mercoledì 2 maggio 2012

am_2.5.12/ Rachel Sanderson: Durante la stagione di valutazione dei risultati annuali in Italia, il piccolo quartiere degli affari di Milano offre uno spettacolo ai passanti. Una dozzina di limousine nere percorrono le strade acciottolate, trasportando da un quartiere generale all’altro lo stesso gruppo di uomini perfettamente vestiti, che prendono posto nei consigli d’amministrazione delle banche e delle imprese più potenti del paese.---Così il presidente del gruppo, accompagnato dal figlio Matteo, dal presidente di Piaggio India Ravi Chopra, da ministri indiani e dall'ambasciatore d'Italia Giacomo Sanfelice, ha inaugurato il nuovo stabilimento per la produzione della Vespa a Baramati, il terzo che Piaggio ha costruito in questa città in cui dà lavoro ormai a 3.000 persone.

La Vespa torna in India
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Riflettori puntati sui gruppi italiani di partecipazioni incrociate
Tagli a tribunali, prefetture e ministeri arriva una forte stretta sugli acquisti
Fiat: Chrysler, vendite Usa +20%
Ticino. E Monti ci ripensa: «Tratterò con Berna»

La Vespa torna in India
BARAMATI. E' fra i vigneti e le piantagioni di canna da zucchero dello Stato del Maharastra che Roberto Colaninno ha costruito un ambizioso progetto: riportare la Vespa in India ed in pochi anni provare a monopolizzare il segmento 'premium' degli scooter convincendo le giovani generazioni colte della più grande democrazia del mondo ad aderire alla qualità e al trend degli scooter della Piaggio.   
Così il presidente del gruppo, accompagnato dal figlio Matteo, dal presidente di Piaggio India Ravi Chopra, da ministri indiani e dall'ambasciatore d'Italia Giacomo Sanfelice, ha inaugurato il nuovo stabilimento per la produzione della Vespa a Baramati, il terzo che Piaggio ha costruito in questa città in cui dà lavoro ormai a 3.000 persone.     
Costruito da Piaggio Vehicles Private Ldt, si sviluppa su un'area di 150.000 metri quadrati di cui 32.000 coperti, ed è in grado di produrre 150.000 unità l'anno della Vespa LX, dotata di un nuovissimo motore 125 cc a 4 tempi e 3 valvole, che potranno diventare 300.000 entro la fine del 2013. Concepita appositamente per il mercato indiano la Vespa LX inaugura nel paese un segmento 'premium' ad un prezzo di circa 66.000 rupie (quasi 1.000 euro); presenta adattamenti specifici dal punto di vista ergonomico, con una più facile accessibilità a motore e pneumatici e sarà silenziosa ed 'eco friendly', con consumi fra l'altro eccezionalmente bassi offrendo percorrenze superiori a 60 km con un litro di benzina.   
Prodotto italiano, ma rigorose tradizioni indiane per la cerimonia, con l'accensione sotto un sole cocente delle lampade per auspicare la protezione del Dio Ganesh, la collocazione nella terra di vari alberi, e solo dopo il tradizionale taglio del nastro rosso che ha ufficializzato l'inaugurazione dello stabilimento, dove le coloratissime nuove Vespa LX 125 fanno già bella mostra di loro sulle linee di montaggio. Nel discorso inaugurale Colaninno ha ricordato che "quando nel 2003 presi il controllo di Piaggio feci il mio primo viaggio in India per visitare la fabbrica esistente per i veicoli a tre (Ape) e quattro ruote. Mi ricordo - ha proseguito - che si producevano allora 20 unità al giorno. Nel 2011, soltanto otto anni dopo, abbiamo superato le 1.000".   
Va detto che la presenza della Vespa in India è antica. Fu Enrico Piaggio negli anni '50 a portarla nel subcontinente asiatico con accordi di produzione su licenza, prima con il gruppo Bajaj e poi con Lml, che terminarono pero' negli anni '90. La pausa e' servita di riflessione per evitare gli errori del passato, ed ora tutto è pronto per una sfida commerciale, pensata e preparata accuratamente.
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Riflettori puntati sui gruppi italiani di partecipazioni incrociate
di Rachel Sanderson – 1 maggio 2012
Pubblicato in: Gran Bretagna
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Durante la stagione di valutazione dei risultati annuali in Italia, il piccolo quartiere degli affari di Milano offre uno spettacolo ai passanti. Una dozzina di limousine nere percorrono le strade acciottolate, trasportando da un quartiere generale all’altro lo stesso gruppo di uomini perfettamente vestiti, che prendono posto nei consigli d’amministrazione delle banche e delle imprese più potenti del paese.
È una scena che ha dominato la cultura aziendale italiana dal dopo-guerra in poi, quando un gruppo di banchieri e di uomini d’affari ha deciso di collegarsi attraverso partecipazioni incrociate per difendersi dagli estranei e per sostenersi nella crescita. Ma, da questa settimana, lo spettacolo sta per cambiare.
Mentre la crisi degli stati sovrani ha danneggiato le obbligazioni italiane, il costo delle azioni e i bilanci bancari, i leader italiani con più esperienza, da Mario Draghi, il capo della Banca Centrale Europea, a Mario Monti, Presidente del Consiglio del governo tecnico, mettono in discussione la rilevanza di una struttura di potere arcana che per sua stessa natura è un vincolo tutto italiano. Questa settimana entra in vigore il divieto, imposto da Monti e sostenuto dalla Banca d’Italia, che rende illegale per la stessa persona sedere in più di un consiglio di amministrazione di istituti finanziari operanti nello stesso settore o mercato.
