martedì 18 gennaio 2011

Notizie Federali della Sera, martedì 18 gennaio 2011

Sezione Marchionne:
1. Milano. Il piano Marchionne.
2. Marchionne in calabrese.

Sezione spaccato del Mezzogiorno:
3. Calabria. Licenziati dal Consorzio.
4. La Regione Calabria si schiera al fianco di chi denuncia il pizzo.
5. Matera capitale della cultura 2019. Un progetto che unisce.
6. Benzina, al Sud già oltre 1,53 euro/litro.
7. Figli in aumento in Bassomolise: tutto merito degli immigrati.

Sezione padania:
8. Modena. Parti a misura di donna, più nascite»
9. Aosta. “Un “comitato di comitati” contro le grandi opere.
10. Rovereto, aumentano i clochard.
11. Tunisia. Le aziende italiane non fuggono.


1. Milano. Il piano di Marchionne: «Estendere il nuovo accordo a Melfi e Cassino». L'ad di Fiat: «Non c'è alternativa, non possiamo vivere in due mondi. Vendere l'Alfa? Fossi matto, è roba nostra». MILANO - Dopo Pomigliano e Mirafiori il nuovo contratto investirà anche Melfi e Cassino. È quanto afferma Sergio Marchionne nell'intervista a Repubblica che, rispondendo ad una specifica domanda, sostiene che «non c'è alternativa». «Non possiamo vivere in due mondi - afferma Marchionne - Io spero che, visto l'accordo alla prova, non vorranno vivere nel secondo mondo nemmeno gli operai».
UTILI AGLI OPERAI - Marchionne ha poi promesso di alzare i salari se riuscirà a ridurre i costi di utilizzo degli impianti oltre a quelli del lavoro: «Possiamo arrivare al livello della Germania e della Francia. Io sono pronto». L'ad di Fiat si è anche detto disposto a far partecipare gli operai agli utili. «Ci arriveremo - ha affermato -. Voglio arrivarci. Ma prima di parteciparli gli utili dobbiamo farli».
L'ALFA - Alla domanda relativa alla possibilità di vendere l'Alfa Romeo Marchionne è lapidario: «Fossi matto, è roba nostra». «Grazie a Chrysler l'Alfa arriverà in America, con una rete di 2 mila concessionari, e farà il botto». Marchionne, inoltre, afferma di non voler vendere anche la parte relativa ai veicoli industriali. «Manco di notte - risponde alla specifica domanda -. E l'arroganza tedesca, gliela raccomando. Quando volevo comprare Opel non me l'hanno data perché ero italiano...».
PIÙ TESTE - L'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne risponde poi ad una domanda sulla localizzazione della «testa» decisionale del gruppo automobilistico: «Bisognerà abituarsi al fatto che avremo più teste, a Torino, a Detroit, in Brasile, in Turchia, spero in Cina. Ma un cuore solo. Così rimarranno vive quelle quattro lettere del marchio Fiat. Vediamole. Fabbrica: produciamo ancora, vogliamo produrre di più. Italiana: siamo qui e non vendiamo nulla. Automobili: resta il cuore del business. Torino: se ha dei dubbi, apra la mia finestra e guardi fuori». Sulle nuove auto prodotte a Mirafiori, poi, aggiunge: «il Centro Stile rimane qui, il design, ma anche i progetti, le piattaforme di origine: la piattaforma della Giulietta è nata qui, è stata riadattata negli Usa, adesso torna qui per fare da base ai Suv Jeep e Alfa». (fonte: Ansa) 18 gennaio 2011
2. Marchionne in calabrese. Il dualismo Nord/Sud dopo Marchionne. 18/01/2011 di PIETRO RENDE. Noi che credevamo agli incentivi che imponemmo ancora e inutilmente nella legge sulla ristrutturazione e riconversione industriale n. 675 del 1977 per una delocalizzazione produttiva nel Mezzogiorno; noi che credevamo alla riserva del 40% di partecipazioni industriali sempre nel sud; noi che leggevamo con attenzione le proposte di Bankitalia sulla possibile attrattività e competitività delle “gabbie salariali” legate alla produttività mentre adesso alla Newco si predispongono più straordinari e salari; noi che aspettavamo sempre leggi speciali e chiedevamo al Comitato portuale di Gioia Tauro più parametri competitivi, ecc.. potremmo parafrasare all’infinito la filastrocca televisiva dei “Migliori anni della nostra vita”, limitiamoci, per ora, a una sola domanda: cosa pensiamo della rivoluzione Marchionne, che butta alle ortiche quasi tutto l’armamentario meridionalistico (dalla 488 alla fiscalità di vantaggio) e si limita a regole intramoenia della Fabbrica Globale dove “il mercato sostituisce la politica”? Se basta un nuovo modello di relazioni industriali a competere nel mondo e realizzare i vantaggi della delocalizzazione in casa propria, a cosa serve più una politica di programmazione industriale, un contratto nazionale separato da quello destinato ai piccoli imprenditori metallurgici e metalmeccanici rappresentati dal vice di Confindustria, Bombassei? E a ridurre il dualismo Nord/Sud serve più un nuovo Welfare, ancorché compatibile con la sopravvivenza della democrazia, o un rimedio politico di Grande Coalizione, come in Germania, per controllare e contenere gli estremismi radicali che il Referendum di