Invasione fotovoltaico. Conversano boccia ben 24 progetti.
L'ultima decisione choc «Latiano, via la fontana fascista dalla piazza».
La Basilicata come modello di sanità.
Le Tremiti secondo il nipote di Perrotta: da Diomede ai Resort
Vicesindaco leghista a Lampedusa: i profughi vanno aiutati.
Dopo l'alluvione a Ginosa. «Siamo italiani trattateci come i veneti»
Usura «boom» nel 2011: +116,3%
La catastrofe non fa paura
Invasione fotovoltaico. Conversano boccia ben 24 progetti. di ANTONIO GALIZIA
CONVERSANO - L’amministrazione comunale ha respinto le richieste presentate da 24 imprese che intendono realizzare sul territorio comunale ulteriori parchi fotovoltaici. Motivi del diniego: i progetti presentati sono inseriti in aree vincolate e vocate e alcuni impianti prevedono una produzione energetica superiore ai 20 chilowatt e pertanto vanno presentati alla Regione. E’ quanto emerso dal monitoraggio sul fotovoltaico svolto dall’ufficio tecnico del Comune a seguito della pioggia di richieste per nuovi insediamenti e dei diversi esposti approdati in Procura, che denunciano tutti l’invasione, spesso incontrollata, delle campagne da parte di imprese, alcune anche straniere, specializzate nella produzione di energia da fonti alternative. A sollevare il caso è stato, in una mozione, il presidente del consiglio comunale Pasquale Gentile (Udc).
«Va posto un freno - afferma il presidente - per tutelare il territorio e le produzioni di qualità e di pregio della nostra agricoltura. Vanno effettuati i controlli poiché la legge 47/85 impone la presentazione del permesso a costruire per le “zattere” in cemento armato realizzate». Il presidente ha suggerito anche l’imposizione di una polizza fideiussoria a carico delle imprese che intendono realizzare impianti sul territorio comunale.
«Unico modo per tutelare territorio, colture e paesaggio - propone Vincenzo D’Alessandro, capogruppo Pd - è che il Comune abbia un ruolo nella pianificazione, facendosi portavoce presso la Regione delle istanze a tutela del territorio». Sulla necessità di dotare il Comune di Conversano di un piano e di avviare un dibattito sulle fonti energetiche si sono espressi anche Pasquale Coletta (Pd), Cosimo Covito (Conversano nel cuore), Michelangelo Corona (Il Centro), Benny Nardelli (Con Lovascio liberi), Nico Mottola (Pdl) e Gianluigi Rotunno (indipendente Sel).
A fare chiarezza su quanto sta accadendo ci hanno pensato il sindaco Giuseppe Lovascio (Pdl) e l’assessore all’urbanistica Walter Scazzetta: «Oggi - ha affermato l’assessore - la nostra amministrazione non può rilasciare autorizzazioni oltre i 20kw, e quelle che rientrano in questo limite sono state sottoposte alla valutazione della Commissione per il paesaggio. Ma solo con la pianificazione di tutto il territorio e l’approvazione del Pug potremo tutelarci».
Per il primo cittadino, invece, il fotovoltaico fa già parte del passato: «Abbiamo presentato un progetto al Ministero per le Infrastrutture per realizzare sulle scuole impianti geotermici. Il nostro auspicio è che venga accolto e finanziato, in modo da garantire la produzione di energia pulita, a cominciare dalle scuole». Infine, la mozione presentata dall’Udc è stata approvata all’unanimità, impegnando l’amministrazione Lovascio ad essere parte attiva sul tavolo regionale e a valutare l’imposizione di una polizza fideiussoria per chi voglia insediare un impianto a Conversano.
L'ultima decisione choc «Latiano, via la fontana fascista dalla piazza». LATIANO - Vedete questa fontana che da decenni rappresenta l'immagine simbolo di Latiano? Bene, presto - stando almeno alle voci sempre più insistenti - potrebbe essere smantellata dalla centralissima piazza Umberto.
