sabato 4 dicembre 2010

Rifiuti, il coraggio della città delle donne


Fanno la differenziata sfidando la disorganizzazione E lanciano appelli. «Ma i nostri figli vanno via»
NAPOLI - Gabriella Masucci, docente di storia moderna all' Università Federico II, il televisore rotto lo tiene da mesi sul balcone.


C'è soltanto un posto dove lo si possa dismettere, ma è a Ponticelli e apre un solo giorno in settimana: in attesa di trovare il tempo per andarci, la professoressa lo tiene in casa, rifiutandosi di dar retta al ragazzo salvadoregno che viene a fare le pulizie e che insiste per buttarlo in strada, sulla montagna di sacchi e sacchetti, materassi sventrati e altri arredi minori che si accumula in via Michelangelo Schipa, pieno centro della città. Si rifiuta anche perché conosce i commenti del suo domestico: «Terzo mondo in San Salvador? No, qui». La differenziata la signora la fa da anni, ma come una specie di esercizio di palestra che deve addestrare il fisico a una posizione corretta, per trovarsi preparata e abituata il giorno in cui sarà obbligatoria. La fa per principio, dice, e anche in modo un po' donchisciottesco: se ne è resa conto il giorno in cui lungo la Cumana, il treno che prende per andare al lavoro, alla stazione Montesanto ha visto gli addetti alla spazzatura buttare sul camion tutto assieme, differenziata e non, a conferma di una leggenda metropolitana probabilmente non così leggendaria. Fiducia nell' intervento di Berlusconi? «Stavolta no, anche se tra un paio di settimane la città potrebbe essere davvero pulita. Le regioni "amiche", che già si sono fatte rare, una terza volta la nostra spazzatura non se la prenderanno». Maria Grazia Leonetti, che ha lunga tradizione famigliare di mecenatismo ed è presidente dell' omonima Fondazione, si dichiara e in effetti è avvilitissima. Non tanto per le telefonate ormai quotidiane degli amici e dei parenti sparsi per l'Italia e per il modo in cui si informano ansiosi su come si possa sopravvivere a Napoli, quanto per i giornali e le tv che della sua amata città raccontano sempre e soltanto le brutture. Cita per esempio il film di Martone, l' applaudito «Passione», per il quale la regia ha preteso dagli abitanti di stendere la biancheria nei vicoli, tra casa e casa, per «fare» di più Napoli. Poi cita i paradossi napoletani: «Si chiudono i teatri mentre è stato appena restaurato il prezioso teatro di Palazzo Reale; a Pompei le case crollano mentre a Ercolano funziona un meraviglioso museo virtuale Mav, del quale, però, nessuno parla mai; abbiamo più tesori artistici di molte città italiane messe insieme, abbiamo numerosissime iniziative culturali e intanto i nostri grandi e ottimi alberghi del lungomare sono costretti, per mancanza di clienti, ad affittare le camere a poco più di cento euro, quando neppure molto tempo fa, costavano il triplo. Potremmo essere come Venezia o Firenze, vivere soltanto di turismo, ed eccoci qua, Napoli uguale spazzatura». Poi, osservando la montagna di sacchetti accumulati al centro di via Chiaia, dalla quale spunta una sedia zoppa, aggiunge un'invocazione accorata ai suoi concittadini e a chi viene da fuori città - di notte succede anche questo - affinché non approfittino dell' emergenza per svuotare le cantine. E conclude, quasi dolente: «È vero che noi cittadini abbiamo sopportato troppo a lungo e che a molti è mancato il senso civico, però è anche vero che la controparte politica manca drammaticamente». Roberta Buccino Grimaldi, genovese, da vent' anni a Napoli, organizzatrice di congressi internazionali, riconosce che il suo lavoro è stato penalizzato dalla crisi economica mondiale ma sa anche che subirà un pesante extra di penalizzazione dall' emergenza rifiuti, peraltro illustrata in tinte foschissime da tutti i giornali del mondo. E spiega che, a parte quella economica, la conseguenza più grave della situazione attuale è familiare e civile, nel senso che i ragazzi, se appena possono permetterselo, anche ancora adolescenti come i figli suoi, cominciano a pensare di andarsene da Napoli una volta finite le scuole. Ed è molto difficile che tornino. La differenziata lei la fa da tempo, come del resto i suoi vicini di casa, tra i quali si sta diffondendo una certa rabbia per chi, imperterrito, butta tutto assieme: se colto in flagrante, viene «cazziato» duramente. Con tristezza, pensando ai campi fuori città da dove vengono le belle verdure esposte dai fruttivendoli, ammette poi di comprare ormai soltanto quelle infinitamente meno belle chiuse nelle vaschette del supermercato, sperando che arrivino da più lontano. Pina Amarelli Mengano, cavaliere del lavoro e docente di diritto romano alla Federico II oltre che amministratrice dell' azienda di famiglia che produce liquirizie, si dice terrorizzata dallo scollamento tra cittadini e classe politica, tra i bisogni della città e l' inconcludenza di chi la governa. «Per incompetenza, mancanza di fondi e infiltrazioni malavitose nei tre anni passati tra un' emergenza e l' altra non è stato fatto nulla di quanto sarebbe stato necessario per risolvere davvero il problema e cioè le infrastrutture di raccolta e trasformazione». E piange sui meravigliosi orti napoletani irrimediabilmente perduti a causa delle infiltrazioni velenose accumulate nell'ambiente, prevedendo, tra poco, delle giustificatissime rivolte popolari contro i napoletani e la loro immondizia in quelle - poche - regioni che hanno accettato ancora una volta di accogliere i camion carichi di rifiuti. Marilù Faraone Mennella, imprenditrice con coraggio, riconosce che il problema che affligge la città è grande ma non impossibile da risolvere. La si direbbe addirittura ottimista: confida infatti che gli abitanti di Napoli siano stufi di essere sudditi e che vogliano infine diventare cittadini. Volontariato diffuso, associazioni di ogni genere, iniziative civiche e comitati per l' emergenza rifiuti che stanno sorgendo come i funghi le danno speranza in questo senso. E in qualche modo impersona lei stessa il paradosso napoletano: mentre le emergenze cittadine sono sotto gli occhi di tutti, assieme a venticinque imprenditori, in maggioranza campani, ha varato il progetto «Naplest», per la ristrutturazione e la riqualificazione urbanistica, sociale ed economica della zona orientale, tra le più disastrate della città, regno di impianti industriali morti e stramorti, tra Barra, Ponticelli, Poggioreale e San Giovanni, luoghi puntualmente citati nelle cronache napoletane più nere. La città delle donne c'è, dunque, e si muove, nonostante o forse proprio perché l' immondizia marcisce nelle strade sotto la pioggia, perché alla fermata dell' autobus per l' aeroporto (3 la corsa) si ferma un tassista che offre, sconsolato: «Vi porto per lo stesso prezzo», perché le decine, forse centinaia di persone - i disoccupati rimasti senza corsi di formazione e relativo sussidio - a notte fonda si assiepano davanti al palazzo della Regione per aspettare al varco gli assessori (che per lo più sgattaiolano da un'uscita secondaria).
Bossi Fedrigotti Isabella
(3 dicembre 2010) - Corriere della Sera
Fonte:  


Nessun commento: