mercoledì 5 ottobre 2011

Federali.mattina_5.10.11. Dato che oltre metà delle misure di consolidamento fiscale sono basate su un aumento delle entrate - sottolinea Moody's - i piani sono vulnerabili rispetto all'elevato livello di incertezza sulla crescita economica in Italia e nel resto dell'Ue». «Inoltre - prosegue la nota - può essere difficile raggiungere un consenso politico su tagli alla spesa aggiuntivi.----Pierluigi Magnaschi: I soldi bisogna meritarseli. Meglio se li si è sudati. Solo così vengono trattati con discrezione, prudenza e rispetto. Nella mia vita professionale ho lavorato con molti editori. E molti altri li ho visti in azione. Ma i peggiori (e i più dannosi per sé e per gli altri) sono sempre stati gli editori boccaloni che dicevano ai loro giornalisti: Non esiste il problema dei soldi.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Prezzo del latte: nulla di fatto E il comparto è vicino al crollo
L'eccesso di fondi pubblici rovina delle intere città
Moody's declassa l'Italia: rating A2


LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Prezzo del latte: nulla di fatto E il comparto è vicino al crollo
05.10.2011
Cagliari, fallisce l’incontro tra industriali e produttori voluto da Oscar Cherchi UMBERTO AIME CAGLIARI. L’assessore all’agricoltura, Oscar Cherchi, le ha provate davvero tutte. Quando ieri con coraggio, ha lasciato persino le porte aperte, si è messo in mezzo fra gli industriali e le associazioni degli allevatori, i due gruppi si odiano, per farli trattare - o meglio ragionare - sul prezzo del latte. Non c’è stato nulla da fare, dopo poche ore quel tavolo si è sbriciolato. C’era qualche speranza di trovare un accordo, invece è stato muro contro muro. L’Assolatte (con Pierluigi Pinna e Fausto Marri), insieme alla Confindustria (Antonello Argiolas e Maria Cristina Rivara) sin dall’inizio ha tirato su le barricate, con una dichiarazione secca, in premessa: «Sia chiaro, il prezzo non lo decidono i tavoli tecnici e mai nessuno riuscirà ad imporlo da dentro quattro mura. Da sempre a stabilirlo è il mercato e continuerà a essere così». Su questa legge economica, che ha preso subito la consistenza della muraglia, sono andati a sbattere uno dopo l’altro Oscar Cherchi, Coldiretti (Marco Scalas e Luca Saba), Confragricoltura (Gigi Picciau e Maurizio Onorato), Copragri (Ignazio Cirronis e Pietro Tandeddu), Cia (Martino Scanu, Francesco Erbì e Velio Ortu) e anche le cooperative, nelle versioni Lega, Confederazione e Agci. Anzi, ogni approccio fra le parti ha rischiato più volte di trasformarsi addirittura in scontri liberi e battibecchi. Che vista la trasparenza della riunione, voluta dall’assessore, questa sì un’ottima scelta, ha reso ancora più evidente quanto siano storiche e insanabili le spaccature fra i produttori di latte e chi col latte produce il Pecorino Romano. Soltanto in una circostanza, associazioni e industriali si sono trovati d’accordo: è stato quando, seppure con molte differenze finali, hanno detto che «questo settore è tutto sul baratro». Lo sono i produttori, prigionieri come sono di quei sessanta centesimi (il prezzo attuale del latte) che per loro significa una sola brutale verità: lavorano in perdita. Ma prigionieri dello stesso mercato lo sono anche gli industriali: il listino del Pecorino continua ad andare a picco in America, la piazza di riferimento, e le loro aziende cominciano a vacillare: sì, hanno paura. Ecco perché entrambi da tempo sono alla ricerca disperata di correttivi. Irraggiungibili, anche ieri. È stato soprattutto quando le associazioni hanno chiesto alla controparte di seguire il tracciato dell’accordo del 2005, l’ultimo agli atti, che stabiliva diversi criteri oggettivi (dai costi di produzione alla qualità del prodotto) necessari per ricalcolare il prezzo della materia prima. «Torniamo a quegli indici o comunque da lì partiamo per capire come mai in Toscana il litro lo pagano un euro, mentre da noi è ancora fermo a sessanta centesimi», è stata la proposta di Maurizio Onorato a nome di tutti gli allevatori. Sono bastati pochi secondi e dall’altro fronte hanno rilanciato il loro primo slogan, a decidere è il mercato, rinforzato da questo secondo concetto: «È la sovraproduzione di latte in Sardegna, è intorno ai quaranta milioni, a far crollare il prezzo. Lasciamo da parte gli indici, non a caso quell’accordo di sei anni fa lo abbiamo disdettato dopo soli tre mesi, perché era ed è impossibile da sostenere. E invece parliamo di quei quaranta milioni che sono la piaga per tutti noi». Due ragionamenti troppo diversi, fino alla virgola, che sono rimasti opposti, anche quando l’assessore ha ripreso in mano il pallino e ha detto: «Sarà tutto vero, ma nessuno può dimenticare che il malessere nelle campagne è ormai così forte da essere diventato un problema di ordine pubblico e il problema non può essere lasciato ancora in balia degli eventi». Neanche il richiamo alla dura realtà, ha smosso gli industriali (irremovibili) e le associazioni, arroccate. Cosa accadrà adesso? Il tavolo tecnico di fatto non esiste già più e a pochi giorni dall’avvio dalla raccolta, continuerà a esserci quello che c’è già: un pericoloso mercato selvaggio. A sessanta centesimi al litro.

