martedì 22 febbraio 2011

Federali della Sera. È paradossale: vengono a cercare presunte ragioni dell'unità in territori che nel 1861 erano austro-ungarici e questo perché non trovano ragioni di unità a livello nazionale. Basta, la misura è colma ed è tempo che il Sud, la Calabria, reagisca rispondendo, alle parole prive di significato e pensieri storici appositamente costruiti in ragioni di parte a sostegno e difesa degli interessi economici e politici del Nord, con pensieri insiti nel carattere, nella intelligenza e nel cuore della gente comune del Sud e di noi calabresi, esplicitati attraverso la padronanza del linguaggio e dei sentimenti con al centro il senso di appartenenza, con spirito di donazione e solidarietà, ricca del valore dell’amore, sintesi della carità, testimoniata e vissuta dal nostro san Francesco di Paola. 22 febbraio 2011.

Sezione Forza Oltre padani:
1. Bozen. Bolzano, i vertici della Stella alpina: «Non siamo la stampella del Pdl».
2. Trento. Durni ha ragione. Ora basta attacchi.
3. Trento. Da Provincia e Comuni consulenze per 75 milioni.
4. Belluno. Belluno: i ladini fanno appello alla Regione.
5. Friuli VG. Le consulenze in Friuli Venezia Giulia sono costate 60 milioni.

Sezione penalizzati cronici:
6. Vittorio Veneto. Il Pdl sfida la Lega: museo aperto il 17 marzo.
7. Venezia. Guerra aperta Orsoni-Brunetta.
8. Venezia. Il governatore siciliano: «In Veneto i profughi sbarcati qui».
9. Padova. «Giusto festeggiare l'Unità d'Italia».
10. Reggio Emilia. Crac Burani, la causa resta a Milano.

Sezione e’ l’Italia, bellezza!:
11. Potenza. «Mal di vivere» in Basilicata non solo per la crisi.
12. Reggio Calabria. Il Sud pretenda l’unità del Paese.
13. Milano. Noi italiani lasciati soli dall'ambasciata.
1. Bozen. Bolzano, i vertici della Stella alpina: «Non siamo la stampella del Pdl». BOLZANO. Stoppato il blitz al Senato. La Svp costituirà un nuovo gruppo, ma «dovrà essere una operazione equilibrata», fissa le regole l'Obmann Theiner, «in cui entrino tutti i tre senatori». Questa la decisione ieri del Presidium. Nessuna stampella a Berlusconi. Fissate le regole, non sarà facile chiudere il cerchio. Per un gruppo servono dieci senatori. Il senatore Oskar Peterlini è favorevole a una apertura verso l'Api di Rutelli. Helga Thaler Ausserhofer e Manfred Pinzger non ne vogliono sapere: «Collaborano anche loro nel terzo polo». E' durata quasi tre ore ieri pomeriggio la discussione. E' stata una trattativa serrata, con momenti di scontro tra i senatori Oskar Peterlini e Manfred Pinzger. Da Roma è arrivata anche una notizia che ha peggiorato il clima: licenziati alcuni dei collaboratori Svp nel gruppo costituito con l'Udc. «Non deve passare l'idea che offriamo una stampella a Berlusconi. Dobbiamo restare fuori dai blocchi», spiega Theiner uscendo, tra gli altri, insieme al presidente Luis Durnwalder, ai vice Obmann Martha Stocker e Thomas Widmann, al segretario organizzativo Philipp Achammer, ai tre senatori Helga Thaler Ausserhofer, Pinzger e Peterlini, ai deputati Brugger e Zeller. La riunione è iniziata dal dato di fatto che aveva provocato nervosismo nel partito: l'annuncio dei senatori Thaler Ausserhofer e Pinzger che sarebbe stato costituito un nuovo gruppo, chiudendo l'esperienza dell'attuale gruppo costituito con Udc, Union Valdôtaine, Maie, Io Sud, Repubblicani. Il problema, aveva chiarito la senatrice, è lo spostamento dell'Udc verso il terzo polo con Fli. Ma alcuni dei nomi usciti come possibili nuovi partner hanno provocato l'altolà di Peterlini: «Così il gruppo sarebbe troppo spostato a destra, ci sono ex Pdl ed ex Fli. E' una lista concordata con Gasparri. Non entro». Bocciate da Peterlini ipotesi come Franco Cardiello (oggi Pdl, fa parte del movimento di Alessandra Mussolini) o Giuseppe Menardi, ex Fli. Al Presidium il compito di calmare le acque e trovare una soluzione accettabile. Primo paletto: i tre senatori non potranno dividersi. Secondo paletto chiarito da Theiner: «Deve passare tutto dal partito, non possono esistere trattative private». Terzo punto, l'addio all'Udc è dato per scontato. Oltre ai problemi del terzo polo, si è consumata una frattuta nella gestione stessa del gruppo. «Non hanno mantenuto i patti», spiegano. «A ottobre era prevista l'alternanza come capogruppo», Gianpiero D'Alia avrebbe dovuto cedere il ruolo a Thaler Ausserhofer. Poi i licenziamenti di ieri. Quarto paletto, i nuovi compagni di viaggio «dovranno essere filo autonomisti». Peterlini è soddisfatto: «Non potranno esserci forzature. L'ho chiarito: non mi sposto più a destra dell'attuale gruppo». Si dichiarano soddisfatti anche gli altri due senatori: «L'essenziale per noi è restare fuori dai blocchi». Thaler Ausserhofer e Pinzger avrebbero pronta una nuova lista che partirebbe da alcuni colleghi del gruppo attuale: i tre Svp, il valdostano Antonio Fosson, Adriana Poli Bortone (ex An), Giulio Andreotti. Come possibili nuove entrate, Maria Giuseppa Castiglione (I Popolari d'Italia domani-Misto), Riccardo Villari (gruppo Misto) e Claudio Molinari (in uscita dal gruppo Pd). Ma quest'ultimo, assicura Peterlini, «non verrà mai in un gruppo così, ancora troppo spostato a destra. Neppure Dellai (chiamato da Durnwalder, ndr) darà l'ok».