Mirafiori ha alimentato, come quello, pericolosissimo, della divisione fra operai e impiegati? Ci mancava poi la spiegazione di Msc sulla crisi competitiva di Gioia Tauro - il maggiore decentramento terziario nel sud del Mediterraneo - che lamenta «una produttività molto bassa inferiore anche del 20-30% rispetto alla media europea e (che) poi c’è un alto tasso di assenteismo». Prendiamo, allora fra i commenti più perspicaci quello di Sergio Ricolfi, proprio sulla Stampa di Torino del 16 gennaio, che ammonisce sui limiti della Svolta e rinvia al buon funzionamento dello Stato di diritto, soprattutto nel farraginoso funzionamento della giustizia civile sulle cause di lavoro e nella legalità degli affari, il buon esito di qualsiasi buona intenzione rivolta alla crescita dello sviluppo, la base di ogni problema. Per non parlare del credito e del rapporto banche-imprese, che potrebbe pure ricondursi a una logica consociativa, oppure delle infrastrutture pure in teoria gestibili da project finance a capitale misto banche-imprese. Ma, per non limitarci a Sanità e Istruzione dove il ruolo dello Stato non viene messo in discussione, non si può certo pensare p.e. di risolvere il “credit crunch” o affollamento e piazzamento di richieste creditizie finchè lo Stato ha un debito pubblico che finanzia con deficit annui e interessi che paga sui Bot che le Banche acquistano sottraendo risorse finanziarie e risparmio alla offerta creditizia disponibile per le imprese. Inoltre ricordiamoci che solo la difesa e l’impiego dell’euro sul dollaro può proteggere da un’inflazione potenzialmente altissima un paese come l’Italia costretto a comprare dall’estero le materie prime che non possiede, a cominciare dal petrolio. A tale proposito non si può continuare a ignorare quanto sta accadendo sulla sponda nordafricana non solo per ragioni umanitarie o preoccupazioni economiche ma soprattutto per le inquietanti prospettive politiche che aggravano i già pesanti conflitti religiosi esistenti che fanno da causa e sfondo all’inesorabile declino del Mediterraneo, il mare nostrum! Dopo l’insuccesso del Programma di Barcellona del 1995 e seguenti, dopo il deludente esordio dell’Unione per (e non del) il Mediterraneo, tante volte abbiamo avvertito la superficialità di eventi anche regionali che non andavano oltre un “Carro di Tespi” , una parata di semi-celebrità mediatiche estranee, che vivono al di fuori del mondo arabo e islamico, ospiti di iniziative che allo spegnimento dei costosi riflettori non lasciano niente. Questi eventi non sono minimamente serviti ad avvertire le condizioni di vera fame in cui versano i giovani del Maghreb che poi giungono nella sponda nord come cavallette. Se ”Carmina non dant panem”, come già sappiamo, non possiamo certo attendere le immagini televisive per ascoltare gli spari e osservare gli scontri di muri che non cadono ma si stanno alzando, nonostante la globalizzazione che, per il suo deficit di democrazia, arricchisce quasi esclusivamente i più ricchi e le medie statistiche alla Trilussa sulle soglie di povertà. Nessuno parla più di un Piano Marshall per il Nordafrica che consentirebbe uno sviluppo del Mediterraneo senza inflazione perché innalzerebbe la vita di popoli niente affatto consumistici. Forse ingenuamente si pensa di esportare la democrazia con la Coca Cola dimenticando che senza il rispetto dei diritti umani, religiosi e politici, non ci può essere futuro economico che duri.
3. Calabria. Licenziati dal Consorzio, operai bloccano la Salerno Reggio Calabria tra Bagnara e Scilla. L’autostrada Salerno-Reggio Calabria è stata bloccata, nelle prime ore del mattino di martedì 18 gennaio,  in entrambe le direzioni nel tratto compreso tra gli svincoli di Bagnara e Scilla a causa di una manifestazione di operai che hanno occupato la sede stradale all’altezza dello svincolo di Bagnara. Gli operai protestano contro il loro licenziamento da parte del Consorzio Scilla, già impegnato nei lavori di ammodernamento dell’autostrada, e chiedono di essere assunti dal consorzio Sarc che ha ottenuto il nuovo appalto per l’ammodernamento del sesto macro-lotto dell’autostrada. Sul posto sono presenti le forze dell’ordine e personale dell’Anas per la gestione della viabilità e le indicazioni agli utenti dei percorsi alternativi. I veicoli leggeri in direzione sud e in uscita a Bagnara vengono deviati allo svincolo di Sant’Elia, percorrono la statale 18 e rientrano sull’A3 allo svincolo di Scilla. Percorso inverso per i veicoli in direzione nord. Per i mezzi pesanti in direzione Reggio Calabria uscita obbligatoria a Rosarno, con deviazione sul percorso alternativo della strada statale 682 fino a Gioiosa Marina e innesto sulla statale 106 ”Jonica” fino a Reggio Calabria. Percorso inverso per i mezzi pesanti diretti a nord.
