Venezia, padania. Veneti virtuosi e ora la manovra qui taglierà meno
Svizzera. L’accordo Rubik con Roma è più vicino
Svizzera. Uomo vecchio, uomo nuovo
Venezia, padania. Veneti virtuosi e ora la manovra qui taglierà meno
L'ANALISI DELLA LEGA. Un'applicazione del nuovo decreto di Roma
Caner: «Finalmente si riconosce il merito a chi amministra meglio Sono i bellunesi i primi in lista seguiti da trevigiani e vicentini»
17/09/2011
VENEZIA
«Finalmente i nostri Comuni saranno premiati per la loro virtuosità. In provincia di Belluno ci sono le amministrazioni più virtuose: Cortina, Santa Giustina, Ponte nelle Alpi». Lo annuncia un documento del capogruppo della Lega in Consiglio regionale Federico Caner, che applica così la decisione del governo di anticipare dal 2013 al 2012 l'entrata in vigore dei nuovi criteri premiali previsti dalla manovra di luglio appena approvata dal Parlamento. Come aveva già sottolineato il sen. Paolo Franco, i premi agli enti virtuosi favoriscono il Veneto e il Nord.
«Il sacrificio richiesto ai Comuni è significativo - osserva ora Caner - . Tuttavia, con le manovre di quest'anno viene introdotto per la prima volta il concetto di "virtuosità': il concorso alla manovra di ciascun Comune non verrà definito secondo la politica dei 'tagli lineari', ma terrà conto anche di dieci indicatori in grado di delineare la virtuosità di ciascun ente. Ai Comuni che, sulla base dei parametri fissati dal decreto, risulteranno 'virtuosi' non verrà richiesto alcuno sforzo aggiuntivo, che ricadrà invece sui municipi 'non virtuosi'. Secondo le recenti simulazioni dell'Ifel (fondazione dell'Anci) - continua Caner - la manovra per i Comuni richiederà uno sforzo medio che nel 2012 oscillerà tra i 128 e i 136 euro per cittadino. Grazie all'introduzione dei criteri di virtuosità, i sacrifici richiesti ai Comuni veneti saranno inferiori del 13% rispetto alla media nazionale, e di ben il 18% rispetto ai municipi del centro Italia. Inoltre sempre secondo l'Ifel i Comuni del Veneto presentano il terzo importo procapite più basso dopo Puglia e Abruzzo. Ricordo a tal proposito i risultati della ricerca condotta dal mio gruppo consiliare, pubblicata nel dicembre 2010 e relativa alla virtuosità amministrativa dei Comuni italiani: i municipi veneti risultano i più efficienti d'Italia, seguiti dalle amministrazioni pugliesi ed emiliane».
Il decreto convertito in legge dispone che, ai fini della determinazione della manovra di ogni singolo ente, i Comuni vengano raggruppati in quattro classi di virtuosità, da individuarsi sulla base dei parametri stabiliti dal decreto stesso. Spiega Caner: «Abbiamo provato a fare un esercizio esemplificativo relativo alla possibile distribuzione dei Comuni nelle quattro classi di merito, limitatamente ai seguenti indicatori: autonomia finanziaria, capacità di riscossione, equilibrio corrente, spesa per il personale, tasso di copertura dei servizi». Sono così nate quattro classi di virtuosità: alta (il primo 25% del totale); medio-alta (fino al 50% del totale), medio-bassa (fino al 75% del totale) e bassa (il resto).
«Dalle simulazioni effettuate emerge che quasi il 58% dei comuni del Nord si collocherebbe nelle prime due classi di virtuosità. Diversamente, solo il 41% dei municipi meridionali rientrerebbe nelle prime due classi. Per i Comuni veneti, il 29% rientrerebbe nella prima classe di virtuosità ed un ulteriore 28% nella seconda: nel complesso, 57 Comuni veneti su 100 presentano una virtuosità amministrativa superiore alla media».
«A livello regionale, i Comuni più virtuosi sono collocati nella provincia di Belluno (86% nelle prime due classi di virtuosità) - annuncia Caner - seguiti dai municipi veronesi (70%) e dagli enti vicentini (61%). Per quanto concerne i capoluoghi, la loro ampia dimensione demografica tende a penalizzarli. Solo Belluno risulta nella prima classe mentre Rovigo è in seconda». Treviso e Vicenza sono in terza, Padova-Venezia-Verona in quarta.
