martedì 8 febbraio 2011

Notizie Federali della Sera: la partigiana come una donna simbolo di valori positivi. 8 febbraio 2011.

Sezione Noi, come sudtirolesi, non festeggeremo:
1. Bozen. Bolzano dice no alla festa per l'Unità d'Italia, scontro tra Pd e Svp.

Sezione negazionismo militante:
2. Molise. "Il Molise non esiste". 4000 "negazionisti" su Facebook.

Sezione Ponte della Sanità, che non e’ figlio di N.N.:
3. Napoli, salvò ponte minato da nazisti: Comune lo intitola a Cerasuolo.

Sezione le balle piu’ del giorno:
4. Noi italiani liceali per sempre.
5. Con l'Iva ai comuni cresce la differenza tra Nord e Sud.
6. Trento: 2.700 abitazioni sfitte.
7. Il Nord Est ritrova fiducia ma il lavoro resta al palo.
 
Sezione Basilicata, basta la parola:
8. Basilicata. La Regione usa le royalty del petrolio per i costi sanitari.
1. Bozen. Bolzano dice no alla festa per l'Unità d'Italia, scontro tra Pd e Svp. Durnwalder: gli assessori italiani festeggiano a titolo personale, non rappresentano la Provincia. BOLZANO. Il presidente Durnwalder non ha lasciato adito a dubbi: «La giunta provinciale - ha dichiarato al termine della seduta del lunedì - non prenderà ufficialmente parte a nessuna celebrazione in occasione del 150º anniversario dell'unità d'Italia. Né a Roma, né in Alto Adige. Ma non vogliamo offendere le sensibilità di nessuno: non è nostra intenzione vietare o limitare in alcun modo le manifestazioni di associazioni o istituzioni. E naturalmente, se i rappresentati politici italiani vorranno prendere parte a delle celebrazioni, hanno il permesso di farlo, ma non rappresenteranno la Provincia, ci andranno in veste privata. Per quanto riguarda i Trentini, se vorranno partecipare alla mostra delle Regioni nella Capitale, lo facciano pure, ma come rappresentanti della Provincia di Trento e non certo a nome dell'intera Regione». Il governatore altoatesino ha inoltre motivato la sua decisione, spiegando: «Nessuno può pretendere che i sudtirolesi, minoranza austriaca, festeggino l'unità d'Italia. Non abbiamo partecipato al Risorgimento, non abbiamo chiesto di far parte dell'Italia né nel 1919, né nel 1945. Abbiamo solo accettato il compromesso dell'autonomia. Se gli italiani dell'Alto Adige vogliono, festeggino pure. Noi, come sudtirolesi, non festeggeremo». Durissima la presa di posizione sia delle destre italiane, sia del segretario provinciale Pd Antonio Frena: «Le parole del presidente Durnwalder sulla mancata partecipazione della Provincia di Bolzano alle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia sono assolutamente fuori luogo». Non sono appropriate «perché non ha il diritto di calpestare le coscienze di tanti cittadini, rivestendo il ruolo che ha». Comunque sia, ieri la giunta ha deciso, nonostante il vicepresidente, Christian Tommasini (Pd), abbia espresso le sue perplessità, ma senza voler esacerbare gli animi. «Personalmente - ha dichiarato ieri in serata l'assessore alla cultuta italiana - parteciperò di certo alle iniziative che verranno svolte, anche a livello locale, in rappresentanza della comunità italiana dell'Alto Adige». Capisco, ha proseguito il vicepresidente, «che questo evento non scaldi il cuore di molti cittadini di madrelingua tedesca, ma di certo non è un evento contro nulla e contro nessuno. Non vogliamo peraltro che un'occasione importante come i 150 anni dell'unità d'Italia si trasformi in un momento di tensione e tantomeno in una questione etnica. Questa deve essere un'occasione gioiosa e di festa, la festa di tutti». Tommasini tiene inoltre a specificare: «Non è affatto vero che in Alto Adige non si terranno manifestazioni ufficiali. Soltanto per citare la più significativa, il 17 marzo, festa nazionale, all'Auditorium Haydn si terrà un momento ufficiale di festeggiamento, cui parteciperò in prima persona: un concerto della fanfara dei carabinieri». Precisa infine che «le numerose manifestazioni culturali si terranno alla biblioteca provinciale Claudia Augusta e non in una succursale di quartiere, come equivocato da qualche poco avveduto esponente della destra».
