Comunicazioni di servizio per il brianzolo:
1. Svizzera. In Svizzera la prostituzione minorile è ancora legale.
2. Le vicissitudini di un “clown”.
Sezione Forza Oltre padania:
3. Bozen. Alto Adige: nuova tabelle sugli ossari di guerra, "falsificazione del passato".
4. Merano. Bacher: «Relitti fascisti a Fortezza».
5. Bozen. Unità d'Italia: niente ponte in Alto Adige il 18 marzo.
6. Bozen. La tolleranza autonomista.
7. Aosta. Ad una settimana circa dall'entrata in vigore della "rottura mista" i pendolari tornano a riunirsi.
Sezione radio bagina:
8. A Radio Padania la mobilitazione non finisce mai e tutti (o quasi) possono dire quello che vogliono.
9. Preganziol. Treviso. Saviano in tv ringrazia la bibliotecaria di Preganziol.
10. Arzignano. Vicenza. Fisco: indagini GdF, si dimette vicesindaco Arzignano Lega Nord.
11. Milano. Non solo Trivulzio,
Sezione minoranza disconosciuta:
12. Potenza. Vergogna allagamenti.
13. Palermo. Giù le mani dalla Trinacria”: gli indipendentisti domani in piazza.
14. La festa la vogliono fare all'Italia.
15. Milo (Noi Sud): il 17 marzo si ricordino anche i morti del Sud.
1. Svizzera. In Svizzera la prostituzione minorile è ancora legale. Di Jean-Michel Berthoud, swissinfo.ch Il premier italiano Silvio Berlusconi sarà prossimamente processato per concussione e prostituzione minorile. Qual è la situazione in Svizzera in merito alla prostituzione minorile? swissinfo.ch ha chiesto chiarimenti a una specialista della tutela dei diritti delle prostitute.
Una giudice delle indagini preliminari di Milano ha accolto la richiesta presentata una settimana prima dalla procura del capoluogo lombardo e disposto il rinvio a giudizio con rito abbreviato di Silvio Berlusconi per i reati di concussione e prostituzione minorile. L'inizio del processo è fissato per il 6 aprile.
In concreto, l'accusa mossa al cavaliere riguarda il suo rapporto con una giovane marocchina soprannominata Ruby, all'epoca dei fatti minorenne. Nelle scorse settimane, i media italiani hanno riportato numerosi dettagli piccanti di festini su sfondo sessuale svoltisi in varie residenze del capo del governo.
I pubblici ministeri milanesi accusano il presidente del Consiglio italiano di aver pagato Ruby per prestazioni sessuali durante uno dei festini incriminati e di aver successivamente abusato del suo ufficio per ottenere il rilascio della ragazza fermata dalla polizia perché sospettata di furto.
In Italia, la concussione è punita con la reclusione fino a dodici anni, mentre per atti sessuali con minori la pena massima è di tre anni di carcere.
Svizzera in ritardo rispetto ad altri Paesi
Al contrario dell'Italia, sinora in Svizzera (dove si diventa maggiorenni a 18 anni) è consentito sia prostituirsi a partire dai 16 anni, sia fruire delle prestazioni di prostitute che hanno compiuto i 16 anni. Unica eccezione, il cantone di Ginevra.
Secondo Martha Wigger, assistente sociale e direttrice di XENIA, un consultorio per le donne che lavorano nell'industria del sesso, se la Svizzera adotta una linea più permissiva rispetto ad altri Paesi è probabilmente perché "nel nostro Paese il lavoro sessuale è legale sin dal 1942, mentre ad esempio in Germania lo è solo dal 2001. Da ciò si può dedurre che, in questo settore, anche i controlli siano meno severi".
Una misera scusa
Mentre il cantone di Ginevra (e prossimamente anche la città di Zurigo) proibisce la prostituzione minorile attraverso l'obbligo di chiedere un'autorizzazione per l'esercizio di questa attività, altri comuni e cantoni giustificano la propria latitanza argomentando che spetta alla Confederazione legiferare in materia e che quest'ultima si starebbe già attivando per portare a 18 anni l'età limite di protezione.
Per la direttrice di XENIA quella della competenza della Confederazione è una misera scusa. Ovviamente, sarebbe importante chiarire la situazione a livello nazionale. "Tuttavia, dovremmo ormai esserci abituati che, molto spesso, temi simili devono dapprima essere regolamentati a livello cantonale".
Sanzionare non è la soluzione giusta
Conformemente a una convenzione del Consiglio d'Europa, che il governo svizzero ha sottoscritto nel 2010, la Confederazione è tenuta a punire la fruizione a pagamento di prestazioni sessuali di minorenni e, di conseguenza, a obbligare i clienti a rispondere delle proprie azioni.
Secondo Martha Wigger, quella descritta non è chiaramente la soluzione giusta. "Non tanto perché riteniamo che il cliente non debba assumersi le sue responsabilità, ma piuttosto perché siamo convinti che non sia con le sanzioni che il problema può essere risolto".
Dobbiamo essere pratici e realisti. "Nei postriboli c'è poca luce ed è impensabile esigere che i clienti chiedano alla prostituta di turno di esibire un documento di identità". Tanto più che potrebbe benissimo trattarsi di quello di una collega.
"Naturalmente siamo del parere che le giovani prostitute, indipendentemente dal fatto che abbiano raggiunto la maggiore età, debbano essere protette. Ma a tale scopo è necessario un lavoro di prevenzione svolto direttamente da organizzazioni non governative".
Le minorenni attive nell'industria del sesso sono poche
Secondo Martha Wigger, non è scandaloso che ci sia voluto tanto tempo prima che in Svizzera qualcosa si muovesse nel settore della prostituzione giovanile. "In base alla nostra esperienza, le minorenni che lavorano nell'industria del sesso sono rare".
E non si riferisce unicamente alle donne che si rivolgono a XENIA. Il consultorio, infatti, è attivo anche sul campo: le sue operatrici si recano regolarmente nei postriboli e sono costantemente in contatto con le donne che vi lavorano per cui sanno esattamente che le prostitute minorenni sono poche".
Anche il dicastero comunale di polizia di Zurigo e esperti del settore, come l'avvocato Valentin Landmann, condividono questa valutazione. Intervistato dalla Neue Zürcher Zeitung (NZZ) quest'ultimo ha peraltro caldamente sconsigliato ai proprietari di bordelli di reclutare minorenni.
Occorrono una legge attuabile e controlli
Ciò nonostante, sottolinea Martha Wigger, è necessario adottare una serie di misure e cita ad esempio la legge sulla prostituzione in elaborazione nel cantone di Berna, che vuole obbligare i proprietari di locali dove si pratica il sesso a pagamento a vigilare affinché tra le prostitute alle loro dipendenze non vi sia alcuna minorenne. Questa disposizione sarebbe applicata anche ai saloni di massaggi, alle agenzie di escort, ai grandi stabilimenti e alle saune in cui lavorano prostitute.