Alberto Gallo, responsabile della strategia di credito europea alla RBS, ritiene che “è un passo positivo nella giusta direzione” per aiutare a riportare il Paese sulla strada della stabilità finanziaria e della crescita. Tuttavia Gallo evidenzia che questa scossa deve essere seguita da ulteriori cambiamenti radicali “per separare le banche dalla loro ragnatela di partecipazioni incrociate di capitali e del debito, che lasciano la strada aperta al rischio di contagio”.
Gli analisti stimano che la riforma, che alcuni considerano una delle maggiori rivoluzioni aziendali in Italia negli ultimi 60 anni, interesserà i seggi nei consigli di amministrazione di 1.500 aziende.
Tuttavia, l’attenzione è focalizzata su alcune delle maggiori istituzioni finanziarie italiane: UniCredit, la più grande banca per disponibilità finanziarie, Generali, il suo più grande assicuratore, e Mediobanca, la banca d’investimento milanese posta al cosiddetto centro della “galassia del potere” in Italia. Mediobanca detiene il 13% di Generali, mentre UniCredit possiede il 9% di Mediobanca. I tre gruppi sono legati anche ad altre società tra cui Telecom Italia, Pirelli e RCS Mediagroup, attraverso una rete quasi impenetrabile di relazioni e di azioni di minoranza.
La banca d’investimento milanese, la cui sede principale si trova dietro al Teatro alla Scala in un sontuoso palazzo d’epoca, evidenzia come il modello delle partecipazioni incrociate stia già iniziando a sembrare obsoleto. Sotto l’amministratore delegato Alberto Nagel, 47 anni, e il presidente Renato Pagliaro, 55 anni, Mediobanca ha intrapreso delle riforme per distanziarsi dalle sue aziende compartecipate tramite la costruzione di una banca e lo sviluppo di attività di investimento bancario non incentrato sull’Italia. Ha anche introdotto limiti di età per i membri del consiglio d’amministrazione, una rottura significativa con la tradizione in una Italia gerontocratica.
Tuttavia, la crisi degli stati sovrani e il ritorno in recessione dell’Italia hanno affaticato un bilancio già appesantito dal costo delle sue partecipazioni incrociate.
I collegamenti di Mediobanca con le aziende italiane, a lungo invidiati, la rendono l’affarista più prolifico del paese. Ma dopo un decennio di stagnazione della crescita economica italiana, essere il banchiere d’Italia rischia di diventare tanto uno svantaggio quanto una benedizione. Le sue azioni sono precipitate del 40% negli ultimi sei mesi, in parte a causa della preoccupazione per l’impatto finanziario delle aziende compartecipate. Questo è maggiore della caduta dell’11% di Intesa Sanpaolo, la seconda banca più grande d’Italia per patrimonio, che detiene 60 miliardi di euro di debito italiano, il maggiore di qualsiasi istituzione.
Studi accademici hanno ripetutamente mostrato che le partecipazioni incrociate rendono un cattivo servizio agli investitori di minoranza, permettendo invece agli investitori più importanti, che siedono gli uni nei consigli di amministrazione degli altri, di “espropriare” i fondi tramite l’accesso a finanziamenti ben oltre il loro credito, come risultato delle loro strette relazioni.
L’analista di Cheuvreux Atanasio Pantarrotas afferma di considerare l’attività bancaria di Mediobanca più resistente rispetto a quella di altri operatori nazionali, ma di “essere preoccupato per le sue partecipazioni in istituzioni finanziarie italiane”.Pulse Para Eliminar Prima fra tutti è la sua partecipazione in Generali per 2,8 miliardi di azioni. Ma ha anche previsto di dover sborsare 120 milioni di euro per la sua esposizione a Telco, società finanziaria legata a Telecom Italia, un’altra partecipazione strategica. Intanto, gli analisti prevedono che l’incapacità di recuperare 1 miliardo di euro di debiti da una piccola azienda di assicurazione in difficoltà finanziarie, la Fondiaria-SAI, da lungo tempo cliente di proprietà di un membro del consiglio di amministrazione di Mediobanca, potrebbe costringere il signor Nagel a intraprendere un aumento di capitale.
In Generali, l’amministrazione ha escluso un aumento di capitale, ma gli analisti dicono che rimane una possibilità, visto che il bilancio dell’assicuratore è colpito da mercati azionari instabili e da 50 miliardi di euro prestati al debito sovrano italiano. Se ciò dovesse accadere, Pantarrotas dice che “aumenterebbe il rischio di concentrazione e si aggiungerebbe ulteriore pressione sui coefficienti patrimoniali di Mediobanca, secondo le regole stabilite dal sistema Basilea III”.
Gli analisti e i banchieri prevedono che un tale stress finanziario, da cui inizialmente si sarebbero dovute difendere le partecipazioni incrociate, potrebbe rivelare la voglia degli abitanti della “galassia del potere” italiano di portare la riforma di Monti alla sua logica conclusione e di iniziare a diminuire le loro vicendevoli partecipazioni.
[Articolo originale "Italy groups’ cross-holdings in spotlight" di Rachel Sanderson]

