lunedì 12 dicembre 2011

Federali_sera_12.12.11. L’alluvionato padano-veneto e’ meglio di tutti. Franco Gabrielli: La mia preoccupazione è quella di trovare al più presto le risorse per le cinque alluvioni dimenticate, dal Teramano alla Puglia, passando per le Marche. Terre che a nove mesi dalla catastrofe non hanno ancora visto un euro, nel più totale disinteresse del resto del Paese. Francamente non mi sembra che adesso come adesso ci si possa permettere di dare di più a chi finora ha avuto più di tutti. E questo è proprio il caso del Veneto: nessuna, tra le regioni colpite negli ultimi anni da un’alluvione, ha avuto tanto (371 milioni di euro, ndr).----Svizzera, Giuseppe D’Amato: Clamore ha suscitato un’inchiesta giornalistica in cui è emerso che una quantità spropositata di abitanti del più ricco quartiere di Mosca è ormai emigrata all’estero. Le prime a non credere nel futuro della Russia appaiono proprio essere le classi medie e più istruite. Il signor Putin, che quasi sicuramente verrà rieletto al Cremlino, ne dovrà tenere conto.----I sindacati greci, decisamente contrari all'ulteriore taglio e all'abolizione della tredicesima e la quattordicesima, si dicono disposti ad esaminare il loro accorpamento nel reddito dei lavoratori. In piu' respingono l'abolizione degli aumenti previsti dall'accordo collettivo di lavoro e la riduzione dei contributi da parte degli imprenditori, perche', sostengono, tale riduzione peggiorera' la situazione economica degli enti previdenziali.

L'UNIONE SARDA - Economia: Tassa sugli ormeggi, protesta anche la Corsica
2012 nero, gli ordini vanno giù per l'89% delle imprese campane
Veneto, padania. Sconti fiscali, c’è il no di Gabrielli «Il Veneto ha avuto più di tutti»
Il fisco alla guerra dei trent'anni
Crisi: Grecia, la troika torna oggi ad Atene
Svizzera. Salvare l’Europa
Svizzera. I moniti della Piazza



L'UNIONE SARDA - Economia: Tassa sugli ormeggi, protesta anche la Corsica
12.12.2011
Siglato ieri al Nautic di Parigi un accordo tra isole vicine
Se la tassa sugli ormeggi che il governo Monti si appresta a introdurre con la “Manovra” da 30 milioni potrebbe assestare un colpo decisivo al turismo diportistico, l'accordo tra Sardegna e Corsica siglato ieri al 51° Nautic, il Salone nautico internazionale di Parigi, dagli assessori regionali del Turismo della Sardegna, Luigi Crisponi, e della Corsica, Vanina Pieri, potrebbe attenuare gli effetti negativi del provvedimento. La collaborazione fra Sardegna e Corsica punta al turismo sostenibile e alla destagionalizzazione, elementi che segnano in maniera particolare l'andamento dei flussi turistici nelle due regioni. L'accordo prevede, tra le altre attività, la partecipazione congiunta ad alcune fiere di settore, come quelle nautiche, ma anche intese su alcuni segmenti d'eccellenza, come il turismo attivo. L'appuntamento con la stampa francese è stato anche motivo per parlare dell'introduzione della tassa su ormeggio e rimessaggio delle imbarcazioni introdotta dalla manovra varata dal governo: Jean Toma e Vanina Pieri hanno affermato di essere solidali con la Sardegna per «una misura dannosa non solo in Italia ma anche di riflesso per la Corsica, perché il calo di attrattività della Sardegna creerà conseguenze negative anche nell'isola vicina». Contrarietà assoluta alla tassa è stata ribadita con fermezza anche da Crisponi, secondo cui «l'unione delle forze ci permetterà di affrontare con meno preoccupazione gli effetti devastanti che il provvedimento può provocare non solo sulla nautica sarda, ma anche alle attività dell'indotto turistico, commerciale e del piccolo artigianato, dal rimessaggio locale a quello della componentistica e dell'accessoristica navale».

