giovedì 20 ottobre 2011

Federali.sera_20.10.11. Giro di boa.----Francoforte, 19 ott – La crisi deve essere l'occasione per rafforzare l'Europa e un cambio dei trattati non e' da escludere, non e' un tabu'. Lo ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel, spiegando che se capiamo la crisi come un'opportunita, dobbiamo approfittarne e usare metodi non convenzionali.----Dopo il rating della Spagna, Moody’s declassa anche 10 Comunità Autonome e 5 tra le principali banche del Paese.----Potenza – Lo scorso 17 ottobre i 60 lavoratori dell’Ogr (Officine grandi riparazioni) di Melfi (Potenza) hanno ricevuto da Trenitaliala lettera di trasferta comandata avente come motivazione la chiusura dello stabilimento motori di Melfi e il conseguente trasferimento del personale nell’officina di Foggia.----Cagliari. Quattrocentomila presenze in meno. La Sardegna quest’estate è andata in rosso.

Trenitalia: chiude Ogr di Melfi
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Crisponi: «Un’estate da lacrime e sangue»
Calabria. Dati sul sommerso, la realtà è ben diversa
A settembre vola la domanda nazionale di elettricità
Declassata anche la Slovenia
Crisi: Merkel, cambio trattati non tabu'
Moody’s declassa regioni e banche spagnole
I comunisti cinesi chiedono all'Europa di ridurre il welfare



Trenitalia: chiude Ogr di Melfi
POTENZA – Lo scorso 17 ottobre i 60 lavoratori dell’Ogr (Officine grandi riparazioni) di Melfi (Potenza) hanno ricevuto da Trenitalia “la lettera di trasferta comandata avente come motivazione la chiusura dello stabilimento motori di Melfi e il conseguente trasferimento del personale nell’officina di Foggia”.
Lo hanno reso noto, in un comunicato congiunto, i segretari generali regionali di Cgil, Cisl e Uil - Antonio Pepe, Nino Falotico e Carmine Vaccaro – i quali hanno definito “gravissimo l’atto consumato”. In una lettera inviata al governatore lucano, Vito De Filippo, e agli assessori regionali alla infrastruttura e alle attività produttive, Rosa Gentile ed Erminio Restaino, i rappresentanti sindacati hanno chiesto “di convocare con urgenza un tavolo di confronto sulla vertenza Ogr alla presenza dell’amministratore delegato di Trenitalia, Vincenzo Soprano”. Pepe, Falotico e Vaccaro “contestano la decisione dell’azienda e ritengono, insieme alle sigle di categoria Fit-Cisl, Filt-Cgil e Uilt-Uil, che vi siano ancora tutte le condizioni per salvaguardare l’attività produttiva a Melfi e tenere i lavoratori ancorati al sito lucano”.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: Crisponi: «Un’estate da lacrime e sangue»
20.10.2011
CAGLIARI. Quattrocentomila presenze in meno. La Sardegna quest’estate è andata in rosso. «C’era da aspettarselo», dice l’assessore al turismo, Luigi Crisponi, nell’ufficializzare una stagione da «lacrime e sangue». Colpa di chi? Gli imputati lui li mette in fila, a seconda del peccato che hanno commesso: «Prima di tutto il caro-traghetti. Subito dopo la crisi economica. Infine, ha scricchiolato la nostra competitività». Se il 2010 era stato di sopravvivenza, con un meno trecentomila nelle presenze, quest’anno è andata peggio. «Il crollo - dice l’assessore - è stato come sappiamo soprattutto nel traffico marittimo. Abbiamo cercato di tirarci su con la Flotta sarda, ma ormai la Tirrenia e gli armatori privati ci avevano bastonato. Alla fine, abbiamo pagato tutti gli effetti disastrosi provocati da un cartello che si è schierato contro la Sardegna». Sulle banchine, il buco è stato di seicentomila passeggeri. «Per fortuna - continua Crisponi - gli aeroporti hanno retto bene. Anzi, c’è stato un aumento negli arrivi, con in testa Olbia, il suo più 23 per cento è un ottimo risultato. Anche Cagliari e Alghero hanno incrementato il loro traffico di tredici punti». Per un risultato finale che comunque fa ancora male: «Il numero assoluto delle presenze supera appena quota dodici milioni». Se fosse sceso oltre questa asticella sarebbe stato un fallimento. «Non per consolarci - aggiunge Crisponi - ma in altre regioni è stato un disastro, penso alla Sicilia: è finita sotto del dieci per cento». Ma sono cresciute la Croazia e Malta, che più di altri competitor hanno saputo sfruttare meglio la crisi politica che ha messo a soqquadro il sud del Mediterraneo. «È vero - ammette Crisponi - ma la Sardegna è stata penalizzata soprattutto dall’etichetta che le è stata appiccicata addosso da degli sconsiderati nel bel mezzo delle prenotazioni, quella di essere cara. Devo dire che non è stato facile combattere contro questa mostruosità, anche se poi abbiamo dimostrato che in Croazia i prezzi erano più alti rispetto ai nostri». È stata dura e l’assessore riconosce a tutta la filiera del turismo di «aver lavorato con coraggio e bene nonostante il mare in tempesta». E aggiunge: «Tutti abbiamo dato il massimo per resistere. Nessuno ha commesso grandi errori, neanche la Regione». Sicuro? «Sì, ogni nostra campagna è stata condivisa con le imprese e questo vogliamo continuare a fare per tirare su la testa. Ci aspetta una stagione di vendita dura, ma scenderemo comunque in campo col coltello fra i denti. E sempre ottimisti, anche se costretti a fare qualche sacrificio visto che in cassa ci sono sempre meno soldi. Il prossimo anno, ad esempio, ridurremo la superficie dello stand alla Bit. Sarà un taglio netto, da duemila a mille metri quadrati di esposizione. È chiaro che, a quel punto, dovremo aumentare soprattutto la qualità dell’offerta». A chiedere una sterzata nelle strategie sarà anche la Confesercenti, che annuncia: «Domani presenteremo tre proposte per uscire dal tunnel», è l’annuncio. Per un solo destinatario, la giunta Cappellacci.