Tagli a tribunali, prefetture e ministeri arriva una forte stretta sugli acquisti
Le riduzioni non saranno lineari ma selettive e coinvolgeranno, oltre allo Stato centrale, Regioni e Comuni. Direttiva ai dicasteri, 80 miliardi di pagamenti da "rivedere"
di ROBERTO PETRINI
ROMA - Una spesa "rivedibile" nel breve periodo per 80 miliardi, ma che nel medio periodo può salire a 295 miliardi. All'interno c'è di tutto dai ministeri, alle Regioni, ai Comuni, dalle Prefetture ai Tribunali. E' questa la spending review di Piero Giarda che ieri ha illustrato il suo rapporto in consiglio dei ministri. A più presto, per quest'anno, una riduzione della spesa per 4,2 miliardi necessaria per scongiurare l'aumento dell'Iva previsto da ottobre. Una riduzione di 4,2 miliardi, sottolinea Palazzo Chigi, da ottenersi in 7 mesi (tra il primo giugno e il 31 dicembre 2012) "equivale a 7,2 miliardi su base annua e corrisponde perciò al 9% della spesa rivedibile nel breve periodo (80 miliardi)". I tagli "non saranno orizzontali ma mirati", sottolinea il governo. Un direttiva impone ai ministri di consegnare entro fine mese i piani di riduzione della spesa altrimenti interverrà la presidenza del Consiglio.

Beni e servizi
Consumi intermedi, ovvero beni e servizi per un totale di 135,6 miliardi di spesa "rivedibile" nel medio periodo. E' questo l'aggregato, quantificato dal Rapporto Giarda, su cui dovrà agire il neo commissario Bondi. Tra i compiti affidati al Commissario ci sono quello di coordinare l'attività di approvvigionamento di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione, incluse tutte le  amministrazioni, autorità, anche indipendenti, organi, uffici, agenzie o soggetti pubblici,  gli enti locali e le Regioni. Inoltre Bondi dovrà assicurare una riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, per voci di costo, delle amministrazioni pubbliche. "Il Commissario - si legge poi nel comunicato di Palazzo Chigi - potrà segnalare al Consiglio dei ministri le norme di legge o regolamento che determinano spese o voci di costo che possono essere razionalizzate. Potrà inoltre proporre al governo la sospensione o la revoca di singole procedure relative all'acquisto di beni e servizi".