4. La Regione Calabria si schiera al fianco di chi denuncia il pizzo: dal 2011 sostegno e contributi per chi si ribella al racket. Lunedì 17 Gennaio 2011 15:23. di Peppe Caridi - "La Calabria deve liberarsi dall'opprimente cappa del racket": l'ha detto il Governatore Giuseppe Scopelliti nell'apertura dell'incontro con la stampa tenuto stamattina a Catanzaro, nella sede della Giunta di Palazzo Alemanni.
Prima di fare il punto della situazione sull'operato dell'Amministrazione Regionale nove mesi dopo la nomina del nuovo Governo, il Presidente Scopelliti ha voluto sottolineare quanto approvato dalla stessa Giunta il 7 gennaio: "Si tratta - ha detto Scopelliti - di un'azione importante nella lotta e nel contrasto alla criminalità organizzata. Sul tema della criminalità organizzata, noi siamo abituati a fare i fatti e non le parole. Io penso che la 'ndranghetra abbia più paura degli atti che delle chiacchiere, e allora noi facciamo fatti concreti contro la mafia. Abbiamo fatto un progetto di legge che riguarda gli interventi regionali di sostegno alle imprese vittime a reati di 'ndrangheta, contrastando le infiltrazioni mafiose del mondo dell'imprenditoria. Abbiamo preparato questa legge che presenteremo al Consiglio e speriamo venga approvata nella seduta del 22 febbraio. Questa proposta di legge significa che c'è l'attenzione della Regione per incentivare nel mondo dei commercianti l'idea di denunciare gli atti di racket. Dbbiamo liberare le nostre città dal pizzo, è una cappa che opprime in modo invasivo la libertà sociale, economica e culturale. La lotta al racket è la prima vera grande battaglia, perchè liberare i nostri imprenditori è uno stimolo nuovo per un futuro diverso e migliore. Gli imprenditori che denunciano non devono più sentirsi abbandonati e messi ai margini della società! Molti che in passato hanno deciso di farlo, non hanno poi più avuto la possibilità di rientrare nel circuito del mercato, e non è giusto".
Il Presidente Scopelliti, poi, ha spiegato i dettagli della nuova legge che sarà presentata al Consiglio Regionale: "Questo provvedimento consente di individuare quelle aziende che sono state soggette al racket e che, dopo aver denunciato il sopruso, avranno nella Regione un appoggio perchè i commercianti vittima della 'ndrangheta saranno inseriti in una short-list e la Regione, insieme agli altri enti regionali come le province e i comuni, darà delle commesse sotto soglia. E' una scelta che ha una duplice funzione: sosteniamo l'imprenditore che denuncia il racket e lo facciamo con un'iniziativa che rende sempre più nobile l'atto della denuncia. Dobbiamo aiutare gli imprenditori a trovare la forza e il coraggio di denunciare. E questa legge è la cosa giusta per farlo. Senza la cappa del racket - ha concluso il Governatore - i territori saranno più liberi e forti".
5. Matera capitale della cultura 2019. Un progetto che unisce. di CARMELA COSENTINO  Matera e Potenza alleate, dopo inutili guerre di campanile, su un obiettivo comune, che coinvolge tutta la regione. Prende corpo con queste premesse il progetto di candidare la città di Matera a capitale europea della cultura nel 2019. Un’idea che non parte più dal basso, per intenderci dal mondo associazionistico, ma dai soggetti politico-istituzionali che in questo percorso, attraverso un Comitato istituzionale e un gruppo di lavoro tecnico-scientifico, metteranno insieme tutte le forze, le risorse umane e finanziarie, per far sì che questo ambizioso obiettivo diventi realtà. Il comitato istituzionale, promosso da Comune e Regione, del quale fanno parte anche il Comune di Potenza, le due Provincie lucane e la Camera di commercio di Matera, si è insediato ieri mattina. Nella stessa riunione, oltre a definire un cronoprogramma delle prossime iniziative, è stato costituito il gruppo di lavoro, composto da esperti quali Francesco Bianchini, Pietro Laureano e Alberto Versace, Antonio Calbi, coordinati da Paolo Verri, e da Rossella Tarantino, per conto della Regione. Il primo passo in questa direzione era stato fatto in un incontro promosso dalla Provincia che ha riunito allo stesso tavolo Regione, con il presidente Vito De Filippo, i Comuni di Matera e Potenza, con i sindaci Salvatore Adduce e Vito Santarsiero, le due Provincie con i presidenti Franco Stella e Piero Lacorazza, Antonio Calbi, promotore del progetto “Prospettiva Matera 2019”, l’attrice Anna Galiena e lo scrittore e storico Anthony Majanlahti, tra i firmatari del Manifesto sottoscritto, al momento, da 100 personalità dello scenario culturale nazionale e internazionale. Ma subito Stella ha voluto fare una precisazione.