2. Trento. Durni ha ragione. Ora basta attacchi. 22/02/2011 08:52. TRENTO - Lorenzo Dellai non dimostra chissà quale entusiasmo per le celebrazioni, così come sono state impostate, per il 150° dell'Unità d'Italia. Secondo lui il pericolo che tutto si risolva in una fiammata patriottarda c'è; il rischio che si celebri più l'ideologia dell'Unità che l'Unità d'Italia vera è reale. E, dice, l'uso strumentale del 150° lo si è visto anche con gli attacchi a Durnwalder.
«Ha fatto più male - afferma - la spaccatura in consiglio dei ministri sul festa sì festa no il 17 marzo che l'uscita del mio amico Luis».
Partiamo da qui. Il presidente della Provincia di Bolzano dopo aver detto: io non ho nulla da festeggiare, ha subito aggressioni del tipo: metteteli a pane e acqua quelli lassù! Ancora una volta un pretesto per attaccare le autonomie.
«Secondo me dietro ci sono questioni molto profonde che testimoniano le difficoltà strutturali del nostro Paese. Sulla vicenda specifica ho detto che sul piano della tattica e quindi della comunicazione rispetto all'opinione nazionale, fossi stato il mio collega (gliel'ho detto personalmente, in amicizia), avrei scelto altre parole. È ovvio che quanto detto da Durnwalder è stato usato molto oltre le sue intenzioni. Fino a dipingere il Sudtirolo come un territorio che non vuole più appartenere all'Italia. Cosa che lui non ha affatto detto. Tuttavia dal punto di vista della sostanza ribadisco che, chiunque abbia solo una minima conoscenza della storia della nostra regione, non può pensare che il rapporto tra Bolzano e la festa per i 150 anni possa essere uguale a quello delle altre regioni italiane».
Però le reazioni stizzite non sono venute solo dal centro destra e dagli ambienti nazionalisti.
«Si è messa in moto, per l'ennesima volta, una girandola di commenti a livello nazionale che tradiscono un'incertezza di fondo del nostro Paese».
Insomma, le autonomie e le minoranze diventano una sorta di capro espiatorio.
«Se la prendono con noi perché non sono sicuri dell'unità del nostro Paese. È paradossale: vengono a cercare presunte ragioni dell'unità in territori che nel 1861 erano austro-ungarici e questo perché non trovano ragioni di unità a livello nazionale. C'è una crisi profonda del Paese che si scarica in modo quasi primitivo su territori come Trento e Bolzano che esercitano una fortissima autonomia e che diventano un pretesto per una crisi d'identità dell'intera nazione. Questo è molto preoccupante. Del resto, come ha detto il mio amico Mino Martinazzoli in un'intervista da incorniciare, un Paese che ha bisogno dei comici per riscoprire la propria identità nazionale è un Paese nel quale le cose non vanno nel verso giusto. Quindi la polemica su Durnwalder è una polemica che cerca di nascondere qualcosa di più profondo: il rischio di un cedimento strutturale dell'identità».
Lei ha citato Benigni, un comico, un teatrante, ma che ha saputo commuovere gli italiani ponendoli di fronte alla loro storia che non è fatta solo di nefandezze, anzi.
«Siamo sicuri che si sono commossi?».
A me sembra di sì.
«Io sono convinto che tutto ciò appartiene alla sfera mediatica. Tutti abbiamo apprezzato Benigni, ma il grande afflato che c'è anche per altri personaggi, penso a Roberto Saviano, siamo sicuri che sia reale? Siamo sicuri che l'attenzione dei media nei confronti di comici, scrittori o anche giudici (il ruolo della magistratura è sempre più forte, fino allo strapotere) rappresenti il vero cemento dell'identità di una nazione? Non è forse un surrogato di un'unità nazionale che non c'è? Un aggrapparsi da parte dell'opinione pubblica a spezzoni di profezia a fronte del fatto che ormai da 20 anni è venuta meno la capacità di profezia della politica?».
3. Trento. Da Provincia e Comuni consulenze per 75 milioni. 22/02/2011 11:57. TRENTO - Gli incarichi e le consulenze in corso degli enti pubblici trentini valgono complessivamente 75 milioni 459 mila euro. Di questa enorme cifra, l'anno scorso sono stati erogati 23 milioni 863 mila euro. L'elenco incarico per incarico è stato pubblicato sul sito del ministero della pubblica amministrazione insieme a quelli di tutte le altre regioni italiane. Complessivamente si tratta di circa 10 mila consulenze, ma non è ancora possibile il confronto con i periodi precedenti perché il censimento non è completo.
Nel 2009 gli incarichi conferiti erano stati quasi 12 mila per 36 milioni di euro erogati. Il pacchetto più grande è quello degli incarichi affidati direttamente dalla Provincia: sono oltre 2.700, di cui 1.500 attinenti alla scuola. Tra essi si trovano consulenze legali in giudizio, consulenze economico-finanziarie, consulenze tecniche, docenze in corsi e convegni, attività di studio e ricerca, comunicazione, indagini statistiche.
L'incarico più costoso resta quello di fine 2008 al Cnr , il Consiglio nazionale delle ricerche, sull'elaborazione della cartografia del pericolo da fenomeni torrentizi: 226 mila euro, di cui 150 mila pagati nel 2010, la maggiore erogazione dell'anno scorso. Segue la consulenza dell' Irpet , l'Istituto di programmazione economica della Toscana, che ha ricevuto 122 mila euro, di cui quasi 50 mila erogati nel 2010, per «attività di assistenza alla ricerca macro/mesoeconomica e per la costruzione del modello di microsimulazione per le famiglie». L'Irpet, in sostanza, ha dato una mano per preparare un modello analitico di supporto alle politiche economiche e sociali.