Giustizia
Giustizia e spese relative in prima fila nella spending review. Nel mirino giudici di pace, Tribunali e uffici di Procura. Secondo il piano diffuso ieri da Palazzo Chigi il taglio più severo si indirizzerà verso i giudici di pace, ai quali si ricorre per le vertenze di piccola entità (caso più frequente, le multe per violazioni del codice della strada): attualmente ci sono 848 giudici di pace che dovranno ridursi a 174, con un risparmio, valutato dal rapporto, di 28 milioni di euro l'anno. Per Tribunali, sedi distaccate e uffici di Procura, si prevede una riduzione che consentirà di risparmiare 3.600 unità di personale amministrativo che sarà "riassegnato dove vi sono carenze". L'intervento consentirà di recuperare 600-750 magistrati togati con un risparmio di 45-60 miliardi l'anno. Inoltre il ministero emanerà un bando per mobilità esterna al fine di coprire gli organici scoperti al Centro-Nord per utilizzare il personale in esubero negli altri uffici giudiziari.

Enti locali
Allarme spesa per Comuni e Province. Due le indicazioni di lavoro che saranno presto poste sul tavolo degli enti locali provenienti dalle slide del ministro per i rapporti con il Parlamento Piero Giarda che illustrano il Rapporto sulla spending review. La prima osservazione riguarda la spesa dei Comuni sotto i 10 mila abitanti: sono i più piccoli a spendere di più. Una indicazione verso la concentrazione di servizi e l'abolizione dei microcomuni. La seconda indicazione è rivolta alle Province: anche in questo caso le province di maggiori dimensioni hanno spese per abitante "notevolmente" più basse delle province piccole. Anche in questo caso l'indicazione va verso l'accorpamento. In Parlamento sta infatti maturando un orientamento largamente condiviso - spiega una nota - volto a concentrare nelle province poche funzioni operative (territorio, trasporti e mobilità) unitariamente a una "drastica riduzione delle attuali province".

Istruzione
Anche il ministero dell'Istruzione pagherà il suo prezzo alla spending review. Sistemi informatici, spese per affitto, riorganizzazione della struttura territoriale: tutto ciò per portare a un risparmio che non viene quantificato dal governo. Tuttavia la tabella che dà conto della spesa "rivedibile" nel medio periodo indica in totale i costi tagliabili per l'Università ed altri enti in 15,4 miliardi. Si passerà per uno snellimento della spesa centrale attraverso l'utilizzo dei sistemi informatici, mediante la riduzione a partire dal 2014 del 50% della spesa per affitti (e del 10  già a partire dal 2013). Si prevede inoltre una riorganizzazione delle strutture territoriali del ministero con un intervento sui Provveditorati e il trasferimento ad altre funzioni del personale. In calendario anche la razionalizzazione dei distacchi e del personale comandato in altre amministrazioni e il riequilibrio della rete scolastica aumentando il rapporto tra alunni e docenti.

Interni
Prefetture, Vigili del Fuoco, Polizia di Stato. Le strutture periferiche di questi servizi rappresentano l'80 per cento della spesa del ministero degli Interni. La spesa analizzata è di 8 miliardi per retribuzioni, consumi intermedi e acquisto di beni e servizi. L'organizzazione su base provinciale di queste attività pesa sui conti dello Stato per 400 milioni: costi fissi che aumentano le spese dove la popolazione è scarsa. Inoltre la spesa per abitante al Centro-Sud risulta più alta rispetto al Centro-Nord perché il numero di occupati, a parità di condizioni, è maggiore; anche la retribuzione al Sud è più alta - spiega il rapporto - "a causa del ciclo: assunzione al Nord, scatti di anzianità, trasferimento al Sud". La spesa complessiva per beni e servizi è di 1,7 miliardi all'anno, i contratti di locazioni di sedi e distaccamenti locali pesano per 400-600 milioni. Le Prefetture costano in media 9,77 euro per abitante, ma in Lombardia si scende a 5,93 e in Molise si sale a 29,35.