2012 nero, gli ordini vanno giù per l'89% delle imprese campane
L'82% degli imprenditori campani è preoccupato per il 2012 e pensa che la produzione diminuirà. Il dato è stato annunciato ieri a Napoli nell'ambito di «Napoli 2020»
NAPOLI — L'82% degli imprenditori campani è preoccupato per il 2012 e pensa che la produzione diminuirà. Il dato è stato annunciato ieri a Napoli nell'ambito di «Napoli 2020», rassegna sulla Campania e sull'economia del Mediterraneo realizzata dalla Camera di Commercio in collaborazione con il quotidiano il Denaro e inserita nel Giubileo per la città. La ricerca condotta da Ircsia è stata realizzata nei mesi di ottobre e novembre e ha coinvolto 200 imprese della Campania; agli imprenditori sono state poste domande sul futuro e sulle eventuali soluzioni da proporre per risollevare le condizioni economiche e occupazionali della regione. Dallo studio emerge un alto dato preoccupante: per l'89% delle imprese gli ordini interni sono in caduta libera nel 2012 rispetto al 2011; il 22% degli intervistati ha dichiarato un calo di fatturato. Cala anche la fiducia delle imprese nelle istituzioni come Comune e Provincia, mentre il 53,3% degli imprenditori ritiene un ottimo alleato la Camera di Commercio e le associazioni di categoria (46,1%). Una soluzione per il 92% delle imprese potrebbe essere la riduzione generalizzata della pressione fiscale. Unico dato positivo sono le esportazioni: il 45% delle imprese vende sui mercati esteri. «Siamo in crisi, è uno tsunami violentissimo, non è una novità rischiamo moltissimo — spiega il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro — ed è ovvio visti i dati di questa ricerca che il mondo dell'impresa sia preoccupato; una nota positiva è che l'esport va bene e significa che siamo ancora competitivi, dobbiamo lavorare su questo». Caldoro è intervenuto dopo la relazione della moglie, Anna Maria Colao, endocrinologa del II Policlinico. I lavori sono proseguiti con l'interventi del presidente della camera di commecio napoletana Maurizio Maddaloni. «Nessuno sa come uscire dalla crisi. Piccole e medie imprese sono in difficoltà, bisogna aprire ai fondi europei e aiutare le imprese ad accedere al credito. Inutile sottolineare che è necessario il dialogo con il Governo per avviare forme di investimento non assistenziali che possano produrre lavoro e ridurre la pressione fiscale». La ricerca dell'Ircsia ha affrontato altri temi, quello delle richieste agli enti Locali, alle banche e alle università. Gli imprenditori chiedono nel 90% dei casi la riduzione dei tempi di pagamento da parte della pubblica amministrazione alle imprese; per l'89,3% l'abbattimento della burocrazia è necessario per avviare nuove imprese e per il 73,5% è indispensabile più sostegno all'innovazione. Anche le scuole e le università dovrebbero partecipare al miglioramento della formazione aprendo percorsi professionali basati sulla domanda del mondo delle imprese (lo pensa l'86,5% degli imprenditori intervistati). Intanto domani si terrà la celebrazione del Giubileo delle imprese, alla presenza del cardinale Crescenzio Sepe. E' prevista la firma di due protocolli d'intesa tra Curia e ente camerale sul turismo religioso e su una serie di iniziative di promozione delle attività commerciali ed artigianali per il 2012.
Patrizio Mannu

Veneto, padania. Sconti fiscali, c’è il no di Gabrielli «Il Veneto ha avuto più di tutti»
Il capo nazionale della Protezione Civile contrario ad emendare la manovra detrattiva. Ma Bitonci (Lega) e De Poli (Udc): «Noi in pressing su Giarda»
VENEZIA — Si complica, e non di poco, la via che potrebbe portare il Veneto agli sgravi fiscali per gli alluvionati. Mentre gli uffici della Regione e quelli del commissario Perla Stancari stanno passando al setaccio l’oramai celeberrimo articolo 4, quello che prevede detrazioni d’imposta per chi ha ricostruito case, imprese e negozidopo una calamità naturale, da Roma rimbalzano voci tutt’altro che confortanti in vista di una battaglia da combattere nel Palazzo. Le speranze di veder modificato il decreto sono al lumicino ed anche l’atmosfera non pare essere delle migliori per le avanguardie venete nella capitale: «Il Veneto ha già avuto tanto - commenta infatti il capo della Protezione civile nazionale, Franco Gabrielli - le priorità in questo momento sono altre». Gabrielli, gli va dato atto, non ci gira troppo attorno: «La mia preoccupazione è quella di trovare al più presto le risorse per le cinque alluvioni dimenticate, dal Teramano alla Puglia, passando per le Marche. Terre che a nove mesi dalla catastrofe non hanno ancora visto un euro, nel più totale disinteresse del resto del Paese. Francamente non mi sembra che adesso come adesso ci si possa permettere di dare di più a chi finora ha avuto più di tutti. E questo è proprio il caso del Veneto: nessuna, tra le regioni colpite negli ultimi anni da un’alluvione, ha avuto tanto (371 milioni di euro, ndr). E’ una questione di equità, che penso sia uno dei doveri dello Stato. Se in futuro ci sarà la possibilità di puntare di nuovo i riflettori a Nord Est, ben venga. Ma non è certo questo il momento ».