2. Molise. "Il Molise non esiste". 4000 "negazionisti" su Facebook. Conta più di 4800 fans la pagina del social network che non crede nell’esistenza della nostra regione. Uno sfottò demenziale che non ha certo la pretesa di riscrivere la storia, ma che ha procurato la reazione indignata di tanti cittadini che hanno risposto con un altra pagina che cerca di mettere in evidenza le bellezze regionali senza però riuscire a raggiungere gli stessi consensi.
Il popolo di Facebook si è espresso a maggioranza: il gruppo “Io non credo all’esistenza del Molise” straccia il rivale “Il Molise esiste” oltre 4800 iscritti a poco meno di 1000. Incredibile ma vero. Sul social network più utilizzato al mondo qualche buontempone ha pensato bene di creare una pagina demenziale, benché dichiaratamente ironica, che denigra la nostra regione e tutti i suoi abitanti. La cosa non sorprende, dato il proliferare di perditempo e pagine senza un minimo di senno su Facebook. Quello che lascia basiti è notare come più di 4800 utenti abbiano dato la loro approvazione all’idea.
Di gruppi di questo tipo ne esistono diversi sul social network di Mark Zuckerberg. In questo caso l’intenzione sembra quella di fare della banale ironia, senza voler essere chissà quanto cattivi. Così il gruppo è stato ribattezzato anche come “Molisn’t”, una sorta di parola inventata, un po’ inglese e un po’ italiana, che vorrebbe negare l’esistenza del territorio molisano. «Siamo più terroni di voi e non vogliamo insultare la vostra regione» si legge nelle informazioni del gruppo.
«Chissà se la costa adriatica della Campania è pescosa?» si chiedono gli amministratori del gruppo, forse originari di Napoli e dintorni. Al di là della loro provenienza, vale la pena prendere la pagina per quella che è: un aggregato di demenzialità create per il semplice gusto di farsi due risate. Senza cattiveria. Come quel video postato da Youtube, dal titolo “Il Molise è una bugia” oppure come le cartine geografiche con un buco dalle chiare sembianze molisane fra Abruzzo e Puglia.
Qualcuno però se l’è presa e ha reagito creando un gruppo che va esattamente nella direzione opposta: dimostrare che il Molise è realtà e mettere in mostra tutte le sue bellezze. “Il Molise esiste” non raccoglie lo stesso consenso e si ferma a poco più di 900 fans. Oltre a schermaglie e insulti coi “negazionisti”, il gruppo pro la nostra regione si impegna a metterne in mostra il lato migliore: dal mare termolese alla neve di Campitello, passando per tradizioni tipiche come la Carrese di San Martino in Pensilis. I risultati però sono alterni. «Sottolineare l’esistenza della nostra regione è preoccupante – scrive un giovane - Io vi consiglio di cambiare il nome, perché da molisano mi sento offeso più di prima». Forse sarebbe semplicemente meglio riderci su.
