Politica ed economia:
1. Galan a Pachino: la Sicilia sia orgogliosa dei prodotti che possiede.
2. The Economist: Super Mario (Draghi) è «the best man for the job».
3. Nuovo allarme Ocse: «L’Italia non riparte».
4. Petrolio, UP: Bolletta 2010 +32% a 27 mld, in 2011. Export +9,4%.
5. Tremonti: l'Italia per crescere dovrà chiedere deroghe all'Europa.
6. Termini Imerese. Lombardo cerca altre imprese.
7. Alla Sicilia meno di Trentino e Val d’Aosta.
Finanza e debiti sovrani:
8. Come ridurre il debito dei paesi europei.
9. Spagna: in calo rendimonti bond 10 anni.
10. Germania: pressioni al Portogallo per aiuti UE.
1. Galan a Pachino: la Sicilia sia orgogliosa dei prodotti che possiede. 16.02.11 Per lo Stato è facile promuovere un prodotto tipico quando i produttori sono uniti come nel caso del Parmigiano reggiano, ma diventa più difficile con il pomodoro di Pachino, visto che il consorzio non rappresenta tutti coloro che lo producono. Così il ministro delle Politiche agricole, Giancarlo Galan, ha dichiarato appena arrivato in Sicilia, dove ha portato il suo sostegno agli agricoltori e ai produttori del pomodoro di Pachino Igp.
“Volevo cominciare con una buona notizia: ho firmato il millesimo prodotto Dop in Europa, il 221esimo italiano e si tratta del Piacentino ennese, si tratta cioè di un prodotto tutto siciliano. La Sicilia deve esserne orgogliosa, e anche l’Italia, visto che un quarto dei prodotti Dop in Europa son italiani”. “Qualche giornalista ha provato a farmi parlare male della Sicilia ma non ci è riuscito perché io amo questa regione, dove per molto tempo ho avuto anche una casa”. Così il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Giancarlo Galan, ha dichiarato appena arrivato a Pachino, in Sicilia, dove ha portato il suo sostegno agli agricoltori e ai produttori del pomodoro di Pachino Igp. “Uno dei problemi più gravi che colpisce il pomodoro di Pachino è quello della lunghezza della filiera, una questione che penalizza i produttori che non riescono a guadagnare abbastanza rispetto a quanto spendono. Voglio difendere tutti i prodotti Igp e tipici d’Italia allo stesso modo, egualmente intendo tutelare il pomodoro di Pachino come l’asparago di Badoere, ha dichiarato il Ministro. Perché i produttori del pomodoro di Pachino sono così deboli nelle trattative con i distributori, tanto da non riuscire a spuntare un prezzo più alto nella vendita del loro prodotto? A Pachino sono 900 i produttori, perché solo 140 fanno parte del Consorzio Igp? Per lo Stato è facile promuovere un prodotto tipico quando i produttori sono uniti come nel caso del Parmigiano reggiano, ma diventa più difficile con il pomodoro di Pachino, visto che il consorzio non rappresenta tutti coloro che lo producono”. Il ministro Galan ha poi dichiarato: “Il pomodoro di Pachino lo si può difendere con la legge sulle etichettature che abbiamo fatto approvare e che è contestata dagli industriali italiani e in Europa dai Paesi che ci copiano i prodotti”. “Non parlerò di mafia perché parlerei di una cosa che non conosco. Però penso che sia stato gravissimo utilizzare in una trasmissione televisiva un simile linguaggio, parlando di un prodotto importante per le esportazioni italiane come il Pomodoro di Pachino. La Rai ora rimedi al grave danno fatto, realizzando una trasmissione sul pomodoro di Pachino con un giornalista obiettivo che non faccia propaganda. Ci sono giornalisti bravi e giornalisti scadenti, così come ci sono giudici bravi e scadenti o politici bravi e altri meno capaci”.
2. The Economist: Super Mario (Draghi) è «the best man for the job». di Riccardo Barlaam. Anche la City tifa per Mario Draghi alla Bce. «Il prossimo presidente della seconda più importante banca centrale al mondo potrebbe essere proprio il governatore di Bankitalia», scrive The Economist, nel numero in edicola da venerdì, in un editoriale intitolato "The Italian's job".
Trichet termina il suo mandato in ottobre. E dopo l'addio ufficiale alla candidatura del presidente della Bundesbank, Axel Weber, la strada si apre al candidato italiano. Secondo The Economist, le alternative politiche brussellesi - vedi monsieur Herman van Rompuy e lady Cathy Ashton, peraltro inglese - «sarebbero un disastro». «Perché in questi mesi l'eurozona è alle prese con la più profonda crisi dai tempi della creazione della moneta unica (...)». E lasciare la guida della nave a un candidato "politico" «è una scelta che l'Europa non può permettersi». Troppo rischiosa. In termini di stabilità e di politiche monetarie.