Ora, il clima si è capito. E intanto si fanno sempre più insistenti le voci che vogliono la manovra al riparo da una grandine di emendamenti, condizione imprescindibile posta dal premier Monti al parlamento. Ci sarà un maxi emendamento, che accoglierà le richieste timbrate da Pdl, Pd e Terzo Polo, poi con ogni probabilità si procederà con la fiducia. Proprio dal Terzo Polo, però, si leva una voce che non sembra voler deporre le armi: «Il Veneto non può accettare alcuna disparità - avverte il deputato Udc Antonio De Poli -. Sono fiducioso che si troverà una soluzione correttiva al decreto ma è evidente che la manovra non può trasformarsi in una beffa per i nostri alluvionati. Mi faccio personalmente carico della questione - prosegue De Poli -: non si può colpire chi, come da noi in Veneto, è stato messo in ginocchio dall’alluvione. E’ una corsa contro il tempo, prima del voto in aula, a maggior ragione se verrà posta la fiducia, è indispensabile correggere il decreto ». A sera, gli fa eco il leghista Massimo Bitonci: «Non è vero che tutto è perduto. Domani sera (stasera, ndr.) riprenderà la discussione in commissione Bilancio e lìmi rivolgerò direttamente al ministro Giarda, sollecitandolo affinché si trovi il modo di estendere gli sgravi fiscali anche al Veneto, anticipando l’efficacia della norma alle spese già sostenute nel 2011. Lo spazio c’è: i due relatori della manovra stanno lavorando infatti ad un loro emendamento, che dovrebbe raccogliere le istanze dell’aula ed ha ottime chance d’essere accolto. E uno dei due relatori, Baretta del Pd, è pure veneto».
Eppure nella stessa Lega c’è anche chi preferisce guardare avanti, a quel che si potrà fare, dando per scontato che la partita sulla manovra ormai sia andata: «Stringi stringi è un problema di copertura - spiega Guido Dussin, che siede in commissione Ambiente alla Camera - estendere le detrazioni al Veneto comporterebbe un aumento di spesa difficilmente sostenibile. Ci ragioneremo, vedremo se sarà possibile metteremano alla norma ma non mi sento di vendere false speranze, anche in considerazione della rigida presa di posizione della Protezione civile: a detta di alcuni uffici i danni veneti sarebbero perfino sovrastimati… ». La soluzione, per Dussin, sta altrove, nel futuro decreto sviluppo: «Abbiamo iniziato a ragionare in commissione col ministro Clini sull’eventualità di creare un fondo nazionale per il dissesto idrogeologico, finanziato con un aumento di 2 centesimidell’accisa sui carburanti. Verrebbe inserito nella manovra per lo sviluppo e da lì si potrebbero poi recuperare i soldi necessari a finanziare il piano da 2,7 miliardi di euro stilato per mettere in sicurezza il Veneto».
Marco Bonet

Il fisco alla guerra dei trent'anni
Così l'evasione è quintuplicata
Dai 54 miliardi dell'81 ai 275 di oggi. E in mezzo tre condoni e tre scudi
ROMA - «Non ho mai pagato le tasse e me ne vanto. Le tasse sono come la droga, le paghi una volta e poi entri nel tunnel». Cetto La Qualunque può stare sereno: l'Italia è da almeno tre decenni sulla strada della disintossicazione. Se nell'agosto 1981 l'ex ministro delle Finanze Franco Reviglio, che in quell'incarico aveva al proprio fianco il giovane Giulio Tremonti, rivelò in una intervista al Mondo che l'evasione fiscale si poteva valutare «in circa 28 mila miliardi, pari a sette-otto punti del reddito nazionale», oggi il presidente dell'Istat Enrico Giovannini ci solleva: trent'anni dopo siamo fra il 16,3% e il 17,5% del Prodotto interno lordo. Ossia fra 255 e 275 miliardi di euro. Più del doppio in rapporto al reddito del Paese. E siccome i 28 mila miliardi di lire del 1981 equivalgono a 54 miliardi di euro attuali, significa che trent'anni dopo la denuncia di Reviglio l'infedeltà fiscale si è in valore assoluto moltiplicata per cinque. Un risultato che farebbe esultare lo straordinario personaggio creato dal comico Antonio Albanese per mettere il dito nell'occhio a una certa politica ingorda e affaristica. Conseguito, peraltro, in seguito a ben tre condoni tombali che hanno coperto con la loro efficacia ben 25 di quei trent'anni. Senza parlare dei tre diversi scudi fiscali che hanno consentito di regolarizzare con un pezzo di pane miliardi di euro esportati illegalmente.