La direttrice di XENIA spera che tale legge sia anche attuabile e che i controlli previsti vengano effettuati, "perché in caso contrario tutto ciò non avrebbe alcun senso".
Cresce il numero delle tossicodipendenti che si prostituiscono
Durante i suoi 15 anni di attività presso XENIA, Martha Wigger non ha rilevato alcun incremento del numero di minorenni attive nell'industria del sesso. "Per contro, sono aumentate le tossicodipendenti di meno di 18 anni che si prostituiscono per poter acquistare la loro dose".
Infine, Martha Wigger esclude categoricamente la presenza di minorenni provenienti dai Paesi dell'ex blocco sovietico. "Per poter lavorare in Svizzera – spiega – queste ragazze necessitano di un permesso di lavoro o di soggiorno che, se non hanno compiuto i 18 anni, non hanno alcuna possibilità di ottenere". Jean-Michel Berthoud, swissinfo.ch (traduzione e adattamento di Sandra Verzasconi Catalano)
2. Le vicissitudini di un “clown”. Articolo di Personaggi d'Italia, pubblicato venerdì 18 febbraio 2011 in Brasile. [Carta Capital] Riflessioni sul processo mosso contro Berlusconi, con una breve divagazione sul caso Battisti. L’Italia di Berlusconi ha fornito a tutto il pianeta uno spettacolo da circo di proporzioni bibliche grazie all’eccellente performance di Silvio, clown incomparabile. Uno sguardo panoramico sulla Penisola, persino alla luce di un’attualissima analisi, non si riduce tuttavia alla sola figura caricaturale del premier, che si crede un casanova, che narra barzellette triviali, che si rende protagonista di gaffes con ripercussioni urbi et orbi, che è un perfetto interprete del personaggio patologico dell’opportunista innopportuno, dalla personalità puerile e dai comportamenti compulsivi e predatori.
Le caratteristiche forti della democrazia italiana sono state, dall’immediato dopoguerra, la Costituzione solida e longeva, opera di un’Assemblea Costituente ristretta, e la Giustizia indipendente ed efficace, come del resto è stabilito dalla forma di governo.
Questa Giustizia ha condannato il politico più influente degli anni ’80 e dei primi anni ’90, il leader socialista e primo ministro, Bettino Craxi, che alla fine fuggì in Tunisia dove rimase sino alla morte per evitare circa 20 anni di carcere.
È proprio così: in Italia i ricchi e potenti vanno anche in carcere.
È quello che è successo con quelli che furono coinvolti nell’ampia e lunga operazione denominata Mani Pulite. Coinvolse ministri, parlamentari, medi e grandi imprenditori, provocò suicidi e fece implodere la Prima Repubblica e con essa i partiti nati dopo la fine del fascismo, a iniziare dalla Democrazia Cristiana, la prima a restare impantanata nel fango della corruzione.
Adesso questa stessa Giustizia si muove contro Berlusconi e ha fissato al prossimo 6 aprile l’inizio del processo che lo incrimina per concussione e prostituzione di minore. La situazione del premier, che sino ad oggi è riuscito a cavarsela a dispetto delle crescenti vicissitudini politiche, della crisi economica e di tre pendenze giudiziarie ancora in corso, forse questa volta si è compromessa irreparabilmente.
Tempo fa, d’altra parte, si era fatta strada la tesi secondo cui Berlusconi potrebbe, da un certo punto di vista, seguire le orme di Al Capone, il quale finì per essere condannato come evasore, invece che come capo del crimine organizzato.
La Giustizia italiana compie con precisione e competenza il compito che le è stato assegnato all’interno dello Stato Democratico di Diritto. È ciò che ha detto la scorsa settimana un grande scrittore, Umberto Eco, al programma Annozero della Rai, per mostrare la contraddizione di Berlusconi: approva la situazione di Cesare Battisti ma non vuole essere processato, ha detto Eco.
L’autore de Il nome della rosa e di altri libri di successo mondiale ha affermato che negare l’estradizione di Battisti “offende l’Italia e gli Italiani”. E la ragione è semplice e comprensibile: a giudicare dal “no” di Lula, sembra che il Brasile creda ciecamente a un detenuto nel carcere di Papuda, come ad una scrittrice di gialli (che non è Agatha Christie), con le certezze di chi ignora la storia italiana e pretende di stracciare un trattato firmato nel 1998, legge totalmente in vigore in quanto approvata da entrambi i Parlamenti.
Altrimenti detto: il Brasile non crede nella Giustizia italiana e internazionale, nel Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ex comunista doc, e neanche nella sinistra della Penisola, da sempre allineata con il PT [Partido dos Trabalhadores, il partito brasiliano dell’ex presidente Lula, N.D.T.].
Non avrei voluto tornare sul caso Battisti, ma lo scontro in corso tra Berlusconi e la magistratura, che egli accusa di essere “comunista”, mi porta automaticamente ad alcune considerazioni.
Pur nella certezza di tornare a essere messo al muro dalle offese grossolane di chi frequenta internet col fine di esibire non solo la propria codardia, ma anche, e soprattutto, la sua ignoranza. Sembra che Walter Fanganiello abbia già fatto un callo capace di resistere strenuamente alle perfidie che quotidianamente gli vengono vomitate contro.
Mi spaventa soprattutto quel genere di internauti e di molti altri cittadini pronti a confondere un ladruncolo di periferia, ideologizzato in carcere, terrorista e pluriassassino, con i coraggiosi guerriglieri disposti a morire in nome della libertà.
Sono spaventato perché non si concedono mai neanche un frammento di dubbio. Bene, vale la pena segnalare che il dubbio è segno di intelligenza). Ometto i paragoni tra Umberto Eco e Fred Vargas.
[Articolo originale "As vicissitudes de um “clown”" di Mino Carta]
3. Bozen. Alto Adige: nuova tabelle sugli ossari di guerra, "falsificazione del passato". L'obiettivo, sancito dall'accordo tra Durnwalder e il ministro Bondi, è quello di "depotenziare" il significato dei cimiteri della Prima Guerra Mondiale, dei quali si era ideologicamente impossessato il fascismo. BOLZANO. ''In un'opera di strumentale falsificazione del passato, il regime presentava i fanti caduti sui campi di battaglia quasi come precursori degli 'ideali' fascisti. Nelle nuove province passate al Regno d'Italia proprio a seguito della guerra, gli ossari avrebbero dovuto svolgere anche il ruolo di mute e imponenti sentinelle poste ai 'sacri confini della patria' ''. E' uno dei passaggi del testo che sara' apposto agli ossari che si trovano in Alto Adige. La giunta provinciale di Bolzano ha compiuto passi in avanti per il 'depotenziamento' degli ossari presenti sul territorio, previsto dal recente accordo con il ministro dei beni culturali Sandro Bondi. Come ha spiegato il governatore Luis Durnwalder, saranno applicate delle tavole esplicative ''il cui contenuto dovrà essere - ha sottolineato il presidente - il più possibile obiettivo, al fine di evitare ogni possibile provocazione''.
Prima di una decisione definitiva - ha assicurato Durnwalder - sarà nuovamente interpellato il commissariato del governo, con il quale già vi sono stati contatti. Il testo sarà predisposto sulla base di un parere dell'archivio storico e Durnwalder ha già anticipato che sulla dizione si sono già espressi in maniera negativa gli Schuetzen.
''Gli obiettivi del fascismo - si legge ancora in un altro passaggio del testo - erano di monopolizzare la memoria e la celebrazione della Grande guerra, di affermare la piena continuità tra esperienza bellica e fascismo e di promuovere una 'pedagogia della guerra' attraverso l'esaltazione dei soldati caduti per la patria''.
4. Merano. Bacher: «Relitti fascisti a Fortezza». Il comandante provinciale pensa ad un grande museo della storia locale. MERANO. «Spostiamo in un grande museo della storia locale nel forte di Fortezza tutti i relitti fascisti asportabili e storicizziamo tutto il resto»: questa la proposta lanciata ieri, al termine delle annuali celebrazioni hoferiane, dal comandante provinciale degli Schützen Paul Bacher. La tradizionale cerimonia in onore dell'eroe tirolese Andreas Hofer ieri a Merano non ha conosciuto i fasti e soprattutto la partecipazione degli ultimi anni: solo una dozzina le compagnie dei tiratori piumati che hanno sfilato da Corso Libertà e monumento in piazza della Stazione e scarso anche il pubblico oltre che le autorità presenti. Anche il presidente della giunta provinciale Luis Durnwalder era assente, per altro giustificato considerato che presenziava alle contemporanee cerimonie per la consegna delle onorificenze tirolesi ad Innsbruck. Dunque sfilata pacata, come pacato è stato l'intervento, alla fine della celebrazione della messa e degli onori in armi all'eroe tirolese, da parte del Landeskommandant Paul Bacher che ha "fotografato" la situazione sociale e politica dell'Alto Adige Südtirol e soprattutto le sue prospettive in termini costruttivi, improntati "ad un rinnovato patto di convivenza". E Bacher non ha ovviamente mancato di affrontare anche un tema "caldo" come quello legato al futuro dei cosiddetti "relitti fascisti". Bacher quale sarebbe la sua proposta? «L'unica via percorribile che mi sembra possa andare incontro sia alle nostre richieste di sempre ed anche a quelle del gruppo linguistico italiano, che nella stragrande maggioranza certo non si riconosce nell'ideologia del Ventennio è quella di spostare in un grande museo della storia locale da realizzare nel forte di Fortezza». Bassorilievo di Mussolini in primis. «In particolare mi riferisco al bassorilievo di Mussolini a cavallo che si trova ancora in piazza Tribunale a Bolzano. Coprirlo infatti non servirebbe a nulla. La storia va spiegata soprattutto ai nostri giovani che devono sapere ciò che nei decenni è accaduto in questa terra». Duqnue una vero e proprio museo della storia locale.
«Precisamente. Dovrebbe essere un luogo nel quale concentrare ad esempio pure la mostra sulla Grande guerra che da tre anni è allestita a Salisburgo, ma anche quella sulla toponomastica, tutto il materiale sulla storia del corpo degli Schützen, quello sulla presenza nazista nel Südtirol. Insomma un luogo nel quale ad esempio i giovani e le scuole abbiano la possibilità di avere un quadro completo della nostra storia per poter rafforzare la necessaria convivenza fra la nostra minoranza austriaca in terra italiana, quella ladina e il gruppo linguistico italiano». Bacher lei condivide la posizione del presidente Durnwalder sulle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. «Non potrebbe essere diversamente. Con grande senso della storia dobbiamo semplicemente ribadire quello che Durnwalder ha avuto il coraggio di dire ancora una volta ad alta voce: siamo una minoranza austriaca. Il che non significa riaprire ferite storiche, semplicemente averne conoscenza e coscienza». Su questo è intervenuto anche il presidente Napolitano. «Il presidente Napolitano è esponente politico e istituzionale che conosce perfettamente la nostra storia e credo si sia reso conto, con l'equilibrio che lo contraddistingue, anche delle ragioni che stanno alla base delle nostre posizioni. Al di là di ogni strumentalizzazione».
5. Bozen. Unità d'Italia: niente ponte in Alto Adige il 18 marzo. Durnwalder: "Con Napolitano caso chiuso". Durnwalder non festeggerà il 17 marzo e gli studenti altoatesini non potranno prendersi qualche giorno di vacanza: il giorno dopo la ricorrenza infatti dovranno rientrare a scuola, anche se il 18 cade di venerdì. BOLZANO. Gli studenti altoatesini non potranno aggiungere un giorno libero dopo la festività dell'unità d'Italia del 17 marzo.
Lo ha deciso la giunta provinciale. Come ha spiegato il governatore Luis Durnwalder, dunque, gli studenti della Provincia autonoma staranno a casa giovedì 17 marzo ma il giorno dopo, di venerdì, dovranno tornare regolarmente sui banchi di scuola.
La comunicazione arriva dopo le polemiche sollevate dalla decisione del governatore di non partecipare alle celebrazioni per l'Unità d'Italia, che ha portato a uno scambio epistolare con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Si tratta comunque di una scelta che avrà ripercussioni sull'economia altoatesina e in particolare sul settore turistico.
A proposito delle polemiche recenti, Durnwalder ha voluto puntualizzare che ''con il Quirinale il problema delle celebrazioni per l'unità d'Italia è ormai chiuso'', spiegando che dopo il richiamo del Capo dello Stato v'è stato un carteggio tra Bolzano e Roma che dovrebbe avere concluso in maniera soddisfacente la questione.
''Napolitano - ha specificato Durnwalder - mi ha risposto con una lettera dal tono molto obiettivo, serio e cordiale''. Queste parole Durnwalder le ha dette a margine di un incontro con i giornalisti, uno dei quali gli aveva anche chiesto se gli altoatesini al giorno d'oggi si trovino bene in Italia: ''La grande maggioranza degli altoatesini - ha risposto il governatore - si trova bene in Alto Adige con questa autonomia''.