Come Il Sole 24 Ore e l'editoriale di oggi del suo direttore Gianni Riotta, non ha dubbi neanche il settimanale della City, che sentenzia: «L'unico che ha l'esperienza e il giusto temperamento per essere alla guida della banca centrale è Mario Draghi, il governatore della Banca centrale italiana». Il suo curriculum parla. Eppoi mister Draghi è stato alla guida, senza problemi, del Financial Stability Board, il club ristretto dei governatori della banche centrali che promuove le riforme internazionali e detta le regole alla finanza.
Quindi perché no? Perché è italiano, come dicono i tedeschi? The Economist ricorda il titolo «Mamma mia!» gridato qualche giorno fa dal giornale popolare tedesco Bild. Che ha messo assieme i processi a Berlusconi, la salsa al pomodoro e l'inflazione che sarebbe una «way of life» degli italiani. Tutti argomenti fuorvianti per il settimanale britannico che invita infine il cancelliere tedesco Angela Merkel, la voce più influente in Europa, a rompere gli indugi e a prendere posizione per Super Mario (Draghi), «the best man for the job».
3. Nuovo allarme Ocse: «L’Italia non riparte». 17 febbraio 2011 Rallenta la crescita economica dei Paesi Ocse nel quarto trimestre del 2010: il Pil dell’area ha messo a segno un rialzo dello 0,4% contro il +0,6% del trimestre precedente. Lo rende noto la stessa organizzazione parigina, specificando che in Italia la crescita rallenta allo 0,1% rispetto allo 0,3% del terzo trimestre 2010, in Germania allo 0,4% dopo il +0,7% del trimestre precedente e in Francia resta stabile allo 0,3%. Subisce una contrazione la crescita economica in Giappone (-0,3%) e in Gran Bretagna (-0,5%). Accelera quella degli Stati Uniti: +0,8% rispetto a +0,6% del terzo trimestre.
4. Petrolio, UP: Bolletta 2010 +32% a 27 mld, in 2011. Export +9,4%. Roma, 17 feb (Il Velino) - L’Unione Petrolifera ha presentato il Consuntivo petrolifero 2010 che fa il punto su un anno di attività del settore petrolifero nazionale ed internazionale. Per quanto riguarda il mercato internazionale la domanda di petrolio nel 2010 è stata pari a 87,8 milioni b/g, in aumento di 2,8 milioni b/g (+3,3%) rispetto al 2009. Si tratta di uno degli incrementi maggiori dell’ultimo decennio ad eccezione del 2004 quando fu di 3 milioni b/g (+3,8%). Il 79% di questa crescita si è avuta nei paesi non-Ocse (guidati dalla Cina). I paesi Ocse hanno mostrato una crescita analoga a quella pre-crisi (+600 mila b/g) guidati dalla ripresa negli Stati Uniti. L’offerta, di contro, è cresciuta di soli 2,1 milioni b/g (+2,5%) attestandosi a 87,3 milioni b/g e mettendo così pressione sulle quotazioni del greggio. Il deficit di offerta è stato particolarmente evidente nella seconda parte del 2010 con 1,1 milioni b/g. Negli ultimi 10 anni l’offerta è complessivamente cresciuta di oltre 10 milioni b/g, soddisfatta per il 42% dai paesi non-Opec, dal 35% da quelli Opec e per la restante parte dai guadagni di processo e dai biocarburanti (+17%). La spare capacity Opec è risultata pari al 6% della produzione totale (oltre 5 milioni b/g) rispetto al 2% del 2008. Nonostante oggi la spare capacity sia circa il triplo rispetto a quella del 2008, le tensioni sui prezzi non hanno accennato a diminuire tanto che verso la fine del 2010 si è arrivati a superare abbondantemente i 95 dollari/barile. Il valore medio del Brent nel 2010 è risultato pari a 79,5 dollari/barile rispetto al 2009, contro una media di 52,3 dollari/barile nell’ultimo decennio (+52%). Dal 1999 la crescita del costo Cif del greggio importato dai paesi Aie è stata eccezionale: 61 dollari/barile (+353%). In termini percentuali le variazioni dei prodotti raffinati è stata molto meno evidente (+196% per la benzina Platts Cif Med, 122% per il prezzo industriale italiano e 43% per il prezzo alla pompa italiano). Nel complesso nel 2010 i prezzi dei prodotti raffinati si sono mossi sostanzialmente in linea con quelli del greggio sebbene nel 50% dei casi le variazioni siano state di segno opposto.
L’elemento di maggiore novità - si legge nella nota di Up - è stata l’evoluzione del rapporto di prezzo tra WTI e Brent, con il primo che a partire dalla seconda parte del 2010 ha cominciato a deprezzarsi pesantemente nei confronti del Brent (ma anche verso altre qualità sia americane che nordafricane e asiatiche), arrivando in questo avvio d’anno ad uno sconto superiore ai 15-19 dollari. In queste prime settimane di febbraio il Brent ha infatti superato i 104 dollari/barile mentre il WTI ha oscillato intorno agli 85 dollari/barile. Nonostante una ripresa della domanda petrolifera mondiale, la raffinazione non ha recuperato quanto perduto nel 2009. I margini, sebbene in leggero miglioramento, nel 2010 hanno continuato a non essere remunerativi per le lavorazioni più complesse e negativi per quelle meno sofisticate. Alla base di questo andamento negativo, l’indebolimento della posizione relativa della benzina rispetto al greggio, non compensata dal miglioramento di quella sui gasoli. Date le difficoltà di molti impianti europei, con il 2010 ha di fatto preso avvio l’inevitabile processo di ristrutturazione del settore indotto dal mutato contesto economico internazionale. Si è assistito ad un vero e proprio riassetto proprietario che ha premiato operatori russi e cinesi che hanno acquisito importanti partecipazioni in diversi impianti europei.
Per quanto riguarda il mercato nazionale – si legge nel Consuntivo petrolifero 2010 - i consumi di energia sono ammontati a 177,7 milioni/tep, in recupero dell’1,6% rispetto al 2009. Ad eccezione del petrolio che ha mostrato un nuovo calo del 2,4% (-1,8 milioni/tonnellate), tutte le altre fonti hanno mostrato segnali positivi: gas +6,3% per la ripresa della produzione industriale e termoelettrica, carbone +4,5%, rinnovabili +0,4% influenzate però dal calo della produzione idroelettrica (-6,6%). La quota del petrolio sul totale è così scesa al 40,3% rispetto al 50% del 2000, mentre nello stesso periodo quella del gas è salita dal 31% al 38%. Dal 2004 la flessione dei consumi di petrolio è stata di circa 20 milioni/tonnellate (-18,1%) da cui le forti criticità per la raffinazione. In calo è apparsa la domanda di carburanti (benzina+gasolio) che nel 2010 è diminuita del 2,2% (800 mila tonnellate); dal 2004 il calo è di 3,3 milioni/tonnellate). I carburanti nel 2010 hanno assorbito quasi il 48% dei consumi petroliferi totali. Nel 2010 il costo medio del greggio importato espresso in dollari è stato superiore del 30% rispetto al 2009 che sale al 38% se convertito in euro, il cui cambio rispetto al dollaro è risultato inferiore del 5,7%. Rispetto al 2000, il prezzo in euro del greggio importato è praticamente raddoppiato (+96%). Per quanto riguarda i prodotti raffinati, i prezzi industriali sia della benzina che del gasolio si sono mossi sostanzialmente in linea con quelli dell’analoga quotazione Platts: +10,8 centesimi euro/litro per la benzina e 11 centesimi euro /litro per il gasolio. Nel 2010 lo “stacco Italia” riferito all’area euro per la benzina è stato analogo a quello del 2009, pari a 3,6 centesimi euro/litro, mentre quello del gasolio è sceso da 3,5 a 3,1 centesimi euro/litro.
