venerdì 1 luglio 2011

Grecia, Solone Dracone Merkel Singer e Papandreou


Quando Solone diede la libertà e cancellò i debiti privati, Riccardo Sabbatini
Praga: la Grecia può uscire dall'euro, Alessandro Merli
Strada spianata ai nuovi prestiti, V.D.R.


Quando Solone diede la libertà e cancellò i debiti privati
Riccardo Sabbatini
Quella dei greci con il debito è una storia che va avanti da 27 secoli. Già nel VI secolo avanti Cristo i cittadini ateniesi erano alle prese con denari presi in prestito che non sapevano come ripagare. Al punto che molti di loro finivano ridotti in schiavitù per l'impossibilità di assolvere alle proprie obbligazioni.
 Se non ci fosse stato Solone, forse, non sarebbe nata neppure la democrazia che dopotutto ha bisogno di un certo numero di uomini liberi per funzionare. E che fece Solone riformando il sistema legislativo ateniese nel VI secolo? Semplice, abrogò i debiti. O meglio decretò che la libertà personale di un cittadino non poteva essere utilizzata come garanzia - come collateral, diremmo oggi - per concedere un credito. Fu chiamata seisachtheia (lo scuotimento dei pesi). Come frutti maturi da un albero i debiti vennero giù liberando da quell'onere chi ne sopportava il peso. «Fu una decisione epocale - ricorda lo storico Luciano Canfora di cui sta per uscire in libreria Il mondo di Atene (edizioni Laterza) – Alle prese con una grave crisi, Solone, nei fatti, evitò una guerra civile».
 Il tema della cancellazione dei debiti - sottolinea ancora Canfora - è ricorrente nell'antichità. «Vi hanno fatto ricorso tutti i riformatori, quanti professavano idee democratiche. Ve n'è un cenno anche nell'invocazione a "rimettere i debiti" contenuta nel Padre Nostro. Dopotutto si tratta di un modo per redistribuire il reddito». Una patrimoniale negativa, si potrebbe dire.
 Associato alla seisachtheia c'è anche il sospetto di un insider trading. Si narra che Solone avesse riferito in anticipo i contenuti del suo provvedimento a una cerchia di amici i quali si precipitarono a comprare terre a debito, sicuri di non doverlo mai rimborsare. Ne parla Aristotele nella Costituzione degli ateniensi, giudicandola una maldicenza messa in giro dai rentier greci colpiti duro dal grande riformatore.
 Tra le misure di Solone che si prestano ad alcune analogie con i tempi presenti, c'è anche la svalutazione della moneta. Il valore della dracma fu nei fatti abbassato di oltre il 25 per cento. Al deprezzamento si giunse emettendo 100 nuove dracme che avevano un peso equivalente (la misura del valore) a 73 vecchie monete. Ma a quel tempo i legislatori ateniesi avevano la massima autonomia monetaria. All'orizzonte ancora non c'era l'euro.
 Infine anche il rapporto difficile che i greci hanno con le tasse ha origini lontane. È ancora Canfora a ricordare un episodio del passato, la "strage di Efeso" nel primo secolo avanti Cristo. Quando i cittadini della città greca dell'Asia Minore si ribellarono al potere di Roma e in un solo giorno uccisero 10mila pubblicani romani, gli esattori del tempo.
 Pur senza queste efferatezze, 25 secoli più tardi la storia sembra ripertersi, anche se alle prese con la crisi ellenica i governanti europei - in prima fila il cancelliere tedesco Angela Merkel – sembrano ispirarsi a un altro illustre legislatore greco, Dracone. «Certo - commenta divertito Canfora - un franco colloquio con Solone farebbe del bene alla Merker».

