Via libera al bonus carburanti: i lucani ora avranno la card
Veneto, padania. Se non sei veneto paghi intero
Statuto bloccato, Zaia furioso «Noi peggio del Sud Italia»
Venezia, padania. Frode su bevande e alimentari, evasione da 50 milioni a Jesolo
Una cura per risollevare dalla crisi l’Economia
Via libera al bonus carburanti: i lucani ora avranno la card
di Luigia Ierace
POTENZA - Veneto contro Basilicata. Ma alla fine è la Basilicata a vincere. I suoi 33 milioni di euro di royalty non li toccherà nessuno. Il Consiglio di Stato, riunitosi martedì, ieri ha emesso il suo verdetto che di fatto, respingendo la sospensiva del Tar del Lazio, dà il via libera all’erogazione del bonus carburanti per gli automobilisti della Basilicata.
Dopo un lunga udienza e un accurato ascolto delle ragioni dei due Ministeri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo economico, la quarta sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata nel giudizio di appello promosso contro la Regione Veneto per l’annullamento dell’ordinanza cautelare del Tar del Lazio che di fatto aveva congelato il Fondo per la riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti nelle regioni interessate dall’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi.
In parole semplici i patentati lucani avranno la tanto contestata card con un po’ di ritardo rispetto alla tempistica di partenza, ma ormai il meccanismo è partito e ha avuto ragione la Direzione generale per le Risorse minerarie ed energetiche del dipartimento Energia del Ministero dello sviluppo economico a proseguire nell’iter di presentazione delle domande nonostante lo stop del Tar del Lazio. E a quell’appello hanno risposto circa 270 mila lucani, un numero di gran lunga superiore ad ogni aspettativa.
E il Consiglio di Stato esaminando con grande attenzione tutti gli atti, da quelli del Tar all’appello dei Ministeri, agli atti di costituzione in giudizio della Regione Calabria e della Regione Molise e di contro quel Veneto e ascoltati gli avvocati dello Stato e delle Regioni, si è pronunciato con una sentenza che si può dire sia entrata anche nel merito.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto, infatti, che «nella specie il pregiudizio lamentato dalla Regione Veneto, ricorrente in primo grado, non sfugge a un giudizio di recessività rispetto al pregiudizio riveniente a tutte le Regioni controinteressate (ed alle relative popolazioni) dal blocco dell’erogazione delle somme alle stesse destinate». In sostanza è prevalente il danno che ne avrebbero avuto le altre regioni dal blocco dei fondi. Il Consiglio ha poi sostenuto «che appare di difficile praticabilità una sospensione dei decreti ministeriali impugnati nei limiti dell’interesse della Regione istante, stante l’assoluta mancanza di indicazioni normative dei criteri e delle modalità di determinazione della quota del Fondo in ipotesi spettante alla Regione medesima (tenuto conto altresì che il Fondo stesso non risulta alimentato da alcuna somma proveniente da tale Regione, ciò che non può non confortare il richiamato giudizio di recessività del relativo interesse)». Anche in tal caso è evidente il fatto che il Veneto non avendo avuto fondi perché le attività di rigassificazioni non producono royalty e non c’è alcuna normativa in tale direzione. Pertanto, il COnsiglio di Stato non puè che rilevare che «eventuali difetti di coordinamento tra le disposizioni contenute nell’art. 45, l. nr. 99/2009 e tra esse e i decreti attuativi potranno essere valutati nei loro effetti, anche sotto il profilo della legittimità costituzionale, nella sede del merito». alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha quindi accolto l’appello e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, ha respinto l’istanza cautelare proposta in primo grado». Tenuto conto della complessità e della novità delle questioni esaminate ed esaminande, ha quindi compensato tra le parti le spese del doppio grado del giudizio cautelare.
06 Ottobre 2011
Veneto, padania. Se non sei veneto paghi intero
Introdotte nuove prestazioni solo per residenti, per gli altri tariffa piena
BELLUNO. Dal primo ottobre scorso chi non risiede in Veneto ma si rivolge agli ospedali veneti per determinate prestazioni, dovrà pagare l'intera tariffa. Non più i ticket, quindi, con rimborso dell'Usl di provenienza a quella che ha erogato la prestazione: l'utente dovrà sborsare il costo totale della prestazione. Lo precisa l'Usl n. 1 di Belluno dove in queste ore stanno arrivando le circolari che definiscono i contenuti della delibera 859 del 21 giugno 2011, diventata operativa da sabato scorso. Una nuova forma di federlismo sanitario, che va a prediligere i veneti e a penalizzare chi non lo è. Con questo documento Palazzo Balbi precisa meglio i Livelli essenziali di assistenza (Lea) che rientrano nel Sistema sanitario nazionale e che quindi vengono erogati da ogni Usl dietro pagamento di un ticket da parte dell'utente. Ma vengono anche introdotte nello specifico, alcune prestazioni, sempre rientranti nei Lea, ma di pertinenza regionale che verranno erogate «ai soli residenti veneti», come recita la delibera 859, «salvo eventuali accordi con le Regioni di provenienza dell'assistito che saranno comunicate agli erogatori». In sostanza, la giunta veneta ha deciso di aggiornare il cosiddetto nomenclatore tariffario che contiene le prestazioni essenziali garantite sia dal Sistema sanitario nazionale sia quelle garantite dalla Regione in maniera autonoma, un po' come fanno anche altre realtà come quella lombarda. Si tratta per lo più di attività che prima non erano previste o che venivano eseguite in regime di ricovero e che grazie alla nuova strumentazione tecnologica presente negli ospedali, e alla ricerca scientifica, e anche, perchè no, all'impegno a ridurre i costi della permanenza in ospedale, ora possono essere praticate in ambulatorio. Con questo sistema alcune prestazioni, che vengono contrassegnate con il numero 2 nel nuovo tariffario, saranno erogate dietro corrispettivo di un ticket che al massimo può raggiungere i 36.15 euro per un paziente veneto, ma che raggiunge centinaia e alle volte anche migliaia di euro, a seconda del servizio richiesto, se l'utente viene da fuori regione, poichè lo deve pagare per intero. Ad esempio, il paziente che viene da fuori regione, e vuole sottoporsi alla asportazione della lesione della fascia tendinea della mano che include la visita anestesiologica, gli esami pre intervento, le medicazioni, l'intervento e la rimozione dei punti con visita di controllo, spenderà 1134 euro. Per i veneti c'è invece il pagamento del solo ticket. Ma questa situazione che si sta definendo di ora in ora, lascia i Cup nell'incertezza, come spiega la responsabile Gabriella Tagliaferro. «Abbiamo presentato alcune richieste di precisazione alla Regione per capire meglio chi paga e cosa, perchè non è proprio chiaro. Per cui ad oggi, siamo in sospeso».
Statuto bloccato, Zaia furioso «Noi peggio del Sud Italia»
«Meno consiglieri o perderemo la patente di virtuosi e molti soldi dallo Stato». Il governatore «vede» lo stallo sulle riforme e si dichiara prigioniero di regolamenti e opposizione
VENEZIA—«Non voglio andare a Roma a rappresentare una Regione incapace di riformarsi, un Veneto non virtuoso che invece di stare alla pari con la Lombardia e l’Emilia Romagna arranca con la Sicilia e sta perfino dietro alla Campania».
Governatore Luca Zaia, stiamo parlando dello Statuto e del numero dei consiglieri a Palazzo Ferro Fini. Non le pare di esagerare? «Il punto è proprio questo, si pensa che lo Statuto ed il regolamento siano scartoffie. E invece se non rispettiamo il parametro indicato dal governo, ossia i 50 consiglieri, rischiamo di non rispettare i parametri di virtuosità imposti dal federalismo. Il che significa meno trasferimenti dallo Stato, già dal 2012. Quanto al regolamento, spiace dirlo,ma quello del parlamento funziona meglio del nostro. E ho detto tutto».
La sua maggioranza pare in difficoltà, di là del Canal Grande... «La mia maggioranza è quella che vuole tagliare i consiglieri e le indennità, eliminare i vitalizi, limitare a due i mandati. Il problema è che in Veneto non c’è il governo della maggioranza ma la dittatura dell’opposizione».
Si riferisce al filibustering? «Due consiglieri stanno tenendo in ostaggio l’aula con 1.250 emendamenti. E così si bloccano le riforme e l’assestamento di bilancio di cui ha urgente bisogno il Veneto».
Non sarebbe meglio accantonare lo Statuto e concentrarsi sul regolamento d’aula, la chiave di volta dell’ostruzionismo? «Sarebbe come spostare la polvere da qui a lì»
Se lei fosse al Ferro Fini, come chiedono alcuni suoi consiglieri, le cose andrebbero meglio? «Finiamola con questa storia o m’incazzo davvero. Quando non sono in aula non sono a divertirmi, sono a parlare con Scaroni per la chiusura della raffineria Eni, tanto per fare un esempio».
Su che numero si può chiudere? «Credo che sui 50 consiglieri più il presidente si possa e si debba trovare un’intesa. Ringrazio il Pd, l’Idv e quanti nell’opposizione ci stanno aiutando a fare sintesi. Chi fa ostruzionismo, invece, sappia che troverà la gogna ad attenderlo».
Intanto mentre qui si dibatte sul numero dei consiglieri, Moody’s ci bacchetta sul fronte dei conti. «Se Moody’s e le altre agenzie andassero a leggersi sul serio i bilanci del Veneto, ci darebbero un rating superiore a quello della Germania. Il problema è che sono superficiali, guardano all’audience e sono mossi, mi pare, anche da velati scopi politici».
Se siamo costretti a farci dire da NewYork dove, come e quando riformare, forse qualche domanda bisognerebbe farsela... «Le agenzia di rating ora vanno di moda, ma erano le stesse che ci consigliavano di comprare i titoli Parmalat e Lehman Brothers. Mi chiedo chi le paga, di che vivono? Giudicano il Venetoma da noi non hanno avuto alcun incarico. Sarebbe meglio avere un’authority indipendente, magari in seno alla Bce».
Un’ultima domanda, politica. Che ne pensa della circolare bavaglio della Lega? «Non mi pare una novità nel movimento».
Forse se si facessero i congressi non ce ne sarebbe bisogno. «Non mi immischio in questioni politiche, ne so poco nulla. Faccio il governatore e non mi piace calcare la scena politica fine a sé stessa».
Sì, ma per dirla con le parole di Calderoli, lei sta dove sta coi voti della Lega. E se la Lega va in frantumi, magari un po’ le interessa. «Penso che il consenso si ottenga amministrando bene. I cittadini mi chiedono perché non hanno lavoro, non perché non facciamo i congressi».
Marco Bonet
Venezia, padania. Frode su bevande e alimentari, evasione da 50 milioni a Jesolo
Le Fiamme gialle scoprono un'organizzazione che coinvolgeva 21 aziende che «rigenerava» bibite scadute e ritirate sul mercato adulterando la data di scadenza. Ventidue denunciati, sequestrate 500mila lattine
VENEZIA - La Guardia di finanza di Jesolo (Venezia) ha denunciato 22 persone per frode fiscale, scoperto un'evasione di 50 milioni di euro e individuato 21 aziende, di cui 7 estere, facenti parte di un'organizzazione criminale dedita alla commissione dei reati di frode in commercio e frode fiscale nel settore della commercializzazione di bevande e prodotti alimentari. Sono appunto 21 le imprese coinvolte, 14 italiane dislocate in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, e 7 che operavano al di fuori del territorio nazionale. Le indagini hanno accertato due diverse condotte illecite. Da una parte la «rigenerazione» di bevande alcoliche ed analcoliche, già scadute e ritirate dal mercato, che piuttosto di essere distrutte venivano riposte sugli scaffali di vari punti vendita dislocati sul litorale jesolano, e vendute ai turisti, mediante l'alterazione delle date di scadenza.