«È un’iniziativa questa – ha detto – ch e non si va a sovrapporre ad altre. Stiamo avviando un percorso virtuoso e condiviso e spero che ci porti molto lontano». Entrando più nel dettaglio “Prospettiva Matera 2019 – ha detto Calbi – è un progetto che farà della città dei Sassi e della Basilicata un cuore d’arte e cultura al centro del Mediterraneo. Possiamo immaginare la penisola italiana come un pontile che attraversa il Mediterraneo e che ha un terminale in questa regione in cui si incontreranno Oriente e Occidente, in cui confluiranno i 27 Stati dell’Unione Europea. E non solo. Il progetto di candidatura avrà come suo punto focale Matera, ma dovrà essere costruito con il sostegno dei 30 comuni del Materano e dei 99 della provincia di Potenza. L’iter da percorrere sarà strutturato in quattro fasi: il cantiere della candidatura, la vittoria, la fase di preparazione della manifestazione articolata non solo nella creazione dell’evento, ma nella costruzione delle infrastrutture e delle attività e la fase finale dell’evento stesso. Un percorso che dovrà essere per la Basilicata l’occasione per rinnovarsi e per rappresentare un modello innovativo di governo del territorio per il terzo millennio». Il sindaco Adduce ha dato la sua piena adesione al progetto, ma ha sottolineato che «parlare di capitale europea della cultura non significa solo ragionare di cultura, ma anche di temi più concreti quali l’agricoltura, l’industria e il turismo. Deve essere un percorso che ci porti finalmente a costruire una dimensione diversa. Insomma, a prescindere dal risultato finale, Matera dovrà subire un cambiamento positivo». Sulla stessa linea di pensiero il governatore De Filippo. «Noi – ha puntualizzato – siamo pronti a mettere in campo un progetto che vada oltre i territori. L'idea di Matera capitale della cultura non è solo la richiesta di un riconoscimento per la città patrimonio dell'Unesco, ma anche un traguardo e una strategia che getta un ponte tra Europa e Mediterraneo. Matera capitale della Cultura non si presenta come un'iniziativa di parte, ma una candidatura a servizio di una vasta area di territori, come dimostrano le tante adesioni giunte a sostegno di questa iniziativa,non solo di singoli, ma anche da istituzioni culturali. Questo ci dà fiducia nell'intraprendere una battaglia difficile». 18 Gennaio 2011
6. Benzina, al Sud già oltre 1,53 euro/litro. (PRIMAPRESS) ROMA - Ancora rincari sulla rete carburanti. Questa mattina a muoversi sono state Tamoil e TotalErg. La prima ha aumentato di 0,5 centesimi il prezzo raccomandato del solo diesel, la seconda dello stesso importo sia la benzina che il gasolio. Rialzi immediatamente trasferiti sul territorio dove, tra l’altro, si segnala un generale assestamento all’insù dei prezzi praticati in tutti gli impianti, con la benzina che a livello medio nazionale supera quota 1,51 euro/litro e in alcune aree (segnatamente al Sud) vola oltre 1,53 euro/litro avvicinandosi pericolosamente al record del luglio 2008 di 1,56 euro/litro. È quanto emerge dal monitoraggio di quotidianoenergia.it effettuato in un campione di stazioni di servizio rappresentativo della situazione nazionale per la rubrica Check-Up Prezzi QE. Nel dettaglio oggi la media nazionale dei prezzi praticati della benzina (in modalità servito) va dall’1,490 euro/litro degli impianti Eni all’1,511 dei p.v. IP (no-logo a 1,416 euro/litro). Per il diesel si passa dall’1,374 euro/litro riscontrato nelle stazioni di servizio Eni all’1,386 rilevato negli impianti Tamoil (no-logo a 1,302). Il Gpl, infine, si posiziona tra lo 0,781 euro/litro registrato nei punti vendita TotalErg e Shell allo 0,789 euro/litro degli impianti IP (0,760 euro/litro la media delle no-logo). (PRIMAPRESS)
7. Figli in aumento in Bassomolise: tutto merito degli immigrati. Crescono le nascite nel 2010: nei 7 comuni presi in esame (Termoli, Campomarino, Petacciato, Guglionesi, Larino, San Martino in Pensilis e San Giacomo degli Schiavoni), si è registrato rispetto al 2009 un più 11,2 per cento, l’equivalente di 584 nati (contro i 525 dell’anno prima). Sull’andamento ha inciso notevolmente la presenza di famiglie di immigrati stranieri, in forte aumento sul territorio. Il comune più fertile Petacciato, dove i nati in un anno sono quasi raddoppiati e i decessi notevolmente diminuiti. A Termoli, dopo il rallenty del 2009, la rimonta con i pupi che passano in un anno da 260 a 290. Rispetto al 2000 tuttavia, quando i fiocchi rosa e azzurri erano stati 295, considerando anche la crescita di popolazione, nella cittadina adriatica si fanno meno figli. di Rossella Travaglini. Nascite in lieve aumento in Bassomolise. Lo rivelano i dati presi da sette comuni - campione (Termoli, Campomarino, Petacciato, Guglionesi, Larino, San Martino in Pensilis e San Giacomo degli Schiavoni). Su una popolazione che supera abbondantemente i 62mila abitanti, il 2010 – rispetto al 2009 – ha fatto registrare un incremento di nascite pari a circa l’11,2 per cento. Tradotto in numeri vuol dire che i nati in più sono stati 59. A registrare le percentuali più alte di incremento di natalità sono stati soprattutto i comuni “costieri”.  Termoli, Campomarino, Petacciato e San Giacomo degli Schiavoni, centri interessati in questi ultimi anni anche da una crescita demografica, nel 2010 si confermano capi – lista per numero di nati; caso più eclatante quello di Petacciato, paese in cui i nati sono nel 2010 quasi raddoppiati; le morti, invece, che nel 2009 erano di gran lunga superiori rispetto alle nascite, nel 2010 sono diminuite di oltre il 9 per cento. Tuttavia, a determinare la “rimonta” nel quadro delle natalità è stato soprattutto il contributo degli stranieri residenti ormai da qualche anno in Basso Molise. Se nel 2005 i sette comuni contavano complessivamente 958 residenti non italiani, in quattro anni questo dato è più che raddoppiato e oggi i cittadini stranieri superano le 2100 unità. Quindi, se nel 2005 la popolazione contava 60144 abitanti di cui 958 erano stranieri, nel 2009 si arriva a 62234 complessivi di cui 2112 residenti risultano essere stranieri.