''Abbiamo scelto noi - ha sottolineato - di seguire la via dell'autonomia, che si basa su un trattato internazionale depositato di fronte all'Onu''. ''Questo trattato - ha concluso - fissa la via maestra dell'autonomia e noi andiamo avanti su questa strada''.
6. Bozen. La tolleranza autonomista. Editoriali. di Francesco Palermo. Qualsiasi forma di tutela delle minoranze presenta un paradosso insanabile. O scompone e suddivide l’ambito territoriale, per cui chi in un contesto è minoranza è maggioranza in un altro, ed impone agli altri il suo potere, o abbandona qualsiasi logica maggioritaria mettendo i gruppi sullo stesso piano, derogando.
Derogando, s’intende, al principio democratico. In altre parole: o si sostituisce una maggioranza ad un’altra, invertendo semplicemente l’ordine dei fattori di dominazione, o si comprime il principio base delle democrazie occidentali per cui la volontà della maggioranza deve prevalere, nel rispetto di alcuni principi inderogabili. Il sistema disegnato dallo Statuto di autonomia rappresenta un compromesso tra questi due estremi.
In alcuni casi equipara i gruppi indipendentemente dalla consistenza numerica, come nel caso delle commissioni paritetiche, della composizione del Tribunale amministrativo, o della rotazione alla Presidenza del Consiglio provinciale. In altri attenua il fattore numerico a vantaggio del gruppo meno consistente, come quando prevede la composizione della Giunta provinciale in proporzione alla consistenza dei gruppi linguistici in Consiglio, o l’obbligo di rappresentanza nelle giunte comunali dei gruppi linguistici che abbiano almeno due consiglieri. Nella gestione dell’ ordinario, tuttavia, e pur con una serie di importanti paletti, le decisioni si prendono a maggioranza. Questo significa che il rischio di “prevaricazioni” da parte delle maggioranze (di quella nazionale per le materie di competenza statale, di quella provinciale in ambito provinciale, di quelle comunali a livello comunale - si pensi al referendum su Piazza Vittoria) è un elemento presente nel sistema, non necessariamente una sua violazione. Il rispetto per le posizioni minoritarie e il loro potenziale diritto non è sempre imposto dallo statuto.
Va costruito. Non è sempre obbligatorio, spesso è solo opportuno. Esistono importanti limitazioni contro il rischio di abusi: chi si sente discriminato, a livello individuale o di gruppo, può impugnare le decisioni, alcune materie sensibili sono sottratte al principio maggioritario, esistono diritti di veto, lo statuto stesso non è modificabile unilateralmente, ci sono garanzie internazionali. Questi strumenti giuridici sono però dei freni di emergenza. E come tali sono essenziali per creare sicurezza, ma la loro efficacia è inversamente proporzionale all’uso che se ne fa. Chi viaggia in treno è tranquillizzato dalla presenza della maniglia di emergenza, dell’estintore e del martello per rompere il vetro, ma se questi vengono usati in continuazione il convoglio non viaggia più. Il sistema di autogoverno e convivenza creato dallo statuto pone tutte le condizioni per il buon funzionamento del treno dell’autonomia, ma non può disciplinare i comportamenti di tutti i passeggeri, né del personale di bordo. Secondo il noto principio psicologico, un luogo pulito, ben tenuto e funzionante viene normalmente rispettato e lasciato in buone condizioni da chi lo frequenta, mentre uno sporco, rovinato e poco accogliente tenderà a indurre comportamenti meno rispettosi (si pensi, ancora una volta ai treni, e stavolta non metaforicamente). Lo statuto ha creato un treno pulito, e la gran parte dei passeggeri e del personale di bordo lo rispetta. Ma se ci salgono degli hooligan c’è poco da fare. Indicativo è ad esempio il caso della lettera inviata da un asilo in lingua tedesca ai genitori di bambini italofoni per sconsigliare l’iscrizione dei piccoli alla scuola elementare tedesca, causa insufficienti conoscenze linguistiche. Nel merito non c’è nulla di male. La scuola deve pensare al bene del bambino e dare consigli ai genitori. E non può esserci dubbio che la lettera sia frutto di un problema reale. In termini di tolleranza il problema è semmai il linguaggio utilizzato. Sarebbe cambiato il messaggio se invece di sconsigliare l’iscrizione alla scuola elementare tedesca si fosse consigliato un serio potenziamento linguistico dei bambini prima di una eventuale loro iscrizione alla scuola primaria in lingua tedesca? Nella sostanza no. Ma sotto il profilo della tolleranza e del rispetto delle sensibilità di ciascuno - compreso il complesso di calimero della comunità italiana, giustificato o meno che sia - avrebbe fatto la differenza. Parimenti, Roma (ben più degli italiani dell’Alto Adige, che questo percorso l’hanno largamente compiuto) non dovrebbe trascurare le sensibilità della minoranza sudtirolese. Per la quale guardare all’Italia non può essere ritenuto naturale, ed occorre “qualcosa di più” perché questa minoranza possa sentirsi compiutamente (anche) italiana, come auspicato dal Presidente Napolitano. E questo “di più” sono la tolleranza e la comprensione per le esigenze particolari. I presunti “privilegi” dell’autonomia sono il prezzo della tolleranza necessaria verso le minoranze.
7. Aosta. Ad una settimana circa dall'entrata in vigore della "rottura mista" i pendolari tornano a riunirsi. Aosta - Mercoledì 23 febbraio presso la sala del Ccs Cral Cogne di Aosta in via Battaglione 18 si terrà la terza Assemblea dei Pendolari stanchi della Valle d'Aosta. Ad una settimana circa dall'avvio della rottura di carico mista - Ivrea e Chivasso - e dei nuovi orari, l'Assemblea dei pendolari stanchi torna a riunirsi. Mercoledì 23 febbraio presso la sala del Ccs Cral Cogne di Aosta in via Battaglione 18 si terrà la terza Assemblea.
Durante la serata si farà il punto della raccolta delle firme per l'elettrificazione della linea ferroviaria, si parlerà delle conseguenze della decisione di Trenitalia di effettuare, dalla prima domenica di marzo la cosiddetta "rottura di carico mista" che probabilmente porterà agli utenti valdostani numerosi disagi e scomodità.
"Cercheremo insieme - si legge in una nota - di immaginare i prossimi appuntamenti del comitato per continuare a dire una cosa banale ma, fino ad ora inascoltata: vogliamo una ferrovia normale!" di Redazione Aostasera 21/02/2011
8. A Radio Padania la mobilitazione non finisce mai e tutti (o quasi) possono dire quello che vogliono. di Dario Aquaro. «Non sottovalutiamo la potenza di questa radio, che in molti spesso vorrebbero denigrare». Il conduttore abbandona il consueto sforzo di ascolto e mediazione degli interventi della "pancia" leghista, e si lascia andare. Il "caso Annunziata" e tutto quel che n'è seguito sono in testa ai commenti che piovono in diretta. «Nulla da dire sulla professionalità dell'Annunziata, ma se quella roba finiva ad Annozero, che cosa sarebbe successo? Quella trasmissione era pericolosa perché sarebbe bastato estrapolare qualcosa per farci dire quello che vogliono».