Tra gli incarichi più importanti commissionati da Piazza Dante, le due consulenze alla società svizzera Proconsultants Gmbh , una da 84 mila euro sul centro di protonterapia, l'altra da 70 mila euro sulla formazione del personale fisico-sanitario. Sandra Brambilla , invece, è stata incaricata di realizzare «servizi di consulenza psico-pedagogica a supporto dello sviluppo professionale» per un totale di 104 mila euro, di cui 29.400 euro pagati l'anno scorso. Altri incarichi vanno a istituzioni, come la Fondazione Mach , la Fondazione Kessler , l' Università , ma anche a imprese e associazioni imprenditoriali come la Cantina Rotaliana di Mezzolombardo (19 mila euro per la valorizzazione del Groppello di Revò) o il centro imprese della Coldiretti (74 mila euro per un'indagine statistica, di cui 72 mila euro erogati nel 2010).
4. Belluno. Belluno: i ladini fanno appello alla Regione. L'Unione del Cadore torna sulla richiesta di un esponente in consiglio. di Vittore Doro. CADORE. Due sono stati gli argomenti che hanno occupato tutto il tempo della riunione del consiglio dell'Union Ladina del Cadore de Medo svoltasi sabato scorso. Lo spiega la presidente del sodalizio, Francesca Larese Filon: il primo punto era il riconoscimento delle minoranze linguistiche venete nel nuovo Statuto veneto, con l'elezione di un loro rappresentante in consiglio regionale; il secondo punto si è concentrato sulle contestazioni al referendum autonomistico della provincia di Belluno. «Per quanto riguarda il riconoscimento nello Statuto Veneto e la possibilità di avere un consigliere ladino», spiega la presidente Larese Filon, «è stato ricostruito il percorso seguito dalla richiesta, deliberata dall'assemblea nel febbraio 2007, per ottenere un rappresentante ufficiale nel consiglio regionale. Già nel 2008», aggiunge Francesca Larese, «la Federazione Ladina che rappresenta i ladini delle valli del Cadore, Comelico, Agordino, Zoldo, Ampezzo, Fodom e Colle, ha inviato al governatore veneto la richiesta per la creazione di un rappresentante delle minoranze linguistiche, come già accade nelle regioni vicine». In appoggio alla sua richiesta, la Federazione ha chiesto a tutti i consigli comunali dei 42 comuni interessati, di approvare una delibera con la quale è stato chiesto al governatore del Veneto di assicurare alle popolazioni ladine, friulane e germanofone presenti in Veneto, tutte le misure necessarie a promuovere lo sviluppo socio economico e culturale necessari per assicurare condizioni simili a quelle esistente nelle regioni a Statuto Speciale. Per ottenere questo risultato, è stato chiesto di poter eleggere un consigliere regionale specifico, promuovendo una legge a tutela di queste popolazioni. Ma Quale è stata la risposta del governatore del Veneto? «Nessuna: dobbiamo registrare un silenzio assoluto, anche se la nostra richiesta è stata appoggiata dal voto unanime di oltre 35 consigli comunali». A questo punto, cosa può fare la Federazione ladina? «Nel frattempo», continua Francesca Larese, «ci sono state nuove elezioni regionali e si è insediata una nuova amministrazione, che oggi sta discutendo nuovamente di statuto. Ancora una volta la Federazione tra le Unioni Culturali Ladine chiede alla Regione una risposta e l'inserimento delle problematiche delle minoranze linguistiche nello statuto, e una rappresentanza politica». Quali sono i numeri che giustificherebbero tali richieste? «Oggi, nella provincia di Belluno, la popolazione che parla lingue minoritarie è stata censita in oltre 50.000 abitanti. I servizi si stanno riducendo, la sanità sta concentrandosi a valle, le scuole e le poste stanno subendo continui tagli e la popolazione dei paesi si sta riducendo progressivamente». La Federazione però pensa alle prossime mosse da fare. «La Federazione dei Ladini», conclude la presidente cadorina, «si riunirà sabato prossimo nella sala della Comunità montana Val del Boite per l'assemblea annuale e questo tema sarà all'ordine del giorno».
5. Friuli VG. Le consulenze in Friuli Venezia Giulia sono costate 60 milioni. di Beniamino Pagliaro Gli incarichi esterni affidati da Comuni, Province, Aziende regionali e sanitarie, università e scuole. Assegno da 113 mila euro a un giurista per difendere il Friuli Venezia Giulia davanti alla Consulta. UDINE. Dalle docenze alla potatura delle siepi, dalla promozione dei vini a misteriosi progetti siglati: c’è di tutto nelle 751 pagine che raccontano le migliaia di consulenze pagate nel 2010 dalle amministrazioni pubbliche del Friuli Venezia Giulia. L’elenco è stato pubblicato dal Ministero per la Pubblica amministrazione: è l’operazione trasparenza, che mette in pubblico, sul sito web, tutti i dati a disposizione dei cittadini. Complessivamente, nel 2010 il sistema regionale ha usufruito di consulenze varie per 59 milioni 225 mila 287 euro e 96 centesimi, anche se dell’esborso sono stati erogati finora solo 19,3 milioni.
A fine 2009 la cifra totale delle spese per consulenze in Friuli Venezia Giulia era stata di 103 milioni, ma al momento ancora non è disponibile il dato complessivo in quanto molte amministrazioni non hanno ancora comunicato i dati richiesti.
Le consulenze sono diventate anche per piccoli comuni o enti, l’unico modo di reclutare lavoratori specializzati, senza doverli assumere, pratica peraltro impossibile considerato i vari blocchi del turnover degli ultimi periodi nelle amministrazioni pubbliche.
Così, tra le migliaia di voci si può trovare di tutto: prestazioni mediche per le Aziende sanitarie, consulenze tecniche, progettazioni, perfino lavori pubblici. A bacchettare le amministrazioni ci pensa poi, regolarmente, la sezione di Controllo della Corte dei Conti.
