Bankitalia:a Sud produzione torna a 2009
Industria: Codacons, inutile produrre se
famiglie non possono acquistare
Ue: 5 Paesi contrari ad aiuti per terremoto in
Emilia Romagna
Grecia: Stournaras, nessuna preoccupazione su
aiuti. L'Europa paghera'
Serbia: Italia si conferma terzo partner
commerciale
La Commissione Ue vede nero sul futuro dell’ex
Jugoslavia
Salva-Napoli, il governo non fa sconti
Prestito a
condizioni invariate: 200 euro a cittadino
NAPOLI — Doveva essere un decreto che salvasse
i Comuni con i conti in rosso, quindi anche Napoli. Soprattutto Napoli. Il
documento del governo Monti rischia invece di trasformarsi «in un cappio al
collo», come ha detto il sindaco de Magistris, per il Comune. Un cappio dal
quale difficilmente la città riuscirà a liberarsi per i prossimi cinque anni.
L’esecutivo ha infatti posto la fiducia alla Camera blindando il testo che
comprende sostanzialmente un unico maxiemendamento nel quale non è prevista,
però, alcuna richiesta di quelle fatte da Napoli: elevare il fondo a
disposizione della città da 200 euro per cittadino ad almeno 300, destinando
più risorse solo ai Comuni con più di 500 mila abitanti; e innalzare il piano
di rientro da 5 a 10 anni. Niente di tutto questo.
Tutto resta fermo.
Il governo ha chiuso la porta in faccia a Palazzo San Giacomo. Anche perché i
fondi a disposizione non ce li ha proprio. Ma Napoli, così, rischia davvero di
affondare. Perché di soldi, al Comune, ne servono tanti e subito. Pochi giorni
fa sono stati stralciati 850 milioni di crediti difficilmente esigibili — per
la quasi totalità, multe automobilistiche, Tarsu e Ici non pagate — dal
rendiconto di bilancio 2011. E per 850 milioni eliminati, teoricamente, ne
servirebbero almeno altrettanti per riequilibrare i conti. Soldi che finiscono
nel mare di un miliardo e mezzo di debiti che l’amministrazione si ritrova,
oltre ad altri 900 milioni di debiti che Palazzo San Giacomo ha verso le sue
società partecipate. Denari che mancano in cassa e che stanno generando la
paralisi totale della città nella quale la refezione a scuola ancora non parte;
nella quale le strade sono piene di buche; nella quale la società che gestisce
l’illuminazione, avanzando 40 milioni di arretrati, minaccia di «staccare la
spina»; nella quale le corse degli autobus vengono ridotte perché i soldi per
farli uscire tutti in strada mancano; nella quale gli anziani a passo reddito e
i portatori di handicap dal nuovo anno dovranno pagare l’abbonamento a prezzo
pieno per il trasporto pubblico; e nella quale la tassa sui rifiuti è la più
alta d’Italia. Insomma, un default che, seppure non acclarato, viene vissuto di
fatto ogni giorno dai napoletani. E non è un caso se in dieci anni la città ha
«perso» quasi 30 mila abitanti emigrati altrove: molti andati lontano, altri
semplicemente in periferia dove si vive meglio e la vita costa senza dubbio
meno. Ecco perché de Magistris si aspettava un aiuto concreto, vero, reale e
soprattutto immediato dal governo e non solo pacche sulle spalle e promesse,
tante, che non si sono tradotte poi in emendamenti approvati, che era l’unica
cosa che contava.
Il decreto 174 è
rimasto invariato con l’unica novità, peraltro introdotta direttamente dal
governo e non dai parlamentari campani, di portare i conferimenti per il Comune
di Napoli da 100 a 200 euro per cittadino. Poi basta. Ora la speranza si sposta
al Senato — ma davvero ridotta al lumicino — dove il decreto farà il secondo
passaggio prima dela conversione in legge. Il tutto dovrà accadere entro il 5
dicembre prossimo. Poi, in ogni caso, dovrà essere predisposto il piano di
rientro che sarà di lacrime e sangue e sul quale sorveglierà sia la Corte dei
Conti che il presidente del collegio sindacale che sarà indicato direttamente
dai ministeri dell’Interno e dello Sviluppo economico a mo’ di commissario. Si
comincerà dall’inevitabile innalzamento dell’Imu sulla prima casa che sarà
portata al massimo, salvo miracoli, portandola dall’attuale 0,5 per mille allo
0,6 per mille. Così come è molto probabile che anche l’addizionale Irpef, che
oggi va dallo 0,4 per cento allo 0,8, che è il massimo, ma viene applicata in
maniera graduale in base al reddito. In futuro potrebbe essere portata invece
al massimo per tutti. Inevitabile sarà anche il ritocco ulteriore della tassa
sui rifiuti e delle tariffe per i servizi a domanda individuale, quindi il
costo degli asili nido e dei biglietti dell’autobus. Il comune dovrà anche
metter mano alle società partecipate, intervenendo sul personale in esubero nel
caso di conti in rosso. L’unica cosa positiva è che i 200 euro per cittadino —
che nel caso di Napoli, moltiplicati per i circa 970 mila abitanti fanno circa
194 milioni di euro — potranno essere chiesti in anticipo. «Forse anche
l’intera cifra entro l’anno», spiega l’assessore al bilancio, Salvatore Palma,
che racconta comunque come non abbia messo ancora mano al piano di rientro
«visto che speriamo che le cose cambino al Senato». Già, una speranza. Che è
poi di tutti i napoletani ai quali restano ben pochi motivi per non emigrare
altrove.