Nel 2010 – si legge ancora nella nota di Unione petrolifera - le esportazioni hanno mostrato una crescita del 9,4% compensando il calo dei consumi interni. Ad essere maggiormente esportate sono state le benzine (+14,9%) e i gasoli (+15%). Anche le importazioni sono aumentate (+3,2%) soprattutto quelle dall’area mediorientale con un peso del 33,9%. La Libia resta in nostro principale fornitore con 16,4 milioni/tonnellate e un peso del 23,3%. Grazie al buon andamento delle esportazioni, il sistema di raffinazione nazionale è riuscito a compensare il calo dei consumi presentando così tassi di lavorazione intorno all’84%, in crescita di due punti percentuali rispetto al 2009 ma lontani dal 100% del 2005. La capacità di raffinazione è salita a 107 milioni/tonnellate distribuita su 16 impianti. Agli attuali tassi di lavorazione, oggi si ha un eccesso di offerta di 10 milioni/tonnellate. Nonostante la contrazione dei consumi, la ripresa delle quotazioni petrolifere nel 2010 ha comportato per la fattura petrolifera un aumento di 6,5 miliardi di euro rispetto al 2009, attestandosi a 27 miliardi di euro (+32%) con un peso sul Pil dell’1,7%. La fattura energetica nel 2010 si stima intorno ai 51,7 miliardi di euro, con un aggravio di 9,3 miliardi di euro rispetto al 2009 e un peso sul Pil del 3,3% (contro un valore medio dell’1,5% negli anni novanta). Per il 2011 la stima per la fattura petrolifera è in una forchetta compresa tra 31,3 e 37,4 miliardi di euro, nell’ipotesi di un cambio analogo a quello attuale e quotazioni medie del petrolio comprese tra 90 e 100 dollari/barile. Quella energetica potrebbe attestarsi intorno ai 60,4 miliardi di euro. Il gettito fiscale degli oli minerali nel 2010 è stato pari a 34,3 miliardi di euro, in calo dell’1,7% rispetto al 2009, dovuto soprattutto alle minori accise (1,5 miliardi di euro in meno, pari al -6,2%) non compensate dal maggiore incasso derivante dall’Iva per 900 milioni di euro. (red/ilp) 17 feb 2011 17:5
5. Tremonti: l'Italia per crescere dovrà chiedere deroghe all'Europa. di Claudio Tucci. L'Italia dovrà chiedere all'Europa «deroghe a tante regole per crescere». Facendo oltretutto quello che ha già fatto la Germania. Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, intervenendo a «Democratica» la scuola politica di Walter Veltroni in occasione della presentazione di un libro di Innocenzo Cipolletta. In particolare la crescita è questione «non del Nord, ma del Sud» e non si può pensare che «il mercato sviluppi le sue virtù salvifiche».
Nessuna partita drammatica con nuove regole dal 2015
Tremonti ha detto poi di non vedere «una partita drammatica» rispetto alle novità che potrebbero arrivare in termini di bilanci pubblici dalla revisione del Patto di Stabilità europeo dal 2015. «Non so chi sarà al Governo nel 2015 - ha aggiunto Tremonti - ma credo che l'Italia avrà assoluta e razionale posizione di rispetto in Europa». «Noi - ha spiegato - abbiamo messo nel forziere di Maastricht il nostro debito con l'impegno di ridurlo gradualmente e questo ci è costato molto. Siamo entrati al 120% (in rapporto al Pil), poi scesi vicino a 100, poi siamo tornati in alto perchè è venuto meno il Pil». Inoltre il ministro ha ricordato che «la modifica al Patto ci sarà dal 2015 e che la regola sarà: non si è d'accordo su niente se non si è d'accordo su tutto».
Il federalismo? Non è un'operazione violenta
Il titolare del Tesoro ha sottolineato anche che il federalismo «non è un'operazione violenta e improvvisa. È una vera riforma strutturale. L'avvio di un processo che può raddrizzare l'albero storto della finanza pubblica».Il federalismo, secondo il ministro, «è una cosa seria. Non è rivoluzionario, è una vera riforma». E poi: per ridurre il debito pubblico il programma del centrodestra puntava a privatizzare «l'enorme stock di patrimonio pubblico». Questa via però, ha aggiunto Tremonti, «non è semplice perchè il grosso del patrimonio pubblico è nei governi locali».
Attenzione alle rivolte in Nord Africa
Le rivolte contro i regimi che del Nord-Africa, ha aggiunto Tremonti, stanno contagiando molte zone e «sono uno dei mutanti della crisi e attraverso la speculazione possono tornare». Tremonti ha spiegato che è «riduttivo considerare la situazione per singoli paesi perchè la questione ha una dimensione storico-globale. L'innesco è stata la speculazione sulle materie prime». Ora «premono forze che vengono dal Centro-Africa. Masse enormi. Lampedusa è a 70 km da Tunisi. Ma Lampedusa non è Italia, è Europa». E tra gli effetti «drammatici» che il Vecchio Continente può aspettarsi ci sono quelli politici, ad esempio il fiorire dell'estrema destra, ma anche quelli demografici. Questo anche perchè «la democrazia è una struttura politica estremamente sofisticata. Non è una "commodity" che si esporta». Quindi vanno considerati «i rischi di instabilità che questa situazione comporta» anche su mercati come quello del petrolio: «dal Canale (Suez) e dal petrolio possono venire effetti rispetto ai quali la crisi del Kippur è quasi ridicola».
