giovedì 27 settembre 2012

(2) XXVII.IX.MMXII/ La crisi toglie manghi e avocadi dalle tavole degli italiani, ma non nella dinamica Basilicata, dove il pil lucano conferma il suo carattere di «maggiore sensibilità al ciclo economico internazionale»: perde molto in fase di recessione ma presenta «una maggiore capacità di agganciare una fase di, seppur modesta, ripresa, come quella che ha caratterizzato il periodo compreso tra la metà del 2010 e l'estate del 2011». Amen.


La Basilicata? Secondo lo Svimez è la Regione più dinamica del Paese
Melfi, la grande paura delle «tute blu» Fiat
Casa: nel ii trimestre mercato a picco (-24,9%)
casa: mercato -25% ma prezzi tengono
Crisi: Coldiretti, crolla consumo frutta esotica (-11%) sale km 0

La Basilicata? Secondo lo Svimez è la Regione più dinamica del Paese
Il rapporto Svimez presentato a Roma dice che la Basilicata ha «una maggiore capacità di agganciare una fase di ripresa»
26/09/2012  Nel 2011 la Basilicata ha fatto registrare un aumento del prodotto interno lordo del due per cento, «distanziandosi profondamente da dato medio del Sud» e diventando così «la regione più dinamica dell’intero Paese»: lo scrive il rapporto Svimez presentato oggi a Roma, nella parte dedicata alla Basilicata. Il pil lucano conferma il suo carattere di «maggiore sensibilità al ciclo economico internazionale»:perde molto in fase di recessione ma presenta «una maggiore capacità di agganciare una fase di, seppur modesta, ripresa, come quella che ha caratterizzato il periodo compreso tra la metà del 2010 e l'estate del 2011». Secondo l’istituto di ricerca, «l'ottima performance della Basilicata nel 2011 è dovuta ad un incremento dell’attività produttiva in tutti i settori, tranne che nelle costruzioni». Il settore agricolo, ad esempio, ha fatto registrare un incremento del due per cento (flessione a livello nazionale dello 0,5 per cento e dell’1,6 per cento nel Mezzogiorno). Un incremento del valore aggiunto si è registrato in Basilicata, nel 2011, anche nel settore dei servizi: più 2,6 per cento, «superiore al dato nazionale (+0,8 per cento). E' cresciuta anche l’occupazione: dell’1,3 per cento, «decisamente superiore a quella della ripartizione meridionale (0,2 per cento) e a quella nazionale (0,4 per cento)», grazie agli aumenti occupazionali nell’industria e nel commercio.

