Politica ed economia:
1. Davos: Turchia accusa Ue, state diventando un 'club di cristiani'.
2. Davos, processo all'Italia "marginale e in declino paralizzata da Berlusconi".
3. Davos, Germania: pensione Ue a 67 anni.
Finanza e debiti sovrani:
4. Davos, Merkel: la minaccia è il debito.
1. Davos: Turchia accusa Ue, state diventando un 'club di cristiani'. (AGI) - Davos, 29 gen. - L'Unione europea sta diventando sempre piu' un "Club di cristiani" ripiegati in loro stessi e chiusi all'allargamento. Lo ha affermato il vice premier turco Ali Babacan, intervento a Davos in una sessione a Davos insieme al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. "Abbiamo sempre pensato che l'Ue rappresentasse un grande processo di pace, invece in processo di allargamento e' letteralmente in stallo e la politica della 'porta apetta' non e' piu' li'". Secondo Babacan uno dei motivi perche' ci sarebbero ostilita' all'ingresso della Turchia in Ue sarebbe perche' l'Europa "e' un Club cristiano e questo, secondo noi, e' molto molto pericoloso". Ankara ha iniziato la procedura per l'ingresso in Ue nel 2005 ma il processo si e' fermato per via dell'opposizione di alcuni membri. "Tutti cercano di capire cosa succedera' - ha aggiunto il vice premier - e che tipo di Europa ne uscira' sara' di immensa importanza per la nostra area".
2. Davos, processo all'Italia "marginale e in declino paralizzata da Berlusconi". [Rampini Federico] – la Repubblica. Gli altri leader europei vengono qui per "dare la linea" al Worid Economie Forum. In 48 ore si succedono a Davos Nicolas Sarkozy, David Cameron, Angela Merkel:
espongono una visione dell'Europa, le loro ricette per la ripresa, le strategie verso l'America e i paesi emergenti.
All'Italia tocca un ruolo diverso a Davos: quello dell'imputata. Il campionario di dirigenti mondiali che si riunisce in questo summit - statisti, grandi imprenditori, opinion leader - riserva al nostro paese una sessione a porte chiuse.
Intitolata "Italia, un caso speciale". La riunione viene presentata cos dagli organizzatori nel documento introduttivo:
Malgrado la sua storia, il suo patrimonio culturale, la forza di alcuni settori della sua economia, il paese ha difficolta’ di governance e un'influenza sproporzionatamente piccola sulla scena globale. Le sue prospettive economiche e sociali appaiono negative. A istruire il processo, l'establishment di Davos delega alcuni esperti e opinionisti autorevoli.
Di fronte a loro, sul versante italiano, un parterre di imprenditori e banchieri. Nessun rappresentante di governo all'appello: il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, pur presente aDavos, fissa unacohferenza stampa altrove, nello stesso orario. Tocca a Michael Elliott, direttore del magazine Time, aprire il fuoco: Contate molto meno di quel che dovreste nell'economia internazionale, i problemi del vostro governo vi precludono di svolgere il ruolo che vi spetta.
Segue l'economista Nouriel Roubini, una stardi Davos da quando nel 2007 fu l'unico a prevedere con precisione la crisi mondiale: Di solito parlo solo di economia ma nel vostro caso il problema del governo diventato grave, una vera distrazione che v'impedisce di fare quello che dovreste. Siete di fronte ad accuse di una vera e propria prostituzione di Stato, orge con minorenni, ostruzione alla giustizia. Avete un serio problema di leadership che biocca le riforme necessarie. Roubini da atto sia a Tremonti che a Mario Draghi di avere limitato i danni sul fronte della finanza pubblica e del sistema bancario. Ma un contagio della sfiducia dei mercati ancora possibile - aggiunge – perche’ il divario enorme tra le riforme strutturali di cui avete bisogno, e cio’ che e’ stato fatto. Un altro economista, Daniel Gros che dirige a Bruxelles il Centre for European Policy Studies, invita a non illudersi sul fatto che l'Italia possa a lungo sottrarsi al destino di Grecia, Portogallo, Irlanda: La vostra situazione e’ preoccupante. Siete il paese piu’ direttamente in competizione con la Cina, per la tipologia dei prodotti. Da dieci anni si sa quali riforme andrebbero fatte. Di questo passo l'Italia potrebbe diventare il prossimo grosso problema dell'eurozona. Josef Joffe, editore e direttore del giornale tedesco DieZeit "Da dieci anni crescete meno della media europea, questo il problema numero uno". Segue Matthew Bishop; capo della redazione americana del settimanale Th Economist, che nel 1997 fu l'autore di un rapporto sui nostri "esami d'ingresso" nella moneta unica: Da allora - dice - il paese rimasto troppo immobile. Le tendenze dell'economia globale rischiano di trasformarvi nell'anello debole dell'Unione europea. Se l'Italia non usa i prossimi cinque anni per un reale cambiamento, vi ritroverete dalla parte perdente dell'eurozona. Quindi Bishop lancia la palla nel campo degli italiani: I gravi reati di cui Silvio Berlusconi e’accusato sono ben noti. Ma a voi sta bene lo stesso? E' questo il governo che volete? La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia nel replicare sottolinea quanto la forza del tessuto produttivo resti notevole: Siamo il secondo esportatore europeo dietro la Germania, il quinto nel mondo, con punte di
Eccellenza non solo nei settori tradizionali ma nella meccanica, nella robotica, nei macchinari elettronici. Anche lei pero’ descrive un'Italia introversa, ripiegata su se stessa, distratta rispetto a quel che accade nel resto del mondo, soprattutto per colpa dei suoi politici. E conferma che il mondo di Davos, quello delle nuove potenze come l'India e l'Indonesia, ignoto ai nostri politici, percio’ siamo assenti dai tavoli dove si decide il futuro. Corrado Passera di Bancaintesa elenca gli handicap: Scuola, infrastrutture, giustizia, burocrazia, bassa mobilita’ sociale, poca meritocrazia.