Tra le consulenze, per dire, risultano pure i gettoni per gli esami di terza media dei docenti, il lavoro di un avvocato o attività di comunicazione. Nel calderone sono inclusi tutti gli enti pubblici: i comuni, le province, le aziende regionali, le università, le scuole, le aziende sanitarie. E ovviamente c’è la Regione. Tra le consulenze in evidenza ci sono i “noti” incarichi alle università regionali: 50 mila euro all’ateneo di Trieste per uno studio sul federalismo, 57 mila a Udine per uno sulla tutela delle acque, e pure uno studio alla veneziana Ca’ Foscari. Tra le poste più “ricche” ci sono poi due consulenze tecniche da 40 mila e 42 mila euro tutte incentrate sul festival europeo della canzone in lingue minoritarie.
Un incarico da 59 mila euro va a Michelangelo Boem per la promozione dei prodotti enogastronomici, e uno da 69 mila euro va al braccio destro di Andrea di Giovanni a TurismoFvg Claudio Tognoni, per «Coordinamento attività promozione e commercializzazione».
Ci sono fondi per commissioni varie, progetti europei, cooperazione transfrontaliera, e pure gli oneri delle difese legali. In particolare, il giurista Giandomenico Falcon, nel 2010, ha staccato un assegno da 113 mila euro per una difesa davanti alla Corte costituzionale: purtroppo, però, l’elencone del ministro Brunetta non rivela di che caso - forse quello del welfare, poi bocciato dalla Consulta? - si fosse occupato il legale incaricato dalla Regione.
E tra i tabulati spunta pure Edouard Ballaman: l’ex presidente del Consiglio regionale sotto inchiesta per peculato per l’uso dell’auto blu risulta infatti essere consulente del comune (leghista) di Azzano Decimo. Proprio quello - ironia della sorte - del sindaco Enzo Bortolotti, suo acerrimo nemico nella campagna per la segreteria provinciale e non solo. Ballaman, in quanto commercialista, ha prestato i suoi servizi al comune dal 2006 al 2009, per complessivi 20.700 euro. La collaborazione è stata rinnovata nel 2009 fino al luglio 2011, per altri 17 mila euro.
I dati, comunque, non sono definitivi. Alcune amministrazioni, infatti, non hanno ancora fornito tutti i database. Tanto che il volume dei dati immessi dagli enti friulgiuliani è diminuito, nel 2010, dell’1,8% rispetto al 2009.
6. Vittorio Veneto. Il Pdl sfida la Lega: museo aperto il 17 marzo. De Bastiani a Da Re: «Reperti della Grande Guerra visitabili per la festa dell'Unità d'Italia». di Francesco Dal Mas. Nuova sfida del Pdl alla giunta a guida leghista di Vittorio Veneto. Il capogruppo Giorgio De Bastiani chiede che per la festa dell'Unità d'Italia, il 17 marzo, il Museo della Battaglia venga aperto al pubblico. E questo anche in considerazione che l'affluenza infrasettimanale delle scolaresche è addirittura aumentata dopo l'annuncio dell'apertura solo nei fine settimana. Il sindaco Gianantonio Da Re ha già confermato che l'amministrazione comunale da lui presieduta non celebrerà l'anniversario dell'Unità d'Italia. Anche a motivo della carenza di fondi. Tanto meno festeggerà il 17 marzo. In città si è creato un Comitato per sostituire il Comune nell'organizzazione dei più diversi appuntamenti. Ma l'ultima provocazione per i piani alti di piazza del Popolo arriva dal Popolo delle libertà. Il capogruppo De Bastiani ha inviato un'interpellanza al presidente del Consiglio, Ennio Antiga, affinché sia discussa nella prossima seduta del consesso municipale.
«Il sottoscritto consigliere - scrive Giorgio De Bastiani - interpella il sindaco per sapere se è intenzione di questa amministrazione, alla luce di tutto quanto premesso, concedere/prevedere l'apertura straordinaria del Museo della Battaglia per la giornata del 17 marzo 2011 e se è intenzione di questa amministrazione prevedere e favorire anche un'adeguata eventuale azione promozionale di questa giornata di apertura straordinaria sia a livello cittadino che a livello extra-cittadino».
Secondo l'esponente del centrodestra, tanto più opportuna sarebbe questa apertura poiché il 17 marzo di fatto prende il posto, quest'anno, del 4 novembre. E il Museo della Battaglia è dedicato proprio alla prima guerra mondiale. Con delibera del 23 dicembre 2010 l'amministrazione vittoriese ha deciso l'apertura dei musei vittoriesi soltanto nei giorni di sabato e domenica con orario dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17, quindi non più di 4 ore al giorno. 
«Verificheremo in giunta la possibilità di aprire questo e gli altri musei il 17 marzo, ma - anticipa l'assessore alla cultura, Michele De Bertolis - non credo che ci siano le risorse disponibili. Ci è fatto obbligo del massimo risparmio». «Insisto per l'apertura - fa di nuovo pressing il capogruppo De Bertolis - anche perché si può recuperare sul 4 novembre. E il sindaco si è rammaricato che quest'anno non venga adeguatamente ricordato l'anniversario della grande guerra».