L'eccesso di fondi pubblici rovina delle intere città
 di Pierluigi Magnaschi  
I soldi bisogna meritarseli. Meglio se li si è sudati. Solo così vengono trattati con discrezione, prudenza e rispetto. Nella mia vita professionale ho lavorato con molti editori. E molti altri li ho visti in azione. Ma i peggiori (e i più dannosi per sé e per gli altri) sono sempre stati gli editori boccaloni che dicevano ai loro giornalisti: «Non esiste il problema dei soldi». Perché, se il problema dei soldi non esiste, vuol dire che ben presto si farà sentire. E nel peggiore dei modi. Ho pensato a questi fatti andando a dare un'occhiata a Parma, una cittadina che adoro anche se, essendo fuori dai miei giri e dai miei interessi, non la visitavo da almeno un decennio. Parma era un città elegante, con palazzi austeri dipinti in rosso pompeiano, giardini imponenti ma anche non esibiti, straduzze del centro sulle quali ti attenderesti di incontrare Cesare Zavattini in bicicletta col tabarro, librerie preziose immerse nella penombra, bar ospitali. Insomma, una città a misura d'uomo. Ci sono tornato senza pregiudizi, per vedere che cosa era successo dopo due amministrazioni di centrodestra: quella di Elvio Ubaldi fu faraonica, mentre quella di Pietro Vignali si è rivelata insensata. Il primo (che aveva sconfitto una serie ininterrotta di amministrazioni rosse) si avvalse della riconoscenza di Forza Italia e della borsa del ministro dei trasporti, il parmigiano Pietro Lunardi, che misero a disposizione cifre da dare la trebisonda. La prima opera faraonica fu la nuova sede del Comune. Un falansterio enorme, anonimo e incongruo. Che sa di Manhattan e non di Franco Maria Ricci. Poi, siccome i soldi pubblici continuavano ad affluire, Parma, che è una città ciclabile per eccellenza, progettò anche la metropolitana (che, per fortuna, è affogata nei debiti prima di nascere). Per superare il Parma, che ha la portata (e non tutti i mesi) di un canalone della Bassa lodigiana, è stato fatto un ponte che rivaleggia con quello di Brooklyn. Si sa, va di moda Calatrava, l'architetto spagnolo che, con i suoi eccessi (tanto paga Pantalone), ha trovato l'America in Italia. Questo ponte è così assurdo che l'allora presidente dell'Agenzia per l'alimentazione europea, quando, durante l'inaugurazione, gli chiesero che cosa pensava del ponte, disse: «Bellissimo. Peccato che non esista il fiume». La Parma di oggi, indebitata fino al collo, è stata sfigurata dagli eccessi edilizi, che non sono stati perpetrati della speculazione privata ma sono stati promossi addirittura dal Comune che, come il vincitore cialtrone di una mega-lotteria, ha perso la testa, sprecando i soldi di tutti e sfigurando una un tempo splendida città che, adesso, non è più né carne né pesce.