Il ’viaggio’ nei sette centri del Basso Molise comincia da Termoli.
Nella città adriatica nel 2010 si contavano 32 873 residenti. In 10 anni la popolazione è cresciuta del 7,4 per cento (nel 2000 i residenti erano infatti 30 593). In un anno, invece, e cioè rispetto al 2009, l’incremento è stato pari allo 0,8 per cento. 267 abitanti in più dunque.
Per quanto riguarda le nascite, se rispetto al 2009 il 2010 ha segnato una netta ripresa con i suoi 27 nati in più (141 maschi e 149 femmine), è anche evidente invece – in proporzione anche alla crescita demografica - il calo di natalità rispetto al 2000 quando, su una popolazione inferiore rispetto a quella attuale, si contavano 295 nascite (contro i 290 del 2010).
Cresciuto, parallelamente all’incremento demografico, è invece il numero di decessi che in dieci anni aumenta del 34,7 per cento. 193 le morti registrate nel 2000, 260 nel 2010.
Per quel che concerne gli immigrati stranieri residenti a Termoli e, stando anche ai dati diffusi dall’Istat, la presenza di cittadini oriundi è aumentata in quattro anni (cioè dal 2005 al 2009) di oltre il 133 per cento. 443 erano gli stranieri registrati all’anagrafe nel 2005, 1036 quelli del 2009. Si evince come sia stata determinante per lo sviluppo della popolazione la presenza degli stranieri. Molti di più anche rispetto al capoluogo di Provincia. Campobasso, infatti, nel 2009 contava su una popolazione superiore a 51mila abitanti 923 stranieri (neanche il 2 per cento del totale). Per quanto riguarda l’età media, e paragonando i dati a quelli degli altri comuni, risulta che la popolazione termolese sia in prevalenza concentrata tra i 15 e i 64. Gli over 65 superano di poco il 16 per cento mentre gli under 14 si tengono tra il 14 e il 15 per cento. Rispetto a qualche anno fa, tuttavia, diminuisce leggermente la popolazione dei cosiddetti ‘under’ e aumenta invece di qualche punto quella degli ‘over’. Campomarino segue a ruota Termoli per numero di stranieri regolarmente registrate all’anagrafe. Ma tra i 7 comuni Campomarino è anche quello che in percentuale rispetto alla popolazione ha il maggior numero di oriundi residenti. Nel 2009, infatti, su 7168 abitanti, i cittadini stranieri erano il 4,7 per cento. Tradotto in numeri equivale a 340 persone, di cui 48 nate in Italia. Nel 2005 ne erano 145 e di questi nessuno era nato nella penisola.
Passando invece alle nascite, non si può se non costatare che il 2010 è stato un anno positivo per fiocchi azzurri e fiocchi rosa a Campomarino. 85 i nuovi arrivati, ben 9 in più rispetto all’anno precedente. I decessi sono stati invece 82: circa il 36,7 per cento in più rispetto al 2009. Anche a Campomarino la maggior parte dei residenti ha un’età compresa tra i 15 e i 64 anni. In calo, invece, rispetto al 2007 il numero di cittadini over 65. Se tre anni fa si superava il 18 per cento di abitanti con più di 65 anni di età, oggi si è scesi tra il 17 e il 18 per cento.
Altro comune in espansione è San Giacomo degli Schiavoni dove, i 20 nati del 2010 (4 in più rispetto al 2009) fanno salire la percentuale delle nascite a un più 25 per cento. In crescita anche la popolazione che in un anno è salita da 1388 a 1428. I decessi sono invece passati in un anno da 11 a 15. Per quanto riguarda l’età, San Giacomo è il comune “più giovane” tra quelli analizzati. Qui, infatti, la maggior parte della popolazione ha poco più di 40 anni e gli under 14 sfiorano il 16 per cento delle presenze. Emblematica anche qui la presenza degli stranieri che nel 2009 erano 53 (4 di questi nati in Italia): circa il 3,8 per cento del totale della popolazione.
Sorprende la crescita di nascite del comune di Petacciato dove quest’anno i nuove arrivati si portano in “attivo” rispetto al numero dei decessi.
Nel 2010, infatti, contro i 26 nati del 2009, ci sono stati 39 bebé. 13 in più dunque. Le morti, al contrario, se nel 2009 superavano le nascite (41 decessi contro 26 nati), nel 2010 sono state inferiori (37 in totale) sia al numero dei morti del 2009, sia ai nati del 2010. L’età media per abitanti? Raggiunge i 42 anni. La fetta maggior della popolazione è compresa tra i 15 e i 64 anni. Per quanto riguarda gli stranieri, se nel 2005 ce n’erano solamente 21, dei quali nessuno era nato in Italia, nel 2009 erano 99, circa il 2,7 per cento della popolazione, di cui 15 nati in Italia.