Paolo Cuozzo
Bankitalia:a Sud produzione torna a 2009
Analisi su primi
nove mesi dell'anno
09 novembre, 14:22
(ANSA) - ROMA, 9 NOV - Nei primi nove mesi del
2012 ''i livelli produttivi, in contrazione in tutta Italia, si sono riportati
nel Mezzogiorno sui livelli minimi della primavera del 2009''. E' quanto rileva
la Banca d'Italia nell'aggiornamento del rapporto sull'economia delle regioni.
Secondo Via Nazionale al Sud ''ha influito la maggiore dipendenza di quest'area
dagli andamenti della domanda interna'' mentre nel resto del paese l'effetto si
e' mitigato per le esportazioni che pure si sono attenuate.
Industria: Codacons, inutile produrre se
famiglie non possono acquistare
ultimo aggiornamento:
09 novembre, ore 12:43
Roma, 9
nov. (Adnkronos) - Inutile che le industrie "riprendano la loro
produzione, dal momento che le famiglie non hanno i soldi per acquistare i loro
prodotti". Cosi' il Codacons commenta i dati Istat, relativi alla
produzione industriale, che a settembre hanno registrato un calo dell'1,5%
rispetto al mese precedente e del 4,8% rispetto al settembre 2011. Per il
Codacons, inoltre, l'accordo sulla produttivita', anche se "utile in
futuro", non serve "per uscire da questa profonda crisi, che resta
una crisi, in primo luogo, di consumi".
Ue: 5 Paesi contrari ad aiuti per terremoto in
Emilia Romagna
ultimo
aggiornamento: 09 novembre, ore 14:18
Bruxelles, 9 nov. -
(Adnkronos) - Cinque Paesi europei - Svezia, Germania, Olanda, Finlandia e Gran
Bretagna - sono contrari alle proposte di bilancio europeo rettificativo per il
2012, che comprendeno anche 670 milioni di aiuti per il terremoto in Emilia Romagna.
Lo riferiscono fonti europee.
Grecia: Stournaras, nessuna preoccupazione su
aiuti. L'Europa paghera'
09 Novembre 2012 -
12:55
(ASCA-AFP) - Atene, 9 nov - ''Non c'e' motivo
di preoccuparsi'' per la nuova tranche di aiuti internazionali.
''La Grecia sta
facendo i compiti a casa e l'Europa esborsera' la quota'' di 31,5 miliardi euro
necessaria ad evitare il crac del Paese ellenico. A rassicurare gli umori e' il
ministro delle Finanze Yannis Stournaras, a poche ore dalle indiscrezioni
trapelate da fonti dell'Eurogruppo, secondo cui ''sara' molto difficile'' che i
leader dell'eurozona ''giungano ad una decisione sul nuovo pacchetto di aiuti
greco'' nel corso della prossima riunione prevista per lunedi' 12 novembre.
rba/sam/rob
Serbia: Italia si conferma terzo partner
commerciale
Per export e import.
Germania Paese leader
09 novembre, 12:42
(ANSAmed) -
BELGRADO, 9 NOV - L'Italia si e' confermata terzo partner commerciale della
Serbia nei primi nove mesi dell'anno, sia in termini di export che di import.
In entrambi i settori la Germania e' il paese leader.
Come ha reso noto a Belgrado l'Ufficio
nazionale di statistica, le esportazioni serbe verso la Germania hanno fatto
registrare nel periodo gennaio-settembre un valore di 965,5 milioni di dollari.
Al secondo posto la Bosnia-Erzegovina con 805,7 milioni di dollari, seguita
dall'Italia con 769,3 milionidi dollari.