Melfi, la grande paura delle «tute blu» Fiat
dal nostro inviato Stefano Boccardi
MELFI - «Certo che abbiamo paura. Certo che non si ferma nessuno. E che ti aspettavi? Gli eroi? Le vedi quelle vetrate? Da lì non sfugge niente. Siamo tutti sotto controllo. Per te è facile dire che sembriamo tutti impauriti. Ma è normale. Voglio vedere te al posto nostro. E poi adesso. Con la Fiat e con Marchionne e con Della Valle... Con questa guerra tra poveri che rischia di scatenarsi tra noi e Cassino. Ma lo sai che qui lavoriamo, quando va bene, solo due giorni la settimana? Ma lo sai che oggi stiamo tornando al lavoro dopo un’ennesimo periodo di cassa integrazione? Io sono un padre di famiglia che ha bisogno di portare il pane a casa. Me lo dici tu dove lo trovo un lavoro se mi licenziano? C’è poco da fare. Qui, nonostante tutto, Marchionne sta vincendo. E non ci non resta che prenderne atto. Perché, al momento, non c’è alternativa. Che dobbiamo fare? Dobbiamo andare tutti a rubare? Io, finché dura, preferisco lavorare».
Alle 13.45, al cambio turno della Sata di Melfi, davanti alla portineria B, la paura (ma anche l’orgoglio) degli operai Fiat ha la faccia di Giuseppe, un ragazzone con la barba incolta che corre, come tutti, verso la fabbrica.
Giuseppe è appena arrivato in pullman dal suo paese. Con lui c’è un folto gruppo di compagni di lavoro che tira dritto, che la paura la maschera con un sorriso o con una smorfia. Ma Giuseppe no. Giuseppe, la paura la sente come un peso, quasi come un’onta. E allora, anche se ti prega di non scrivere nulla che possa identificarlo (nemmeno da quale comune della Basilicata si sia messo in viaggio), quel che ha in corpo lo tira fuori. O almeno ci prova. E il risultato è, appunto, un mix di paura e di orgoglio. Che gli contorce il viso, facendolo apparire persino più vecchio dell’età che ha.
È un po’ quel che accade anche a Gerardo Evangelista, 48 anni, operaio, delegato della Fim Cisl nella Rsa (rappresentanza sindacale aziendale). Evangelista, come tutti gli altri lavoratori della Sata iscritti alla Fim, in questi giorni è alle prese con un problema in più.
Per lui, che al lavoro arriva in pullman da Tricarico in provincia di Matera (110 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno), non c’è solo il peso dell’incertezza diffusa che ruota intorno alle scelte del Lingotto e del suo amministratore delegato. Per lui non c’è solo (si fa per dire) la preoccupazione di lavorare in una fabbrica che continua a produrre (quando è in attività e a ritmi serrati) un modello (la Grande Punto) che ha ormai fatto il suo tempo (basta dare un’occhiata al piazzale che si trova a fianco alla portineria B per rendersene conto: è stracolmo). L’intero gruppo dirigente lucano della Fim è stato di fatto azzerato dai vertici nazionali. E così, da Roma, al posto del segretario regionale uscente, Antonio Zenca, sono arrivati due reggenti, Gianfranco Gasbarro e Leonardo Burmo.
Risultato numero uno: Zenca se n’è andato sbattendo la porta e portandosi dietro decine, se non addirittura centinaia di iscritti. Dove? Nella Fismic, il sindacato che da sempre è emanazione diretta della Fiat e che, qui come altrove, condivide tutte, ma proprio tutte, le scelte passate, recenti (e future) di Sergio Marchionne.
Risultato numero due: il segretario regionale della Fismic, Marco Roselli, 43 anni, di Melfi, impiegato, assunto in Sata dal 1° gennaio del 1992, gongola a tal punto da sostenere che il suo sindacato in Sata «a questo punto è di fatto il più rappresentativo».
Forse Roselli, con questa sua dichiarazione, forza un po’ la mano, non foss’altro perché le elezioni della Rsa (svoltesi appena pochi mesi fa, ad aprile) hanno decretato la vittoria schiacciante della Uilm Uil. Ma di sicuro questo travaso di iscritti (dalla Fim, che era arrivata seconda, alla Fismic, terza) si sta già facendo sentire. E non è affatto escluso che si possa prefigurare un capovolgimento dei rapporti di forza all’interno del fronte sindacale, peraltro già orfano, qui come in tutte le altre fabbriche Fiat, della Fiom Cgil, ormai estromessa da tutti gli organi di rappresentanza.
Da qui la preoccupazione e per tanti versi il rammarico di operai come Gerardo Evangelista, il quale ricorda di aver fatto parte del cosiddetto «prato verde», la gioventù lucana, ma anche pugliese e in parte campana, che vent’anni fa ripose tutte le sue speranze nella Fiat. «Io - osserva Evangelista - voglio ancora sperare che si possa uscire da questa situazione di crisi. E sono certo che, al di là dei comunicati ufficiali, l’esito dell’incontro di sabato scorso tra i vertici aziendali e il governo sia stato molto positivo».
