effettivamente la somma di capitale dovuto. Ciò implica una proroga delle date di scadenza dei debiti e una riduzione del tasso di interesse sul nuovo debito a livelli nettamente inferiori rispetto agli odierni tassi di mercato che sono insostenibili. Tale situazione limita il rischio di contagio e le perdite potenziali in cui potrebbero incorrere gli istituti finanziari a fronte di una riduzione del valore corrispondente al capitale debitorio.
I policymaker dovrebbero altresì tenere conto delle manovre innovative utilizzate negli anni 80 e 90 per sostenere i paesi in via di sviluppo schiacciati dai debiti. I possessori di bond, ad esempio, potrebbero essere incoraggiati a convertire i bond esistenti con bond legati al Pil, che offrono pagamenti ancorati alla futura crescita economica. In effetti, questi strumenti trasformano i creditori in azionisti del sistema economico di un paese, concedendo loro il diritto a una porzione dei profitti futuri di questo paese, riducendone al contempo il peso debitorio.
Ridurre il valore nominale dei mutui e, nel caso di un eventuale aumento dei prezzi delle case nel lungo periodo, concedere un po’ di sollievo alle banche creditrici rappresenta un altro modo di convertire parte del debito ipotecario in azioni. Le obbligazioni bancarie potrebbero essere ridotte e convertite in titoli azionari, per eludere un’acquisizione pubblica degli istituti di credito ed evitare che la socializzazione delle perdite bancarie provochi una crisi del debito sovrano.
L’Europa non può permettersi di buttare via altri soldi nella risoluzione di questi problemi e continuare a pregare affinché la crescita e il tempo portino salvezza. Nessuno discenderà dai cieli, deus ex machina, per salvare il Fmi o l’Ue. I creditori e i possessori di bond che sono prestatori di prima istanza devono sostenere la propria quota di peso debitorio, per il bene dei PIIGS, dell’Ue e per il proprio tornaconto personale.
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