Invariato in un anno il numero delle nascite a Larino nonostante la leggera flessione demografica. 60 i nati nel 2009 e 60 nel 2010. Anche i decessi sono stati inferiori di numero: 66 contro i 68 dell’anno precedente. Per quanto riguarda l’età, tra i sette comuni Larino è quello con la percentuale più bassa di “giovani”. I cittadini con meno di 14 anni sono infatti poco più del 13 per cento degli abitanti. La porzione più consistente di residenti ha un’età media compresa tra i 15 e i 64 anni. Gli stranieri, al 2009, costituivano solo il 2,5 per cento della popolazione, vale a dire 178. Di questi 17 nati in Italia. In quattro anni sono quindi aumentati del 74,5 per cento.
Guglionesi è il centro più “longevo”. L’età media della popolazione sfiora infatti i 43 anni e una buona fetta di residenti, circa il 21 per cento, si inserisce tra i cosiddetti over 65. Venendo ai dati su nati e morti, se nel 2009 le nascite erano state 52 e i decessi 69, nel 2010 i nati sono saliti a 56, mentre le morti sono scese a 57. Parallelamente, però, si è registrato anche un aumento di residenti stranieri. Se nel 2005 ce n’erano solamente 73; dopo 4 anni il numero è salito a 212 - con 29 nati in Italia - vale a dire il 3,9 per cento del totale della popolazione. Ciò vuol dire che gli stranieri, nel giro di pochi anni, si sono più che raddoppiati.
A San Martino in Pensilis i nati del 2010 hanno fatto segnare un “più due” rispetto al 2009: 34 contro 32. I decessi, invece, sono incrementati in un anno del 18,3 per cento. 49 erano stati nel 2009, 58 nel 2010. Ad essere cresciuto è stato anche il numero di residenti stranieri che, al 2009, costituiavano il 4 per cento del totale dei residenti. Ciò vuol dire che su una popolazione di 4899 abitanti ben 194 erano stranieri e di questi 20 quelli nati in Italia. Anche qui, come nei centri limitrofi, gli oriundi sono quasi raddoppiati rispetto a 4 anni prima. (Pubblicato il 18/01/2011)
8. Modena. Parti a misura di donna, più nascite» Diminuiscono i bimbi stranieri, aumentano gli italiani. di Saverio Cioce. Sempre più vicine ai quaranta anni che ai trenta, le mamme modenesi scoprono le gioie della maternità anche se questo significa gravidanze più difficili e complicate. ma comunque aumentano le donne che scelgono di fare un figlio, a tutti i costi, e questo spiega come per la prima volta da molti anni siano saliti i bebè italiani mentre gli stranieri siano in calo. E l'età sempre più avanzata delle coppie che vogliono i bambini moltiplica il numero di parti gemellari e addirittura trigemini. Sono questi i dati più significativi nella relazione del Policlinico dove a Ginecologia il lavoro è sempre al limite delle risorse disponibili. «I cento parti nei primi dieci giorni dell'anno sono un piccolo record - conferma il primario, prof. Annibale Volpe - Negli altri giorni siamo mediamente attorno ai nove; se non fosse per la rete di servizi che accompagnano la futura mamm in gravidanza, sarebbe quasi impossibile mantenere questi standard». I numeri del resto parlano da soli. Il baby boom, il traguardo dei 3.412 nati nel 2010, è ormai la media di un ospedale che occupa regolarmente il quinto o sesto posto nella classifica nazionale per numero di parti. NASCITE NATURALI. Uno dei fiori all'occhiello della struttura è il 'Centro Nascita Naturale', dove le ultime fasi della gravidanza vengono gestite in completa autonomia dalle ostetriche; i medici vengono chiamati solo in caso di bisogno e se ci sono complicazioni tutto il reparto e le sue attrezzature sono a disposizione. In un anno sono state 450 le mamme che hanno scelto di mettere al mondo il bimbo nelle due stanze protette. Risultati? I cesarei sono solo il 9% del totale. «Chi sceglie di partorire in questo modo - ha specificato il direttore sanitario Maurizio Miselli - viene selezionato e seguito costantemente sino al parto. Il 98% delle coppie ha dato giudizi positivi su quell'esperienza». COSTI IN REVISIONE. L'anello debole del sistema è rappresentato dai parti in analgesia, per cui viene chiesto alle donne un ticket di 500-600 euro, anche se è gratuito per chi soffre di alcune malattie. Eppure i rimborsi per i parti, da parte del ministero, oscillano tra i 1600 e i 1800 euro (a seconda che siano naturali o cesarei) e non sono previsti rimborsi per gli anestesisti. A Roma esperti coordinati dagli specialisti dell'assessorato della Sanità dell'Emilia Romagna sono al lavoro per revisionare le tariffe ma i risultati sono di là da venire. Per ora tocca ai cittadini pagare, anche se il numero di donne che accettano le 14-15 ore di travaglio diminuisce di anno in anno. PRIMIPARE ATTEMPATE. E' questo il nome tecnico che sta a indicare le donne che hanno il primo figlio dopo i 38 anni. Ingeneroso forse per i canoni pubblicitari che vogliono tutte le donne eternamente giovani ma non per i ginecologi. «E' un fenomeno sociale di enormi proporzioni - spiega ancora Volpe - Dopo i trent'anni la fertilità cala in maniera progressiva e dopo i 42, 43 al massimo è difficilissimo avere figli, anche con le tecniche di fecondazione artificiale. A Modena l'età delle donne che si presentano al nostro Centro di Medicina per la Riproduzione è arrivato in media a 38,6 anni e aumenta di otto mesi ogni anni. A breve saremmo al di fuori dal periodo utile per ogni aiuto». Eppure il centro è ai vertici italiani per la riuscita di inseminazioni coronate da gravidanze, ma i limiti naturali non si possono superare. s.cioce@gazzettadimodena.it