Praga: la Grecia può uscire dall'euro
Alessandro Merli
LONDRA. Dal nostro inviato
 Una delle possibili vie d'uscita dalla crisi greca è l'adozione di una classica ricetta del Fondo monetario internazionale: disciplina fiscale, ristrutturazione del debito e svalutazione, cioè uscita dall'euro. Per la prima volta, c'è un banchiere centrale in Europa disposto a sfidare l'ortodossia dei suoi colleghi e abbattere il tabù della ristrutturazione del debito e dell'uscita dall'euro. È Miroslav Singer, 43 anni, da due governatore della Banca nazionale ceca, che non risparmia giudizi taglienti sulla cattiva gestione della crisi del debito sovrano in Eurolandia.
 Uno dei "miti" che tiene a sfatare è quello del contagio che dalla Grecia possa estendersi al resto dell'area euro. «I mercati finanziari - dice Singer al Sole 24 Ore - stanno studiando questa questione del contagio da oltre un anno, da quando i problemi greci si sono aggravati. E guardi i Credit default swaps, per esempio, dell'Italia. Sono aumentati? Certo. Indicano una reale possibilità di contagio serio all'Italia o addirittura di un default? Nient'affatto. Se la svalutazione del cambio per la Grecia non si fa a causa dei timori di contagio, ritengo che questo sia un errore. I mercati non sono per niente convinti che la Grecia sia fondamentale per la sopravvivenza della zona euro».
 Singer insiste che la soluzione delle turbolenze viene dalla fine dell'incertezza, mentre finora i continui cambi di direzione a livello nazionale ed europeo non hanno certo contribuito a questo risultato. «Questo - afferma - ha confuso i mercati, che non vedono né la volontà di consentire ad Atene di lasciare l'euro, né quella di sostenerla con le risorse necessarie». Nei giorni scorsi, il governatore della Repubblica ceca è intervenuto a Londra, tra l'altro, a un incontro organizzato dal think tank Omfif, davanti a un pubblico di euroscettici al quale la sua posizione è apparsa assolutamente condivisibile.
 Anche se si risolvesse il problema del debito, secondo il banchiere centrale ceco, Grecia e anche Portogallo si ritroverebbero con una competitività insufficiente. «Non sono convinto - afferma - che non si possano pagare tassi d'interesse al 7% e sopravvivere. Ma bisogna trovare il modo di crescere».
 Le strade credibili per il recupero di competitività sono due e, a questo punto, nella valutazione di Singer, entrambe estremamente costose. La prima consentirebbe alla Grecia di restare all'interno dell'unione monetaria, con una rigorosa disciplina fiscale, ma con una ristrutturazione del debito, oltre che con incisive riforme strutturali. Ma siccome queste richiedono tempo per dispiegare i propri effetti (non certo i tre anni della durata dell'attuale programma di aiuti, sostiene il governatore ceco) dovranno esserci ancora massicci finanziamenti dalle economie forti di Eurolandia, oltre che ulteriori fondi della Banca centrale europea per le banche greche. «Ma a questo punto la condizione dovrebbe essere - afferma - che la gestione della distribuzione degli aiuti venga tolta alle autorità greche».
 Singer considera questa ipotesi «fattibile dal punto di vista politico», considerate le modeste dimensioni della Grecia e anche del Portogallo. Ma sembra di capire che lo attiri di più l'altra opzione, con l'uscita dall'euro. «Anche qui occorreranno aiuti europei, se non altro per sostenere la dracma ed impedire un overshooting», dice, senza nascondere il sollievo che la Repubblica ceca sia fuori dall'Unione monetaria. Nell'un caso e nell'altro, la scelta andrà comunicata chiaramente ai mercati. Il contrario di quello che sta avvenendo ora.

Strada spianata ai nuovi prestiti
V.D.R.
Atene e Bruxelles tirano un sospiro di sollievo per la ritrovata stabilità dell'Eurozona. Dopo aver detto sì mercoledì alle nuove misure di austerità, il Parlamento greco ieri ha completato il lavoro e senza ulteriori defezioni o colpi di scena ha approvato la legge applicativa di queste misure che faranno stringere la cinghia ai greci per i prossimi cinque anni ma che allontanano la bancarotta dall'orizzonte del Paese.
 In cambio, con questo provvedimento, la Grecia punta a ottenere i 12 miliardi di euro della quinta tranche dei prestiti di emergenza, che domenica l'Eurogruppo dovrà sbloccare e il 5 luglio saranno approvati anche dall'Fmi mentre l'11 luglio dovrebbe arrivare il via libera al piano di salvataggio bis da 110 miliardi di euro. Le nuove misure di austerità approvate dal premier George Papandreou rientrano in un piano da 78 miliardi di euro, di cui 50 miliardi di euro di privatizzazioni e 28 miliardi di euro di tagli e aumenti fiscali tra cui l'imposta speciale di solidarietà dall'1 al 5% del reddito.
 La Grecia «ha combattuto e vinto una battaglia difficile»: ha affermato il premier poco dopo l'approvazione da parte del Parlamento della legge di attuazione del piano di austerità, varato dall'Esecutivo socialista in mezzo a scioperi generali e violenti scontri di piazza.
 Le operazioni di voto in aula sono state complicate dal fatto che ciascun deputato si è dovuto pronunciare - a voce - sia sulla legge di attuazione nel suo complesso che nei suoi distinti articoli: l'opposizione conservatrice di Nea Dimokratia - che si era opposta mercoledì al piano del Governo - si è dichiarata a favore di alcuni articoli del provvedimento di attuazione, come le privatizzazioni, attenuando così il fronte del no che evidentemente stava facendo perdere consensi al leader conservatore Antonis Samaras, uscito perdente da questo scontro con il Governo.
 La doppia approvazione, secondo Papandreou, permette al Paese di «superare una tappa cruciale sul suo difficile cammino»: il premier ha però avvertito che la Grecia dovrà vincere «altre battaglie molto importanti e difficili per uscire dalla crisi e cambiare il Paese».
 Papandreou gode attualmente di una maggioranza di soli quattro voti, dopo la defezione mercoledì di un deputato espulso immediatamente dal Pasok. La Ue aveva dato tempo fino al 30 giugno perché Atene approvasse il piano e la legge di attuazione.
 Il voto del Parlamento, oltre a rendere possibile il versamento della quinta tranche di 12 miliardi del prestito concesso un anno fa, permette «progressi rapidi» del secondo piano di salvataggio. È stata questa la risposta immediata all'impegno assunto formalmente dalla Grecia della Ue e della Commissione europea.
 In una dichiarazione comune il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy e il presidente della Commissione José Barroso valutano che la decisione del Parlamento greco «in circostanze molto difficili è un atto di responsabilità nazionale». Così passa la linea del rigore che apre ai nuovi aiuti al Paese.

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