Svizzera. L’accordo Rubik con Roma è più vicino
I presidenti delle Commissioni Affari esteri e Finanze del Senato hanno incontrato ieri i consiglieri agli Stati ticinesi Filippo Lombardi e Dick Marty. Dal colloquio è emersa una chiara volontà di avviare le trattative per un accordo secondo il modello di quello siglato tra Berna e Berlino. Positive infatti le reazioni da entrambe le parti. In particolare il consigliere agli Stati Filippo Lombardi ha intravisto segnali positivi e la sua impressione è che al ministero di Tremonti si stia muovendo qualcosa verso il modello Rubik.
Svizzera. Uomo vecchio, uomo nuovo
di Fabrizio Eggenschwiler - 09/14/2011
Le strategie dei movimenti populisti che in questi ultimi anni hanno sempre più successo in Europa seguono schemi abbastanza semplici.
Esse partono dal presupposto che i comportamenti degli uomini “medi” sono determinati da sentimenti piuttosto elementari tendenti prevalentemente alla chiusura, all’utile personale, all’egoismo, all’insicurezza, all’ostilità nei confronti di coloro che non appartengono alla propria comunità, all’attaccamento all’indipendenza nazionale e locale, all’opposizione ai processi di apertura e unione sopranazionali. L’azione populista si richiama continuamente, e rumorosamente, a questi sentimenti e ai bisogni che essi esprimono.
Porre freno all’immigrazione di stranieri, trattare con maggiore severità i criminali (identificati per lo più con gli stranieri), rivalutare diritti e privilegi dei cittadini e limitare quelli degli stranieri, favorire il profitto, piccolo o grande che sia, eliminare gli ostacoli che vi si frappongono, diminuire le tasse, svalorizzare la cultura, prendersela con i funzionari pubblici accusati di mangiare lautamente alle spalle del popolo, attaccare con toni da linciaggio morale coloro che fanno ombra all’azione populista ecc.
Questa strategia fa presa sulla popolazione, che tende ad identificarsi in questi propositi – tanto nei contenuti quanto nelle forme “popolaresche” con le quali vengono manifestati – e nei leader che li proclamano.
A quest’ultimo riguardo conta molto il fatto che i leader populisti non abbiano il “physique du rôle” dell’intellettuale e facciano di tutto per distanziarsene, cercando di apparire come membri genuini del popolo. Essi si esprimono come la “gente”, possibilmente peggio, forse come la gente vorrebbe potersi esprimere liberamente, e danno l’impressione di credere visceralmente, di pancia prima che di testa, in ciò che predicano. In tal modo si crea una sorta di circolo (vizioso o virtuoso a seconda dei punti di vista) emozionale tra politici ed elettori, che rinforza sempre di più le comuni convinzioni.
L’uomo reale
In definitiva il populismo fa riferimento all’“uomo vecchio”, tradizionale, popolare, verace, in ogni caso immutabile, con tutti i suoi pregi e difetti, veri o immaginari che siano. Un uomo “reale”, che non ne vuol sapere di diventare “ideale”, buono, generoso, solidale, ecc. Oltre un certo limite questa immagine di uomo reale tende ad essere peggiore del vero uomo medio reale. I sentimenti popolari, reali o indotti che siano, vengono esasperati in un processo in cui l’irrazionalità prende il sopravvento.
Questa “Weltanschauung” populista è sostanzialmente rivolta al passato e non prende in considerazione nessun cambiamento di sostanza dell’uomo, nessun futuro “uomo nuovo”. Essa prevede tra l’altro la costruzione di nemici interni ed esterni: quelli esterni sono evidentemente gli stranieri, quelli interni sono coloro che in un modo o nell’altro sono dalla loro parte.