Redditometro e cavalli
Non servì la legge sulle «manette agli evasori», arrivata nel 1982, che fece una sola vittima illustre: Sofia Loren. Non servì l'invenzione del redditometro, una specie di questionario spedito dal fisco ai presunti contribuenti facoltosi autori però di dichiarazioni modeste, che in Parlamento subì per anni un bombardamento a tappeto. I diportisti ricorsero al Tar costringendo il governo a fare una parziale marcia indietro, la Lega pretese centri di assistenza comunale per aiutare i cittadini a compilarlo. Poi un bel giorno del 1998 si scoprì che non si trattava, come speravano i suoi ideatori, di uno strumento perfetto. Su 76.025 cartelle spedite ad altrettanti contribuenti sulla base delle incongruenze rilevate con il redditometro, in ben 32.081 casi i destinatari erano riusciti a dare spiegazioni plausibili mentre gli evasori conclamati erano «soltanto» 12.247. Quasi tutti (10.271) salvi grazie al meccanismo dell'«accertamento con adesione», una specie di accordo con il Fisco grazie al quale si paga quel che si può. E il redditometro subì un colpo, se non mortale, comunque letale. Si passò allora al «riccometro», che venne bersagliato ancor più pesantemente. Il presidente della Confcommercio Sergio Billé lo qualificò come uno «strumento da epoca staliniana». Al cattolico Pier Ferdinando Casini faceva invece venire in mente «l'Inquisizione». Mentre per l'aennino Adolfo Urso si trattava semplicemente di una cosa «barbara». Aggettivo che fu riservato anche a un'altra iniziativa: la «delazione» alla Guardia di finanza. Bastava telefonare al 117, il numero del centralino delle Fiamme Gialle. Autore: l'ex ministro Vincenzo Visco, che per questo si attirò critiche di ogni genere. Perfino dalla Chiesa. Il teologo dell' Osservatore Romano Gino Concetti tuonò: «Nessuno Stato democratico può autorizzare i propri cittadini allo spionaggio fiscale». Ma all'inizio fu un successone. Nei primi dieci giorni arrivarono 12 mila telefonate. Poi, lentamente, la «delazione» scemò. Nel 2007 la Cgia di Mestre calcolò che non arrivavano più di 25 chiamate al giorno.
Quell'anno fu la volta dell'Isee, ovvero «Indicatore di situazione economica equivalente»: serviva a verificare se chi accedeva per ragioni di basso reddito ai servizi sociali gratuiti e magari girava con una Mercedes da 100 mila euro ne avesse effettivamente diritto. Risultati, pochini. Tanto che, scoppiata la crisi, non si è deciso di ridare vita a una nuova versione del redditometro. Ovviamente fra i mugugni dei politici. «Non credo che sia opportuno inserire tra le voci per accertare il reddito le spese per le scuole private, anche se costose», ha eccepito il senatore del Pdl Stefano de Lillo. Mentre il suo collega di partito Antonio Tomassini, presidente della commissione Sanità, ha chiesto di escludere anche gli equini: «Il cavallo dev'essere riconosciuto come animale d'affezione e non come bene di lusso». Già, e chi non è affezionato alla sua Ferrari?
Ha raccontato Nunzia Penelope nel suo libro «Soldi rubati», recentemente pubblicato da Ponte alle Grazie: «Nel 2010 la Guardia di finanza ha scoperto un evasore ogni ora, mentre nel 2009 erano solo uno ogni 71 minuti. In cifre, stiamo parlando di 8.850 imprenditori che hanno operato esclusivamente nel sommerso, responsabili di oltre 20 miliardi di ricavi non dichiarati, di 19 mila lavoratori in nero e di un'evasione contributiva per 600 milioni».