3. Napoli, salvò ponte minato da nazisti: Comune lo intitola a Cerasuolo. Napoli, 7 feb (Il Velino/Velino Campania) - Il Ponte della Sanità a Napoli avrà un nome: sarà intitolato alla partigiana Maddalena Cerasuolo, che nel 1943 salvò la strada del ponte da un bombardamento. La nuova denominazione è stata resa possibile grazie alla delibera comunale di Napoli del 27 gennaio scorso, che ha accolto la petizione popolare promossa dal Circolo territoriale del Partito di Rifondazione Comunista, a cui hanno aderito commercianti, partiti, movimenti e associazioni tra cui l’A.N.P.I, l’Udi, Arcidonna e la Rete del Rione Sanità. “Il nome della partigiana Maddalena Cerasuolo, a cui adesso è stata dedicata una strada – ha ricordato al VELINO il segretario del circolo Stella San Carlo, Francesco Ruotolo, - ha un significato importante sotto vari aspetti: prima di tutto la lotta di Maddalena, che ha partecipato alle quattro giornate deve significare il transito da un passato di corruzione a un futuro di legalità; poi una buona parte è stata fatta dalle associazioni antifasciste presenti in città che hanno voluto ricordare l’impegno e il valore civile di una donna del passato alle giovani generazioni presenti, e di tutto questo la giunta Iervolino ne ha tenuto conto”. Sull’impegno della partigiana Cerasuolo, si è espresso il figlio Gennaro Morgese, che commosso ha ricordato l’umiltà di sua madre Lenuccia, così chiamavano Maddalena in famiglia, che raccontava gli fatti risalenti al primo ottobre 1943 quando a soli 23 anni, scoprì le truppe naziste che stavano per minare il ponte della sanità mettendo a rischio molte vite, ma lei organizzò un gruppo partigiano che lo sminò, salvando decine di persone e mise a riparo anche una via importante in città. Massimo Rippa, assessore in municipalità all’Istruzione, ricordando la partigiana come una donna simbolo di valori positivi, ha affermato provocatoriamente: “In occasione della festa della donna, voglio proporre alle scuole una manifestazione su questo ponte con le scolaresche, per raccontare questa storia, quasi a dispetto delle vicende da scandalo sulle donne di queste settimane”. (Maria Pedata) 7 feb 2011 12:09
4. Noi italiani liceali per sempre. MASSIMILIANO PANARARI – La Stampa. Sfuggente e problematica è l'identità italiana, secondo alcuni. Controversa e non pacificata, secondo altri (e, a giudicare dai fatti, si direbbe che questi ultimi non sono lontani dal vero). Se ci allontaniamo dalle grandi narrazioni su cui i nostri connazionali si sono duramente combattuti, e continuano a dividersi, potremmo, invece, trovare una specie di mito fondativo intorno al quale non c'è litigio che tenga.
Certo, un mito «minore», trasversale alle ideologie politiche, ma ben presente a tutti quanti gli italiani, indistintamente, e soprattutto a coloro che l'hanno vissuto direttamente nei fondamentali anni della loro adolescenza.
Stiamo parlando del liceo, che in questi mesi furoreggia da indiscusso e indiscutibile protagonista sul grande e piccolo schermo. E, si sa, quando un tema diventa oggetto di racconto cinematografico e, soprattutto, televisivo (siamo o non siamo italiani?), allora, bingo!, vuol proprio dire che la questione è parte di un idem sentire (ah, il latino, reminiscenza liceale…), che attraversa tutte le generazioni. Su Rai Uno la fiction Fuoriclasse, ambientata in un liceo scientifico torinese, con la «prof.» di lettere Isa Passamaglia interpretata da Luciana Littizzetto (e il marito separato Neri Marcorè) ha fatto share altissimi (e già avevamo assistito, non molto tempo fa, su Canale 5, alla serie I liceali con Claudia Pandolfi e Giorgio Tirabassi). Al cinema imperversa, all'insegna di un successo imprevisto (ma a conferma della formula «Re Mida» di tutto quello che richiama la stagione liceale), Immaturi, un nome un programma, del regista Paolo Genovese, in cui un gruppo di quasi quarantenni si trova forzatamente (ma entusiasticamente) obbligato a rimettersi sui libri di scuola a causa del kafkiano annullamento del diploma scolastico. Altrettanti drama (come dicono gli specialisti di fiction) e drammi liceal-adolescenziali che ci mostrano un immaginario pop che continua a ruotare, mutatis mutandis, intorno al Compagno di scuola, come avrebbe cantato Antonello Venditti.