La nuova super giunta per tenere fede al suo motto («Latiano sta morendo», e anche: «Cambieremo Latiano») starebbe per decidere di disfarsi di questo simbolo del fascismo, e con esso della sua storia. Una scelta che cambierebbe l'immagine stessa del paese. Come dire: La rivoluzione inizia anche dai simboli.
Le voci - peraltro confermate dal consigliere di opposizione del Pdl, Pino Natale il quale afferma di avere ascoltato in uno degli ultimi Consigli comunali questa intenzione pronunciata dalla bocca del neo assessore ai Lavori pubblici, Summa - per il momento non hanno trovato riscontro negli Uffici del Comune.
A supporto delle insistenti «voci» vi è anche una dichiarazione choc dello stesso assessore ai Lavori Pubblici, Summa e riportata da un giornale locale, secondo il quale tra gli interventi che avrebbero cambiato il paese (tra questi allargamento di piazza «Umberto I», appunto) la nuova giovane giunta (con tanto di Ufficio di Gabinetto) prevede la rimozione della fontana che - dichiarava testualmente il nostro assessore - "non riveste alcun valore storico".
Certo è che se questa idea dovesse essere realizzata, sul piano simbolico rappresenta una scelta che non può essere affidata alla semplice decisione di una amministrazione. Forse bisognerebbe chiedere ai cittadini se sono d'accordo a cambiare la storia del proprio paese.
Sempre il consigliere Natale aggiunge «che se l’amministrazione dovesse portare avanti questa idea con atti ufficiali noi ci opporremo con tutte le nostre forze e con tutte le forme a noi consentite, sia all’interno del Consiglio Comunale che con azioni previste dalla democrazia partecipativa a cominciare da una raccolta di firme, non ultimo un referendum popolare».
Natale conclude, che «pur di fermare questa assurda iniziativa» è pronto ad azioni clamorose «non ultimo - dice testualmente - di incatenarsi alla fontana per evitare che questo simbolo del paese venga intaccato dalla scelleratezza di qualcuno».
Noi speriamo che prima di arrivare a tanto qualcuno trovi il tempo per una ripassatina ai libri di storia (anche quelli di storia locale): troverà che nelle foto che illustrano Latiano quella fontana è come per Parigi la Tour Eiffel.
(di f.g.)
La Basilicata come modello di sanità. ROMA – Ci sarà anche una regione del sud, probabilmente la Basilicata, a fare da modello per il calcolo dei costi e dei fabbisogni standard ai quali si dovranno adeguare tutte le regioni in base al federalismo regionale. Lo prevede il parere sul decreto su fisco regionale, provinciale, città metropolitane e sanità depositato ieri in commissione bicamerale dal relatore di maggioranza, Massimo Corsaro.
Nel decreto rimane la previsione per cui lo standard, applicato dal 2013, viene stabilito sulla base di parametri relativi a tre regioni scelte dalla Conferenza Unificata su una rosa di cinque (di cui obbligatoriamente la prima, che dovrebbe essere la Lombardia) indicate dal ministero della Salute di concerto con il Tesoro, tra quelle non soggette a piani di rientro e che abbiano garantito l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizione di equilibrio economico. Ma viene anche previsto che “nella individuazione delle regioni si dovrà tenere conto dell’esigenza di garantire una rappresentatività in termini di appartenenza geografica al nord, al centro e al sud, con almeno una regione di piccola dimensione geografica”.
Le regioni più virtuose saranno inoltre premiate perchè “eventuali risparmi nella gestione del servizio sanitario nazionale effettuati dalle Regioni rimangono nella disponibilità delle regioni stesse”.
Le tre regioni benchmark in base a questo schema presumibilmente dovrebbero essere Lombardia, Toscana e Basilicata.