Veltroni: Tremonti ottimista
Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, «dice cose in parte condivisibili ma credo che abbia un eccessivo ottimismo sulla situazione italiana che ha tutti gli indicatori economici più importanti in rosso: crescita bassa, occupazione alta...», ha commentato Walter Veltroni, dopo l'intervento del ministro. Per Veltroni occorre dunque «girare pagina» per superare una situazione che è «il prodotto di un lunghissimo periodo di non modernizzazione del Paese».17 febbraio 2011
6. Termini Imerese. Lombardo cerca altre imprese. di Antonio Casa.Il presidente della Regione ha esposto ai sindacati l’accordo firmato a Roma per la riconversione del polo industriale. Rossignolo (De Tomaso) fa un passo indietro: “Ci saremo solo alle nostre condizioni”. PALERMO – Di sicuro, al momento, ci sono tre notizie: il 31 dicembre Fiat va via; 450 milioni di euro tra fondi regionali (350) e statali (il resto) per riconvertire l’area industriale; la disponibilità di sette imprese ad impiantare parte della propria produzione nella zona. Tre notizie che però, nonostante firme e proclami, non raggiungono l’obiettivo minimo prefissato: dare lavoro a quelle 2200 persone che oggi tirano a campare tra una cassa integrazione e l’altra assemblando Lancia Ypslon e che dal 1° gennaio prossimo resteranno disoccupate. Perché in mancanza, ancora, dei piani industriali legati alle ormai sette famose proposte, restano soltanto gli annunci.
A raggelare gli animi ci ha pensato Gian Mario Rossignolo, patron della De Tomaso, la casa automobilistica che a Termini vuole realizzare auto di lusso e sulla quale punta molto il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, forse ancor più del progetto legato alla stessa Regione attraverso l’azionariato nel fondo Cape di Simone Cimino, che in quei capannoni vuole costruire sempre automobili, ma elettriche. Cioè il futuro del settore. Ieri Rossignolo, in alcune dichiarazioni rilasciate a Lettera43.it (sito d’informazione diretto da Paolo Madron) ha dettato le (sue) condizioni: una dote pubblica, che corrisponde a un finanziamento di 160 milioni di euro e un aiuto a trovare una banca che emetta un prestito per la parte restante.
“Se il governo e la Regione siciliana credono nel nostro piano e pensano che quello che stiamo realizzando a Grugliasco nell’ex stabilimento di Pininfarina, si possa fare anche in Sicilia, ci diano una mano”. Capito? I 350 milioni messi dalla Regione sul piatto non bastano. C’è la disponibilità, insomma, ma “lo faremo (lo stabilimento, ndr) solo se ci sono le condizioni”, spiega ancora il vicepresidente, che non vuole mettere a rischio l’attività in Piemonte, né “fare un bagno di sangue in una zona che ha già sofferto tanto come Termini Imerese”. Oggi, spiega infine l’articolo, Rossignolo incontra il ministro dello Sviluppo economico e Invitalia per capire se ci sono davvero gli strumenti necessari per avviare l’attività. A queste condizioni chiunque può dirsi industriale.
Ieri Lombardo ha esposto ai sindacati i dettagli dell’accordo firmato l’altro ieri al ministero dello Sviluppo economico. Quello che doveva essere un incontro si é trasformato in motivo di forte tensione tra i rappresentanti dei metalmeccanici di Fiom e Uilm con i segretari confederali di Cgil e Uil della Sicilia. Il clima si é surriscaldato quando i rappresentanti dei metalmeccanici, invitati all’incontro come i confederali, hanno avvertito il tentativo di escluderli dalla riunione. Il timore, secondo i responsabili delle tute blu, è che si potesse ripetere quanto accaduto a Roma, quando i metalmeccanici sono stati tenuti fuori dall’incontro tra il ministro per lo Sviluppo, Paolo Romani, e i leader di Cisl, Uil e un componente della segretaria della Cgil. La tensione tra i sindacalisti è proseguita poi nella sala degli Specchi, quando Lombardo ha invitato a sedersi al tavolo i rappresentanti sindacali, con i metalmeccanici tenuti a distanza mentre l’incontro aveva inizio e i giornalisti lasciavano la stanza. “Ieri Stato, Regione, comune di Termini Imerese e Consorzio Asi hanno firmato un accordo senza coinvolgere i sindacati dei metalmeccanici. Chiediamo una immediata convocazione istituzionale per conoscere i piani industriali. L’unica cosa certa è che la Fiat se ne andrà da Termini Imerese a fine dicembre, il resto è solo carta”, ha tuonato il segretario della Fiom di Palermo, Roberto Mastrosimone.