Il suo è un ottimismo quasi forzato, come quello di tutti i firmatari del contratto Fiat. Come quello di Libera Russo, 47 anni, impiegata, delegata Uilm. «La preoccupazione - dice - è palese. Esiste. È martellante. Come la crisi della Fiat, che dopo essere rimasta velata ora viene fuori in tutta la sua chiarezza. Ma io credo che le ragioni che ci hanno spinti a credere nel piano di Sergio Marchionne siano tutte ancora valide. Io non credo che ci abbia preso in giro. Qui il vero problema è che la crisi globale sta pesando molto più di quanto non si potesse immaginare. E per noi, qui a Melfi, questo si sta traducendo in tanta cassa integrazione, in una crisi del lavoro in quanto tale. Il rischio, concreto, è la perdita di senso, la perdita di autostima. E di conseguenza la paura».
Ma Libera Russo (come il suo segretario regionale, Vincenzo Tortorelli, come gli stessi Gasbarro e Roselli e come il numero uno della Fiom lucana, Emanuele De Nicola) non vuole nemmeno prenderla in considerazione l’ipotesi che pure nei giorni scorsi è stata avanzata da tanti operai e tecnici di un altro stabilimento a rischio, quello di Cassino in provincia Frosinone. E così, nonostante sia sempre più chiaro a tutti che Marchionne alla fine potrebbe decidere di chiudere un altro stabilimento in Italia, qui a Melfi tutti contano su quello che considerano un fatto obiettivo: la Sata è in attività da nemmeno vent’anni e nell’ultimo decennio è stata protagonista del rilancio di Fiat.
Vero, verissimo. E a sottolinearlo, più volte, è stato proprio lo stesso Marchionne. Ma siccome in economia non si vive di ricordi, va anche detto che la Grande Punto non la vuole più nessuno e che sino a quando il Lingotto non tirerà fuori dal cilindro un nuovo modello del cosiddetto «segmento B» da destinare alla fabbrica lucana, la Sata e i suoi 5.400 dipendenti (più altri 5.000 dell’indotto) continueranno a rimanere sulla graticola.
Ed è questo il motivo di più grande preoccupazione, seppur non confessato, che tiene tutti sulla corda. Qui, come altrove, a far paura è l’incertezza. E mentre Roselli della Fismic conta, esattamente come fa ora Marchionne, «sul governo e sulle politiche di sostegno al manufatturiero e all’automotive», sul fronte opposto, Emanuele De Nicola della Fiom denuncia «la pressione sempre più insostenibile nei confronti dei nostri iscritti, che sino a poco tempo fa era non meno di ottocento». «Temiamo - dice alla Gazzetta - che sia in atto una vera e propria forma di schedatura». E poi, pur non potendolo ancora provare («perché non abbiamo le registrazioni»), denuncia che «la Fiat sta convocando i nostri iscritti, invitandoli a cambiare sindacato».
Accuse non proprio inedite, che confermano, in ogni caso, la presenza di un clima tutt’altro che sereno. E a confermarlo, fuori dai cancelli prima di entrare in fabbrica, è Dino Miniscalchi, 43 anni, operaio, in Sata dal 1995, già delegato Fiom in quella che un tempo era la Rsu (rappresentanza sindacale unitaria). «Quel che qui non si vuol riconoscere da parte degli altri sindacati - dice - è che Marchionne il nostro destino l’ha già deciso. Perché qui il suo obiettivo organizzativo l’ha raggiunto. Noi qui lavoriamo due giorni la settimana e in futuro forse ancora meno. Ma se sino ad un anno fa producevamo al massimo 1.330 auto al giorno, oggi siamo a livelli record. L’altra settimana ne abbiamo sfornate 1.670 in un giorno solo. Si sta lavorando a ritmi massacranti. Questa è la verità. Ed è per questo che mi sono convinto che faremo la fine di Pomigliano. Rimarremo in attività e in agonia allo stesso tempo. E quando finalmente arriverà il nuovo modello, Marchionne ci dirà che siamo troppi».
«Mi chiedo soltanto - dice prendendo la via dei cancelli - a che cosa sono serviti gli accordi capestro firmati dagli altri sindacati».
Una domanda alla quale, in vario modo, seppur non direttamente, avevano già risposto i segretari di Uilm, Fim e Fismis: «Il sindacato deve continuare a fare la sua parte. A fare accordi nell’esclusivo interesse dei lavoratori».
Ma intanto, mentre il lavoro rischia di ridursi al minimo, a crescere è solo la paura.