Non è più il liceo disegnato da Giovanni Gentile (amato, non a caso, anche dai comunisti), e oggi se ne contano almeno sei, ma il suo carattere di pietra miliare rimane, anzi, viene ulteriormente rilanciato, diventando la nostra vera memoria condivisa, uno dei fondamenti dell'identità italiana (il nome di una nota collana della casa editrice il Mulino sotto le cui insegne, qualche anno or sono, non a caso, era uscito anche un libro dedicato a Il liceo classico, scritto dallo storico della scuola Adolfo Scotto di Luzio). Non foss'altro perché tante generazioni hanno sgobbato e sudato nei primi mesi di calore estivo sotto il giogo della «matura» e, in una società secolarizzata come questa, l'esame di maturità è rimasto, probabilmente, l'unico rituale di iniziazione, l'ultima (tremenda) prova di passaggio che separa dall'ingresso definitivo nell'età adulta. E, infatti, Fausto Brizzi, vero sismografo dei gusti di massa della società italiana, ha costruito la propria fortuna, e un pubblico vastissimo, intorno a Notte prima degli esami, capostipite di un filone e all'origine di sequel e spin-off, sempre a partire dall'atto finale di una carriera liceale.
Quante volte, del resto, quando diciamo «ai nostri tempi», pensiamo proprio a quell'epoca. E, venendo alla nostra, di epoche, certi licei che organizzano, come attività extra (o intra) curricolari, iniziative culturali, presentazioni di libri e conferenze, rappresentano altrettante meritorie isole di civiltà (o fortezze Bastiani, come sono portati a credere i più pessimisti) nella fitta giungla della sottocultura e dell'incultura dilaganti.
Proprio un pilastro dell'identità collettiva, perché del liceo gli italiani, tutto sommato, si fidano e vi si aggrappano - non diversamente da quanto accade con la Benemerita - di fronte al naufragio generale di questi anni. Il liceo, alla fin fine, è una delle istituzioni più solide di questa nostra nazione a volte un po' troppo liquida e, d'altronde, la precede, in virtù della legge Casati del Regno di Sardegna del 1859; teniamolo a mente nel corso di questo centocinquantesimo che, chissà perché, anziché essere motivo di festa si è tramutato in un calvario.
E, dunque, teniamocelo ben stretto questo liceo-mito fondativo, che è un po' come la prima volta, e non si scorda veramente più…
5. Con l'Iva ai comuni cresce la differenza tra Nord e Sud. di Saverio Fossati e Gianni Trovati. La compartecipazione Iva punta decisamente a Nord. Anche l'analisi del gettito per provincia, cioè secondo il metodo individuato dall'ultima versione del decreto sul federalismo municipale, conferma la geografia squilibrata del gettito, che premia soprattutto i grandi centri nelle regioni settentrionali e si riduce al lumicino nelle province calabresi, campane e sarde.
Il gettito provinciale è l'unità di misura individuata dal provvedimento, che in pratica prevede un meccanismo in tre tappe: si fissa l'aliquota nazionale di compartecipazione, tale da garantire ai comuni i 2,8 miliardi che nelle versioni precedenti del testo erano assicurate dalla devoluzione di una fetta di Irpef, si applica l'aliquota al «gettito Iva» della provincia e, all'interno di ogni provincia, si redistribuisce il tutto ai comuni in proporzione al numero di abitanti. I numeri nella tabella qui sotto stimano la dote che ogni comune potrebbe ricevere sulla base dell'Iva dichiarata nel 2008 (ultimo anno di cui si hanno al momento le analisi provinciali). Dietro a Milano e Roma, «fuori quota» con 201 e 162 euro per abitante, la classifica divide l'Italia nettamente in due: in alto il Nord e in basso il Sud, con Crotone, Caserta e Cosenza che si piazzano a livelli anche 100 volte inferiori rispetto alle città di testa.