Voci ancora piu’ critiche si levano tra i nostri top manager che hanno scelto una carriera all'estero. A loro il pianeta-Davos e’ familiare, nei nuovi scenari della competizione globale si muovono con sicurezza. Ma sono qui per conto di multinazionali straniere.
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3. Germania: pensione Ue a 67 anni. Beda Romano. FRANCOFORTE. Dal nostro inviato. È una Germania sempre dubbiosa sulle qualità dell'Europa quella che emerge dai sondaggi di questi giorni, mentre l'Unione cerca disperatamente di darsi nuove regole di politica economica. Proprio nel tentativo di trovare un accordo a livello europeo, ieri il governo ha esposto le condizioni perché possa dare il suo benestare a un nuovo patto di stabilità e a un nuovo fondo salva-stati (noto con l'acronimo inglese Efsf).
Un sondaggio del Forschungsgruppe Wahlen pubblicato ieri dalla rete televisiva pubblica Zdf ha rivelato che il 64% dei tedeschi è contrario all'aumento del fondo di stabilità finanziaria. Questa opzione, sostenuta dalla stessa Commissione Europea ma osteggiata dalla Germania, è oggetto di difficilissimi negoziati intergovernativi. L'Efsf è dotato di 440 miliardi di euro, ma in realtà può mettere a disposizione dei paesi in crisi debitoria appena 250 miliardi.
Lo stesso studio demoscopico nota che l'82% degli interpellati crede che l'euro sia a rischio. Nei giorni scorsi, un altro sondaggio, questa volta dell'istituto Allensbach, spiegava che il 69% delle persone interpellate ha poca o nessuna fiducia nell'Europa comunitaria (si veda Il Sole 24 Ore di giovedì). In un anno di elezioni regionali, si vota in febbraio e marzo in quattro Länder, i sentimenti della pubblica opinione sono difficili da ignorare per la classe politica tedesca.
In questo contesto, con un'intervista a Le Monde del ministro degli esteri Guido Westerwelle il governo tedesco è uscito ieri dall'ambiguità ed esposto le «tre condizioni» per un eventuale rafforzamento dell'Efsf: «In primo luogo bisogna che il patto preveda sanzioni quasi automatiche per i governi che non rispettano le regole. Poi bisogna che tutti i paesi si impegnino chiaramente per avere i conti in ordine. Infine, è necessario rafforzare la competitività a lungo termine».
Poche ore dopo l'uscita a Parigi di Le Monde, un quotidiano del pomeriggio, la presa di posizione del ministro degli Esteri è stata confermata da una fuga di notizie, probabilmente orchestrata dallo stesso governo federale a Berlino. L'agenzia di stampa Reuters ha citato ieri sera un rapporto della Cancelleria in cui si propone agli stati membri della zona euro un patto a favore di una rinnovata competitività dei paesi dell'Unione.
Nella relazione emerge il desiderio tedesco di chiedere ai propri partner politiche economiche più impegnative, per esempio l'abolizione di qualsiasi aumento automatico dei salari legato all'inflazione, un innalzamento dell'età pensionistica a 67 anni (come la Germania), o ancora l'introduzione di misure anti-debito nelle legislazioni nazionali, quest'ultima menzionata ieri a Davos dallo stesso cancelliere Angela Merkel.