Yacht per nullatenenti
Ma se nello sport dell'evasione fiscale l'Italia è seconda soltanto alla Grecia e se da trent'anni a questa parte il fenomeno non ha fatto che crescere, nonostante ogni governo, di destra e di sinistra, si sia impegnato a combatterla, ci devono essere ragioni profonde. Forse le stesse che hanno spinto l'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a diramare, un giorno di febbraio del 2005 a Radio Anch'Io, questa specie di tanaliberatutti: «L'evasione di chi paga il 50% dei tributi non l'ho inventata io. È una verità che esiste. Un diritto naturale che è nel cuore degli uomini». E che si traduce, purtroppo per i nostri conti pubblici, in cifre raccapriccianti. I contribuenti italiani che dichiarano al Fisco oltre 200 mila euro sono 77.273, pari allo 0,18%. Come questo dato si possa conciliare con quello delle 206 mila auto di lusso (costo medio, 103 mila euro) vendute ogni anno nel nostro Paese, è francamente incredibile. Il bello è che il Fisco lo sa da decenni. Come sa, ha scritto nell'agosto del 2010 l' Ansa , che «il 64% degli yacht che circolano in Italia sono intestati a nullatenenti o ad arzilli prestanomi ultraottantenni o a società di comodo italiane o estere per evadere le tasse». Oppure che lungo gli 8 mila chilometri delle nostre coste sono disseminate 42 mila imbarcazioni di un certo valore i cui proprietari dichiarano, se va bene, 20 mila euro l'anno. Ecco perché i risultati ottenuti recentemente dall'Agenzia delle entrate di Attilio Befera, con un recupero di 10 miliardi di imposte evase nel 2010, per quanto importanti, non sono che una goccia nel mare. Tanto più perché è il sistema a essere profondamente marcio. Esclusivamente, va detto, per tornaconti elettorali e responsabilità di una classe politica miope e incapace.

Ispezioni (e scorte)
Prendete gli studi di settore. Sono un'invenzione di metà anni Novanta per evitare la minimum tax che voleva Giuliano Amato. Di fatto, è un patto scellerato fra l'amministrazione fiscale e i lavoratori autonomi, elettori considerati evidentemente molto preziosi. Ai quali il Fisco dice: puoi evadere fino a quel punto. Se lo superi, ti veniamo a controllare. Una scelta in qualche modo obbligata, visto anche la scarsità di mezzi per eseguire i controlli. Basta dire che la Guardia di finanza, forte di 65 mila effettivi, deve assicurare anche una quota dell'ordine pubblico (avete visto i finanzieri con i blindati alle manifestazioni) e delle scorte ai politici e agli alti burocrati statali. Carabinieri e poliziotti da soli non ce la fanno: nella sola città di Roma, ha raccontato il Messaggero , ci sono 2 mila persone sotto tutela. E per ognuna delle cinquanta volanti addette alla sicurezza dei cittadini, circolano nella capitale 400 (quattrocento) auto blu di scorta.
Va da sé che in un sistema del genere si annidano anche illegalità di ogni genere. Come quelle dei 100 mila lavoratori autonomi, ha rivelato Roberto Ippolito nel suo libro «Evasori» pubblicato tre anni fa da Bompiani, che scontano l'acquisto di beni strumentali senza però averli fisicamente. Si parla di 3.329 ristoranti senza cucina o tavoli, 480 farmacie senza scaffali, 555 lavanderie senza lavatrici e perfino 137 tassisti senza il taxi. Insomma, in un mondo perfetto gli studi di settore non dovrebbero esistere. Anche perché in qualche caso riescono a essere perfino vessatori. Il fatto è che il nostro è un mondo altamente imperfetto: diversamente non ci troveremmo in questa situazione.
Nel regno dell'ingiustizia fiscale ha poi un posto di rilievo una burocrazia assurda, che alimenta anche la corruzione. Basta pensare ai 68 adempimenti e 19 uffici in media da contattare per aprire un'attività in Italia: dove, dice la Confartigianato, sono appena 112 su 8.101 i Comuni in grado di consentire a un imprenditore lo svolgimento di tutte le pratiche online, senza doversi fisicamente recare allo sportello.
Per non dire dell'impunità. Nel Paese europeo a più elevato tasso di evasione non c'è neanche un detenuto in carcere con quell'accusa. Invece negli Stati Uniti, dove non pagare le tasse è considerato un reato molto serio, fra il 2000 e il 2007 hanno varcato la soglia di una galera federale 11.691 persone. Detenzione media: 30 mesi.