Le Tremiti secondo il nipote di Perrotta: da Diomede ai Resort
Storia, miti, antropizzazione, turismo. Sono solo alcuni dei punti affrontati venerdì pomeriggio nel corso della conferenza organizzata dall’Archeoclub Federico II al comune di Termoli. A prendere la parola uno dei massimi conoscitori dell’arcipelago: Pio Fumo. Nipote del grecista Gennaro Perrotta, Fumo si appassionò di queste isole ben 60 anni fa. Da allora ha cominciato a studiarne gli aspetti più disparati recuperando oltre 10mila reperti. «60 anni fa le Tremiti erano diverse, una realtà surreale. Oggi, con il boom del turismo, le cose sono cambiate. E’ quindi necessario fare di più, soprattutto far conoscere alla gente le ricchezze di questo territorio».
Ha sempre affascinato la storia delle Tremiti. Cinque isole situate a poche miglia dalla costa adriatica e ben visibili da Termoli. Nate 50 milioni di anni fa, inizialmente si presentavano come un’unica massa compatta. Una terra ancora incolta, che con il tempo e l’azione di pioggia, venti, dilavamenti, erosione si è poi divisa. Le isole hanno così visto pian piano la luce. Uniche, perché non sono di origine vulcanica, sono state conquistate per la prima volta dall’uomo 6 milioni di anni fa. Era il neolitico. E poi a susseguirsi la storia. Quella fatta di racconti e leggende. Da Diomede ad Augusto, da Giulia a Federico II e così via. Una storia vera e favolosa che tuttavia si ricompone nei secoli attraverso le numerosissime tracce lasciate dall’uomo sulla terra o sui fondali.
Inizia così la conferenza organizzata dall’Archeoclub Federico II di Termoli il 18 marzo nella sala consiliare del comune. A prendere la parola, per parlare dell’"Antropizzazione" e per tratteggiare il profilo evolutivo che ha caratterizzato nei millenni queste isole è stato Pio Fumo, uno dei massimi conoscitori della storia dell’arcipelago. Storico e studioso appassionato delle Diomedee, il dottor Pio Fumo aveva appena 11 anni quando si innamorò per la prima volta di queste isole. Nipote del famoso grecista termolese Gennaro Perrotta, dopo aver superato gli esami di quinta elementare, chiese come "regalo" ai genitori proprio un viaggio alle Tremiti.
«Ormai sono passati più di 60 anni - ha raccontato - i miei genitori alla fine si convinsero a mandarmi lì. Mi imbattei in un paesaggio straordinario. Nulla a che vedere rispetto alle isole che oggi siamo abituati a vedere. I tremitesi erano come ’imbambolati’ da questa realtà surreale». E’ così che è nato l’interesse. «Nel visitare posti, grotte, cale - ha proseguito - mi sono accorto di come le persone non erano in grado di spiegarmi il ’perché’ dei nomi e delle cose».
Pio Fumo ha iniziato così una ricerca durata una vita. Una ricerca che lo ha portato a esaminare reperti e monili di ogni genere, indispensabili per ripercorrere la storia di queste isole: da quelli fittili alla numismatica. «Oltre 10mila sono quelli recuperati da me in tutti questi anni. Le Tremiti sono così affascinanti. E’ per questo che ho deciso di acquistare lì una casa. Io a dire il vero considero Termoli la mia patria e Tremiti la mia patria adottiva. Anche se ho vissuto 30 anni a Roma, però è a Termoli, in Molise, che ci sono i miei cari defunti...».
