LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Ultimatum dal popolo delle partite Iva: «Risposte subito o non ci fermeremo»
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Turismo, 2011 da dimenticare
Pil cala, Italia in recessione tecnica
Bankitalia: debito sale del 2, 98% a 1. 897,9 miliardi nel 2011
“Fiumi” d’oro e di denaro dall’Italia verso il Ticino
Nel 2011 Pil della Germania +3%, economia Francia +1, 7%
La faccia feroce dei soliti noti
Grecia nel limbo della moneta unica
Veneto, padania. Sorpresa posto fisso, gli stranieri più stabili dei colleghi italiani
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Ultimatum dal popolo delle partite Iva: «Risposte subito o non ci fermeremo»
15.02.2012
CARBONIA. Ultimi gruppi di studio e ultimi scambi di vedute sulla situazione di crisi, a Carbonia e Iglesias, tra commercianti, artigiani, disoccupati e pastori, impegnati nella elaborazione di una piattaforma comune alla vigilia di una nuova fase di lotta. Lotta dura. Anzi stavolta durissima, come ha preannunciatom Ivan Garau, portavoce degli artigiani e commecianti liberi. Tutte insieme si sono ritrovate nella sala consiliare, ormai terra di occupazione da una quindicina di giorni, le rappresentanze di Carbonia, Gonnesa, Siliqua e Sant’Antioco, con un obiettivo: elaborare un manifesto unitario di rivendicazioni da portare avanti in tutte le sedi, nei comuni, alla Regione e al Governo. Con una prima idea di base: scindere le richieste, identificando per ognuna i destinatari e le controparti da coinvolgere, privilegiando quelle che hanno bisogno di tempi brevi per ottenere risultati. Così, pur di rilievo, sembrano esserci opzioni che passano in seconda fila. «La zona franca è una buona idea - ha spiegato Francesco Giganti, portavoce dei disoccupati -. Ma è una conquista se si riuscirà a portarla a casa, perchè i tempi rischiano essere talmente lunghi da renderla in questo momento non una battaglia prioritaria. Crediamo che la nostra attenzione si debba puntare su quello che le amministrazioni comunali, ma anche la Regione, possono fare direttamente con appena un po’ di buona volontà. Nelle loro mani ci sono le sorti immediate degli artigiani, del commercio e dei disoccupati. E sono i nostri amministratori locali che devono mettersi in prima fila per fare qualcosa. Vanno bene le loro richieste a Regione e Governo. Ma inizino a fare la loro parte». Presenti anche i rappresentanti delle associazioni della consulta del Geoparco, ente attraverso il quale possono crearsi nuove condizioni di sviluppo. «Non possiamo non ricordare che i finanziamenti già stanziati potrebbero dare lavoro a tanti giovani disoccupati con l’avvio delle attività operative del parco - spiegano -. A fronte di questa prospettiva, che richiederebbe decisioni e interventi celeri, ci rendiamo invece conto che sul problema prevalgono noncuranza e disattenzione». Così restano tutte in piedi le condizioni per proseguire la battaglia. Sui problemi delle categorie interessate, d’altronde, sembra montare di giorno in giorno anche la solidarietà delle amministrazioni e sempre più i primi cittadini si ritrovano in prima fila nelle rivendicazioni. Le prossime settimane sembrano agli occhi di molti, forse decisive e comunque caratterizzate da manifestazioni clamorose in grado di monopolizzare l’attenzione. Per iniziare a vincere se non la guerra almeno qualche battaglia.(gfn)
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Turismo, 2011 da dimenticare
15.02.2012
BIT. L'Isola si mette in vetrina alla Borsa internazionale del turismo (a Milano fino al 19) Turismo, 2011 da dimenticare