Per capire a fondo gli effetti reali della nuova compartecipazione, in realtà, andrà chiarita meglio quale sarà la base delle risorse da distribuire ai sindaci. Il testo parla di «gettito Iva» ma questa espressione non è delle più lineari. Le analisi delle Finanze indicano come «competenza giuridica» Iva un importo che, nel 2007 (ultimo dato disponibile con il dettaglio provinciale) era di circa 120 miliardi, e gli stessi tecnici del dipartimento confermano che la norma indica «il gettito iscritto nel bilancio dello stato».
Il problema è che quei soldi lo stato non li ha, perché rimborsi, compensazioni e trasferimenti all'Ue riducono la competenza giuridica a 80 miliardi circa. Nel caso dell'Iva, il gettito netto così ottenuto è quello che l'Istat inserisce nel Pil: nel 2010 il gettito lordo è calato rispetto al 2009, mentre quello netto è cresciuto, a causa proprio della stretta sulle compensazioni. Se allora la base di calcolo è l'Iva «netta», cioè quella su cui effettivamente lo stato può contare, l'aliquota di compartecipazione si alza intorno a quota 3,5%.
A prescindere da queste (pesanti) incertezze, rimane il fatto che anche la geografia dell'Iva premia in modo consistente i territori più ricchi, dove i consumi sono più intensi (e l'evasione meno incisiva), e aumenta i compiti del fondo perequativo. Nella prima fase dell'applicazione, quella basata sulle medie provinciali, saranno favoriti i comuni nei territori "trainati" dalle grandi città, mentre nella seconda fase saranno i consumi effettivi del territorio comunale a decidere la dote che va al sindaco. 8 febbraio 2011
6. Trento: 2.700 abitazioni sfitte. 08/02/2011 08:55. TRENTO - Nel campo delle finanze comunali e delle imposte sugli immobili, con il federalismo municipale potrebbero cambiare molte cose, sempre che vada in porto. Intanto però il Comune di Trento si attrezza per capire quanti sono in città gli alloggi non affittati e quanti di questi nascondono evasione fiscale e locazioni in nero. In base ad un primo calcolo, basato sui pagamenti dell'aliquota Ici del 9 per mille - quella per abitazioni non affittate appunto - le case sfitte nel capoluogo sono 2.700. Secondo il sindaco Alessandro Andreatta, occorre trovare nuovi incentivi, diversi da quelli fiscali, per riportare questi alloggi sul mercato e affrontare il fabbisogno abitativo utilizzando il patrimonio esistente. Il dato precedente sugli alloggi sfitti a Trento e in provincia risale al censimento 2001, dieci anni fa. Secondo la rilevazione, allora le abitazioni non occupate erano 3.071 su 48.141, oltre il 6%, mentre in tutto in Trentino erano 95.668 su 292.165, qualcosa come il 32%. Tuttavia, sia in città che in provincia, tra metà e i due terzi del totale erano seconde case e case di vacanza, a Trento soprattutto sul Bondone. Il dato attuale si basa invece sulla specifica aliquota Ici per le case non affittate. Il Comune incassa per l'Ici complessivamente circa 20 milioni di euro. Sulla prima casa, come nel resto d'Italia, l'imposta non si paga più. Ci sono ancora casi di aliquota agevolata al 4 per mille, ad esempio se si tratta di abitazioni principali concesse in locazione ad affitto concordato, che coincide con il canone moderato del piano provinciale di edilizia pubblica.
7. Il Nord Est ritrova fiducia ma il lavoro resta al palo. Ci sono indicatori e indicatori. E quando la semplice osservazione del quotidiano coincide con i sondaggi sulle aspettative e sulla fiducia, allora vuol dire che le cose, economicamente parlando, vanno finalmente meglio per le imprese. Per dire che il peggio è passato Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza e gran patron vitivinicolo, utilizza anche l'immagine retorica - ma efficace - della convivialità: «Un anno e mezzo fa i ristoranti erano quasi vuoti. Oggi sono più che mezzo pieni».