7. Venezia. Guerra aperta Orsoni-Brunetta. Botta e risposta: «Il ministro non fa nulla per il teatro». «Il sindaco? Si sveglia tardi. «Brunetta e Bondi non hanno fatto niente per la Fenice». «Orsoni? Ma se non mi ha fatto nemmeno una telefonata! Si sveglia solo adesso?» E' polemica al calor bianco tra i due ex avversari alla poltrona di sindaco. Giorgio Orsoni accusa il governo di aver penalizzato il Teatro La Fenice, escludendolo dai fondi del Fus (il fondo unico dello spettacolo), dirottati sull'Arena di Verona, città del leghista Flavio Tosi. «Bossi vada lì a fare le sue manifestazioni e lasci in pace Venezia», sbotta il sindaco. Renato Brunetta, ministro pdl della Funzione pubblica, rimanda le accuse al mittente: «Abbiamo scelto di premiare le realtà virtuose, Orsoni si dia da fare perché forse La Fenice non lo è. E poi il governo non c'entra, questo è un emendamento parlamentare, firmato anche da qualcuno del Pd». La politica si scalda, ma la Fenice resta a secco. Perché è lo stesso ministro ad ammettere: «Il Milleproroghe è blindato, sarà votato con la fiducia». Dunque niente modifiche né emendamenti. Lo aveva chiesto il senatore del pd Felice Casson, adesso anche Andrea Martella e Pierpalo Baretta rincarano la dose: «Un taglio gravissimo, il centrodestra riconosca il suo errore. Non bastano certo gli appelli dei politici locali al loro governo amico». Il riferimento è alle dichiarazioni di alcuni esponenti del Pdl (Giancarlo Galan, Carlo Alberto Tesserin, Nereo Laroni), che si sono espressi in favore del teatro veneziano». Polemiche e botta e risposta. Ma la sostanza non cambia: la Fenice è stata pesantemente penalizzata dal decreto del governo. Che ha scelto di finanziare al Nord soltanto il teatro Alla Scala e l'Arena di Verona. «Scelta politica», ha accusato Orsoni, «a Milano il sindaco Moratti, a Verona il leghista Tosi». I parametri scelti, fanno notare i vertici del teatro veneziano, sembrano fatti apposta per tagliar fuori la Fenice. Si parla infatti del rapporto tra finanziamenti e i biglietti venduti. Chiaro che l'Arena può contare su 15 mila posti, la Fenice su un migliaio. «E comunque in quanto a qualità, con tutto il rispetto per l'Arena e le sue macchine sceniche, non c'è confronto con la Fenice», dice Orsoni senza mezzi termini. Il Teatro ricostruito dopo il rogo del 1996 è oggi in piena salute, con una programmazione di qualità diretta dal nuovo soprintendente Cristiano Chiarot. Ma senza i fondi del Fondo nazionale non ha alcuna possibilità di sopravvivere. 19 milioni di euro l'anno (su 33) se ne vanno per i costi fissi del personale, 290 persone. Musicisti, coristi, tecnici e solo in minima parte (30) amministrativi. Tra gli organici più bassi d'Italia, fa notare il Chiarot. Ma soprattutto, una macchina preziosa che produce cultura e alla fine incrementa gli incassi: se si taglia la produzione il deficit alla fine aumenta.Chiarot invita il governo a «mantenere gli impegni». «Con i tagli del Fus, 4 milioni sui 13 avuti lo scorso anno, che già erano stati tagliati di due», dice Chiarot, «è a rischio la stagione insieme con gli stipendi dei dipendenti. Tagliare è una scelta miope. perché la Fenice è una risorsa anche economica per l'intera città». Leggi e commenta sul sito www.nuovavenezia.it
8. Venezia. Il governatore siciliano: «In Veneto i profughi sbarcati qui». Lombardo: sull’isola manca il lavoro. Bitonci: hanno soldi e tanti dipendenti, se li tengano. VENEZIA — «Prepariamoci all’invasione». I disordini scoppiati in Nordafrica agitano le notti del Carroccio. I ripetuti sbarchi delle ultime settimane, seppur diminuiti in questi giorni, sono infatti per i leghisti soltanto l’avanguardia dell’esodo che attende l’Italia, ed il Veneto, nel prossimo futuro, perché l’approdo naturale di molti stranieri in fuga, una volta superata l’emergenza, «non può che essere il Nord Italia ed il Centro e Nord Europa». Spettri padani? Mica tanto. «Gli immigrati vanno sistemati in un territorio e in un ambiente nel quale ci sono opportunità di lavoro come la Lombardia o il Veneto - scrive sul suo blog il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo -. È assurdo metterli qui. Si può avere qualunque tipo di concezione razzistica contro la Sicilia, ma qui di sicuro tutto si può fare tranne che l’integrazione in un tessuto lavorativo, economico e sociale tra i più deboli del nostro paese». Nessuna boutade, Lombardo fa sul serio: «L’ho anche scritto al ministro Maroni, come si può pensare di portare 5 o 6 mila persone a Mineo (Catania), in un’area che è la più depressa sotto il profilo economico- sociale e dove i livelli di disoccupazione sono i più alti e quelli di reddito i più bassi? Cinque o 6 mila persone portate lì che non possono certo essere sorvegliate a vista dai militari, anche perchè non sono delinquenti, in un posto dove vivevano 1400 americani. Grandi condizioni di disagio, ammassamento di persone, ricerca di una integrazione che il territorio non offre».