Le presenze sono calate del 5,6%, la Regione cerca il rilancio Contro la diminuzione dei turisti registrata lo scorso anno, soprattutto a causa del caro traghetti, la Regione Sardegna si prepara a sbarcare alla Bit (la Borsa del turismo di Milano in programma dal 16 al 19 febbraio) dove metterà in vetrina le proprie offerte. IL CALO I numeri della stagione 2011 sono stati illustrati ieri dall'assessore al Turismo, Luigi Crisponi, che ha parlato di una diminuzione del 21% del trasporto marittimo: i passeggeri sono passati dai 5.685.000 del 2010 ai 4.486.500 dell'ultima stagione. Il calo è di 1,2 milioni tra arrivi e partenze (ovvero 600 mila presenze in meno). Meglio il settore aereo cresciuto dell'8% con 7 milioni e 87 mila di arrivi e partenze che però non è riuscito a compensare la perdita totale di 343 mila presenze (-5,6%). A crollare è stata la domanda dei turisti italiani (-15%) mentre è salita quella straniera con il record della Germania (+9%), seguita da Francia, Inghilterra, Svizzera e Spagna. «Questo soprattutto per il rincaro dei biglietti navali e per la continua perdita di competitività dei nostri prodotti turistici», ha spiegato l'assessore. «Ma andiamo a Milano per cercare di invertire la tendenza e far capire che la Sardegna è una meta appetibile, bella e non cara come spesso si dice». Sarà presentata, insomma, la strategia per contrastare i 130 competitor del Mediterraneo. LO STAND La Bit darà alla Sardegna l'occasione di far conoscere anche le novità che riguardano la Saremar, a partire dalle tariffe estive sempre che il Consiglio regionale approvi in tempo le proposte della Giunta. Nello stand, che quest'anno sarà più piccolo a causa del budget ridotto (250 mila euro), ispirato all'innovazione tecnologica e alla “Green philosophy” (un turismo attento all'ambiente), si daranno appuntamento un centinaio di operatori per presentare le proposte sul turismo balneare, culturale ma anche sportivo e legato al benessere. Tutto sotto un cuore di lana che sarà anche il marchio per la campagna promozionale. NOVITÀ Da oggi, poi, sarà on line il nuovo sito SardegnaTurismo Evoluzione. Un portale-vetrina rinnovato che permetterà di avere informazioni direttamente dalle strutture ricettive e legato al mondo dei social network. Durante la Bit sarà inaugurato il primo “Sardegna store”, ovvero un negozio per le produzioni agroalimentari e artigianali dell'Isola. L'apertura della “Domo sarda” è prevista sabato a Milano in piazza Diaz, mentre tra poche settimane sarà operativa anche la sede romana (via XX Settembre) e quella di Berlino. La Sardegna cerca quindi il rilancio per un settore che vale l'8,5% del Pil isolano e per le sue 30 mila aziende. E dopo la Finanziaria sarà presentato il nuovo Piano strategico per il turismo. Annalisa Bernardini
Pil cala, Italia in recessione tecnica
Pil nel 4/o trimestre -0,7%. Bankitalia: cresce debito. Conti pubblici: debito-pil tra 119,5 e 120%
15 febbraio, 11:33
ROMA - L'Italia e' in recessione tecnica, visto che per il secondo trimestre consecutivo il Pil risulta in calo congiunturale. L'Istat, infatti, registra per il quarto trimestre 2011 un calo dello 0,7% mentre nel terzo aveva segnato un ribasso dello 0,2%.
L'Italia chiude il 2011 con un Pil in aumento dello 0,4%. Lo rileva l'Istat nella stima preliminare, precisando che il dato e' corretto per gli effetti di calendario. La crescita risulta cosi' in forte frenata, nel 2010 era stata pari all'1,4% (dato corretto effetti calendario).
L'Istat, diffondendo le stime sul Pil nel 2011, fa notare che l'anno scorso ha avuto tre giornate lavorative in meno rispetto al 2010. I prossimi dati sul Prodotto interno loro verranno rilasciati a marzo.
Il prodotto interno lordo dell'Italia nel quarto trimestre 2011 e' diminuito dello 0,7% sul trimestre precedente e dello 0,5% su base annua. Lo rileva l'Istat nella stima preliminare. L'Italia e' dunque in recessione tecnica (Pil e' in calo per il secondo trimestre consecutivo).
L'Istat precisa che le stime per il quarto trimestre del 2011 (-0,7% congiunturale e -0,5% tendenziale) riguardano il Pil, espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2005, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato. L'Istituto, aggiunge, che il quarto trimestre del 2011 ha avuto tre giornate lavorative in meno rispetto al trimestre precedente e due giornate lavorative in meno rispetto al quarto trimestre 2010.
L'Italia torna in recessione dopo poco piu' di due anni, l'ultimo periodo di recessione era terminato dopo il secondo trimestre del 2009.
La crescita acquisita per il 2012, quella che si verificherebbe per il puro effetto trascinamento del 2011 se in tutti e quattro i trimestri dell'anno si registrasse crescita zero, e' negativa, pari a -0,6%. Lo rende noto l'Istat, in base alle stime preliminari sul Pil.