9. Aosta. “Un “comitato di comitati” contro le grandi opere. Aosta - Si chiamerà “Coordinamento ultimo respiro” e metterà attorno ad un unico tavolo le associazioni già attive sui temi del pirogassificatore, dell’aeroporto, del teleriscaldamento e della metro. Pirogassificatore, ampliamento dell’aeroporto, teleriscaldamento e metropolitana. Sono le “grandi opere” nel mirino di un nuovo comitato di cittadini che riunisce sei sigle già attive su questi temi. Si chiamerà “Coordinamento ultimo respiro” e metterà attorno ad un unico tavolo le associazioni “Amici del Viale della Pace”, e “Diritto al futuro”, i comitati “Aeroporto sostenibile” e “Rifiuti zero”, oltre a Legambiente Valle d’Aosta e “Rete con Testa”. “Potrebbero sembrare opere a sé stanti, ma sono tutte unite da un unico “illogico fil rouge” - scrivono gli organizzatori in una nota - Opere immense, dannose, costosissime ed inutili (o con un alternativa più virtuosa e molto meno costosa) che contribuiranno tutte insieme ad aumentare esponenzialmente l’inquinamento nella plaine aostana con le inevitabili ricadute non solo sull´ambiente, ma anche sulla nostra salute e sul nostro portafoglio”. Quello che gli organizzatori hanno chiamato “comitato dei comitati” si presenterà a cittadini e giornalistio venerdì 21 gennaio alle 18,30 ad Aosta presso il CSV in Via Xavier de Maistre. di Domenico Albiero 18/01/2011
10. Rovereto, aumentano i clochard. 18/01/2011 08:50. A Rovereto, come abbiamo riferito qualche giorno fa, ci sono un migliaio di poveri (oltre un terzo sono italiani), persone che non hanno i soldi per un pasto caldo e spesso nemmeno una casa. Oltre all'«Aiuto alimentare» di via Mozart, in città e in periferia opera anche il Cedas, il servizio della Caritas che quest'anno festeggia i suoi primi 20 anni di vita. A chi non riesce nemmeno a sbarcare il lunario, i 120 volontari coordinati da Roberto Ferrari dispensano di tutto, dall'assistenza psicologica ai buoni pasto, dai mobili ai vestiti. Le cifre che preoccupano maggiormente, e che fotografano una realtà nascosta, sono però quelle fornite dal progetto «Unità di strada». In un anno, per due sere a settimana, sono stati contattati quasi 800 senza tetto e tre su quattro sono roveretani, perlopiù adulti e con problemi di alcolismo piuttosto che di tossodipendenza. Gli anziani senza un posto dove stare sono l'11%, tanti, tantissimi.
Il Comune, per questo inverno, ha concesso il proprio contributo aprendo il dormitorio nell'ambito del piano «Emergenza freddo». L'ostello di via Benacense, però, chiuderà a metà aprile e gli ospiti, almeno fino al prossimo novembre, torneranno a vivere in strada. Con la Caritas, ovviamente, collaborano attivamente le parrocchie che contribuiscono a completare quella rete di volontariato indispensabile per fronteggiare la crisi economica che sta lentamente uccidendo i più deboli. Il Cedas, comunque, non distribuisce denaro ma solo servizi e buoni (per il pasto, per i mobili usati, per i vestiti) da consegnare a chi ha aderito all'iniziativa come, per esempio, le Terziarie francescane, il Gruppo Mobili, le farmacie comunali, l'agenzia viaggi Etli, alcuni barbieri e il bar Cristian. I bisogni più frequenti riguardano, inevitabilmente dopo il cibo, il vestiario, i mobili, le schede telefoniche e i biglietti ferroviari. Spesso però il colloquio nei centri d'ascolto offre l'opportunità di indirizzare gli utenti ad altri servizi, come lo «Spazio ascolto famiglia», gli «Avvocati di strada», le agenzie per il lavoro.
Da qualche anno funziona pure lo sportello per le badanti e, nell'ultimo biennio, sono aumentate le donne italiane che si offrono come colf o accompagnatrici per anziani. Quello che fino a ieri era visto come un mestiere squisitamente «straniero» (con buona parte di immigrate dall'Est Europa), adesso è concepito anche dalle cittadine lagarine doc come una delle rarissime possibilità di lavoro in un periodo dove trovare qualcosa da fare è praticamente impossibile. Al servizio si sono rivolte quasi 300 persone, perlopiù donne ma hanno cominciato a proporsi anche uomini, adulti con più di 30 anni espulsi dal ciclo produttivo e mai più rientrati. E non certo per colpa loro. Per la prima volta, poi, hanno chiesto lavoro di assistenza anche donne musulmane, disponibili ad accudire uomini pur di riuscire a mandare avanti la propria famiglia. Molto gettonato è pure il banco dei vestiti usati, attivato dalla Caritas e dalla Fondazione Comunità Solidale.