Basito Massimo Bitonci, onorevole sindaco di Cittadella: «Spero si tratti soltanto di una provocazione. Mi chiedo con che faccia tosta si possa dire una cosa del genere: con tutti i soldi che hanno avuto in questi anni e con le migliaia di dipendenti che ha la Regione siciliana, credo che Lombardo sia perfettamente in grado di gestire da solo l’emergenza». Scontro Nord -Sud a parte, per Bitonci resta il fatto che «finché non ci sarà un Centro per l’identificazione e l’espulsione anche in Veneto sarà complicato riuscire a gestire i flussi in arrivo nella nostra regione. Dopo di che è chiaro che siamo di fronte ad un fenomeno di proporzioni tali che da soli, e non penso al Veneto ma all’Italia, possiamo fare ben poco. Deve intervenire l’Unione Europea». Preoccupato anche il senatore Piergiorgio Stiffoni, in visita venerdì scorso al centro di accoglienza di Sant’Anna, a Crotone, come membro del comitato Schengen: «Il nostro timore principale - spiega - è che collassino gli accordi sui flussi: sarebbe un disastro. Dobbiamo essere pronti al peggio». Sulle stesse frequenze di Bitonci Piergiorgio Cortelazzo del Pdl, per il quale «i Cie, da soli, non sono la risposta. Se i numeri sono quelli annunciati, con migliaia e migliaia di persone in fuga, in Veneto si dovrebbero infatti costruire centri in ogni quartiere». Cortelazzo condivide dunque l’appello ai livelli più alti del governo, da Roma a Bruxelles: «Di fronte ad una potenziale invasione, ad un esodo di natura straordinaria, servono misure straordinarie». Ma.Bo. 22 febbraio 2011
9. Padova. «Giusto festeggiare l'Unità d'Italia». I presidi con gli studenti: ok alle lezioni autogestite sul Risorgimento. Anche i presidi sono in prima fila per festeggiare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Quasi tutti ritengono giusta la scelta del Governo di chiudere le scuole e le aziende il 17 marzo (riunione del primo parlamento del Regno d'Italia a Torino) e condannano severamente la decisione della Lega Nord di non partecipare ai festeggiamenti.  Tra i dirigenti più entusiasti nella celebrazione degli avvenimenti salienti della storia del Risorgimento c'è anche Luciano Arianna, preside dell'istituto professionale Bernardi, originario di Nola, la città della Campania da dove partirono i moti carbonari nel 1820, quando i sotto-ufficiali Morelli e Silvati e l'abate Minichini organizzarono la prima rivolta contro i Borboni.  «Il Governo ha fatto bene a chiudere le scuole nel giorno in cui saranno ricordati i primi 150 anni dell'Italia unita», sottolinea Arianna. «Il 17 marzo è una data fondamentale della nostra storia. Non poteva essere considerato un giorno qualsiasi con le aziende, le scuole e gli uffici aperti. In settimana i miei 620 studenti si ritroveranno in assemblea programmata un mese fa e decideranno cosa fare esattamente tra marzo e la fine dell'anno scolastico. Nel frattempo i docenti delle materie letterarie già stanno effettuando una serie di lavori per studiare il ruolo del Veneto nella storia del Risorgimento».  Ma in città la vera anima dei festeggiamenti nelle superiori è la preside del Tito Livio, uno dei licei più noti del Nordest aperto nel 1876, ossia dopo 10 anni dell'annessione del Veneto al Regno d'Italia.  «In realtà sono stata proprio io a stimolare i ragazzi per organizzarsi a livello autonomo per ricordare degnamente l'unità del nostro Paese», osserva Albina Aurora Scala, originaria di Taranto. «Al nostro progetto hanno già aderito 14 istituti. I giorni in cui si terranno delle manifestazioni importanti sono stati già fissati. Ad esempio il 16 marzo faremo un'assemblea aperta ai cittadini e il 31 maggio andremo in scena con una rappresentazione teatrale aperta alla città».  Anche gli studenti e i docenti dello scientifico Curiel parteciperanno compatti all'importante appuntamento. «I 150 anni dell'Unità d'Italia noi li festeggeremo con il Consiglio di Quartiere Arcella», afferma il preside Michele Zappia. «Una delle date più importanti sarà il 2 giugno, quando apriremo le porte della scuola alla cittadinanza per ricordare una data che segna il vero inizio della libertà e della democrazia di oggi». (Felice Paduano) 21 febbraio 2011
10. Reggio Emilia. Crac Burani, la causa resta a Milano. La Corte respinge le eccezioni della difesa dei due Burani, Walter e il figlio Giovanni. Il processo a loro carico che li vede accusati di bancarotta fraudolenta continuerà ad essere celebrato dai giudici di Milano. CAVRIAGO. Resta a Milano il processo per bancarotta fraudolenta che vede alla sbarra gli imprenditori della moda Walter e Giovanni Burani. La Corte milanese, dopo due ore di camera di consiglio, ha respinto ieri le eccezioni preliminari avanzate dalla difesa nell'udienza scorsa. Un «no» secco sia sull'incompetenza territoriale, sia sull'asserita nullità del decreto di citazione al giudizio immediato. Prima che la Corte si ritirasse per la decisione, il pm ha replicato per oltre un'ora alle eccezioni sollevate dai difensori degli imputati (il reggiano Romano Corsi, i milanesi Stefano Borrella e Pasquale Pantano). Saltati, quindi, gli obiettivi del pool difensivo: far saltare o trasferire a Reggio il procedimento. Come nelle scorse udienze, non erano presenti in aula i due imputati. Sono 140 le parti civili ammesse, fra azionisti, soci e curatori delle società fallite. BIOERA. Sempre nell'ambito della «galassia» della famiglia Burani, per Bioera la Consob «ha ritenuto applicabile l'esenzione così detta da salvataggio, che presuppone tre requisiti: lo stato di crisi della quotata, il piano di ristrutturazione del debito e il superamento della soglia rilevante compiuto con la sottoscrizione di un aumento di capitale finalizzato al salvataggio della società». Questo il parere espresso ieri dalla Commissione alla richiesta inoltrata dall'imprenditore, Canio Mazzaro, che sottoscrivendo l'aumento di capitale dell'azienda di cosmesi e prodotti biologici, è salito sopra il 30% del capitale. Mazzaro, in effetti, sottoscrivendo 9 milioni dei 19 milioni di aumento di capitale, a seguito della sottoscrizione integrale dell'aumento controllerà il 47,3% del capitale di Bioera, la società del gruppo Burani che dallo scorso 2 febbraio è stata ammessa dal tribunale di Reggio alla procedura di concordato preventivo.
11. Potenza. «Mal di vivere» in Basilicata non solo per la crisi. di MASSIMO BRANCATI. Mal di vivere. Una definizione che in Basilicata comincia ad assumere i connotati di un vera e propria emergenza. Mal di vivere significa lasciarsi morire, spezzare la propria vita quando si è preda di insoddisfazione, di disperazione, di malattie. Ma anche di disoccupazione. I tre suicidi accaduti nelle ultime due settimane nel territorio lucano «rispolverano» un dibattito che negli anni scorsi è stato soltanto sussurrato.