L'oro del Canton Ticino
Come stupirsi allora che oltre al record dell'evasione l'Italia detenga pure quello, altrettanto poco invidiabile, dell'esportazione illecita dei capitali? Ma se è vero, come sempre ripete la Corte dei conti, che i condoni sono il più grande incentivo per l'evasione, gli scudi fiscali non sono forse il miglior viatico per la fuga dei capitali? Dopo il primo «scudo» del 2001-2003 l'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti annunciò su questo giornale tolleranza zero verso gli spalloni. Prefigurando perfino l'installazione di telecamere alla frontiera con la Svizzera. Sei anni dopo, ecco invece un nuovo scudo fiscale, che ha consentito di regolarizzare una somma addirittura superiore a quella del 2001-2003, cioè 104 miliardi di euro contro una settantina. Denari di proprietà per il 66% di cittadini residenti in Lombardia e per il 58% depositati nei caveau delle banche svizzere. Delle due l'una: o quei soldi non erano rientrati con il primo «scudo», oppure le minacce non hanno affatto dissuaso gli esportatori. Né tanti quattrini, ripuliti quasi gratis, hanno alleviato le difficoltà dell'Italia. A dispetto di quello che aveva dichiarato Tremonti il 16 dicembre 2009: «È una colossale manovra di potenziamento della nostra economia, mai verificatosi per un Paese, dato dal fatto che capitali che erano fuori tornano in Italia e servono per tenere aperte le imprese, non licenziare, gestire i rapporti fra creditori e debitori». Per giunta, con la crisi la fuga dei capitali è ripresa alla grande. Se è vero, come dicono voci attendibili, che le cassette di sicurezza delle banche elvetiche hanno fatto il pieno di beni e valori provenienti dal Bel Paese. Nel solo mese di settembre hanno preso la strada del Ticino 13 tonnellate d'oro provenienti dall'Italia. Paolo Stefanato ha scritto sul Fatto Quotidiano che l'Associazione banche ticinesi «stima in 130 miliardi di euro i fondi neri depositati da soggetti italiani in Svizzera». Ma c'è pure chi parla di somme molto superiori: 300 miliardi, forse più. Che sono fuori dalle nostre frontiere e lì resteranno, a meno di qualche miracolo. Per esempio, un nuovo elenco di depositi made in Italy sul modello di quei 5.439 contenuti nella lista sottratta alla filiale ginevrina della Hsbc dall'ex dipendente Hervé Falciani. La Guardia di finanza ha accertato un'evasione di 180 milioni soltanto per 774 di quei patriottici correntisti: oltre metà lombardi. E poi dicono che gli italiani sono sempre più poveri...
Sergio Rizzo
12 dicembre 2011 | 8:56

Crisi: Grecia, la troika torna oggi ad Atene
Per esame situazione in vista concessione sesta tranche aiuti
12 dicembre, 10:30
(ANSAmed) - ATENE, 12 DIC - Comincia oggi un'altra settimana difficile per la Grecia. Infatti, oltre ai tre rappresentanti della troika - Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea e Banca Centrale Europea - stanno per arrivare ad Atene il capo della Task Force dell'Ue, Horst Reichenbach, e il Commissario responsabile per lo Sviluppo Regionale, Johannes Hahn. Le questioni che i rappresentanti dei creditori internazionali del Paese dovranno esaminare con il governo greco saranno molte, visto che per l'approvazione del nuovo pacchetto di aiuti economici alla Grecia, deciso dal Vertice europeo del 26 ottobre, i controllori della troika dovranno avere una conoscenza totale della situazione del Paese e una previsione delle sue necessita' finanziarie sino al 2015. Sul fronte delle nuove misure di austerita', i rappresentanti dei creditori internazionali sono pronti, secondo i giornali ellenici, a chiedere fra l'altro l'ulteriore riduzione del costo del lavoro nel settore privato, la riduzione o l'abolizione della tredicesima e della quattordicesima mensilità e dei sussidi feriali e insisteranno sulla questione degli accordi di lavoro aziendali che dovranno prevalere su quelli collettivi.
 I sindacati greci, decisamente contrari all'ulteriore taglio e all'abolizione della tredicesima e la quattordicesima, si dicono disposti ad esaminare il loro accorpamento nel reddito dei lavoratori. In piu' respingono l'abolizione degli aumenti previsti dall'accordo collettivo di lavoro e la riduzione dei contributi da parte degli imprenditori, perche', sostengono, tale riduzione peggiorera' la situazione economica degli enti previdenziali. Al termine dei loro colloqui di questa settimana, gli ispettori della troika faranno una sospensione per le festivita' natalizie e torneranno ad Atene in gennaio per riprendere i negoziati.(ANSAmed).

Svizzera. Salvare l’Europa
di Joseph E. Stiglitz - 12/12/2011
Proprio quando pareva che le cose non potessero andar peggio, sembra andare tutto storto. Persino alcuni Stati membri apparentemente “responsabili” dell’Eurozona stanno facendo i conti con tassi di interesse più alti. Gli economisti ai due versanti dell’Atlantico stanno ora discutendo non solo della possibile sopravvivenza dell’euro, ma anche di come garantire il minor trambusto possibile nel caso di un suo fallimento.