La crescita dell'Italia nel 2011 (+0,4%) ha subito una netta battuta d'arresto a confronto con quanto totalizzato nel 2010 (+1,4%). La differenza e' cosi' pari a un punto percentuale. E' quanto emerge dalle stime preliminari dell'Istat (dati corretti per effetti di calendario). Ma era andata ancora peggio nel 2009, quando la contrazione registrata fu pari al -5,1%. Le stime del governo avevano previsto per il 2011 una crescita dello 0,6% (dato grezzo).
ITALIA PEGGIO RISPETTO A BIG, DA USA A GERMANIA - L'Italia peggio degli altri 'big' in tema di crescita. Negli Stati Uniti - secondo quanto riporta l'Istat nella stima preliminare diffusa oggi - nel quarto trimestre il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,7% mentre è diminuito dello 0,2% nel Regno Unito e dello 0,6% in Giappone. Mentre in termini tendenziali, il Pil è aumentato dell'1,6% negli Usa e dello 0,8% nel Regno Unito ed è diminuito dell'1,0% in Giappone. Appare evidente come le stime sull'Italia (-0,7% congiunturale e -0,5% tendenziale) siano peggiori a confronto con i dati registrati dagli altri Paesi industrializzati, per cui sono già disponibili le cifre sulla crescita. Inoltre, oggi, anche Germania e Francia hanno reso noti i dati sull'ultimo trimestre del 2011, segando la prima un calo congiunturale dello 0,2% e la seconda, a sorpresa, un rialzo dello 0,2%. Molto peggiore a confronto con l'Italia è, invece, la situazione della Grecia, giunta al quinto anno di recessione.
Bankitalia: debito sale del 2, 98% a 1. 897,9 miliardi nel 2011
10:47 15 FEB 2012
(AGI) - Roma, 15 feb. - L'Italia chiude il 2011 con un debito pubblico pari a 1.897,9 miliardi, in crescita del 2,98% rispetto ai 1.842,9 miliardi di fine 2010. E' quanto emerge dal Supplemento al Bollettino statistico della Banca d'Italia dedicato alla finanza pubblica. Il debito di dicembre e' comunque in calo rispetto ai 1.904,8 miliardi raggiunti a novembre e al record storico di 1.909 miliardi toccato a ottobre. In miglioramento rispetto al 2010 risulta invece il fabbisogno. Il dato si e' attestato a fine anno a 62,6 miliardi contro i 67 miliardi dell'anno precedente. Al netto del sostegno finanziario ai paesi dell'area dell'euro, il fabbisogno e' sceso a 53,4 miliardi, dai 63,1 del 2010.
L'aumento del debito nel corso del 2011, pari 55,1 miliardi, spiega Bankitalia, e' stato determinato, oltre che dal fabbisogno (inclusi 9,2 miliardi di sostegno finanziario ai paesi dell'area dell'euro), dall'emissione di titoli sotto la pari (che ha comportato scarti di emissione pari a 11,3 miliardi) e dal deprezzamento dell'euro che ha accresciuto il valore delle passivita' denominate in valuta estera di 0,2 miliardi. Ha invece ridotto la crescita del debito il ricorso alle disponibilita' liquide detenute dal Tesoro (diminuite di 19,0 miliardi, a 24,3). Con riferimento alla ripartizione per sottosettori, il debito delle Amministrazioni centrali e' cresciuto di 54,8 miliardi, a 1.786,8; il debito delle Amministrazioni locali e' aumentato di 0,3 miliardi, a 111. Nel complesso del biennio 2010-11 il sostegno finanziario ai paesi dell'area dell'euro e' stato pari a 13,1 miliardi: di cui 10 concessi alla Grecia, 1,6 al Portogallo e 1,6 all'Irlanda. (AGI) .
“Fiumi” d’oro e di denaro dall’Italia verso il Ticino
di Barbara Knopf – 15 febbraio 2012
Pubblicato in: Svizzera
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Da qualche mese scorrono “fiumi” d’oro e di denaro dall’Italia verso il Canton Ticino. Pare che gli italiani vogliano mettere al sicuro il proprio patrimonio, qualunque esso sia. I trasferimenti del metallo nobile dall’Italia alla Svizzera sono più che raddoppiati in un anno.