Si sa, di fronte ai suicidi ci si ferma, non si varca il confine di drammi familiari, i mass media non ne parlano per evitare quello che gli psicologi chiamano effetto emulazione. Ma mettersi le mani davanti agli occhi, consegnandosi a un rispettoso silenzio, equivale a ignorare un problema che è tra le prime cause di morte dei giovani tra i 10 e i 24 anni. Ecco perché ci troviamo di fronte a un fenomeno che va affrontato, evitando la politica dello struzzo.
Un fenomeno - di cui la Gazzetta si è occupata con un’inchiesta a marzo del 2009 - alimentato da statistiche inquietanti: in Basilicata c’è un elevato tasso di suicidi (14,6 ogni 100.000 abitanti) che colloca la regione soltanto alle spalle della Calabria (18,4). Numeri destinati a crescere se si fa riferimento al trend dei primi tre mesi del 2011: da gennaio ad oggi, infatti, incrociando i dati di questura e carabinieri, si sono verificati 10 suicidi, compresi i tre di questi ultimi giorni.
Perché questa impennata? Sarebbe semplicistico, forse anche banale, fare riferimento alla crisi economica, alle chiusure di aziende, ai tanti lavoratori espulsi dal mercato produttivo e alle «nuove povertà» che, purtroppo, sono in costante aumento. Ma dietro al gesto estremo di una persona che decide di togliersi la vita c’è dell’altro. Ci sono drammi interiori, traumi infantili, situazioni che affondano le radici in fragilità psicologiche.
Tra le pieghe dei dati statistici scopriamo che a togliersi la vita sono soprattutto gli uomini, con 9 casi di suicidio l’anno ogni centomila abitanti, contro un 2,6 tra le donne. Le fasce di età maggiormente interessate al fenomeno sono tra i 15 e i 24 anni e tra i 25 e 34 anni. Accanto a freddi numeri occorre fare una riflessione: il suicidio raramente è un impulso dovuto ad una decisione immediata. Durante i giorni e le ore precedenti al gesto, generalmente appaiono indizi e segnali di allarme. Quelli più forti e rivelatori di un disturbo sono verbali. Della serie: «Non posso andare avanti così», «Non m'importa più di niente» o anche «sto pensando di farla finita».
Certe espressioni vanno sempre prese sul serio. Così come non bisogna sottovalutare altri segnali che, in genere, passano inosservati: diventare improvvisamente chiusi, comportarsi pericolosamente (correre in auto o in moto, bere troppo, tendere all’autolesionismo), mettere ordine nei propri affari e regalare oggetti di valore, mostrare marcati cambi di comportamento, attitudini o apparenza, abusare di droga e medicinali (soprattutto psicofarmaci). Anche le esperienze vissute, quelle che lasciano ferite nel profondo, possono giocare un ruolo fondamentale nella scelta di togliersi la vita: subìre abusi sessuali o fisici, perdere un caro amico o un familiare, divorziare, fallire a scuola (un brutto voto o la paura di un esame) o sul lavoro (perdita del posto, crisi aziendale), essere arrestati nonostante la propria innocenza.
12. Reggio Calabria. Il Sud pretenda l’unità del Paese. 22/02/2011. di FRANCO BARTUCCI. Tutto è successo nella giornata di venerdì 18 febbraio. Mentre il governo approva a maggioranza il decreto, con il voto contrario dei ministri Bossi e Calderoli, con l’assenza del ministro degli Interni Maroni, che stabilisce il prossimo 17 marzo “festa nazionale per il 150° anniversario dell'Unità d’Italia”, in serata, nella trasmissione “Otto e mezzo”, condotta da Lilly Gruber su La 7, il parlamentare leghista Borghezio esordisce, in apertura della discussione, inneggiando alla Padania e dichiarando al contrario, per quel comprensorio territoriale del Nord Italia, una giornata di lutto. È una risposta anche al grande trionfo e “lezione magistrale” svolta la sera prima dal grande Benigni, sull’Unità d’Italia, durante il Festival di San Remo. Basta, la misura è colma ed è tempo che il Sud, la Calabria, reagisca rispondendo, alle parole prive di significato e pensieri storici appositamente costruiti in ragioni di parte a sostegno e difesa degli interessi economici e politici del Nord, con pensieri insiti nel carattere, nella intelligenza e nel cuore della gente comune del Sud e di noi calabresi, esplicitati attraverso la padronanza del linguaggio e dei sentimenti con al centro il senso di appartenenza, con spirito di donazione e solidarietà, ricca del valore dell’amore, sintesi della carità, testimoniata e vissuta dal nostro san Francesco di Paola. Alla cultura e all’azione egoistica ed egocentrica proclamata dai leghisti del nostro Paese, a tutela del loro benessere economico e sociale accentrato nei confini della cosiddetta Padania, il Sud e la Calabria devono rispondere con altrettanta fermezza proclamando una civiltà superiore dettata dai sentimenti del cuore che ha nell’amore e nella solidarietà la forza vincente per dare un senso di unità, equilibrio morale e benessere economico a questo Paese che merita serenità, giustizia e pace condivisi in forma diffusa. Una ragione in più per celebrare degnamente la ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, fortemente voluta dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, come dagli innumerevoli cittadini italiani fortificati dal senso della storia e dell’appartenenza a tale valore territoriale, morale e culturale; ma soprattutto per sconfiggere il “pensiero della perdita economica a cagione della festa nazionale”. Alla rivendicazione di perdita economica enunciata dai politici leghisti e dalla dirigenza di Confindustria si deve rispondere, da uomini e donne del Sud, con l’impegno e la promessa di essere tutti il 18 marzo sul posto di lavoro per dare maggiore compiutezza ai festeggiamenti. Che parta dalla Calabria e dal Sud una nuova rivendicazione responsabile e una riconquista reale dell’Unità d’Italia messa in crisi da una minoranza di cittadini e da una politica impregnata da interessi di parte non conforme alla gestione equa del Paese, sebbene propugnatori di un federalismo fiscale, non consone certamente allo