Trasporti
Rivoluzione nel sistema che amministra i trasporti in Italia: dalle sede locali, a quelle centrali, dalla Motorizzazione alle autorità portuali, con un forte snellimento della stessa struttura del ministero. Si parla di una riduzione con effetto immediato degli organici e di una forte razionalizzazione delle strutture territoriali del ministero con l'obiettivo di calibrare il personale "in relazione al carico di lavoro e alla dimensione della scala di attività". In agenda anche la riforma della motorizzazione civile che dovrebbe trasformarsi in una agenzia di servizi autofinanziati. Il piano Monti-Giarda prevede anche una riforma del trasporto pubblico locale con il trasferimento alle Regioni di alcuni servizi ancora gestiti direttamente dal ministero. Nel mirino anche le autorità portuali che saranno ridotte di numero e riqualificate. Si studiano anche nuove forme di sostegno all'autotrasporto oggi basate su incentivi e sconti fiscali.
(01 maggio 2012)

Fiat: Chrysler, vendite Usa +20%
Boom anche per marchio Fiat: +366% rispetto ad aprile 2011
01 maggio, 13:48
(ANSA) - WASHINGTON, 1 MAG -Fiat Chrysler ha guadagnato il 20% nelle vendite in Usa, facendo registrare il miglior mese di aprile negli ultimi 4 anni e il venticinquesimo mese consecutivo di crescita. In particolare tutti i marchi, dalla Chrysler alla Jeep, dalla Dodge alla Ram Truck, oltre alla Fiat segnano incrementi nelle vendite rispetto all'aprile dell'anno scorso.
Infine il marchio Fiat in Usa fa registrare un aumento nelle vendite record, pari al 336% in piu' rispetto ad aprile 2011.

Ticino. E Monti ci ripensa: «Tratterò con Berna»
di Davide Adamoli
Dopo mesi di «Niet», il Governo Monti accetta la prospettiva di entrare in dialogo con Berna sulle spinose questioni legate all’imposizione dei capitali depositati in Svizzera (si veda a pag. 15). Il premier italiano, nelle sue dichiarazioni di lunedì ha tuttavia precisato che un’entrata in materia su questo argomento dipenderà dal «il rispetto dei trattati» sui frontalieri e sulla doppia imposizione che «il Canton Ticino ha sospeso unilateralmente» bloccando, nel giugno del 2011, metà dei ristorni all’Italia dell’imposta alla fonte prelevata sui guadagni dei frontalieri. La palla passa ora nel campo elvetico, o più precisamente in quello ticinese.

Borradori: «Buona notizia»
Per Marco Borradori, presidente del Consiglio di Stato, «il fatto che Monti abbia deciso di cambiare impostazione è positivo. Da ex-Commissario europeo, per il premier italiano sono state probabilmente determinanti le dichiarazioni della Commissione europea, che ha giudicato gli accordi finora negoziati dalla Svizzera con Germania e Gran Bretagna conformi alle direttive europee, nonché le pressioni interne all’Italia, con tutti i partiti favorevoli alla riapertura dei negoziati con la Svizzera, in vista di un accordo che potrà portare parecchio denaro nelle casse pubbliche italiane».

«Daremo i ristorni se...»
Sulla questione dei ristorni, Borradori è prudente, ma lascia intendere che le vie per un accordo che soddisfi tutte le parti sia ormai aperta:
«Da parte nostra non consideriamo questa richiesta da parte italiana come un diktat, ma come una mossa politica. Con questa dichiarazione di lunedì torniamo quindi alla situazione raggiunta nello scorso ottobre, sul finire del Governo Berlusconi. Da parte nostra siamo in contatto con Berna da alcuni giorni, sapevamo che le cose stavano per muoversi. Ora questi contatti si intensificheranno, fino a giungere a un possibile incontro con Eveline Widmer-Schlumpf. Alla Confederazione diremo che siamo disposti a sbloccare i ristorni –anche rapidamente– purché da parte di Berna e Roma si aggiungano all’ordine del giorno delle trattative due aspetti: le Black List, che davvero sono anacronistiche ed estremamente fastidiose per la nostra economia, e un riesame dell’attualità dell’accordo sui frontalieri del 1974. D’altronde, noi avevano bloccato i ristorni per far ripartire le trattative Svizzera-Italia su questi punti. Dai contatti intrattenuti anche attraverso il nostro delegato Jörg De Bernardi, credo che su queste richieste ci sia la necessaria apertura –ricordo anche il voto del Nazionale. Poi, su chi farà il primo passo, credo che se dai due governi nazionali vi sarà un comunicato congiunto che attesti la ripresa del dialogo, potremo dare fiducia. E sulla questione del tasso dei ristorni, si potrebbe anche lavorare sulle modalità di questi pagamenti, ad esempio facendo in modo che le Province ricevano questo denaro direttamente da noi: ciò aiuterebbe a digerire un abbassamento dell’aliquota».


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