Con la sua intervista di ieri Westerwelle ha chiarito la posta in gioco, ma ha anche confermato l'apertura emersa nei giorni scorsi. La Germania deve poter presentare alla propria opinione pubblica nelle prossime settimane un accordo che contenga (se necessario) un eventuale aumento della dotazione del fondo, come chiesto da molti in Europa, ma soprattutto misure che rafforzino la disciplina economica dei partner europei e che quindi rassicurino i tedeschi.
4. Merkel: la minaccia è il debito. di Ugo Tramballi. DAVOS. Dal nostro inviato. Ecco l'Europa tedesca che ha fatto tutti i suoi compiti. E che ora spiega - ma senza alzare la voce né pensare di dare lezioni ma solo consigliare - cosa dovrebbero fare gli altri europei, meno diligenti. Dall'euro che non si tocca al debito, cioè «la peggiore minaccia alla prosperità europea».
Se il giorno prima Nicolas Sarkozy era stato Guascone, ieri Angela Merkel è stata come una maestra: senza fronzoli retorico ma pacata e implacabile come sono quegli insegnanti che a giugno vogliono portare tutta la classe alla promozione.
C'è solo un breve passo del discorso al World Economic Forum, nel quale il cancelliere tedesco si permette di invitare palesemente gli altri europei a seguire il modello tedesco: «Le misure di risparmio e di crescita non sono in contrasto». Con la pacatezza della buona maestra Merkel spiega come stanno le cose come se raccontasse una parabola: «Sono stata criticata, è stato detto alla Germania che dovrebbe contribuire alla crescita europea. Ma se si consolida, minaccia la crescita. Eppure negli ultimi due anni abbiamo avuto una esperienza molto interessante: abbiamo tagliato le spese e l'anno scorso siamo cresciuti del 3,6%».
«Ma guarda un po'!», direbbero se potessero gli altri europei in malafede, facendo finta di non sapere che è come fa la Germania che si può tagliare e nonostante questo crescere. Per fortuna c'è la moneta comune e dunque alla fine ci penseranno ancora i tedeschi. Ma ecco che Angela Merkel arriva anche ai banchi in fondo alla classe dove si nascondono quelli che credono di farla franca. «Non possiamo avere una moneta comune e contemporaneamente sistemi sociali completamente divergenti». Occorre dunque fra tutti i paesi europei una convergenza sulla stessa età pensionabile, lo stesso sistema educativo e molte altre cose omogenee.
Come sul debito, si terrà conto delle necessità e delle peculiarità di ogni singolo paese. Ma alla fine se è la Germania che paga, è la Germania che fissa le nuove regole. Angela Merkel non lo dice proprio così, ma il senso è questo. Perché i problemi non sono passati, il pericolo è ancora alle porte e qualcuno se ne deve occupare. L'allarme del debito c'è sempre. E inoltre, «attenzione al ritorno del protezionismo. Occorre una guida politica per arrivare a un accordo sul commercio mondiale». Già quest'anno, nel 2011, sarebbe molto meglio. Fosse l'anno prossimo, i pericoli protezionistici potrebbero permanere e crescere.
Per questo serve la politica. Qui Angela Merkel assomiglia al Sarkozy - a parole, non nella mimica - che anche in mezzo alla globalizzazione, ieri rivendicava il primato dello Stato. La politica come valore e come sentinella dell'interesse collettivo.
E come il suo compagno di strada, apparentemente improbabile ma concretamente effettivo, il cancelliere tedesco difende l'euro. «Se l'euro fallisce è l'intera Europa che fallisce. Difenderemo questo euro. Dobbiamo renderlo stabile e durevole». La moneta comune al centro del nostro futuro. Non c'è in questo il volo pindarico di Nicolas Sarkozy, il giorno prima: l'euro non solo come moneta ma come valore identitario del continente. Merkel è stringata all'essenziale ma non meno efficace rispetto al futuro della collettività europea.
Il fantasma di qualche fallimento è sempre presente nell'aria fredda di Davos. E' per interessi concreti e paure nascoste a fatica, che molti al Word Economic Forum vorrebbero sapere dal cancelliere tedesco se, caso mai, ci fossero altri fondi a disposizione per alleggerire debiti ingestibili. Fino ad ora la Germania si è sempre opposta ad altre elargizioni.
E ieri, unica delusione fra le nevi di Davos, Angela Merkel non ha detto niente. Ma la speranza è l'ultima a morire. Non ha detto che continuerà ad opporsi: semplicemente non ha detto niente, dunque potrebbe cambiare idea. Anche George Papandreu con il volto sempre più triste e la sua delegazione greca, ieri sera hanno lasciato Davos con un mezzo sorriso. Nessuno ha mai detto che il World Economic Forum negasse ai suoi ospiti di sognare.
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