“Fiumi d’oro” alla frontiera italo-elvetica, “valanghe di euro”, o ancora “boom dei sequestri di valori”: da qualche settimana, i media della penisola stanno un po’ rovistando nelle banche svizzere, in particolare quelle ticinesi, come nelle caverne di Ali Babà. Tirando fuori i beni che gli italiani stanno depositando con cura, confidando poco nel futuro economico del loro paese, preoccupati dalla prospettiva di una patrimoniale e spaventati dalla caccia agli evasori fiscali.
“Grandi patrimoni”
Qualche giorno fa, tracciando un bilancio della lotta all’evasione fiscale, il direttore dell’Agenzia delle Entrate italiana, Attilio Befera, ha puntato il dito sulla “fuga di capitali” verso la Svizzera di questi ultimi mesi, o meglio ha precisato: “Dall’inizio di gennaio, il flusso ha avuto una crescita esponenziale […]. Alcune banche svizzere hanno iniziato ad affittare casseforti nei grandi alberghi per soddisfare il numero di richieste”.
“Fesserie”, ha sostanzialmente replicato il direttore dell’Associazione Bancari Ticinesi (ABT), Franco Citterio. Secondo Citterio si tratta di “un attacco nei confronti della Svizzera […] per giustificare i raid effettuati a Cortina e a Milano, i controlli estesi alla frontiera e i metodi repressivi dell’Agenzia delle Entrate”. Franco Citterio ammette però l’esistenza di un incremento della clientela italiana che, in cerca di sicurezza, apre conti in Svizzera , ma nella piu’ assoluta legalità, precisa.
“Grandi patrimoni e società cercano di trasferirsi in Ticino, i fduciari sono abbastanza sul chi va là”, conferma Amalia Mirante, docente di economia all’università della Svizzera italiana. Difficile mettere d’accordo le opinioni sull’argomento. La Federazione Ticinese delle Associazioni di Fiduciari non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Del tutto inutili anche i tentativi di saggiare la situazione presso un’importante banca a Lugano. Al contrario, la banca dati dell’Istat si è rivelata una miniera … d’oro.
Reggiseno, valigia …
Nell’ottobre scorso, i trasferimenti di oro grezzo dall’Italia alla Svizzera sono più che raddoppiati rispetto all’anno precedente, sfiorando i 510 milioni di euro (229.5 milioni nell’ottobre del 2010). Più di 13 tonnellate di lingotti hanno attraversato il confine (7.6 tonnellate). Nell’arco dei primi dieci mesi del 2011, il volume dell’oro esportato ha raggiunto le 91 tonnellate per un valore di più di 3 miliardi, ossia ben più del totale di tutto l’anno 2010 (72.5 tonnellate per un valore di 2 miliardi). L’Istat ha analizzato proprio questo flusso di metallo che ha fatto gonfiare i traffici verso la Svizzera (con una crescita pari al 30% circa).
Secondo gli analisti italiani, oltre a questi grossi movimenti d’oro che avvengono alla luce del sole tramite gli istituti bancari, ci sarebbe tutto un traffico parallelo di somme più modeste trasportate di persona dall’altra parte del confine. Il signor e la signora Rossi diventano contrabbandieri per mettere in sicurezza i propri risparmi, oro o denaro contante.
Come quell’elegante signora che aveva nascosto 65 000 euro nei tacchi delle scarpe e nel reggiseno, scovati a Ponte Chiasso nel mese di novembre da un labrador addestrato alla ricerca di banconote. O quell’automobilista che si è fatto pescare, allo stessa dogana, con più di 200 000 euro nascosti in un falso fondo di valigia. In un’inchiesta sulla “grande fuga di capitali”, il quotidiano “La Repubblica” segnala, dall’estate alla fine del 2011, un aumento del 50% di sequestri di beni lungo il confine con la Svizzera. La Guardia di Finanza, che dovrebbe pubblicare alcuni resoconti questa settimana, per ora non rilascia commenti.
Via legale
Ma ci sono anche quelli che scelgono la via legale e approfittano, per esempio, dell’offerta che un consulente finanziario milanese ha pubblicato sul suo blog: gite in corriera da Milano a Lugano per imparare ad esportare legalmente il proprio denaro nel Canton Ticino. Finora sono saliti su quell’autobus 200 persone circa, un centinaio di loro ha aperto un conto in Svizzera.