Ma per queste isole, in cui in questi anni a dettare le regole sembra essere il turismo, è necessario "fare di più". Non tutti sanno infatti che Diomede, re di Argo, arrivò qui dirottato da una forte tempesta. Fu lui a dar loro il nome di “insulae diomedee”. Più di 2000 anni dopo, un frate lateranense ritrovò la sua tomba sull’isola di San Nicola, con delle monete d’oro e il bastone del comando dell’eroe greco. Con l’arrivo dei romani le isole cambiarono nome e presero quello di “Tremiti” poiché “tramite” tra l’italia e l’illiria.In seguito molte popolazioni si susseguirono sulle isole, pirati slavi, corsari dalmati, fino all’arrivo di vari ordini di frati e la costruzione dell’abbazia di San Nicola. Le Tremiti furono inoltre terra di deportazione in varie epoche, dall’impero romano (famosa la deportazione di Giulia Minore) fino al fascismo. «La gente non va in giro solo per mangiare e dormire - ha proseguito lo studioso - ma vuole conoscere e andare via con un bagaglio in più di conoscenze. Questa è una cosa che vale in generale: mi sono reso conto che ovunque si vada ci sono sempre cose nuove da scoprire».
San Domino, San Nicola, Capraia, Cretaccio, Pianosa. Mano a mano si sono composta nella mente e nell’immaginario dei presenti. Le 48 immagini proiettate in sequenza con un sottofondo musicale, aiutate dalle parole di chi quelle terre ha imparato ad amarle in modo sempre più viscerale, ha consentito anche a chi le Tremiti non le conosceva, di toccare con mano una storia antica quanto affascinanti. Un viaggio che ha finito per mescolarsi in termini di attualità a una visione sempre più turistica di un territorio "unico nel suo genere". Un arcipelago antico, che affonda le sue origini nella "notte dei tempi" collegando il suo nome a quello del famoso eroe Diomede, lì sepolto assieme ai suoi compagni.
A prendere la parola è stato anche il presidente dell’Archeoclub Enzo Antonarelli spiegando il modo con cui è venuta fuori questa conferenza: «tutto è nato l’estate scorsa, quando ho incontrato Pio alle Tremiti. Gli prospettai l’idea di una conferenza, ed eccoci qui». A dare il suo saluto, in nome di tutta l’amministrazione, c’era anche il presidente del consiglio comunale Alberto Montano.
(Pubblicato il 20/03/2011)
Vicesindaco leghista a Lampedusa: i profughi vanno aiutati. Lampedusa, 20-03-2011
"Qui serve tutto. Si dovrebbero costruire scuole nuove e istituire una zona franca. Ma non voglio strumentalizzare l'invasione dei maghrebini per avere delle cose che ci spettano di diritto. Non si possono far morire i lampedusani per aiutare i tunisini. E allo stesso tempo non si possono non prestare i primi soccorsi ai migranti". Lo dice in un'intervista al Sole 24 Ore la senatrice Angela Maraventano (Lega Nord), vicesindaco di Lampedusa.
"Un'esperienza scioccante - dice a proposito delle motovedette con a bordo tunisini ostacolate dagli abitanti dell'isola in fase di attracco -. Tra i migranti c'erano cinquanta ragazzini che una volta scesi a terra nessuno voleva ospitare. Guardandoli negli occhi mi sono commossa". "Gli isolani si devono decidere - aggiunge -: non possono dire di no a tutto".
Dopo l'alluvione a Ginosa. «Siamo italiani trattateci come i veneti»
di ANGELO LORETO. GINOSA MARINA - «Nel 150esimo anniversario della nascita della nostra Nazione il presidente Napolitano ha lanciato un appello affinché ci sentiamo tutti uniti in un solo popolo. Noi ci sentiamo italiani, molto più di quanto non si sentano alcuni italiani. Ma vogliamo essere anche trattati da italiani, così come sono stati trattati i cittadini del Veneto colpiti anche loro dal maltempo. Ma se a breve non avremo le risposte che hanno avuto loro, allora saremo costretti a fare ciò che non vorremmo fare. Siamo pronti a protestare e a bloccare la statale 106».