Milano, via Bellerio. "Radio Padania Libera ascolta la gente e parla con la gente", recita il claim. Ogni giorno quattordici ore di diretta, dalle sei del mattino alle otto di sera, un flusso incredibile di telefonate, circa 400, e trasmissioni che hanno nomi come Onda libera, Che aria tira, Padani nel mondo. Perché sul contatto con la platea si fonda la filosofia (e l'economia) di questa radio, fin dalla sua nascita nell'ottobre del 1990, quando la Lega Lombarda acquistò le frequenze di Radio Varese e copriva solo due province: Varese, appunto, e Como. Oggi secondo Audiradio, la fidelizzazione, cioè il rimanere sintonizzati almeno due ore di fila, è seconda solo a RadioUno. Radio Padania ha 100 mila ascoltatori in dieci province, altrettanti stimati nelle altre 35 dove arriva. L'indirizzo dell'emittente è lo stesso della segreteria federale, a Milano, e Radio Padania – guardando al contesto nazionale - è una delle due radio comunitarie, quelle che secondo la legge Mammì non hanno scopo di lucro (la pubblicità non può superare il 5% orario) e sono gestite da "fondazioni, associazioni riconosciute e non riconosciute, che siano espressione di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose, nonché società cooperative… che abbiano per oggetto sociale la realizzazione di un servizio di radiodiffusione sonora a carattere culturale, etnico, politico e religioso". L'altra, con una diffusione ben più capillare, è Radio Maria.
Il 17 dicembre scorso Radio Padania è riuscita ad arrivare nel Salento attraversato da velleità secessioniste. Trasmetteva da Alessano (Lecce), ma il segnale disturbava quello dell'emittente salentina Radio Nice dell'editore Paolo Pagliaro, sullo stesso canale. A gennaio è così arrivato lo stop del ministero dello Sviluppo economico: autorizzazione negata. Ma come ha denunciato lo stesso Pagliaro: «Radio Padania gode del triplice privilegio di acquisire le frequenze in deroga, di avere un contributo annuale da parte del governo, di diventare proprietaria della frequenza trascorsi novanta giorni. Dopo questi novanta giorni, può permutare le proprie frequenze ottenute in deroga con altre frequenze di radio commerciali. Occorre modificare questo privilegio concesso dalla finanziaria Bossi-Berlusconi del 2001».
"Va' pensiero", Van des Sfroos, telefonate in diretta. "Buona Padania", "Padania Libera", saluta chi interviene. A qualcuno di loro non è andata proprio giù la scelta di negare la co-diretta alla trasmissione "In mezz'ora" di Rai Tre: «Ci lamentiamo sempre che non andiamo alla televisione nazionale. La volta che potevamo far vedere ai comunisti come funzionava, perdiamo l'occasione». Tocca però al conduttore, chiarire la linea: «Salvini (eurodeputato e direttore di Radio Padania, ndr) avrebbe saputo certo calmierare, ma cosa avrebbero mostrato Annozero, Ballarò o i siti di sinistra che estrapolano dei pezzi che fanno loro comodo? Qualcuno vuole creare confusione, e minare le nostre alleanze. Se l'Annunziata vuole venire, lo potrà fare dopo il federalismo. Non è il momento di fare queste cose». Già. «Adesso abbiamo il decreto sul federalismo municipale, bocciato dalla bicamerale».
La situazione sembra di dovuta cautela, segnata però da qualche tensione. Come tre settimane fa, quando in attesa di quel voto sul federalismo municipale via Bellerio aveva «consigliato» a tutte le sezioni sul territorio il silenzio totale. Allestendo a Varese un piccolo coprifuoco padano, nel timore di una possibile trasferta della troupe di Annozero. Bocche cucite, e pazienza. Oggi lo capisce anche la base. «Comunisti e finti leghisti avrebbero telefonato per insultare la Annunziata», «i compagni si erano già iscritti nei forum per parlare», «immaginate se, per come siamo noi bergamaschi, avessimo detto qualche parola di troppo».
Sulle frequenze di Radio Padania la mobilitazione non finisce mai. C'è sempre qualcosa per o contro cui battersi. Ora è il turno della festa dell'unità d'Italia. Saliti al volo sul cavallo della discussione aperta da Confindustria, che proponeva di festeggiare il 17 marzo lavorando, producendo reddito e raccogliendosi attorno alla bandiera nazionale negli uffici e nelle fabbriche, i leghisti cercheranno di aggirare la festività. Brinderanno invece con gli irlandesi a San Patrizio e, il giorno dopo, al ricordo della prima delle Cinque giornate di Milano.
Ha ragione Igor Iezzi, segretario provinciale milanese e conduttore radiofonico, quando dice: «La nostra radio è bella proprio perché chiama chiunque. Siamo l'unica emittente che manda in onda tutto, nemmeno le tv lo fanno, di solito si lascia il numero e si richiama. Per quello i forum sono moderati. Tutti tranne il nostro, dove chiunque può dire quello che vuole». Forse troppo, avranno pensato i vertici del Carroccio. 21 febbraio 2011
9. Preganziol. Treviso. Saviano in tv ringrazia la bibliotecaria di Preganziol. Lo scrittore anti-camorra: «E' stata brava, ha denunciato le pressioni della giunta». PREGANZIOL. «Grazie alla bibliotecaria che ha denunciato la pressione fatta dall'amministrazione per togliere il mio libro dagli scaffali». Un ringraziamento d'eccellenza quello che lo scrittore Roberto Saviano, in un videomessaggio, ha rivolto a Lucia Tundo, la dipendente che un mese fa ha innescato il caso Gomorra. Nel videomessaggio su Repubblica Tv, rilanciato ieri dal Tg3, Saviano ringrazia non solo la bibliotecaria, ma anche i «cittadini che hanno riportato in biblioteca i miei libri». E' la prima volta che lo scrittore anti camorra interviene sul caso Preganziol, che tanto clamore ha suscitato non solo a livello locale, ma anche nazionale. Ad un mese esatto dalla denuncia di «sparizione» dei volumi dagli scaffali, si torna a parlare della «censura» a Preganziol. Erano state proprio le telecamere del Tg3 a svelare l'indisponibilità al prestito dei libri dell'autore napoletano. Secondo Lucia Tundo, la bibliotecaria che compare nel servizio del Tg3, la decisione di togliere «Gomorra» ed altri due volumi di Saviano sarebbe scaturita da «ordini superiori», dopo la partecipazione del napoletano a «Vieni via con me».