[Articolo originale "Des «rivières» d’or et d’argent de l’Italie vers le Tessin" di Barbara Knopf]
Nel 2011 Pil della Germania +3%, economia Francia +1, 7%
10:45 15 FEB 2012
(AGI) - Roma, 15 feb. - Nel 2011 l'economia tedesca ha registrato una crescita del 3%, soffrendo tuttavia un calo dello 0,2% nel quarto trimestre dell'anno. Lo riferisce l'ufficio nazionale di statistica Destatis. L'economia francese - riferisce l'istituto di statistica Insee - e' invece cresciuta nel 2011 dell'1,7%, in linea con le previsioni del governo, dopo un quarto trimestre positivo che ha registrato una crescita dello 0,2%, contrariamente alle attese degli analisti che si aspettavano una flessione dello 0,1%.
La faccia feroce dei soliti noti
di Adriana Cerretelli
Troppo rigidi con la Grecia? Il dubbio comincia a serpeggiare in Europa in modo sempre più evidente. Però Germania e Commissione europea rispondono convinte di no, che la nuova stretta imposta al Paese per garantirgli un nuovo pacchetto di aiuti da 130 miliardi è un atto dovuto. Perfettamente sostenibile. La rivolta di Atene, 40 palazzi incendiati, la disperazione nelle strade non impressionano più di tanto i virtuosi del Nord.
«Vogliamo fare di tutto per aiutare la Grecia a uscire dalla crisi. Quel che vediamo in questi giorni è molto meno di quello che potrebbe succederle se i tentativi di tenerla nell'area euro dovessero fallire» ha avvertito ieri il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble. «Tuttavia oggi siamo molto meglio preparati ad affrontare un eventuale crollo rispetto a due anni fa». Niente concessioni ma un diktat esplicito. Neanche Olli Rehn, il commissario Ue competente, è disposto a demordere dalla linea dura: «Conosco la situazione in cui vivono i greci. Sfortunatamente hanno vissuto per troppo tempo sopra i loro mezzi».
Lo scontro tra la cieca rigidità dei soliti noti e gli sforzi ciclopici e immediati pretesi dai greci ancora non ha provocato il corto circuito. Ma potrebbe arrivare. Per ora è saltata la riunione a Bruxelles dei ministri dell'Eurogruppo che oggi avrebbe dovuto approvare il secondo salvataggio di Atene dal baratro. In una sola settimana, dunque, un altro match nullo, mentre si accorciano pericolosamente i tempi tecnici per evitare il disastro che, senza accordo, si materializzerà il 20 marzo.
«Di quanto tempo avrà ancora bisogno la Commissione Ue per rendersi conto che le misure di sola austerità non funzionano in Europa? Né i popoli né i mercati accetteranno mai i provvedimenti draconiani imposti oggi ad Atene» ha tuonato l'austriaco Hannes Swoboda, leader degli eurosocialisti, dalle tribune dell'Europarlamento. Che ieri ha deciso di inviare in Grecia una troika alternativa «per concordare misure che non siano controproducenti come le attuali». Anche per il finanziere George Soros «sfortunatamente Angela Merkel sta conducendo l'Europa nella direzione sbagliata».
Al suo quinto anno di recessione (l'anno scorso l'economia si è contratta di un altro 6,8%, con un -7% annuo nell'ultimo trimestre), la Grecia ha appena approvato in Parlamento un nuovo programma di tagli e riforme "lacrime e sangue" da 3,5 miliardi. Ma nel Paese, già tartassato dalla cura dimagrante in atto, cova la rivolta: contro altri tagli alle pensioni, la riduzione del 22% del salario minimo, il licenziamento di 15mila statali nel 2012 per un totale di 150mila entro il 2015.
E ancora mancano all'appello risparmi per 325 milioni (ieri il Governo ha messo a punto nuovi tagli alle pensioni e alla difesa) e, soprattutto, l'impegno scritto di tutti i partiti politici a rispettare la tabella di marcia anche dopo le elezioni di aprile. Per questo l'Eurogruppo è stato rimandato a lunedì.
Più il tempo passa, più la crisi intra-europea si aggrava e più cresce la sensazione che la politica del nudo rigore somministrato senza un gesto di autentica solidarietà e senza neanche il tonico della crescita economica sia destinata a mettere in croce non solo la Grecia ma l'Europa intera. Tanto più che le medicine amare sono distribuite ad alcuni ma risparmiate ad altri.
Prendiamo la Germania, l'attuale e indiscusso deus ex machina del club della moneta unica. Proprio ieri Rehn ha distribuito reprimende sugli squilibri macroeconomici accumulati in Europa. Di frustate ce ne sono state per tutti. Miracolosamente però Berlino è stata risparmiata, nonostante ostenti per l'ultimo triennio un surplus dei conti correnti del 5,9% del Pil, superato soltanto dal 6,4% del micro-Lussemburgo. «Nei prossimi mesi faremo altre analisi sulle divergenze tra gli Stati» si è difeso il commissario.