Calabria. Dati sul sommerso, la realtà è ben diversa
20/10/2011
di GIANNI PAONE
Nei giorni scorsi è stato presentato a Roma il Rapporto sul sommerso e l'economia non regolare elaborato dalla Commissione regionale sull'emersione. Emergerebbe il quadro di una Calabria virtuosa che è riuscita ad ottenere risultati positivi nella costruzione di nuovi posti di lavoro, nella lotta all'economia sommersa frutto “di azioni mirate di un attento monitoraggio su questo delicato fenomeno in una Calabria in controtendenza sul versante del sommerso su quello dell'occupazione”. Ora, se le cose stessero effettivamente così, tutti saremmo ben lieti di festeggiare le magnifiche sorti e progressive della Calabria e della giunta regionale che la dirige. Ma la realtà è ben diversa. Autorevoli fonti ci dicono che, ad oggi, la situazione è ben differente da quella descritta dalla Commissione regionale. La Confartigianato, rapporto 2010, comunica che “in termini percentuali, i lavoratori irregolari oggi incidono, in Italia, per l'11,8% della forza-lavoro. Nel Meridione la percentuale di irregolari sale al 18,3%, fino a raggiungere la punta del 27,3% in Calabria (più di un lavoratore su quattro)”. Non a caso sono proprio tre province calabresi le più interessate dal fenomeno (Crotone, Vibo Valentia e Cosenza). L'Eurispes parla di oltre 250 mila nuclei familiari in Calabria (pari al 34,4% del numero complessivo delle famiglie) che vivono in preoccupanti difficoltà economiche. Un vero e proprio esercito. Cresce il numero dei cosiddetti “working poors”: lavoratori regolari ma con un reddito insufficiente, operai, commessi, lavoratori autonomi per non parlare dei pensionati, con un tenore di vita molto vicino a quello di un disoccupato. Sono quasi 100mila i lavoratori calabresi a bassa retribuzione e i giovani mostrano una probabilità circa tre volte superiore a quella degli adulti di percepire un basso salario. La stessa Caritas fa emergere il paradosso che in Italia per arginare la povertà si spende, in termini di servizi, più nelle regioni dove il fenomeno è più lieve rispetto alle regioni dove l'indigenza tocca alte cifre. Ciò che sta succedendo in Italia (e non solo) ci sta ad indicare un concetto semplice che si è dimenticato: chi governa ha il compito di predisporre soluzioni assumendosene le responsabilità. Il cercare di salvarsi in angolo nascondendosi dietro la parola “crisi” oppure “la colpa è di chi mi ha preceduto”, è solo l'ennesimo tentativo (purtroppo diffuso più al Sud) di una classe politica che si è dimostrata incapace progettare e programmare azioni positive e distante dai bisogni della popolazione che si dovrebbe rappresentare. La realtà è che in Calabria si sono estese le aree sociali di implosivo ed esplosivo disagio che hanno fatto emergere zone di preoccupante vulnerabilità sociale, accompagnate da tassi di incertezza e insicurezza senza precedenti. Anche il lavoro per lungo tempo considerato fonte di certezze e stabilità, è diventato sempre più atipico ed ha contribuito a mutare la rappresentazione del futuro all'insegna della precarietà. La Calabria conta nel 2010 in media 573mila occupati, 13mila in meno rispetto al 2009 e i dati del 2011 confermano questo trend negativo. Secondo Eurispes Calabria il 54,7 % dei giovani occupati sono precari e, fra di loro, 65.000 si dichiarano disponibili a lasciare la Calabria per cercare lavoro; un numero enorme che si aggiunge ai 70.000 studenti universitari che già risiedono fuori dalla regione; un capitale umano che rischia di non trovare in Calabria una propria collocazione ed un futuro. Il rapporto Svimez sottolinea l'aumento dei giovani “Neet” (Not in education, employment or training) con alto livello di istruzione. Quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30% dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Uno spreco di talenti inaccettabile. La Calabria e in particolare i giovani calabresi continuano ad essere penalizzati ed esclusi dal mondo del lavoro che non esiste, nonostante le loro competenze, se non a proclami di investimenti e politiche fantasma. Infine alcune considerazioni sul fenomeno del lavoro minorile. La Commissione farebbe bene a non limitarsi alla percezione del fenomeno. Cito solo un dato di una ricerca regionale da poco conclusa. Su oltre 73mila giovani calabresi tra i 15 ed i 17 anni ben 26 mila, che rappresenta il 35% della popolazione in età dichiara di aver svolto una qualche attività lavorativa durante gli anni di studio, con una presenza quasi doppia dei ragazzi rispetto alle ragazze. E' una cifra molto consistente che conferma, in percentuale e in valore assoluto, l'esistenza di un fenomeno che occorrerebbe monitorare in profondità, un avviamento al lavoro che si attiva attraverso canali e con modalità tutte da scoprire. Riuscire a far emergere tali modalità, significherebbe poter predisporre strumenti e percorsi validi non per reprimere un fenomeno che rischierebbe di riproporsi in altro modo, ma per creare presupposti atti a migliorare condizioni e prospettive dei ragazzi stessi. Per fare tutto ciò serve la buona politica fatta da politici di buona volontà e competenti.