Lombardo ha tenuto a ribadire che, ‘’pur avendo firmato l’accordo al ministero, che prevede l’inserimento sul sito delle aziende selezionate da Invitalia per conto del ministero dello sviluppo Economico”, la Regione siciliana “non precluderà la possibilità di investimento ad altre aziende intenzionate a creare opportunità di lavoro e di sviluppo in Sicilia. Siamo fortemente interessati - ha detto Lombardo- ad incontrare tutte le aziende che vogliono investire in Sicilia, ma allo stesso modo siamo fermamente convinti che occorre vigilare per accertarci che le ingenti risorse investite creino reale occupazione”.
7. Alla Sicilia meno di Trentino e Val d’Aosta. di Liliana Rosano. Dal rapporto “La spesa statale regionalizzata 2009” risulta che lo Stato paga all’Isola per cittadino 4.767 €. A queste due regioni speciali vanno rispettivamente 6.382 € e 10.914 € pro capite. Palermo - Per un volta, la Sicilia non rientra nella classifica delle regioni che gravano sulle casse dello Stato. Almeno secondo il rapporto “La spesa statale regionalizzata 2009” , pubblicato dal ministero dell’Economia e delle Finanze che espone i risultati della ricerca condotta dalla Ragioneria Generale dello Stato sulla distribuzione geografica delle risorse erogate nel 2009, dal bilancio dello Stato (anche se i dati sono provvisori).
Viene quindi presentata la distribuzione regionale dei pagamenti del bilancio dello Stato per operazioni finali, pari a 523.247 milioni, articolati secondo la classificazione economica (33 categorie e sottocategorie) e secondo la classificazione per missioni -programmi (41 settori di intervento, individuati dalle 34 missioni e da 7 programmi ritenuti di particolare rilevanza). Secondo i dati, la spesa per abitante in Sicilia è pari a 4.767 euro.
Una cifra inferiore rispetto a regioni autonome come la Valle D’Aosta e il Trentino Alto Adige. Infatti, nel primo caso, la spesa per abitante è di 10.914 euro mentre nelle casse del Trentino arrivano dallo Stato 6.382 euro per abitante. Alte le cifre che lo Stato deve erogare per abitante in Sardegna (5.455 per abitante) e in Friuli Venezia Giulia (5.011 euro). La regionalizzazione delle spese dello Stato è stata effettuata, in linea di massima, in base alla localizzazione dei pagamenti presso le Tesorerie dello Stato.
Peraltro, poiché circa il 75% della spesa erogata afferisce a pagamenti effettuati presso le Tesorerie di Roma (Centrale e Provinciale), è sorta l’esigenza di individuare e redistribuire quella parte di spesa pertinente ad aree geografiche diverse dalla sede delle suddette Tesorerie.
Per soddisfare tale esigenza si è quindi proceduto ad un’ulteriore fase dell’analisi, concretizzatasi con interventi finalizzati all’assegnazione territoriale effettuata secondo il criterio dell’allocazione fisica dei fattori produttivi impiegati per la produzione di servizi e per gli investimenti. Questo obiettivo è stato raggiunto grazie alla disponibilità dei dati analitici, organizzati in apposite banche-dati, presenti all’interno del Data Warehouse della R.G.S., che permettono di estrarre informazioni supplementari, anche a livello di singolo pagamento.
Altro metodo utile per la regionalizzazione della spesa statale è quello legato alla disponibilità delle informazioni presso il Data Warehouse della Ragioneria Generale dello Stato e attraverso fonti esterne. Relativamente alla prima fonte, la ripartizione territoriale dei pagamenti dello Stato è stata effettuata utilizzando l’intero patrimonio informativo disponibile per le diverse modalità di erogazione della spesa, distinguendo cioè le varie tipologie di ordinativi emessi: ordini di pagare (ordinativi intestati direttamente al beneficiario); ordini di accreditamento (aperture di credito a favore di funzionari delegati a gestire l’attività di spesa a livello secondario, emettendo ordinativi a favore dei beneficiari finali); ruoli di spesa fissa (procedura tipicamente adottata per il pagamento degli stipendi e di altri assegni spettanti in via continuativa e a scadenze determinate).
8. Come ridurre il debito dei paesi europei. di Giorgio Arfaras. I punti esposti a Londra da Bini Smaghi. Il postino di Colonia guarda con sospetto al suo collega di Salonicco, forse sbagliando. Le opzioni della Merkel. Con Weber dimissionario chi sostituirà il francese Trichet alla guida della Banca centrale europea?
L’arcigno tedesco, decide di ritirarsi perché, dichiara, non ha abbastanza seguaci nella lotta contro l’inflazione, che, come si sa, terrorizza i germanici.
Mario Draghi ha l’esperienza necessaria per diventare il prossimo governatore, ma è latino, ossia - nei pregiudizi - pronto al compromesso con il potere politico.