Casa: nel ii trimestre mercato a picco (-24,9%)
Persi 10 miliardi sul 2011. Crollo delle compravendite, con una punta del 32% nell’hinterland della Capitale. Eppure in alcune città (Roma, Torino e Verona) i prezzi salgono
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Roma - Nel II trimestre 2012 continua – anzi si accentua - il calo registrato nel trimestre precedente per il mercato immobiliare italiano. Le compravendite, infatti, calano del 24,9 per cento, peggiorando il dato tendenziale del I trimestre (-17,8 per cento). Lo sottolinea l’Agenzia del Territorio, la quale aggiunge che nei primi sei mesi dell’anno si stima che la spesa per l’acquisto di abitazioni è pari a quasi 39 miliardi, oltre 10 miliardi in meno rispetto allo stesso semestre del 2011 (-22,6 per cento).
 I PREZZI - Tra le 12 città più grandi per popolazione i prezzi medi per unità di superficie delle abitazioni risultano quasi ovunque in diminuzione, con il calo maggiore a Palermo (-2,1 per cento). Lievi rialzi si registrano solo a Roma, Torino e Verona.
 CROLLO NELL’HINTERLAND DELLA CAPITALE- Un crollo delle transazioni che si evidenzia anche nelle maggiori otto città italiane. Con 20.002 transazioni - aggiunge la nota – registrano complessivamente un tasso tendenziale pari a -22 per cento. Si conferma e si accentua, quindi, il trend decrescente rilevato con i tassi negativi del I trimestre del 2012 (-17,9 per cento tendenziale). Tra le città, si riducono di circa un quarto i mercati di Palermo (-27,0 per cento), Milano (-26,2 per cento), Bologna (-25,1 per cento) e Genova (-25,0 per cento). Cali elevati, superiori al 20 per cento, si registrano a Firenze (-21,5 per cento) e a Torino (-21,2 per cento). Molto elevata anche la flessione riscontrata a Roma (-19,4 per cento) e poco inferiore il calo del transazioni a Napoli (-14,2 per cento). La restrizione del mercato è ancora più evidente nei comuni della provincia delle principali città (“resto delle province”) dove il mercato delle abitazioni presenta nel II trimestre del 2012 complessivamente una discesa del -25,4 per cento e perdite maggiori dei capoluoghi in quasi tutte le province. Spicca il tasso negativo dell’hinterland di Roma che perde quasi un terzo degli scambi (-32,2 per cento). Molto sostenute anche le flessioni registrate nei comuni minori delle provincie di Palermo (-28,7 per cento), Bologna (-27,4 per cento), Genova (-27,3 per cento) e Milano (-23,0 per cento). Infine, solo il resto della provincia di Napoli mostra un tasso di calo poco inferiore al 20 per cento.   (ilVelino/AGV)
(red/glv) 27 Settembre 2012 14:01

casa: mercato -25% ma prezzi tengono
Ag. territorio, peggior calo da 2004. -10 mld fatturato 6 mesi
27 settembre, 17:34
(ANSA) - ROMA, 27 SET - Mercato immobiliare in picchiata: nel secondo trimestre - dice l'Agenzia del territorio - il calo delle compravendite e' stato del 24,9%. Il peggior dato dal 2004. Tengono i prezzi con un calo maggiore del 2,1% a Palermo.
Nei primi sei mesi il mercato perde cosi' 10 mld di fatturato.
''Si tratta di dati non confortanti - spiega il direttore dell'Agenzia del territorio Gabriella Alemanno - con un calo che accentua

Crisi: Coldiretti, crolla consumo frutta esotica (-11%) sale km 0
ultimo aggiornamento: 27 settembre, ore 13:52
Roma, 27 set. (Adnkronos) - La crisi toglie manghi e avocadi dalle tavole degli italiani. Crollano dell’11 per cento gli acquisti di frutta esotica in quantità mentre crescono quelli di prodotti ortofrutticoli nazionali magari a chilometri zero come prugne, pesche nettarine, angurie e fragole.

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