Certo, una cosa alla volta. Ma con l'Europa in recessione, l'economia tedesca (+0,4% il Pil 2012 secondo l'Ocse) che frena, e la Grecia stremata da un quinquennio di sviluppo negativo impastato di austerità a getto continuo, logica di "famiglia" vorrebbe che dalla severissima Berlino che impone disciplina arrivasse almeno un po' di stimoli in più alla propria domanda interna per distribuire un po' di ossigeno ai partner in difficoltà. Niente da fare. Peggio, non succede niente con l'assenso di Bruxelles che pure dovrebbe essere il garante dell'interesse collettivo, cioè del rigore sì ma sostenibile.
L'incongruenza di questa politica del doppiopesismo, tutta ad uso e consumo dei Paesi più forti, glissa anche sulla classifica, pubblicata ieri, dell'indebitamento cumulato (pubblico, privato e delle società non finanziarie) nell'eurozona, che vede al primo posto l'Irlanda, la Francia al 12°, la Germania al 14°, l'Italia al 15° e la Grecia al 16°, sì proprio al sedicesimo. Naturalmente conta la sostenibilità del debito. Però anche il volume vuole la sua parte.
Tutti, dunque, hanno i propri scheletri negli armadi. Invece del rigore forsennato, questo dovrebbe consigliare un approccio alla crisi più ragionevole ed equilibrato. Perché l'Europa della disperazione, dopo quella della speranza che ha distribuito benefici a tutti per decenni, non è nell'interesse di nessuno.
15 febbraio 2012
Grecia nel limbo della moneta unica
Martin Wolf
Perché la Grecia, un paese che rappresenta poco più del 2% del Prodotto interno lordo dell'Eurozona, è all'origine di così tanti grattacapi? Ogni giorno, in posti lontanissimi come Pechino e Washington, si leggono storie di promesse non mantenute e condizioni non soddisfatte. Non sarebbe meglio, si domandano, lasciare che la Grecia dichiari lo stato di insolvenza e abbandoni l'euro, invece di persistere a dedicare tante attenzione alle sventure di un Paese che in buona parte si è andato a infilare da solo in questo pasticcio?
Che la Grecia possa effettivamente uscire dall'euro ormai è uno scenario tutt'altro che impensabile. In una nota pubblicata la settimana scorsa, Willem Buiter (economista capo di Citigroup e convinto sostenitore del progetto dell'euro), insieme ad altri, stima le probabilità di un'uscita della Grecia dall'euro nei prossimi 18 mesi addirittura al 50 per cento. «La ragione principale – aggiungono gli autori – è che riteniamo che la disponibilità dei creditori a continuare a sostenere la Grecia nonostante il mancato rispetto da parte di Atene delle condizioni imposte sia drasticamente diminuita». Ma Buiter e colleghi sono convinti anche che i costi che gli altri Paesi dell'Eurozona dovranno sostenere nel caso di un'uscita della Grecia dell'euro sono meno pesanti di prima, e di conseguenza sono aumentate le probabilità che la consentano.
Facciamo qualche considerazione sulle domande che qualsiasi persona di buon senso vorrebbe porre riguardo a questi difficili negoziati con il Paese ellenico.
La prima è: la Grecia ha speranze di raggiungere un accordo con i creditori sulla ristrutturazione del debito (o "coinvolgimento del settore privato"), con la trojka (Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea) sulla partecipazione di quest'ultima e con i creditori istituzionali su un secondo piano di salvataggio? E ci sono speranze che tutto questo possa avvenire prima del prossimo rinnovo del debito, il 20 marzo?
Verosimilmente sì. In questo caso, un default disordinato sarebbe quantomeno rimandato. Verosimilmente sì per tre ragioni: nonostante la rabbia popolare, la stragrande maggioranza dei politici greci concorda sul fatto che bisogna cercare di rimanere nell'euro; nonostante l'ormai generale sfiducia, le autorità costituite dell'Eurozona temono la prospettiva di un default disordinato e di una probabile uscita della Grecia dall'euro; infine, l'Fmi è convinto che un programma basato su riforme strutturali forti invece che su ulteriori sforbiciate della spesa pubblica o su privatizzazioni precipitose potrebbe funzionare, almeno in teoria.