Moody's declassa l'Italia: rating A2
Il governo: «Attesa, stiamo lavorando»
L'agenzia di rating abbassa di tre livelli i titoli di Stato: «La vulnerabilità di questo Paese è aumentata»
MILANO - Bocciatura dell'Italia da parte di Moody's. L'agenzia di rating ha declassato il nostro debito sovrano al livello A2 dall'attuale Aa2. L'outlook, cioè le prospettive, è negativo. Confermato il rating di breve termine Prime-1. Ma per Palazzo Chigi «la scelta di Moody's era attesa». E scrive in una nota: «Il governo italiano sta lavorando con il massimo impegno per centrare gli obiettivi di bilancio pubblico. Quegli stessi obiettivi che sono stati oggi accolti positivamente e approvati dalla Commissione europea». Il messo l'Italia sotto osservazione in vista di un taglio del rating sul debito, con un avvertimento: «Le prospettive di crescita per l'economia del Paese nei prossimi anni saranno decisive per determinare le entrate del governo e gli obiettivi di risanamento».
I MOTIVI - «Sostenuto aumento della suscettibilità del Paese di fronte agli shock finanziari» spiega il downgrade del rating dell'Italia l'agenzia di rating in una nota. È dovuto «in parte ai rischi derivanti dalle incertezze economiche e politiche» che mettono a rischio il raggiungimento da parte del governo degli obiettivi di risanamento del bilancio e «in parte all'aumento dei rischi al ribasso per la crescita economica e all'indebolimento delle prospettive globali», nonchè al generale calo della fiducia nelle emissioni di debito dei paesi dell'eurozona. C'è una crescente incertezza sulla possibilità che il governo italiano riesca a raggiungere gli obiettivi di consolidamento fiscale. «Dato che oltre metà delle misure di consolidamento fiscale sono basate su un aumento delle entrate - sottolinea Moody's - i piani sono vulnerabili rispetto all'elevato livello di incertezza sulla crescita economica in Italia e nel resto dell'Ue». «Inoltre - prosegue la nota - può essere difficile raggiungere un consenso politico su tagli alla spesa aggiuntivi. Di conseguenza, potrebbe essere complesso per il governo generare gli avanzi primari necessari per porre il rapporto tra debito e Pil e il peso degli interessi su un solido trend al ribasso». Moody's prevede che il rapporto tra debito e Pil italiano si attesti al 120% alla fine dell'anno dal 104% calcolato all'inizio della crisi. «Oltre a porre un rischio per la forza finanziaria dell'Italia, il non riuscire a rispettare gli obiettivi fiscali e di debito potrebbe aumentare la suscettibilità del paese a shock sui mercati finanziari» conclude Moody's. E poi conclude: «Il rischio di default dell'Italia è remoto». Ma «la vulnerabilità di questo Paese è aumentata».

STANDARD&POOR'S - Il 20 settembre scorso fu l'agenzia internazionale di rating Standard & Poor's, a sorpresa, a tagliare di un gradino, un «notch» in gergo, il voto sul debito sovrano a breve e a lungo termine dell'Italia portandolo a «A» da «A+» e a «A-1» dal precedente «A-1+» Ora l'«A2» di Moody's pone l'Italia alla pari di Malta e al di sotto di paesi come Slovacchia ed Estonia in termini di affidabilità per i creditori.

BERSANI - Il commento del segretario del Pd, Pierluigi Bersani è duro: «Il declassamento è una mazzata. L'Italia è meglio di quel rating, ma se non c'è un cambiamento la sfiducia rischia di tirarci a fondo».

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