Gerardo Russo è il titolare di un distributore di benzina lungo la statale jonica, in territorio di Bernalda, poche centinaia di metri oltre il confine comunale di Ginosa e della provincia di Taranto. «Il 2 marzo la mia stazione carburanti era praticamente in mezzo al mare». E' uno dei testimoni diretti della piena del Bradano, uno dei fondatori del comitato «Terre Ioniche» che riunisce cittadini e agricoltori del Materano e dell'arco occidentale tarantino. Che ieri mattina si sono ritrovati nel parco di Ginosa Marina per chiedere risposte e interventi alle istituzioni 17 giorni dopo lo straripamento del fiume che ha travolto terreni, annegato centinaia di animali, causato la fuga di 200 persone, 60 delle quali sono ancora costrette ad alloggiare in albergo.
Solo a Ginosa Marina quella drammatica notte tra l’1 e il 2 marzo scorsi ha causato danni per 100 milioni di euro. «Vogliamo risposte caso per caso e casa per casa» ha ribadito Russo. Risposte a domande che vanno dall'aiuto per risolvere l'emergenza alla programmazione di interventi strutturali. «Servono aiuti immediati per la gente che non può ancora fare ritorno nelle proprie case» ha ribadito Davide Bonora, altro rappresentante materano del comitato. «Lo straripamento del Bradano è già avvenuto altre volte - ha evidenziato - e questo ci ricorda che viviamo in un territorio non sicuro. Dopo aver risolto l'emergenza servono interventi strutturali che mettano in sicurezza l'intero bacino perché su di noi pende la diga di San Giuliano che si apre automaticamente in caso di pericolo, ma la cosa accade a nostro rischio» .
C'è poi la testimonianza di Enzo Candela, marinese, che la notte del disastro ha ricordato come «il primo avviso è partito da una signora di Metaponto che aveva segnalato la rottura degli argini. Sempre lei - ha raccontato - si è messa in macchina per avvisare gli altri ed è rimasta bloccata nell'acqua sulla 106 a rischio della sua vita. Con una telefonata la cosa è stata segnalata a me che, con un altro paio di agricoltori, ho avvertito gli abitanti delle masserie. Se non fosse stato per noi, forse oggi avremmo contato i morti perché nessuno ci ha avvisato. In tutto questo dov'è la preve nzione?»
La prevenzione perché fatti del genere non si ripetano. E poi la moratoria e la sospensione dei pagamenti, delle cartelle e degli atti esecutivi per le aziende e un piano di rilancio del lavoro, dell'economia e dei servizi basato sulla tutela dell'ambiente. Questo chiedono le centinaia di persone che si sono riunite ieri mattina. Ma solo dopo gli interventi urgenti per permettere a decine di famiglie di rientrare nelle proprie case e alle aziende di riprendere il lavoro. «Tocca alla politica e alle istituzioni risponderci - ha ribadito Russo a nome del comitato tarantino-materano -. Si facciano sentire e vedere sia Vendola che il ministro Fitto. Vogliamo risposte e interventi così come il governo li ha dati al Nord. Non pensiate che siamo sprovveduti - ha aggiunto rivolto ai politici presenti - perché siamo pronti all'azione anche clamorosa».
Usura «boom» nel 2011: +116,3%
Lo rilevano i dati diffusi ieri a Genova a conclusione del convegno «Usura e fisco e riscossioni tributi», che saranno pubblicati sul magazine Contribuenti.it
Fonte: © CONTRIBUENTI.it - Pubblicata il 20/03/2011
ROMA - Allarme usura in tutta Italia. «Nel 2011 sta dilagando l'usura in tutta Italia, ed in particolare nel Mezzogiorno, a seguito della grave situazione di difficoltà economica in cui versano le famiglie e le piccole imprese. Il sovra indebitamento delle famiglie in Italia, nei primi 2 mesi del 2011, è cresciuto del 165,8%, rispetto allo stesso periodo del 2010 e l'usura è aumentata del 116,3%». Lo rilevano i dati diffusi ieri a Genova a conclusione del convegno «Usura e fisco e riscossioni tributi», che saranno pubblicati sul magazine Contribuenti.it, dall'Associazione Contribuenti Italiani che con Lo Sportello Antiusura monitora costantemente il fenomeno del sovra indebitamento delle famiglie e delle piccole imprese in Italia.