spirito solidale e sussidiario pensato dai padri della Costituzione italiana per superare e vincere le condizioni di disparità economica e sociale tra Sud e Nord. L’avvento del presidente Berlusconi, per i ben noti motivi conflittuali creatisi, prima della sua discesa in campo e durante i suoi mandati governativi, con gli organi istituzionali e della Giustizia in particolare, ha creato nel Paese una situazione di “stanchezza” nel rapporto di convivenza civile all’interno stesso della società italiana, letteralmente spaccata su posizioni contrastanti: “innocentisti” e “colpevolisti”. A tutto questo è tempo di dire basta e nel rispetto dell’appello di Roberto Benigni, durante la sua lezione di Sanremo, occorre dare come società sana una risposta “viva” e “matura”: “svegliamoci” dal torpore dei sensi recuperando la “serenità d’animo” con la partecipazione attiva alla costruzione di una nuova comunità, di un popolo in cammino verso una democrazia reale e non fittizia messa a rischio dal conflitto perenne del capo del governo con gli organi giudiziari, dalla minaccia separatista dei leghisti che non temono di contrapporre a noi Italiani una Padania fittizia e immaginaria. Con ciò intendiamo avanzare una richiesta ben precisa e diciamo basta al trionfalismo della bandiera padana, quale simbolo territoriale e geografico di più regioni del Nord Italia; basta alle camicie, cravatte, fazzoletti e coccarde verdi messi in mostra nelle aule del Parlamento italiano e durante le cerimonie ufficiali, come nelle trasmissioni televisive, in occasione di vari dibattiti e spettacoli di intrattenimento a estensione nazionale. Cominciamo noi calabresi, gente del Sud, a farci sentire e a pretendere rispetto riaffermando il principio dell’Unità del nostro Paese, rivolgendo un appello a tutti i nostri corregionali residenti in quelle regioni del Nord del Paese a essere “uniti” nel bene in un rapporto stretto di fratellanza per una lotta di democrazia, libertà, benessere economico, sociale e civile. Vogliamo un Paese che abbia il coraggio di saper vivere non sugli slogan, ma sulle cose concrete, semplici e genuine che fanno di noi tutti degli esseri umani affrancati dalla schiavitù dei pensieri affaristici e peccaminosi, dalla dipendenza e dai vincoli degli interessi politici, per mostrare al mondo una Nazione e un Paese che nel suo 150° anniversario di vita proclama e rinnova il patto di Unità nella consapevolezza di aver trovato nuovi stimoli per adempiere e dare risposte concrete ai sogni di coloro che hanno lottato, si sono sacrificati con la morte e vinto le “battaglie della vita” in un Paese libero e umile. Facciamo in modo che da qui in avanti e fino al prossimo 17 marzo, giorno della proclamazione dell’Unità del Paese, la nostra vita abbia questa nuova consapevolezza non avendo paura di manifestarla e proclamarla con forza, pretendendo dai nostri parlamentari e forze politiche che fanno parte di questo scellerato accordo di governo nazionale di mostrare e far sentire il loro peso in difesa di tale principio. Altrimenti tutto rientra nella vacuità delle cose, mentre bisogna, invece, essere seri e coerenti nell’espressione e nella testimonianza dei valori e dei comportamenti.
13. Milano. Noi italiani lasciati soli dall'ambasciata. La testimonianza di un tecnico petrolifero: «Devo tornare in patria, mi hanno detto di arrangiarmi». MILANO - «L'unità di crisi della Farnesina è impossibile da contattare, l'ambasciata italiana a Tripoli non sa cosa fare e sostanzialmente ci dice di arrangiarci». Giuseppe Ascani è direttore di un'azienda italiana che lavora in ambito petrolifero, da due anni vive a Tripoli e vorrebbe provare a rientrare in Italia. Ha un volo prenotato per mercoledì mattina, ma il suo problema è capire se all'aeroporto riuscirà ad arrivare indenne. «La situazione va sempre più peggiorando - racconta al Corriere.it via Skype -, molte zone della città sono in mano ai mercenari assoldati dal regime e non sono affatto sicure. Abbiamo visto immagini di persone con i corpi dilaniati, senza gambe e senza braccia. Tripoli è letteralmente in fiamme. Non c'è modo di sapere se il tragitto verso l'aeroporto possa essere percorso con tranquillità. Sentendo certe dichiarazioni secondo cui tutto è a posto e tutto organizzato mi sono sentito ribollire il sangue».
TRAGITTO A RISCHIO - Il volo di Ascani partirà all'alba. «Ma all'aeroporto - spiega il tecnico - ci dovrò però andare nel pomeriggio di oggi e vi trascorrerò in qualche modo la notte. Il personale della mia azienda, che mi sta supportando in tutto, si è offerto di accompagnarmi, mettendo a rischio anche la propria vita. Viaggiare nelle ore di luce sarà comunque pericoloso visto che le strade sono insicure e la situazine cambia di ora in ora, tra l'altro ho avuto notizia di altri raid aerei a Tripoli e Bengasi, ma non lo sarà mai come mettersi in strada di notte a bordo di un automezzo privato». Ascani ha saputo che altre ambasciate hanno invece organizzato diversi punti di raccolta nella città per poi promuovere dei convogli fino all'aeroporto. «A me invece è stato detto che avrei dovuto cavarmela da solo».
TELEFONI FUORI USO - Il tecnico non è riuscito a mettersi in contatto con altri italiani di che vivono nella capitale: «I telefoni cellulari non funzionano, è possibile utilizzare solo Skype, ma in situazioni normali non è una piattaforma che viene molto utilizzata e non ho dunque indirizzi di contatto. Non so se ci sono altri connazionali nella mia stessa situazione e non ho idea di come si siano eventualmente organizzati». Ora Ascani spera che la sua testimonianza possa servire come stimolo affinché l'ambasciata non lasci da soli altri italiani. «E voglio che sia anche una denuncia: se mi sarà successo qualcosa durante il trasferimento dalla mia abitazione all'aeroporto, sarà ben chiaro di chi sarà stata la responsabilità». Alessandro Sala
 

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