È sempre più evidente che i leader politici d’Europa, impegnandosi per la sopravvivenza dell’euro, non abbiano ben compreso cosa serva per far funzionare la moneta unica.
La visione prevalente al momento del lancio dell’euro era che tutto ciò che serviva fosse la disciplina fiscale – nessun deficit fiscale o debito pubblico avrebbe dovuto essere eccessivamente ampio rispetto al Pil.
L’Irlanda e la Spagna registravano però surplus di bilancio e un debito basso prima della crisi, che si sono rapidamente trasformati in deficit ampi e debiti elevati.
Ora i leader europei sostengono che vanno tenuti sotto controllo proprio i deficit delle partite correnti dei Paesi membri dell’Eurozona.
In questo caso sembra curioso che, con il protrarsi della crisi, il porto sicuro per gli investitori globali risieda negli Stati Uniti, che da anni evidenziano un enorme deficit delle partite correnti. Come farà allora l’Unione europea a distinguere tra deficit “buoni” delle partite correnti – un governo crea un clima economico favorevole, generando afflussi di investimenti diretti esteri – e deficit “cattivi”? Prevenire i deficit cattivi richiede un maggiore intervento nel settore privato di quanto non contemplassero le dottrine legate al neoliberismo e al mercato unico in auge al momento del lancio dell’euro.
In Spagna, ad esempio, il denaro fluiva dalle banche private al settore privato. Questa esuberanza irrazionale indurrà forse il governo, volente o nolente, a tagliare sugli investimenti pubblici? Questo significa dunque che il governo deve decidere quali flussi di capitale – negli investimenti immobiliari, ad esempio – siano cattivi, e quindi vadano tassati o contenuti diversamente? A mio avviso, tutto ciò ha senso, ma tali politiche dovrebbero essere messe al bando dai sostenitori del mercato libero dell’Ue.
La ricerca di una risposta chiara e semplice richiama alla mente le discussioni seguite alle crisi finanziarie di tutto il mondo. A seguito di ogni crisi emerge una spiegazione che la crisi successiva regolarmente smentisce o almeno fa sembrare inadeguata. La crisi dell’America latina degli anni 80 fu causata dall’eccessivo indebitamento, che però non spiegava la crisi del Messico del 1994, la quale fu ricondotta ai bassi livelli di risparmio.
Poi è stato il turno dell’Asia orientale, che evidenziava elevati tassi di risparmio, così che la nuova spiegazione fu la “governance”. Ma anche questo non aveva molto senso, tenuto conto che i Paesi scandinavi – che vantano la governance più trasparente del mondo – avevano attraversato una crisi alcuni anni prima.
C’è un filo conduttore che accomuna questi casi e la crisi del 2008: i settori finanziari si sono comportati in modo scorretto e non sono riusciti a valutare l’affidabilità creditizia e a gestire il rischio come avrebbero dovuto.
Questi problemi si verificano con o senza l’euro. Ma l’euro ha reso più difficile qualsiasi risposta da parte dei governi. E il problema non è solo che l’euro abbia rimosso due strumenti rilevanti ai fini dell’aggiustamento – il tasso di interesse e il tasso di cambio – senza sostituirli con qualcos’altro, o che la Banca centrale europea si focalizzi principalmente sull’inflazione, mentre le sfide odierne sono la disoccupazione, la crescita e la stabilità finanziaria. Senza un’autorità fiscale comune, il mercato unico ha aperto la strada alla concorrenza fiscale – una gara al ribasso per attirare investimenti e incentivare l’output che potrebbe essere liberamente venduto in tutta l’Ue.
Inoltre, libera circolazione dei lavoratori significa che i singoli individui possono scegliere se pagare o meno i debiti lasciati da altri: i giovani irlandesi hanno evitato di ripagare gli insensati obblighi di salvataggio bancario assunti dal governo lasciando il Paese. Ovviamente, l’emigrazione sarebbe positiva in sé, dal momento che ricolloca i lavoratori dove i guadagni sono più alti; in realtà, questo tipo di emigrazione compromette la produttività.
L’emigrazione fa ovviamente parte del meccanismo di aggiustamento che consente all’America di essere un mercato unico con una moneta unica. Un ruolo ancor più importante è rivestito dal governo federale che aiuta quegli Stati che devono far fronte alla disoccupazione, concedendo loro ulteriori entrate fiscali – la cosiddetta “unione dei trasferimenti” tanto agognata dai tedeschi.