«In Italia nel 2011 sono a rischio d'usura 2.310.000 famiglie e 2.030.000 piccoli imprenditori - afferma Vittorio Carlomagno presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - Il debito medio delle famiglie italiane ha raggiunto la cifra di 35.200 euro, mentre quello dei piccoli imprenditori ha raggiunto il tetto dei 54.600 euro».
«Al primo posto delle regioni maggiormente esposte all'usura - afferma Vittorio Carlomagno presidente dell'Associazione Contribuenti Italiani - troviamo la Campania, Liguria, Valle d'Aosta, Toscana, Sicilia, Lombardia, Piemonte, Abruzzo, Puglia, Emilia Romagna, Calabria, Veneto, Lazio, Liguria, Friuli V-Giulia, Umbria, Trentino-A.Adige, Sardegna, Basilicata, Marche e Molise.
«La crisi economica, l'aggressione al patrimonio familiare da parte delle esattorie, il proliferare del pagamento delle tasse a rate, la impossibilità di accesso al credito bancario, la crescita dei giochi d'azzardo legalizzati ed il boom delle carte di credito revolving, con tassi del 25,92%, - continua Carlomagno - stanno trascinando migliaia di famiglie e piccole imprese nelle mani di spregiudicati usurai».
«I dati - conclude Carlomagno - confermano che il fenomeno sta aumentando e l'apice potrebbe essere raggiunto a giugno in coincidenza con il pagamento delle tasse. In passato, ogni qual volta l'economia ha segnato brusche frenate, l'usura ha subito delle forti crescite. Ora c'è un ulteriore problema: oltre la poca propensione alla elargizione del credito associata a commissioni insopportabili applicate dalle banche e dalle esattorie, si sta registrando una aggressione al patrimonio familiare da parte del fisco, sia direttamente mediante la riscossione coattiva, che indirettamente attraverso l'uso spregiudicato dei giochi d'azzardo legalizzati, costringendo numerose famiglie monoreddito a richiedere prestiti».
Contribuenti.it chiede urgentemente al governo di sospendere la riscossione delle imposte nei confronti di tutti coloro che sono assistiti dalle Fondazioni Antiusura e di quelli che hanno perso di recente il posto di lavoro, di bloccare il gioco di azzardo legalizzato in tutti i luoghi pubblici e, soprattutto, di riformare urgentemente il fisco, accorpando la funzione di accertamento e riscossione in testa ad un unico soggetto pubblico, che si qualifichi per trasparenza equità ed imparzialità, abbandonando per sempre la logica del profitto».
La catastrofe non fa paura
Moisés Naím
I giapponesi sono diversi. È tanto difficile non commuoversi dinanzi alle immagini di sofferenza e distruzione che ci arrivano dal Giappone quanto non sorprendersi dello stoicismo delle vittime. Mentre in altri paesi le scene che seguono una calamità ritraggono solitamente panico, disordine o addirittura saccheggi, in Giappone vediamo lunghe fila di persone che attendono con calma l'assistenza sanitaria o che comprano alimenti. E volti che rispecchiano un dolore inimmaginabile e una cultura secondo cui tale sofferenza non viene palesata con fragore. I giapponesi meritano l'ammirazione e la solidarietà del mondo.
Anche i mercati finanziari sono diversi. Ma in un'altra forma. Scommettono che l'economia giapponese si riprenderà prima di quanto le immagini di devastazione facciano supporre. Prevedono inoltre che l'impatto finanziario negli altri paesi sarà minore e che gli effetti economici nel lungo termine non saranno rilevanti.