Per l'import, alle spalle della Germania con
1,54 miliardi di dollari, figurano la Federazione russa con 1,4 miliardi di
dollari e l'Italia con 1,28 miliardi di dollari. (ANSAmed)
La Commissione Ue vede nero sul futuro dell’ex
Jugoslavia
Lubiana ancora in
recessione: anche il 2013 sarà negativo Cadranno i consumi e la disoccupazione
salirà oltre l’11%
di Stefano Giantin
BELGRADO. «Si naviga
in acque agitate», avvisa la Commissione europea nel preambolo delle sue
previsioni economiche autunnali, pubblicate mercoledì. Acque agitate per gran
parte dei Paesi Ue. Paesi dove brillano alcune luci, come quelle dell’Austria,
dove «si ritorna gradualmente alla normalità» e quelle della locomotiva
tedesca, seppur in fase di rallentamento. E tante ombre, da quelle spagnole e
greche, alle molte italiane. Ma se nei Paesi dell’Europa mediterranea non c’è
ragione per guardare al futuro con fiducia, l’umore nella vicina Slovenia,
nella prossima “ventottesima stella”, la Croazia, e nella “candidata” Serbia è
altrettanto tetro. Viaggiando da nord verso sud, la Commissione non può che
evidenziare le grandi falle che si sono aperte nelle economie balcaniche. Falle
ancora più ampie di quanto stimato nei rapporti precedenti. Prima tappa del
viaggio, Lubiana, che «è precipitata di nuovo in recessione, con una forte
crescita negativa a metà 2012», mette il dito nella piaga il rapporto di
Bruxelles. E fosse solo il -2,3% di Pil di quest’anno a impensierire l’Ue.
Neppure nel 2013, infatti, la Slovenia rivedrà un segno positivo nella casella
del suo prodotto interno lordo, previsto dall’Ue a -1,6%. Dovrà anche
sopportare «una significativa caduta dei consumi privati» e una disoccupazione
in crescita. I senza lavoro, con relative tensioni sociali esacerbate dalle
misure d’austerità, «aumenteranno di due punti», dall’8,4% del 2011, al 10,6%
del 2012 fino all’11,5% del 2013. E si aggraverà anche il rapporto debito
pubblico/Pil, malgrado i tagli decisi dal governo. Rapporto che passerà dal 54%
di quest’anno al 59% dell’anno prossimo. Sarà al 62% nel 2014, mentre
all’esordio della crisi era al 35%. Ma potrebbe andare perfino peggio, se i
conti pubblici dovessero risentire della «recente ricapitalizzazione delle
banche e di un possibile sostegno aggiuntivo alle aziende a controllo statale».
Qualche centinaio di chilometri verso sud e il panorama resta sconfortante.
«Dopo una temporanea stabilizzazione nel 2011, la Croazia sperimenta al momento
la seconda caduta nelle sue attività produttive dall’inizio della crisi nel
2008», avvisa la Commissione. Il prossimo membro Ue ha registrato una
«contrazione del Pil reale dell’1,7% nella prima metà del 2012» e i dati su «produzione
industriale, costruzioni e disoccupazione suggeriscono» che l’economia «sta
stagnando». Cosa deve attendersi Zagabria? Un -1,9% di Pil fino a dicembre, poi
crescita zero nel 2013 e una moderata ripresa (+1,4%) solo nel 2014. Non tutti
i mali croati sono endogeni, spiega poi Bruxelles, indicando nei «venti
contrari ciclici e strutturali» le zavorre croate. Perché la Croazia soffre sì
«della contrazione» delle economie dei suoi partner storici, ma la sua
«competitività internazionale» ha dimostrato nondimeno di essere «inadeguata a
scongiurare un declino delle esportazioni». Cosa porterà l’entrata nell’Ue nel
2013? «Maggiori investimenti», «una modesta accelerazione dell’export». E un
po’ più di lavoro, con la disoccupazione che scenderà dal 14,2% al 13,9% nel
2013. Un calo minimo, di certo non sufficiente a riassorbire i 120mila che
l’hanno perso dal 2008. E a frenare il nervosismo anti-tagli, soprattutto nel
settore pubblico. E la Serbia? È «tornata in recessione», conferma l’Ue, con
«la domanda interna e l’export» in calo. Un arretramento che quest’anno sarà
del -1,6%, ma nel 2013 si tornerà in positivo, con il Pil a +1,5%. Sarà però
una crescita anemica, a causa del perdurare della crisi dei consumi, dell’alta
disoccupazione, stabile oltre il 26% e delle difficoltà collegate al
«deprezzamento del dinaro», col rischio «acuto» di picchi d’inflazione, tagli e
conti pubblici traballanti. Che la situazione, non solo nei vicini Balcani ma
in tutto l’Est, sia assai precaria, lo conferma una buona notizia. La Banca
europea degli investimenti (Bei), quella per la ricostruzione e lo sviluppo
(Bers) e la Banca mondiale hanno annunciato ieri il varo di una sorta di
“mini-piano Marshall” per rilanciare le economie dell’Europa orientale. Trenta
miliardi di euro, destinati a 17 Paesi tra cui quelli balcanici, Cechia e
Slovacchia, Albania, Ungheria, che potranno contare fino al 2014 sui miliardi
delle istituzioni internazionali come arma per contrastare «il continuo impatto
dei problemi dell’Eurozona» sulle proprie economie nazionali.
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