Le biografie condite con i luoghi comuni sui costumi dei popoli sono di piacevole lettura, ma non troppo utili per capire le vicende dell’economia europea. E se provassimo a capovolgere il ragionamento?
Invece di partire dall’individuo eroico (Trichet, Weber, Draghi) per cercare di capire come andrà a finire, si potrebbe partire dal processo storico, per poi tentare di comprendere quale piega questo potrebbe prendere in futuro. L’eroe a quel punto importerebbe meno.
La decisione da prendere in Europa è, in realtà, abbatanza semplice. Bini Smaghi, membro del comitato esecutivo della Bce, ha esposto i termini della questione a Londra il 9 febbraio scorso, durante una conferenza dal titolo “Sovereign Risk and the Euro”.
Il debito pubblico, per molte ragioni – che non sono solo legate alla crisi finanziaria, poichè sono anche correlate agli effetti dei trend demografici - corre veloce nel mondo.
Tecnicamente, il debito pubblico cresce più di quanto cresca l’economia, vale a dire che aumenta in rapporto al Pil.
In quasi tutti i paesi dell’Europa dell’euro, però, è messo meglio che in Usa, Giappone e Gran Bretagna. Ciò nonostante, e per molte ragioni, l’attacco al disavanzo pubblico è partito in Europa. E ha colpito i paesi minori e mal messi, come la Grecia, l’Irlanda, e il Portogallo.
Il debito di nuova emissione è sottoscritto nei mercati con tassi più elevati. Perciò - a parità di spesa e a parità di entrate fiscali – esso accresce il deficit: in altre parole aumenta il costo il debito, quindi il deficit, che alimenta il debito.
La ragione è che il deficit non è finanziato emettendo moneta, ma obbligazioni. Ci sono tre modi per ridurre la corsa del debito:
1) con politiche fiscali restrittive, ossia una combinazione di minori spese e maggiori entrate; 2) lasciando correre l’inflazione, per cui il debito pubblico viene rimborsato al valore nominale, mentre le entrate dello Stato sono in moneta corrente e quindi, in altre parole, il rimborso del debito costerebbe meno in un mondo con inflazione elevata; 3) ripudiando in tutto o in parte il debito.
La seconda modalità è esclusa nell’eurosfera, perché la banca centrale ha il mandato di tenere l’inflazione intorno al 2%. Restano quindi la prima e la terza opzione, che potremmo chiamare, rispettivamente, piano A e piano B.
Oggi è in corso il piano A, ossia mentre i paesi in difficoltà tagliano le spese, aumentano le entrate e fanno le riforme necessarie, ricevono un aiuto finanziario che, proveniente da Bce, dai Tesori europei, e dal Fmi, serve a comprimere i rendimenti del loro debito pubblico.
Il costo del nuovo disavanzo è quindi minore di quello che si formerebbe sui mercati senza l’intervento pubblico e pertanto il costo dell’aggiustamento è minore.
Sono numerosi gli scettici a proposito dell’efficacia del piano A: questi sostengono infatti che, oltre a essere costoso per i paesi che debbono ristrutturare, sia anche politicamente inaccettabile per gli Stati che debbono finanziare.
Perché mai il postino di Colonia, che va in pensione a 65 anni, dovrebbe finanziare un postino di Salonicco, che va in pensione a 55? Ci vogliono troppi anni per portare le pensioni greche fino a 65 anni, ammesso che mai si possa raggiungere questo obiettivo.
Questa posizione propende dunque per il piano B: i greci si dichiarino morosi ed escano dall’euro!
Mentre sono abbastanza evidenti i costi del piano A, che è in corso, quelli del piano B, per il momento solo immaginato, sono più difficili da comprendere. Ma, a ben pensarci, potrebbero essere addirittura maggiori.
Se i debiti pubblici dei diversi paesi fossero detenuti all’interno, allora il costo del default totale o parziale della Grecia sarebbe tutto dei greci.
Ma i debiti dei vari Stati sono detenuti da tutti, perchè solo la metà del debito europeo è nelle mani dei cittadini della nazione emittente mentre l’altra metà è in quella dei cittadini degli altri paesi. E il debito greco è detenuto in gran parte soprattutto dalle banche tedesche e francesi.
Il postino di Colonia non percepisce con chiarezza gli effetti che questo comporta. Che se la Grecia si dichiarasse morosa, sarebbe la sua banca a dover registrare le perdite e che, contemporaneamente, se non aumenta il capitale di rischio, deve ridurre il credito. E il postino si troverebbe quindi in un’economia che cresce meno.