Questo per dire, come ha evidenziato un'indagine di Confindustria Padova e Fondazione Nord Est, che secondo due terzi delle imprese di zona la ripresa dell'attività produttiva, iniziata nel 2010, continuerà anche quest'anno. Sarà «lenta e modesta», secondo la maggior parte delle oltre 300 aziende intervistate, anche se i due aggettivi tradiscono una componente scaramantica.
Dal Nord Est, dunque, qualcosa di nuovo, almeno negli umori, che come sappiamo sono importantissimi per la sostenibilità della crescita, la ripartenza degli investimenti e dell'occupazione.
L'avamposto italiano sui mercati internazionali ha ripreso a esportare a buon ritmo e quasi metà (45,6%) delle imprese padovane chiuderà il bilancio 2010 con un fatturato in aumento. La schiera degli ottimisti (ma cauti) risulta maggiore nel metalmeccanico (82% rispetto al 77,9% degli altri comparti) che avrebbe agganciato la robusta crescita tedesca e quella spettacolare degli emergenti ormai emersi, Cina e India in testa. Con la Germania, però, non tutti i conti tornano. Pur restando il primo partner economico-commerciale dell'area, il suo peso relativo si sta riducendo: «Dobbiamo capire bene quanto delle tradizionali forniture nordestine della meccanica ai grandi gruppi tedeschi ci viene sottratta, ad esempio, dai nuovi player cinesi», si chiede Alessandro Vardanega, presidente di Unindustria Treviso. Sarà probabilmente il rompicapo dei prossimi mesi, salvo magari ritrovare in Cina e India e Brasile e Russia, un po' di beni strumentali made in Italy al seguito dei colossi tedeschi.
«Le imprese hanno reagito, hanno saputo riorganizzarsi e integrarsi in filiere lunghe», dice Massimo Pavin, nuovo presidente degli industriali di Padova. Per queste, continua, l'attività è ripartita nel 2010, grazie a un afflusso accelerato di nuovi ordini, specie dall'estero, e il ritorno di mercati importanti come Stati Uniti e Russia, con un +24 e +18,5% nei primi nove mesi, nonché Cina e India (rispettivamente +26% e 61,3%). «C'è ancora parecchia strada da fare - avverte - poiché siamo ancora 13 punti sotto i livelli pre-crisi, ma i numeri di oggi autorizzano a un cauto ottimismo. La ripresa può avere prospettive di continuità e crescere d'intensità se sarà adeguatamente accompagnata». Un'azienda che sintetizza bene la "capacità di rimbalzo" nordestina nei confronti delle avversità congiunturali del biennio 2008-2009, è la Green Box di Piove di Sacco. Produttrice di sistemi di raffreddamento e controllo della temperatura nell'ambito dei processi industriali, 14 milioni di fatturato di cui il 75% all'export, ha visto quasi dimezzarsi le vendite nel periodo. Ciononostante, non ha fatto marcia indietro su un importante investimento previsto da tempo: «Tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 - racconta il presidente e amministratore delegato, Franco Spiandorello - abbiamo deciso di andare avanti con l'apertura di una filiale commerciale negli Stati Uniti. Probabilmente anche grazie a questa scelta, che solo da poco comincia a dare i suoi frutti, l'anno scorso abbiamo registrato un balzo del 90% del fatturato. Abbiamo recuperato quanto avevamo perduto, con tanto di interessi. E siamo riusciti ad assumere personale».
Anche se hanno dimostrato di sapersela benissimo cavare da sole, le aziende nordestine gradirebbero comunque un certo accompagnamento nella rincorsa della crescita. Sulle misure più efficaci per rendere la ripresa sostenibile, gli imprenditori padovani hanno le idee chiare: una larga maggioranza (78,3%) indica gli sgravi fiscali e contributivi sulle retribuzioni come prioritari, seguiti dalle agevolazioni, sempre fiscali, agli investimenti, e dalla disponibilità di credito per le imprese. L'inchiesta conferma inoltre che a questi livelli e a fronte di un ottimismo ancora cauto, non ci sono le precondizioni per una forte crescita dell'occupazione, che resterà stazionaria secondo il 64,1% degli intervistati.