Durante la trasmissione dei record condotta da Fabio Fazio, Saviano aveva denunciato i rapporti Lega-'ndrangheta al Nord. Sulla scia delle polemiche, un rappresentante dell'amministrazione di Preganziol - c'è chi dice il sindaco Sergio Marton, chi l'assessore alla Cultura Roberto Zameberlan, ma entrambi smentiscono - avrebbe ordinato di togliere i testi di Saviano, che pure risultavano a catalogo. La «sparizione» dei volumi e la denuncia della bibliotecaria Tundo avevano fatto scoppiare un caso politico: all'attacco non solo il centrosinistra, ma anche il Pdl, con il coordinatore provinciale del Pdl Maurizio Castro che aveva definito «mostruosa» l'operazione messa in atto. Sindaco ed assessore si erano subito affrettati a precisare che non c'era stata alcuna censura.
«Forse "Gomorra" è stato rubato» aveva detto Marton. Una tesi, questa, che non era bastata a smorzare le polemiche. Duecento i cittadini che, all'indomani della sollevazione del caso, avevano manifestato di fronte alla biblioteca di via Gramsci. Il «popolo degli indignati», che aveva organizzato la manifestazione attraverso passaparola e Facebook, era sceso in strada con striscioni, Costituzione e copie di «Gomorra» per dire «no» alla censura. Al termine della mobilitazione, Umberto Lorenzoni, presidente dell'Anpi provinciale, aveva consegnato in biblioteca il best-seller di Saviano. Un altro cittadino aveva fatto trovare una copia di «Gomorra» attaccata alla porta della biblioteca. A loro, ed indirettamente ai manifestanti, è andato il ringraziamento personale di Saviano.
Nel frattempo l'amministrazione aveva provveduto a riacquistare «Gomorra», mettendolo a disposizione degli utenti così come gli altri due volumi, «miracolosamente» ricomparsi. La responsabile della biblioteca aveva presentato denuncia per furto contro ignoti. Nei giorni scorsi Tundo è stata sentita dai carabinieri come persona informata sui fatti. La posizione della bibliotecaria è al centro di un'inchiesta interna. La donna, da quando è balzata agli onori delle cronache, dice di non dormire più e di vivere nell'angoscia. E si è affidata ad un avvocato. 21 febbraio 2011
10. Arzignano. Vicenza. Fisco: indagini GdF, si dimette vicesindaco Arzignano Lega Nord. VICENZA, 21 FEB. 2011 - Il vicesindaco di Arzignano, Massimo Signorin, si è dimesso dalla carica e contemporaneamente ha inviato una lettera di autosospensione dal partito di cui è iscritto, la Lega Nord. La decisione arriva dopo l'operazione della Guardia di Finanza di Vicenza e Arzignano, nell'ambito della quale Signorin, titolare sino al 2008 di una azienda conciaria che poi ha cessato l'attività, risulta indagato per evasione fiscale totale e distruzione di documenti contabili. (Ansa).
11. Milano. Non solo Trivulzio, ecco la lista dei 1.971 affitti della Fondazione Policlinico di Milano. di Sara Monaci. Non solo il Pio Albergo Trivulzio, l'ente di assistenza per gli anziani con un vasto patrimonio immobiliare al centro di uno scandalo per l'assegnazione degli immobili a prezzi e condizioni di favore. A sollevare dubbi e curiosità c'è ora anche la Fondazione Policlinico di Milano. La Fondazione ha appena messo a disposizione dei consiglieri comunali di Milano la lista degli immobili di sua proprietà, corredati di tutti i dati catastali e delle generalità dei locatari. Le abitazioni del Policlinico sono 1971, a cui si aggiungono 143 poderi. La stragrande maggioranza del patrimonio si trova a Milano (1638 cespiti): la restante parte del portafoglio è sparso tra le province di Milano, Lodi e Varese.
Nell'elenco compaiono numerosi alloggi sfitti o occupati abusivamente. La questione del Policlinico è comunque diversa da quella del Pat. Prima di tutto il Policlinico ha mostrato da subito la volontà di voler rendere pubbliche le liste; secondariamente esiste un metodo oggettivo per la selezione degli assegnatari, e cioè l'asta.
Barbara Ciabò: dopo il Trivulzio, controlli a tappeto su Aler, Policlinico e altri enti pubblici.
Elenco immobili:
La relazione di accompagnamento:
12. Potenza. Vergogna allagamenti. 21/02/2011. di DOMENICO LOGOZZO. Lo “sfasciume idrogeologico“, ritorna a creare disagi e danni. Allarme e proteste. Basta un po’ di pioggia e la Basilicata “affoga”. Sì ,è proprio una vergogna, come ha titolato domenica “Il Quotidiano”, chiamando in causa gli amministratori lucani,ma anche quelli della Puglia e della Calabria.Più che opportuna la citazione di quest’ultima regione ,tenendo conto che la Basilicata e la Calabria , già nel 1908 sono state beneficiarie di “una apposita legge per sopperire ai danni delle frane”.Oltre 100 anni fa la “questione ambiente ” era già una grande emergenza calabro-lucana! Come oggi.Ed è vergognoso. Non ci sono giustificazioni .Non ci sono attenuanti .E’solo incapacità di affrontare e risolvere il problema della difesa del territorio. Punto e basta. Bisogna evitare ulteriori disastri. Le proteste dei cittadini non possono rimanere inascoltate.Troppi lutti e troppi danni ha subito la Basilicata per colpa dell’uomo che non ha saputo e voluto difendere il territorio.Oggi i contadini parlano giustamente di " situazione ormai insostenibile”,mentre Piergiorgio Quarto,presidente della Coldiretti della Basilicata chiama in causa “ gli amministratori che non possono e non devono piu' rimandare la soluzione del problema,visti i danni alle colture che causano le frequenti inondazioni :negli ultimi giorni in varie parti della regione il Basento, l'Agri e l'Ofanto sono usciti dagli argini”.