Le date venivano abilmente cancellate e riscritte attraverso sofisticate apparecchiature elettroniche. I finanzieri hanno sequestrato, tra l'altro, 500.000 lattine e bottiglie di bevande, per un valore commerciale di oltre mezzo milione di euro, oltre ai macchinari, i prodotti diluenti e gli inchiostri utilizzati per la sostituzione delle date scadute. Su un altro fronte i militari delle Fiamme gialle hanno accertato che l'organizzazione aveva messo in piedi un articolato sistema di frode che faceva ricorso all'utilizzo di fatture false con l'intento di documentare fiscalmente numerosi passaggi di ingenti quantitativi di merce. Tale sistema prevedeva la creazione «ad hoc» di società «cartiere» intestate a «teste di legno» nullatenenti, e società «filtro» della filiera commerciale utili ad allontanare dagli organizzatori ogni sospetto di un loro possibile coinvolgimento. La ricostruzione dei passaggi documentali della merce ha permesso di accertare una frode fiscale da oltre 50 milioni di euro, un'evasione di Iva di 16 milioni di euro. (Ansa)
Una cura per risollevare dalla crisi l’Economia
di Joseph E. Stiglitz - 10/06/2011
Visto che ancora persiste la depressione economica cominciata nel 2007, la domanda che tutti si pongono è ovvia: perché? Senza una migliore comprensione delle cause della crisi, non possiamo mettere in atto una strategia di ripresa efficace. E finora non abbiamo né l’una né l’altra.
Ci era stato detto che questa era una crisi finanziaria, così i governi delle due sponde dell’A-tlantico si sono concentrati sulle banche. Le politiche di incentivazione venivano spacciate come un palliativo temporaneo, necessario a compensare il gap fino a quando il settore finanziario non si fosse ripreso e il credito privato non fosse ricominciato. Ma, mentre redditività e bonus bancari si sono ristabiliti, il credito non è in ripresa, nonostante tassi di interesse a lungo e breve termine incredibilmente bassi.
Le banche si lamentano che il credito resta limitato dall’inaffidabilità di chi dovrebbe prendere a prestito, dovuta all’economia malata. E i dati di settore indicano che almeno in parte hanno ragione. Del resto, le grandi società sono adagiate su enormi quantità di dollari in contanti, dunque non è il denaro liquido che impedisce loro di impegnarsi in nuovi investimenti e nuovi posti di lavoro. Alcune piccole imprese, forse molte di loro, sono tuttavia in una posizione molto diversa; a corto di fondi, non possono espandersi, e molte sono costrette a contrarsi.
Ma nonostante tutto, complessivamente, gli investimenti in attività economiche – escluso il settore edilizio sono tornati a rappresentare il 10% del Pil (dal 10,6% ante crisi). Con una capacità produttiva del settore immobiliare così in eccesso, non si potrà riportare presto la fiducia del mercato ai suoi livelli ante crisi, malgrado tutto quello che viene fatto per le banche.
L’imperdonabile avventatezza del settore finanziario, lasciato a briglia sciolta da una folle deregolamentazione, è stata l’ovvia ragione del precipitare della crisi. L’eredità lasciataci (l’eccessiva capacità produttiva del settore immobiliare e la sovraesposizione delle famiglie) rende la ripresa molto più difficile.
Ma l’economia era molto malata anche prima della crisi; la bolla immobiliare ha malamente mascherato la sua debolezza.
Senza il consumo sostenuto dalla bolla finanziaria, ci sarebbe stato un crollo massiccio della domanda aggregata. Invece, il tasso di risparmio individuale è caduto bruscamente all’1%, e l’80% degli americani con i redditi più bassi stava spendendo, ogni anno, circa il 110% della loro disponibilità.
Anche se il settore finanziario si fosse pianamente ristabilito e questi americani dissoluti non avessero imparato l’importanza del risparmio, i loro consumi sarebbero limitati al 100% del loro reddito. Dunque tutti quelli che parlano del “ritorno” del consumatore – anche dopo il riequilibrio del loro indebitamento – vive in un mondo fantasioso.
Aggiustare il settore finanziario era necessario per la ripresa economica, ma è ben lungi dall’essere sufficiente. Per capire che cosa è necessario fare, bisogna ben comprendere i problemi dell’economia preesistenti al colpo della crisi.
In primo luogo, l’America e il mondo intero erano vittime del loro stesso successo. I repentini aumenti della produttività avevano superato la crescita della domanda, il che ha significato la diminuzione dell’occupazione nel settore industriale. Il lavoro ha dovuto spostarsi verso i servizi.