Ma gli Usa sono altresì disposti ad accettare lo spopolamento di interi Stati che non sono in grado di competere (secondo alcuni ciò implica che le società americane riescano a comprare i senatori di tali Stati a un prezzo più basso). Ma i Paesi europei con una lenta produttività sono disposti ad accettare lo spopolamento? In alternativa, sono pronti ad affrontare la sofferenza derivante da una svalutazione “interna”, un processo che è fallito con il gold standard e che sta fallendo con l’euro?
Anche se quei Paesi del Nord europeo avessero ragione nel sostenere che l’euro funzionerebbe se venisse imposta su altri un’efficace disciplina (io penso che si sbaglino), sono comunque costretti da una morale distorta. Va bene incolpare i compatrioti del Sud per la dissolutezza fiscale, o nel caso della Spagna e dell’Irlanda, per aver lasciato che i mercati liberi avessero pieno potere, senza considerare dove avrebbe portato tutto ciò, ma così facendo non si affronta il vero problema: gli elevati debiti, siano essi il risultato di errori di calcolo privati o pubblici, devono essere gestiti nell’ambito dell’euro.
I tagli al settore pubblico di oggi non risolvono il problema della dissolutezza di ieri, ma spingono semplicemente le economie in recessioni più profonde. E questo i leader europei lo sanno. Sanno che serve la crescita. Piuttosto che affrontare i problemi di oggi e trovare una formula per la crescita, preferiscono però fare sermoni su quanto avrebbero dovuto fare i precedenti governi. Ciò potrebbe bastare per i “predicatori”, ma non risolverà i problemi dell’Europa – e non salverà l’euro.

Svizzera. I moniti della Piazza
 di Giuseppe D’Amato - 12/12/2011
La sazia Russia del 2011 è diversa da quella affamata, ma libera, del 2000. Vladimir Putin forse se n’è accorto sabato pomeriggio. Che la situazione generale socio-economica del Paese sia cambiata per il meglio è anche merito suo. Il problema è che bisognava trarre prima le giuste conclusioni politiche e non ostinarsi a restare nel quotidiano. La cosa principale da evidenziare è che alla manifestazione di protesta per i brogli a Mosca nessuno si è fatto male né è stato arrestato. Nelle altre decine di città dell’immenso gigante slavo, dove la composita opposizione è scesa per le strade, si sono evitati incidenti all’ultimo momento.
E ciò grazie ad accordi verbali presi tra la polizia e i contestatori. Il risultato non è di poco conto visto che storicamente in Russia quando la gente protesta ci scappano sempre feriti, o peggio ancora morti. Evidentemente gli appelli alla calma lanciati nei giorni scorsi sia sulla stampa che su Internet hanno sortito effetto.
Il potere ha probabilmente temuto una “spallata” dell’opposizione, come nell’ottobre 1993 all’epoca dello scioglimento del Soviet supremo, tanto che, secondo voci incontrollate, erano pronte centinaia di autoblindo in caso di disordini, mentre sono stati dispiegati 50mila poliziotti in tenuta anti-sommossa.
Secondo elemento da sottolineare è l’ampia partecipazione di gente. Questa è stata la maggiore manifestazione anti-Cremlino dai tempi del crollo dell’Urss. Le proteste non finiranno qui, ma rischiano di ingrossarsi in caso di mancate risposte del tandem Medvedev-Putin fino a provocare una “primavera” in riva alla Moscova. I russi sono stanchi dell’arroganza del potere, che nasconde – in particolar modo in televisione – la realtà. La crisi economica, importata dall’Occidente, si avvicina con nubi fosche. Serve risolvere la questione delle legislative al più presto, altrimenti i rischi di destabilizzazione del gigante slavo sono alti.
Anche perché per la prima volta in 12 anni lo “zar buono”, leggasi Vladimir Putin, è stato associato al potere corrotto che nelle regioni, soprattutto, ne combina di tutti i colori. Non per niente il primo ministro ha costituito il suo staff per le presidenziali di marzo su un proprio movimento, il Fronte popolare, e non su “Russia Unita”.
I russi, molti dei quali hanno avuto la possibilità di viaggiare grazie ai petro-rubli incassati dalla Banca centrale, chiedono ora di vivere in un Paese normale, dove far crescere i propri figli. Clamore ha suscitato un’inchiesta giornalistica in cui è emerso che una quantità spropositata di abitanti del più ricco quartiere di Mosca è ormai emigrata all’estero. Le prime a non credere nel futuro della Russia appaiono proprio essere le classi medie e più istruite. Il signor Putin, che quasi sicuramente verrà rieletto al Cremlino, ne dovrà tenere conto.

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