La seconda domanda è: un programma del genere ha speranze di funzionare bene da tutti i punti di vista? La risposta è no, come osserva il documento della Citigroup: «Questo innanzitutto perché qualunque ristrutturazione concordata difficilmente riuscirà a riportare il debito pubblico lordo al 120 per cento del Pil entro il 2020 – uno degli obbiettivi dichiarati del secondo pacchetto di aiuti alla Grecia – e in secondo luogo perché anche se, per qualche miracolo, la Grecia dovesse riuscire a riportare il debito al 120 per cento del Pil entro il 2020, sarebbe un fardello troppo pesante da sopportare». È quasi scontato, quindi, che negli anni a venire servirà un'ulteriore riduzione del debito, anche se tutto andasse alla perfezione. E non andrà tutto alla perfezione.
La Grecia ha fatto qualche passo avanti dall'inizio della crisi, anche se in buona parte per effetto dell'austerità. Il suo disavanzo primario (prima degli interessi sul debito) si è ridotto dal 10,6% del Pil del 2009 ad appena il 2,4%, secondo le stime, nel 2011. È un calo di tutto rispetto, considerando l'ampiezza della recessione; il Governo greco ormai è vicino al punto in cui i prestiti gli serviranno solo per rinnovare il debito esistente e pagare gli interessi sul debito.
Ma non è abbastanza: la Grecia continua ad aver bisogno di afflussi sostanziosi di valuta estera per coprire il suo disavanzo nel saldo con l'estero, anche non tenendo conto del pagamento degli interessi sui titoli di Stato greci detenuti da stranieri. Nel 2011, per esempio, il deficit delle partite correnti, prima degli interessi sul debito, era ancora al 4,6% del Pil, nonostante la pesante recessione.
Le riforme strutturali preventivate saranno in grado di dare vita a un'economia sufficientemente dinamica, e soprattutto di imprimere quella spinta alle esportazioni necessaria per finanziare le importazioni indispensabili per qualcosa che si avvicini alla piena occupazione? La risposta, nonostante i miglioramenti sul fronte della competitività è: no, non in tempi rapidi, e forse no in senso assoluto.
La terza domanda: un programma del genere è nell'interesse della Grecia? La classe dirigente greca è convinta di sì. L'alternativa – un default disordinato e una probabile uscita dall'euro – sarebbe un passo nell'ignoto: il Paese dovrebbe introdurre e poi gestire, almeno temporaneamente, dei controlli valutari, dovrebbe portare avanti una complessa ristrutturazione del debito pubblico e privato, dovrebbe fare i conti con una colossale svalutazione della nuova dracma e quindi con un'esplosione dell'inflazione, dovrebbe rinegoziare la sua posizione all'interno dell'Unione europea e per concludere subirebbe un tracollo del prodotto interno lordo e dei redditi reali. Tutto questo sarebbe meglio che stringere i denti e tenere duro? Probabilmente no, ma come si fa a dirlo con sicurezza?
La quarta domanda è: questo programma è nell'interesse del resto dell'Eurozona e del mondo intero? La risposta è: probabilmente sì, ma non è scontato. Gli argomenti a favore sono che un default disordinato accompagnato da un'uscita dall'euro potrebbe scatenare il panico negli altri Paesi di Eurolandia e che impedire questo scenario aiutando la Grecia ha un costo non eccessivo rispetto a quello che costerebbe un caos di questo tipo. L'argomento contro è che l'Eurozona ha i mezzi per bloccare il diffondersi del panico anche nel caso di un tracollo della Grecia, specialmente se la Bce e i Governi saranno disposti ad agire con decisione per stroncare assalti agli sportelli e fughe dal debito pubblico di altri Paesi. Ma un altro argomento contro, da non prendere alla leggera, è che sarebbe meglio farla finita con la finzione che i programmi per la Grecia funzioneranno e far capire chiaramente che un fallimento ha delle conseguenze.
La quinta e ultima domanda è: queste vicende epiche del Paese ellenico che cosa ci dicono dell'Eurozona? La Grecia in sé e per sé, anche se è un fastidio di non poco conto, non può essere decisiva per il futuro della moneta unica. Eppure, il fatto che questo Paese piccolo, economicamente debole e cronicamente malgovernato sia riuscito a provocare tanti problemi è indice della fragilità della struttura. La Grecia è il classico canarino nella miniera. Il motivo per cui ha causato tutti questi guai è che le sue debolezze sono estreme, ma non sono uniche: le sventure di Atene mostrano che l'Eurozona è ancora alla ricerca di una combinazione efficace tra flessibilità, disciplina e solidarietà.