Una protesta che si ripete .Da anni.Da troppi anni.E troppe sono state e continuano ad essere le inadempienze. Lo dicono i fatti. Dall’archivio dei grandi giornali italiani arrivano le conferme degli allarmi inascoltati. Mario Dilio,sulla “Stampa del 26 gennaio 1972 scriveva:”Questa mattina, nel corso di una riunione svoltasi a Grassano, gli agricoltori protestavano gridando che fin dall'estate scorsa erano stati fatti interventi presso le autorità per accelerare le opere di sistemazione idraulica ed evitare i pericoli delle ricorrenti alluvioni. « Nessuno vi ha provveduto — dicevano i contadini — e oggi ancora una volta siamo noi a perdere il bestiame, le case coloniche, il lavoro ». Lungo, le pendici delle colline, intorno al vecchio abitato di Grassano vi sono ancora oggi le canalizzazioni realizzate due secoli fa per agevolare il defluire delle acque: da allora non è accaduto più niente .Riportato anche un illuminante commento di Vittore Fiore: «Ancora una volta eventi come questi — che per i lucani sono ordinari e per il resto dell'Italia straordinari — rimettono in risalto una verità: che nessuna politica di sviluppo agricolo oppure agricolo-industriale è possibile nelle valli lucane, se non si interviene in modo coordinato sul territorio, arginando i fiumi sul piano idraulico, regimando le acque, promuovendo le trasformazioni agrarie . Non si possono, cioè, "spingere" le ricche produzioni ortofrutticole se nello stesso tempo non sono stati risolti i problemi della sistemazione della montagna e dei versanti delle colline. Senza una visione organica dei problemi, gli equilibri si rompono e si torna indietro, si distrugge quello che si è realizzato. Queste cose le hanno dette Manlio Rossi Doria e il "gruppo di Basilicata". Sono i problemi che si trovano oggi dinanzi alla Regione”.
Vittore Fiore citava Manlio Rossi Doria che auspicava la nascita di una «partecipazione popolare, perché innesta un processo reale di decentramento che suscita l'interesse delle popolazioni a guardare i loro problemi e a risolverli” e pensava alla “realizzazione di piani zonali come strumento globale di riassetto del territorio, consentendo la ristrutturazione delle zone agricole e indirizzando un nuovo corso della politica nazionale .Sosteneva che “l'economia meridionale deve diventare dovunque agricolo-industriale, dove cioè una riordinata agricoltura si combini in alta proporzione con le attività extra agricole”. Ma Manlio Rossi Doria era soprattutto molto critico nei confronti di chi impediva la rinascita del Mezzogiorno .Duro .Sferzante . A Mimmo Candito,inviato della Stampa che lo aveva intervistato durante un convegno a Reggio Calabria nel giugno del 1973,aveva denunciato una realtà che purtroppo ha subito nel corso degli anni una pericolosissima degenerazione. Ancora non era scoppiata tangentopoli,ma Manlio Rossi Doria con coraggio aveva detto amare e vere realtà.Invano.L’arroganza dei potenti senza limiti.L’onestà degli umili calpestata .Umiliata .Buttata nel cestino. Come le denunce, inascoltate.Quasi venti anni prima di “mani pulite”,c’era un uomo con le “idee pulite” che cercava di svegliare le coscienze:”C'è una corruzione e un'incapacità senza riparo; per risolvere il problema del Sud, occorre anzitutto un ricambio di questa classe politica e imprenditoriale, un'opera di pulizia generale. Troppe le compromissioni. Sarebbe necessario che tutti gli emigrati meridionali tornassero a casa e prendessero a calci chi ha accettato, o subito, questa situazione. Poi veramente, si potrà fare la rinascita del Mezzogiorno”.
Quanta attualità in queste parole che sono state pronunciate quasi 40 anni fa.E’ perciò assurdo che tutto ciò continui ad accadere,che il Mezzogiorno non riesca a venire fuori dalla situazione di sottosviluppo e che in Basilicata si continui a vivere nella paura di nuove disastrose frane ed alluvioni,perché non viene curato come sarebbe stato logico e giusto un territorio troppo esposto ai rischi idrogeologici. Che provocano stragi. E’ doveroso ricordare ed onorare le troppe vittime che la Basilicata ha pianto .Come? Innanzitutto creando le condizioni di sicurezza che per incuria ,insensibilità e sottovalutazione non sono state garantite da chi aveva istituzionalmente il dovere di farlo .Ieri come oggi .Non dimenticare. La memoria è un valore ,un monito per evitare di compiere ulteriori errori. Il 9 marzo di 60 anni fa la Basilicata si svegliava con una terribile notizia di dolore e di morte:”Verso le sei di stamane – scriveva La Stampa - a causa dei torrenziali rovesci d'acqua, è franato un tratto della collina su cui è situata la cittadina di Muro Lucano ed ha provocato il crollo di una casa d'abitazione al n. 36 di via Conserva, seppellendo una intera famiglia i cui componenti erano ancora a letto. Nel disastro trovavano la morte il 38.enne Gerardo Cardino di Pasquale e le sue sei figliuole. La moglie del Cardino, Antonia Cella di anni 36, estratta dalle macerie ferita gravemente, veniva subito trasportata all'ospedale di Potenza ove rimaneva ricoverata con prognosi riservata”.
E’ senza dubbio una delle pagine più amare della triste e lunga storia dello “sfasciume idrogeologico” della Basilicata.Da non seppellire sotto il fango del tempo.Perché sarebbe un’altra “vergogna”! Da Muro Lucano può e deve partire,nel ricordo delle 7 vittime di 60 anni fa, l’ iniziativa popolare forte e decisa,auspicata da Manlio Rossi Doria, per dare finalmente alla gente della Basilicata condizioni di sicurezza finora colpevolmente negate .
13. Palermo. Giù le mani dalla Trinacria”: gli indipendentisti domani in piazza. di Antonella Folgheretti. 21 febbraio 2011 - Al grido di “Giù le mani dalla Trinacria” protesteranno domani a partire dalle 15,30 sotto Palazzo d’Orleans. Sono gli aderenti al Comitato giovani indipendentista del Fronte nazionale siciliano-Sicilia indipendente. La loro parola d’ordine, “Indignamoci!”. L’indignazione è rivolta alla raccolta di firme patrocinata dal vice-presidente del Consiglio comunale di Palermo, l’autonomista Sandro Oliveri, per chiedere l’esclusione della Trinacria dai simboli regionali attraverso una legge di iniziativa popolare. Gli indipendentisti si scontreranno probabilmente con gli autonomisti davanti al Palazzo della Presidenza della Regione. L’Mpa Oliveri e i suoi sostenitori, infatti, hanno organizzato una analoga iniziativa per domani alle 16 al fine di chiedere al presidente Lombardo di essere tra i sostenitori della loro iniziativa. Per Giuseppe Scianò, del Fronte Nazionale Siciliano, quella di Oliveri è “una mancanza di rispetto nei confronti della Sicilia e dei siciliani. Ed è anche un tipico esempio di come spesso e volentieri alcune persone ed alcuni gruppi politici – apparentemente sicilianisti, sedicenti talvolta anche indipendentisti e separatisti, federalisti o confederalisti – trasformino l’ideale autonomistico in un ‘cavallo di Troia’ a danno del ‘vero sicilianismo’”.