A settembre vola la domanda nazionale di elettricità
La crescita è stata del 6% rispetto allo stesso mese del 2010
Nel mese di settembre 2011 l'energia elettrica richiesta in Italia, pari a 28,8 miliardi di kWh, ha registrato una crescita del +6,1% rispetto allo stesso periodo del 2010. Lo riferisce Terna, secondo cui si tratta dell'incremento più consistente rilevato da dicembre 2010. Depurata dall'effetto temperatura - rispetto a settembre 2010, a parità di giorni lavorativi (22), si è infatti avuta una temperatura media mensile superiore di circa due gradi centigradi, che ha fatto correre i consumi per il condizionamento - l'aumento della domanda di settembre 2011 diventa del +5%.
Più nel dettaglio, i 28,8 miliardi di kWh richiesti sono stati distribuiti per il 46% al Nord, per il 29% al Centro e per il 25% al Sud. Sembra dunque ormai alle spalle la riduzione del fabbisogno registrata negli ultimi anni per effetto della crisi economica: nei primi nove mesi del 2011 la domanda di energia elettrica ha infatti avuto un incremento dell'1,7% rispetto al corrispondente periodo del 2010; a parità di calendario la variazione risulta pari a +1,8%. A livello di approvvigionamento, la domanda di energia elettrica di settembre è stata soddisfatta per un 89,7% con produzione nazionale e per la quota restante (10,3%) dal saldo dell'energia scambiata con l'estero. In crescita le fonti di produzione idroelettrica (+4,8%), termica (+3,8%), geotermica (+5,4%), e fotovoltaica (+561,0%). In flessione invece l'eolico (-5,7%).

Declassata anche la Slovenia
Standard and Poor's critica la strategia del governo
NEW YORK - L'agenzia Standard and Poor's ha abbassato di un grado il rating della Slovenia, sottolineando il peggioramento «delle condizioni finanziarie» del piccolo paese alpino, membro della zona euro. Standard and Poor's ha declassato da «AA» a «AA-» (con outlook stabile) la solvibilità delle obbligazioni dello stato sloveno spiegando che «le condizioni finanziarie della Slovenia si sono deteriorate dopo la crisi finanziaria del 2008» e il «governo non ha messo in atto una strategia credibile di risanamento».
Il mese scorso già Fitch e Moody's avevano abbassato il giudizio sulla Slovenia dopo la caduta del governo del premier Borut Pahor.
Dopo Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia e Cipro, la Slovenia diventa il settimo paese dell'Eurozona ad essere declassato dalle agenzie di rating nel corso di quest'anno.