Certo, avrebbe la soddisfazione di non finanziare il suo collega di Salonicco, ma la sua banca a quel punto dovrebbe o chiedere i capitali al pubblico dei risparmiatori, o farsi aiutare dal Tesoro. Insomma, alla fine anche da lui.
Il piano B – dichiarazione di insolvenza e svalutazione selvaggia della moneta - è quello adottato da molti paesi emergenti – dalla Russia nel 1998 a Grenada nel 2004 – ma non è adottabile dai paesi democratici. Il piano B costerebbe molto e avrebbe degli effetti di contagio finanziario non prevedibili.
Il piano A si attua con il raggiungimento di un cospicuo ma non impossibile avanzo di bilancio prima del pagamento degli interessi. In questo modo l’avanzo (detto primario) riduce il debito. Sempre a condizione che non aumenti il costo del debito.
E qui entrano in gioco i diversi finanziamenti ponte che lo riducono. Il compito della Bce è quello di erogare i finanziamenti a delle condizioni molto precise legate al raggiungimento degli obiettivi di bilancio pubblico.
Fin qui Bini Smaghi. Chiunque diventi governatore deve decidere se optare per il piano A o B. Il primo appare come l’unico percorribile e, comunque, il meno pericoloso finanziariamente.
Si dice che sarà la Merkel a decidere sul salvataggio dei paesi europei meno virtuosi. I tedeschi sono ossessionati dal terrore dell’inflazione comunemente intesa (ossia quella dei beni e dei servizi) ma non sembrano intimoriti dall’altra inflazione - quella delle attività finanziarie.
Hanno, infatti, abbondantemente comprato i mutui sub prime e il debito greco. Perciò, se i paesi europei minori vanno a picco, sono problemi per il sistema finanziario tedesco.
Al Cancelliere tedesco non conviene il piano B, perché, con la ricapitalizzazione delle banche, emergerebbero gli errori commessi. Possiamo quindi immaginare che delle due modalità preferisca la prima.
9. Spagna: in calo rendimonti bond 10 anni. Madrid ha collocato anche titoli con scadenza nel 2037. 17 febbraio, 11:53. (ANSA) - ROMA, 17 FEB - Scendono i rendimenti sui titoli iberici a 10 anni. Madrid ha piazzato sul mercato bond per 2,5 mld con scadenza 2020, con un interesse medio del 5,2%, in calo dal 5,446% dell'asta di dicembre. Lo riferisce l'agenzia del debito spagnolo. Madrid ha anche collocato titoli per 997,66 mln con scadenza nel 2037, con un interesse del 5,957%. L'asta sui titoli a 10 anni ha visto una domanda pari a 1,54 volte l'importo offerto mentre il rapporto sui titoli con scadenza nel 2037 e' stato di 1,5 volte.
10. Germania: pressioni al Portogallo per aiuti UE. Il quotidiano lusitano Jornal de Negocios dichiara, senza citare le proprie fonti, che il governo tedesco sta facendo pressioni su quello portoghese per accettare l'aiuto finanziario di Ue e Fmi. Secondo il quotidiano, durante il vertice dei ministri delle Finanze europei, il governo tedesco avrebbe detto chiaramente che Lisbona dovrebbe chiedere l'aiuto finanziario dell'UE. Chiara Cremonesi, fixed income strategist di Unicredit, commenta i risultati delle aste spagnole odierne come positivi. L'esperta prosegue affermando che la domanda è stata in generale minore del solito e che il quadro che emerge dal livello dei rendimenti in asta è piuttosto favorevole. Nonostante questo, però, i bond spagnoli hanno avuto una performance negativa subito dopo i risultati dell'asta.
Nella giornata odierna si possono segnalare aumenti negli spread tra i bond decennali di 3 pb tra Spagna/Germania a 198 pb e Italia/Germania a 151 pb. Rimangono invece invariati gli spread a 10 anni tra Portogallo/Germania a 404 pb e Belgio/Germania a 89 pb. Il future sul Bund decennale sale dello 0,15% a quota 123,26 punti.
Si osservano rialzi per CREDEM con +3,12% in scadenza nel 2015, BIMI con +2,53% e Barclays Scudo in scadenza nel 2015 con +1,62%; in calo invece segnaliamo i titoli RBS in scadenza nel 2022 con -1,26% e Morgan St in scadenza nel 2013 con -1,17%.
Sull'EuroMot rialzi per i titoli Bund con +2,58% in scadenza nel 2042, Bund in scadenza nel 2037 con +1,90% e OBL.ES in scadenza nel 2032 con +1,69%; in calo invece segnaliamo i titoli Ggb in scadenza nel 2016 con -1,29% e Bei in scadenza nel 2014 con -0,91%.
Nessun commento:
Posta un commento