14. La festa la vogliono fare all'Italia. di LINO PATRUNO. Mettiamo che il rifiuto di far festa per i 150 anni dell’Unità d’Italia fosse partito dal Sud. Apriti cielo: neoborbonici, nostalgici, patetici. Invece è partito dal Nord. E tutti a discuterne come se fosse una cosa seria. E’ vero che mai come per questo compleanno l’Italia unita è stata così disunita. Ed è vero che la lagnanza maggiore dovrebbe venire dal Sud che nell’Italia unita ha sempre avuto la stanza di servizio, quella della servitù. Ma che a gettare la maschera sia il Nord che ha sempre dato lezioni a questi meridionali palla al piede del Paese, questa è una notizia. Anzi una indegnità. Una unità che ha fatto bene soprattutto al Nord che ora è il primo a non volerla festeggiare. Hanno cominciato i moralisti del , diciamo la Lega, e si sa che lavorano solo loro. Si è accodata la presidente di Confindustria, Marcegaglia: non perdiamo un giorno di produzione, 8 ore in 150 anni. Ha assecondato proprio il presidente del Comitato nazionale per i festeggiamenti, Amato, come se fosse il presidente del Comitato nazionale per i non festeggiamenti. Poi si è messa la ministra dell’Istruzione, Gelmini, a dire scuole aperte, contro i presidi che dicono scuole chiuse. Giuseppe Laterza ha proposto, scuole aperte ma si parli del Risorgimento.
Un giornale del Nord ha scritto, teniamo questa festa e aboliamo il 25 aprile, la Liberazione dal nazifascismo. La Provincia di Bolzano, che prende un botto di soldi dall’Italia, ha detto no riscoprendo di essere sudtirolese. Per il governo, solo il ministro La Russa (ex An) è per la festa. Forza Italia, che si chiama Forza Italia, tace. Dal Pd, solito non pervenuto. Ora, si svolgesse questo teatrino in un Paese refrattario alle feste, non meraviglierebbe. Ma è il Paese più festaiolo d’Europa. E anche il più pontiere, benché quest’anno il calendario dispettoso li abbia eliminati quasi tutti. E francamente una congiura: non si può far coincidere il 25 aprile col lunedì dell’Angelo, già giorno di festa senza che se ne sia mai capito perché. Come non si è mai capito perché sia festa, mettiamo, la Befana. O altre feste cattoliche che ciascuno si può onorare per conto suo, e la Chiesa attrezzarsi con messe pomeridiane e serali.
Arriva ogni 50 anni l’anniversario dell’unità, e proprio allora ci si ricorda che questo è un Paese serio tutto dedito al lavoro e per favore non lo si distragga. Lo vada a raccontare ad altri soprattutto la Lega Nord, la quale in vista del 17 marzo si preoccupa soprattutto di dividerla, l’Italia, col suo federalismo, insomma di farle la festa. Ma perlomeno, bisogna riconoscerlo, c’è una coerenza. Tutto il resto della piccionaia riscopre invece un’etica giusta nel momento sbagliato. O un’assoluta indifferenza a una nazione che non esiste. Cosa deve dire il Sud? Vorrebbe lavorare, ma ogni giorno. E all’invito di mettersi finalmente a lavorare rivolto da quel vecchio signore inglese di Bossi, dovrebbe rispondere: magari. Il 17 marzo come sempre. Quindi Bossi è d’accordo col Sud che si vuol mettere a lavorare. Cioè non vuole una disoccupazione tre volte maggiore di quella del Nord, per non parlare di quella giovanile e di quella femminile. E per non parlare di chi non risulta disoccupato (o inoccupato) perché il lavoro ormai non lo cerca neanche più. Sfaticati, cioè senza fatica. E Sud della protesta che se per il 17 marzo già dice , lo dice perché c’è poco da festeggiare un Paese che non riesce a dare lavoro a tutti, ma che si vorrebbe unito. E soprattutto.
Allora la proposta arriva dal Sud, che meno dovrebbe esserne sensibile per le ragioni suddette. Si festeggi il 17 marzo, così si capiscono le recondite intenzioni di chi lo vuole convertire in giorno della salvezza della patria. E si recuperi la sosta in un altro giorno di festa religiosa, tanto il buon Dio capirà. Soprattutto, il Comitato nazionale che già distribuisce lavoro (e compensi), per il 17 marzo lo distribuisca ai meridionali che non ce l’hanno: i quali potranno così festeggiare lavorando, cioè dando un senso a una festa che meno dovrebbe interessarli, viste le premesse. Ma ovviamente non si farà nulla di tutto ciò, altrimenti non si saprebbe come continuare a litigare. E a dire sfaticato al Sud. In un Paese unito anche le feste dovrebbero essere condivise. Come dovrebbe essere condivisa la verità sul modo in cui il Paese è nato. Come dovrebbe essere condivisa la memoria di chi allora ha combattuto da una parte o dall’altra e ha pari dignità perché quando si combatte e si muore non conta la parte giusta o la parte sbagliata. Fosse stato fatto tutto questo, anche il 17 marzo sarebbe stato una gioia e non un tormento. Invece è la consueta misera guerra. Con una parte del Paese che dall’unità ha avuto tutto ma non è mai sazia. E non vuole festeggiare. Fratelli d’Italia.
15. Milo (Noi Sud): il 17 marzo si ricordino anche i morti del Sud. Napoli, 21 feb (Il Velino/Velino Campania) - “I morti del Sud, i caduti dell’ex Regno delle Due Sicilie andrebbero commemorati come quelli di Marzabotto e delle Foibe istriane, senza nulla togliere all’Unità d’Italia: chiedo al ministro dell’Interno e al presidente del Consiglio di togliere il segreto di Stato sugli oltre 150 mila documenti che raccontano la vera storia della conquista del Mezzogiorno. Solo in questo modo potremo realmente scrivere la verità e iniziare a costruire, anche a livello umano e culturale, la vicenda unitaria del nostro Paese”. Così Antonio Milo, leader campano e deputato di Noi Sud, torna sul voto non unanime con cui il governo Berlusconi ha deciso di dichiarare il 17 marzo, data del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, festa nazionale. Una ricorrenza, quella che celebra la proclamazione del Regno d’Italia decisa dal parlamento di Torino nel 1861, su cui da settimane si è scatenato un infuocato dibattito tra sostenitori e contrari. “Avevamo già una ricorrenza in calendario: quella del 2 giugno, festa della Repubblica - precisa il parlamentare agerolese, rilanciando -. Avremmo potuto pertanto celebrare l’Unità quel giorno evitando, dunque, un ulteriore sperpero di denaro pubblico”. (com/red) 21 feb 2011 14:26
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