L’approccio ‘progressista’
Radicalmente diverso è l’approccio dei movimenti progressisti che, storicamente, mettono in conto l’avvento di una “futura umanità”. L’uomo è sempre stato condizionato dal bisogno e dall’oppressione, ma in un futuro di libertà e benessere per tutti nascerà un uomo altruista e solidale, che anteporrà il bene comune a quello personale. Nei sogni più utopici sparisce anche la criminalità (vista come frutto dell’oppressione) e con essa spariranno polizia, tribunali, carceri e quant’altro. Nell’esperienza pratica l’attesa impaziente dell’avverarsi queste rosee aspettative è spesso costellata di turpitudini. L’idea che il cambiamento possa o debba essere indotto mediante interventi “educativi” appropriati apre la porta alla violenza, dalla repressione dei “kulaki” alle purghe staliniane, dai campi di “rieducazione” alla “ruralizzazione” di Pol Pot.
In fondo, una sottile traccia del filo di tale intolleranza utopistica la si può ritrovare anche negli atteggiamenti “politically correct” tipici delle società liberali avanzate. L’intellettuale progressista tende a calare lezioni dall’alto e a guardare con sufficienza e larvato disprezzo coloro che non capiscono e non si danno da fare a migliorare in vista della nascita dell’uomo nuovo. Ora, questa impostazione incontra limiti che tendono a restringersi, in termini di favori elettorali, sia per una “naturale” resistenza all’indottrinamento, sia per la mancanza di credibilità conseguente alle divisioni, alle rivalità personali, alle lotte di potere che devastano le sfere dirigenti dei movimenti in questione: vizi privati e pubbliche virtù insomma.
La gente tende a preferire la manipolazione “casereccia” populista alle “chiacchiere” e prediche progressiste. Meglio essere ciò che si è, o si crede di essere, e poterne essere orgogliosi.
L’errore della sinistra
In fondo uno degli errori della sinistra è quello di negare certe realtà comportamentali umane, che l’“etologia umana” (vedi Konrad Lorenz e Irenäeus Eibl-Eibesfeldt) ha messo in rilievo. Prendiamo ad esempio la questione dell’immigrazione degli stranieri, uno dei cavalli di battaglia del populismo europeo, oggetto della recente iniziativa dell’Udc “Stop all’immigrazione di massa”.
Ogni comunità umana tende a proteggersi dagli elementi estranei, sviluppando sentimenti di paura, diffidenza, ostilità. Almeno in parte queste reazioni sono motivate dal fatto che, inevitabilmente, gli stranieri immigrati si appropriano di beni e risorse della comunità. È vero che essi producono beni e risorse con il loro lavoro, ma è chiaro che il calcolo degli “indigeni” tende condizionare l’afflusso di stranieri al fatto che ciò che producono (anche in materia di beni culturali in senso lato) sia superiore a ciò che consumano.
Insomma, stranieri sì, ma a condizione che li si possa sfruttare, che il loro afflusso sia controllato e limitato e che non godano degli stessi diritti dei cittadini.
Questa realtà deve essere prima di tutto riconosciuta, cosa che la sinistra ha molta difficoltà a fare. Compiuto questo passo, si può scegliere la via populista, cioè speculare su quella tendenza, esasperarla, utilizzarla per ottenere voti e per sviare l’attenzione da altri aspetti (ad esempio l’interesse degli imprenditori a sostituire manodopera straniera a basso costo e non organizzata sindacalmente a quella svizzera).
L’altra possibilità di lavoro politico potrebbe essere quella di prendere in considerazione, come parti integranti di un’unità funzionale dei comportamenti umani innati, tanto le tendenze aggressive ed espulsive, quanto quelle sociative ed inclusive. “Comportamento aggressivo e comportamento altruistico sono programmati attraverso adattamenti filogenetici… gli impulsi aggressivi dell’uomo vengono controbilanciati da inclinazioni alla socievolezza e al soccorso reciproco altrettanto profondamente radicate” (Irenäus Eibl-Eibesfeldt, Amore e odio, Adelphi, pag.19).
Il populismo lavora soltanto sull’aggressività e l’esclusione. O meglio, lavora anche sulle predisposizioni amichevoli, ma all’interno delle relazione tra leader e seguaci, alimentando una fedeltà acritica al capo che, potenzialmente, può avere conseguenze nefaste.
Nessun commento:
Posta un commento