Lo stesso Alessandro Vardanega non vuole utilizzare la parola «ripresa» per definire l'attuale ciclo economico del Nord Est, non ancora almeno: «È senza dubbio migliorato il clima, c'è maggior fiducia, gli ordini sono in crescita, ma non pronuncerei la parola magica fino a quando non avremo completamente recuperato i livelli pre-crisi». Sottolinea inoltre l'importanza del miglioramento delle aspettative, «sulle quali si potranno costruire, spero già quest'anno, le decisioni d'investimento, in modo da ripartire nel prossimo anche sul fronte occupazionale». Le cose nel 2010 sono decisamente migliorate anche per Gianni Zonin e il suo colosso vitivinicolo. Ma come accade ormai da tempo, è dovuto andarsela a cercare altrove la crescita a doppia cifra: «Negli ultimi anni abbiamo completamente riconfigurato la nostra capacità di penetrazione sui mercati internazionali. Solo nel 2005 il fatturato era per il 65% in Italia e il 35% all'estero. Adesso l'export rappresenta il 60 per cento». L'anno scorso le vendite sono aumentate del 17%, con crescita anemica in Italia (+1,8%) e del 30% al di fuori dei patri confini.
8. Basilicata. La Regione usa le royalty del petrolio per i costi sanitari. VIGGIANO - L'utilizzo delle royalty concesse per l'estrazione del petrolio in Val D'Agri sono costantemente al centro del dibattito nella regione per l'appropriatezza del loro utilizzo. Dovrebbero essere destinate allo sviluppo economico-lavorativo e al controllo dell'ambiente principalmente della Val D'Agri, che dall'attività di estrazione petrolifera e della sua raffinazione ne subisce i danni diretti.
Ci sono stati studi che hanno fatto sapere che i ricoveri per malattie respiratorie dei residenti di quella valle sono anche doppi rispetto alle altre zone della regione. Si sono avute notizie di espansione dell'attività di estrazione e del raddoppio del centro oli di Viggiano. E la polemica cresce sempre più soprattutto sull'utilizzo dei fondi derivanti da quell'attività. In particolare i consiglieri regionali Idv (Italia dei Valori), provenienti dalla Val D'agri, Enrico Mazzeo e Antonio Autilio e il consigliere provinciale Vittorio Prinzi, stanno lamentando in più occasioni che quei soldi invece di essere destinati agli scopi per i quali sono stati richiesti e ottenuti, vanno ad appianare debiti e vengono utilizzati per la spesa corrente. La spesa corrente della Regione Basilicata è per la maggior parte rappresentata, il 93%, da quella sanitaria che è anche la spesa per abitante più alta d'Italia.
Sono sempre di più gli addetti ai lavori ma anche del mondo politico che parlano di sprechi eccessivi in questo settore e che per coprirli si utilizzano impropriamente le royalty del petrolio. Da qui, lo sostengono anche gli osservatori più attenti, la necessità di rivedere la spesa sanitaria e gli indirizzi della proposta del nuovo piano che si appresta a essere valutato dalla commissione sanità e poi da consiglio regionale. Intanto c'è chi lamenta che si stiano preparando reparti doppione a poca distanza fra loro dei quali non ci sarebbe la necessità. Di una rete integrata regionale fra reparti che non decolla per resistenze e anche per gelosie, come spesso accade nel mondo della sanità. Poi c'è chi vede in atto il tentativo di ridimensionare le attività da una parte per ampliarle da altre.
È nota la «querelle» fra il Crob-Irccs di Rionero e l'Azienda ospedaliera regionale San Carlo di Potenza. Per esempio sono stati impiantati due reparti di ematologia pressocché identici al Crob e al San Carlo che effettuano le stesse cure e terapie. Un solo centro di quel genere è giustificato per un milione di abitanti. In Basilicata ce ne sono due per 600.000. Si sente parlare dell'istituzione di altri reparti già attivi al San Carlo identici anche al Crob, con la naturale conseguenza della crescita e la dispersione della spesa.
 

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