Crisi: Merkel, cambio trattati non tabu'
Accogliere sfida per rilancio Europa
19 ottobre, 19:57
(ANSA) - FRANCOFORTE, 19 OTT - La crisi deve essere l'occasione per rafforzare l'Europa e ''un cambio dei trattati non e' da escludere, non e' un tabu'''. Lo ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel, spiegando che ''se capiamo la crisi come un'opportunita', dobbiamo approfittarne e usare metodi non convenzionali''. Merkel si e' detta ''convinta che la crisi si possa risolvere'' e ha ribadito che il vertice di domenica prossima a Bruxelles sara' ''molto importante'' ma non potra' essere occasione definitiva.

Moody’s declassa regioni e banche spagnole
20/10 01:53 CET
Dopo il rating della Spagna, Moody’s declassa anche 10 Comunità Autonome e 5 tra le principali banche del Paese.
Secondo l’agenzia di valutazione la maggior parte delle regioni spagnole non si sta dimostrando capace di mantenere gli obiettivi di restituzione del debito.
Peggio di tutte fa la regione di Castilla-La Mancha che si aggiudica le peggior nota sulla scala di valutazione di Moody’s, con un realistico pericolo d’insolvenza.
La Caixa, BBVA, Banco Santander oltre alla Confederazione Spagnola delle Casse di Risparmio tra gli istituti nel mirino di Moody’s. Ieri la stessa agenzia ha annunciato un downgrade sulla solvibilità del debito sovrano spangolo di due punti.

I comunisti cinesi chiedono all'Europa di ridurre il welfare
 di Edoardo Narduzzi  
Un tabloid inglese ha pubblicato i dettagli di un possibile piano di salvataggio presentato dalla delegazione cinese al recente G20 dei ministri delle finanze. Pechino si è dichiarata pronta a investire parte delle sue copiose riserve valutarie per salvare l'eurozona e traghettarla oltre la crisi di sostenibilità del suo debito pubblico. I cinesi, attraverso il fondo sovrano e le banche di stato, sono pronti a comprare ingenti quantitativi di titoli di Stato europei e a investire nelle infrastrutture, la prima nel mirino è l'aeroporto di Atene dopo il porto del Pireo. In pratica la finanza cinese affiancherebbe la Bce nel sostenere i corsi dei Btp italiani e delle analoghe obbligazioni spagnole e, magari, anche di quelle francesi, visto che Parigi rischia a breve di perdere la tripla A, dando un contributo fondamentale alla stabilizzazione dell'intera eurozona. Gratis? Ovviamente no, perché in economia non esistono pasti gratis, come insegnavano all'università di Chicago qualche tempo fa e neppure i comunisti cinesi sono disponibili a fare regali. Ma quello che il governo della seconda economia del pianeta, cresciuta del 9,1% in termini di pil nel terzo trimestre del 2011, chiede è, in qualche modo, paradossale per gli europei: i governi del Vecchio continente devono impegnarsi formalmente a tagliare la spesa pubblica e a riportare le loro finanze pubbliche in equilibrio. Detto in altro modo significa che i comunisti cinesi pretendono che gli europei accettino di rivedere il loro modello di spesa pubblica, sostenibilità del welfare state incluso. Il governo comunista di maggior successo del pianeta si permette di ricordare agli intellettuali europei, un po' utopisti, che i diritti pensionistici o la spesa sanitaria vanno costruiti sulla base della loro effettiva finanziabilità e non passando per non etiche combine politico-sindacali che creano diritti erga omnes in disavanzo di bilancio pubblico. Sanità gratis e universale per tutti o pensioni a 55 anni di età che però non sono pagabili dalla capacità di produrre ricchezza da parte dell'economia che li ha prodotti sono dei bond Parmalat. Può apparire un paradosso che i comunisti cinesi, come condizione per prestare i loro denari, pretendano il taglio di diritti sociali nel Vecchio continente, ma esiste anche un'altra chiave di lettura. I cinesi, anche se ancora comunisti, hanno una corretta morale rispetto al debito: un governo che crea debiti e li scarica sulle generazioni future non può farlo senza assumersene piena responsabilità anche morale. E se non la pretendono gli elettori beneficiati, allora è giusto che la invochino gli arricchiti comunisti cinesi.

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