Eurolandia è in una sorta di limbo: non è abbastanza integrata per non concepire che possa andare in pezzi, ma non è nemmeno tanto poco integrata da rendere tollerabile l'idea che possa andare in pezzi. La garanzia più efficace della sua sopravvivenza sta nel prezzo di una rottura. Forse basterà questo, ma se l'euro vuole essere qualcosa di più di un matrimonio infelice retto solo dai costi spaventosi di una divisione del patrimonio e dei debiti, deve fondarsi su qualcosa di ben più positivo. È ancora possibile, considerando le divergenze economiche e le asperità politiche messe in mostra così crudamente da questa crisi? Questa è la domanda più difficile di tutte.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
© THE FINANCIAL TIMES LIMITED 2012
Veneto, padania. Sorpresa posto fisso, gli stranieri più stabili dei colleghi italiani
Per la fondazione Moressa conservano meglio il lavoro. Ma i disoccupati immigrati superano tutti
VENEZIA — Probabilmente, per non perdere il permesso di soggiorno acquisito dopo viaggi della speranza e infinite noie burocratiche, si accontentano di quello che c’è, lavorando di più e venendo pagati meno, ma con maggior sicurezza del lavoro: i giovani stranieri, in Veneto (che ha risultati analoghi al resto del Paese), per questo motivo hanno il posto fisso più che i loro coetanei italiani. Nella nostra regione, tuttavia, anche il tasso di disoccupazione è maggiore, con possibili ripercussioni anche a livello sociale: un giovane straniero su cinque a settembre 2011 era disoccupato, condizione condivisa soltanto tra un coetaneo veneto su 10. Secondo i dati diffusi dalla Fondazione Leone Moressa, l’88,7% dei non nati in Italia residenti ha infatti un lavoro da dipendente, e addirittura il 63,9% a tempo indeterminato. Numeri che si discostano moltissimo da quelli degli under 30 nostrani, dipendenti per l’82% e soprattutto con il posto fisso solamente al 53%, quasi 11 punti sotto rispetto agli immigrati.
I giovani lavoratori stranieri sono inquadrati più degli italiani con contratti di lavoro stabili: su 100 stranieri occupati, appena 26 ha un contratto di lavoro atipico, mentre gli italiani sono 33. Gli stranieri, inoltre, nell’80% dei casi ricoprono professioni da operaio (si tratta della metà per gli italiani) e guadagnano 939 € netti al mese, 70€ in meno dei coetanei italiani. Nella maggior parte dei casi (64,4%) essi ricoprono professioni di media specializzazione, e quasi il 30% ricopre professioni non qualificanti. Queste tendenze sono però minate dalla disoccupazione, che soprattutto al nord, colpa della crisi dell’industria, dell’edilizia e del settore manifatturiero, inizia a farsi sentire pesantemente. Se infatti il dato regionale relativo al numero di stranieri tra i 15 e i 30 anni occupati è superiore a quello nazionale (da noi sono complessivamente ben 51.416 i lavoratori "under", il 46,2 contro 44%), è cresciuta moltissimo anche la percentuale di disoccupati: in Veneto sfiora il 20%, nel resto del Paese si arriva a stento al 17. Ma una volta che perdono un lavoro, non stanno certo con le mani in mano: per i giovani nati all’estero la condizione di disoccupato dura in media un anno, per gli italiani ben sei mesi in più; sempre secondo lo studio, gli immigrati guadagnano meno rispetto ai loro coetanei italiani, 939 euro contro 1.009. «Non credo che i dati ci dicano cose che non sapessimo già—commenta la segretaria regionale della Cisl, Franca Porto —. Chi è nato da noi ha aspettative per quello che riguarda la retribuzione, la qualità e gli orari, mentre chi viene da lontano è disponibile a lavori faticosi; questi dati però sfatano il mito tutto veneto dei giovani stranieri che sono qui da noi per bighellonare, e sono allarmanti perché indicano che si è perso il valore sociale del lavoro con turni». Più duro il presidente di Confcommercio Venezia Giuseppe Fedalto: «I giovani veneti non vogliono più fare lavori di un certo tipo, mi riferisco per esempio all’operaio, ma anche a tutta la filiera alimentare».
Andrea Saule
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