11. Tunisia. Le aziende italiane non fuggono. Micaela Cappellini. «Stamattina il 70% dei nostri dipendenti ha ripreso a lavorare, e se non fosse stato per il coprifuoco e per i trasporti, che ancora vanno a singhiozzo, i presenti sarebbero stati di più. I più giovani soprattutto, quelli normalmente più demotivati, oggi avevano un'altra faccia». Giuliana Giunta vive in Tunisia da dieci anni a Menzel Bourguiba, una cittadina del nord che non è stata risparmiata dagli scontri. È un'imprenditrice, produce elicotteri, nella sua Avionav impiega una trentina di lavoratori locali. Assalti allo stabilimento? «Nessuno si è avvicinato». Paura per il futuro del suo investimento? «Nemmeno per idea, anzi. Era l'ora, di un cambio di regime».Giuliana Giunta racconta le difficoltà degli imprenditori italiani, a cui tutto veniva presentato come semplice, ma che poi dovevano scontrarsi con una burocrazia infinita, con una corruzione crescente. Racconta anche la stanchezza di intere fasce della popolazione, la loro «condivisibile» esasperazione. Parla di comportamento «corretto» da parte dell'esercito, di provocazioni innescate soprattutto dai miliziani dell'ex presidente Ben Ali, di un cambiamento «salutare». Con altri imprenditori italiani in Tunisia, Giuliana Giunta ha creato una rete i cui membri, in questi giorni difficili, sono stati in costante contatto via sms: «Nessun impianto degli imprenditori che conosco è stato attaccato – racconta – e anche chi ha assaltato i depositi di abbigliamento non lo ha fatto per colpire i macchinari».
Certo, non c'è solo la Avionav: a Riccardo Bordignon, industriale veneto, è stata letteralmente bruciata la fabbrica di articoli tecnici situata nella periferia nord della capitale. Tornerà in Italia, Riccardo Bordignon: era pronto a espandersi, ora ha deciso di scrivere la parola fine sotto la sua attività imprenditoriale in Tunisia.
All'ambasciata d'Italia a Tunisi non risultano aziende italiane intenzionate a disinvestire e confermano che molte attività ieri hanno riaperto i battenti. Non fugge la Colacem di Gubbio, che in Tunisia ha il suo più grande investimento degli ultimi dieci anni, un cementificio da 200 milioni di euro e da 180 dipendenti: «La produzione non si è mai fermata – racconta Giuseppe Colaiacovo, vicepresidente di Colacem e ad di Cat, la società che opera in Tunisia – e abbiamo anche ripreso con le spedizioni. Tensione ce n'è stata, ma attacchi no: sono stati gli operai stessi a sorvegliare gli impianti». Anche Colaiacovo è ottimista: «È un processo di crescita: c'è già una classe dirigente emergente, giovane e che ha studiato all'estero, pronta a sostituire la vecchia élite». Non fugge nemmeno la siciliana Calatrasi, che ha un'azienda vinicola in joint venture da 100 dipendenti, 400 ettari di terreno e 700mila bottiglie di vino di alta gamma prodotte qui ogni anno: «Sabato sono state effettivamente bruciate alcune aziende straniere vicino a noi – racconta Maurizio Micciché, amministratore unico della Calatrasi – ma le nostre maestranze hanno dato vita a un comitato di autodifesa e da noi non è successo niente». Dall'Eni, infine, non arriva nessuna conferma delle voci che la vogliono in ridimensionamento sulla Sponda sud del Mediterraneo.
Secondo gli esperti della Sace, la società italiana che assicura il credito all'export, nell'Africa del nord ci sono altri due sorvegliati speciali. Uno è l'Egitto: la tensione religiosa è alta, gli attentati terroristici spaventano gli investitori e la capacità del presidente Mubarak di tenere sotto controllo la disoccupazione e l'inflazione è ai minimi storici, complice la malattia del leader e l'incertezza per l'esito delle presidenziali di fine anno. L'altro è l'Algeria, dove i primi moti sono già scoppiati e dove il governo è già dovuto correre ai ripari riducendo le imposte sui prezzi dei beni primari del 41 per cento.
Dagli uffici Ice del Cairo e di Algeri, però, non trapela nessun cambio di rotta. «Ho incontrato in questi giorni alcune imprese italiane dell'abbigliamento, dell'arredamento e dell'impiantistica – dice il direttore dell'ufficio del Cairo, Giuseppe Federico – nessuna ha paura di un effetto contagio dalla Tunisia». Identica la posizione del titolare dell'ufficio di Algeri, Giuseppe Agostinacchio, che però aggiunge: «Le nostre aziende, semmai, sono preoccupate dalle tendenze protezionistiche che hanno cominciato a manifestarsi in Algeria già dall'anno scorso, e che pongono restrizioni all'importazione di beni e paletti a chi vuole investire direttamente nel paese».

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