Il problema è analogo a quello sorto all’inizio del Ventesimo secolo, quando la rapida crescita della produttività in agricoltura costrinse il lavoro a spostarsi dalle aree rurali verso i centri urbani industriali. Con la diminuzione del reddito agricolo oltre il 50% dal 1929 al 1932, ci si sarebbe potuti aspettare una migrazione di massa. Ma i lavoratori erano “intrappolati” nel settore rurale: non avevano le risorse per trasferirsi, e i loro redditi in calo indebolirono tanto la domanda aggregata da far salire alle stelle la disoccupazione nelle aree urbane/industriali.
In America e in Europa, la necessità che il lavoro si allontani dalla produzione industriale è rafforzata dal vantaggio comparato dello spostamento: non solo il numero complessivo dei posti di lavoro nel settore industriale è limitato a livello mondiale, ma una parte sempre minore di questo tipo di impieghi sarà su base locale.
La globalizzazione è stata una, ma solo una, delle cause che hanno contribuito al secondo problema chiave: la crescente diseguaglianza. Lo spostamento del reddito da coloro che lo spenderebbero verso chi non ha intenzione di farlo abbassa la domanda aggregata. Per la stessa ragione, il forte rialzo dei prezzi energetici ha spostato il potere di acquisto dagli Stati Uniti e dall’Europa verso i Paesi esportatori di petrolio, che, riconoscendo la forte instabilità dei prezzi dell’energia, giustamente hanno risparmiato gran parte del ricavato da questo settore.
L’ultima questione che contribuisce a indebolire la domanda aggregata globale è stata l’intensa accumulazione di riserve di valuta straniera da parte dei mercati emergenti, in parte motivata dalla cattiva gestione della crisi estasiatica del 1997-98 da parte del Fondo Monetario Internazionale e dal dipartimento del Tesoro americano. I Paesi hanno capito che senza riserve rischiavano di perdere la loro sovranità economica. Molti hanno detto: “Mai più”. Ma se da una parte l’accumulazione di riserve di valuta, al momento attorno ai 7.600 miliardi di dollari nei Paesi emergenti e in via di sviluppo li ha salvaguardati, dall’altra il denaro accumulato è stato denaro non speso.
A che punto siamo oggi nel fronteggiare tali questioni fondamentali? Se per cominciare prendiamo in considerazione l’ultimo, quei Paesi che hanno accumulato grandi quantità di valuta sono stati in grado di superare meglio la crisi economica, cosicché l’incentivo ad accumulare valuta è ancora più forte. Allo stesso modo, se le banche hanno recuperato i loro bonus, i lavoratori vedono i loro salari in erosione e le ore di lavoro in diminuzione, con un ulteriore ampliamento della divaricazione dei redditi. E ancora, gli Stati Uniti non si sono liberati dalla loro dipendenza dal petrolio. Con i prezzi del petrolio questa estate di nuovo sopra i 100 dollari al barile – e tuttora alti – il denaro è ancora una volta trasferito verso i Paesi esportatori di petrolio. E la trasformazione strutturale delle economie avanzate, legata alla necessità di spostare il lavoro fuori dai settori industriali tradizionali, avviene molto lentamente.
Il governo gioca un ruolo di primo piano nel finanziamento dei servizi che la gente vuole, come il settore educativo e sanitario.
Ed in particolare il finanziamento pubblico del settore educativo e formativo sarà cruciale perché in Europa e negli Stati Uniti si torni a essere competitivi. Ma entrambi i Paesi hanno scelto l’austerità fiscale, assicurandosi in pratica che la transizione delle loro economie avvenga lentamente.
La ricetta per curare quanto affligge l’economia globale deriva direttamente dalla diagnosi: forte spesa pubblica, indirizzata all’agevolazione della ristrutturazione, alla promozione del risparmio energetico, alla riduzione delle disuguaglianze, e una riforma del sistema finanziario mondiale che costruisca un alternativa all’accumulazione di riserve di valuta.
Alla fine i leader mondiali – e gli elettori che li votano – arriveranno a capire tutto ciò. Dato che le speranze di crescita continuano ad indebolirsi, non avranno scelta. Ma quante sofferenze si dovranno sopportare nel frattempo?
*Professore universitario alla Columbia University, premio Nobel per l’Economia, e autore di Freefall: Free Markets and the Sinking of the Global Economy /Copyright: Project Syndicate, 2011/ www.project-syndicate.org /tradotto dall’inglese da Roberta Ziparo
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