A meno di una settimana dal terremoto e dallo tsunami, con gli impianti nucleari ancora in fiamme e la Borsa nipponica in caduta, i fondi d'investimento internazionali specializzati nell'acquisto di azioni di imprese giapponesi hanno ricevuto volumi record di denaro. Durante tale settimana gli investitori mondiali hanno depositato 956 milioni di dollari nei fondi destinati al mercato azionario giapponese (la settimana prima del terremoto l'importo è stato di 180 milioni).
La stessa cosa è avvenuta con la moneta. Un paese devastato da una calamità di tale portata non ha una valuta forte. Ma alcuni giorni dopo la tragedia, lo yen ha raggiunto il suo massimo livello dalla Seconda guerra mondiale. Una moneta così forte ha effetti piuttosto dannosi per le esportazioni del paese e provoca numerosi squilibri internazionali. Per tale ragione le banche centrali dei setti paesi più ricchi hanno raggiunto un accordo e sono intervenute con estrema efficacia sul mercato delle valute, riuscendo a stabilizzare la moneta giapponese: l'intervento coordinato delle banche centrali non avveniva da oltre un decennio.
Il rafforzamento dello yen si deve all'anticipo, da parte dei mercati finanziari, di un consistente rimpatrio di capitali giapponesi depositati in altri paesi e in altre valute. Il Giappone ha un alto tasso di risparmio e la maggioranza di questi risparmi si trova fuori dal paese. Poiché tale denaro dovrà rientrare per finanziare la ricostruzione, la domanda di yen aumenterà. Nell'ipotesi che questo avrebbe aumentato il valore della moneta, gli speculatori si sono precipitati ad acquistare yen. Ma in questo caso alcuni ci hanno rimesso: l'intervento delle banche centrali ha impedito che lo yen continuasse ad aumentare.
Coloro che probabilmente non ci rimetteranno sono coloro che hanno scommesso sul rapido recupero del Giappone. Nonostante questo disastro sia stato devastante, la stima più alta dei danni ammonta a 300 miliardi di dollari, mentre la maggioranza degli analisti la colloca a 200 miliardi. Tale cifra corrisponde solo al 4% dell'attività economica giapponese e all'1% della ricchezza del paese. A titolo comparativo, l'editorialista Martin Wolf (si veda Il Sole 24 Ore del 16 marzo) ricorda che in Giappone la crisi finanziaria mondiale ha avuto un impatto pari al 10% della propria economia e che, dei setti paesi più ricchi, è stato quello che più ha subito la crisi. Sebbene le immagini del Giappone dopo la crisi finanziaria non avessero l'avvilente drammaticità di quelle attuali, la realtà è che il crollo del 2009 ha colpito un numero molto maggiore di giapponesi.
Un altro calcolo che stanno elaborando i mercati finanziari mondiali indica che il recupero del Giappone sarà tanto veloce quanto quello avvenuto a seguito di altre calamità. Garry Evans della banca Hsbc ha studiato le conseguenze finanziarie dei terremoti di Kobe (Giappone) nel 1995, di Taiwan nel 1999, del Cile nel 2010 e gli attacchi terroristici del 2001. Ha rilevato che, nonostante tali disastri abbiano fatto cadere le rispettive Borse valori, quest'ultime hanno recuperato i propri livelli pre-catastrofe tra i 23 e 78 giorni dopo e 100 giorni più tardi si attestavano già sopra (o molto oltre) tale livello.
E questo non vale solo per le Borse valori. Le economie colpite da tali disastri crescono grazie allo stimolo degli investimenti destinati alla ricostruzione. Nel 2010 il Cile è stato colpito da un sisma devastante e ha registrato una crescita del 5 per cento.
È ovvio che la tragedia del Giappone ha altri effetti negativi poiché è lì che si trovano molti anelli decisivi di molte delle catene di fornitura da cui dipende l'industria mondiale e ora tali tasselli sono fermi. Il settore assicurativo soffrirà e la prosperità dell'industria nucleare è incerta. Anche su questo stanno scommettendo gli investitori: il prezzo dell'uranio è diminuito del 30 per cento.
(Traduzione di Cinzia Montina)
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