8 marzo. Questione femminile e futuro della Basilicata
Gli atenei siciliani spengono le idee
Palermo - Una bella passeggiatina in centro tra 1400 palazzi pronti a crollare.
Col federalismo fiscale finalmente vanno via gli amministratori spreconi.
Armao: “Fino ad oggi perequazione fiscale e infrastrutturale senza traccia”
Nuovo 118: risparmi per 30 milioni. di Massimo Mobilia.
In catene sindaco di Mottola: difendo il nostro ospedale.
Carburanti: proseguono rincari, al sud benzina a 1,61 litro.
Scopelliti incontra i precari risposte per la stabilizzazione
La crisi si mangia gli atenei, iscrizioni a picco
Federalismo, batosta per le casse delle città calabresi
Notte di sbarchi a Lampedusa
Reggio: falsa indigenza per ottenere gratuito patrocinio, 7 denunce
La Herling: «Su Croce, Saviano inventa storie»
8 marzo. Questione femminile e futuro della Basilicata
08/03/2011 Declino demografico e questione femminile sono i due nodi principali da sciogliere per avere un futuro in Basilicata.
Senza capitale umano, soprattutto giovanile, non si può dar luogo a qualsiasi progetto di crescita, pur disponendo di altre risorse finanziarie, infrastrutturale, imprenditoriali.
Ed il capitale umano comincia a scarseggiare nella regione, per effetto della emigrazione di una parte rilevante della migliore gioventù lucana che attualmente vede circa 10 mila giovani, per lo più laureati, al lavoro con contratti precari al centro-nord e oltre 30 mila studenti universitari lucani che stanno in attesa di seguirne le orme, avanti ad una domanda di lavoro regionale poco coerente con le loro aspettative.
La componente femminile è magna pars nei due fenomeni accennati: pur contribuendo al tasso di nuzialità del 4,1 per mille abitanti, attestandosi sulla media nazionale e pur marcando una minore propensione alle separazioni (8,5 ogni 10mila abitanti, a fronte del 14,1 dell’Italia) ed ai divorzi ( 3,7 ogni 10mila abitanti contro i 9,1 attivati a livello nazionale), le donne lucane hanno poco più di un figlio a testa (1,21), contro l’1,42 della media italiana, scostandosi di molto dalla soglia di ricambio generazionale che è del 2,1.
Se associamo il basso tasso di fecondità a quello della mortalità della popolazione lucana, ne ricaviamo un dato ancora più preoccupante e cioè che abbiamo più decessi che nati-vivi, un saldo negativo che va cumulato col saldo altrettanto negativo relativo al fenomeno migratorio. Anche nelle vicende demografiche, e non solo quindi in quelle economiche, siamo di fronte ad una tempesta perfetta.
Come rendere fisiologiche le variabili demografiche, è presto detto: occorre bloccare l’esodo dalla regione e invogliare le donne a fare più figli, un combinato disposto difficilissimo da realizzare, perché presuppone una domanda di lavoro elevata, sia qualitativamente che quantitativamente.
Una domanda di lavoro che deve investire in profondità la componente femminile che è quella più penalizzata, sia come partecipazione al mercato del lavoro (il grosso degli “scoraggiati” riguarda proprio le donne) e sia come collocazione professionale e di reddito nel mondo della produzione.
Le donne lucane fanno pochi figli, perché lavorano poco e male (ad esempio nel lavoro sommerso, per definizione sottopagato).
Oggi la donna sa che mettere al mondo dei figli, istruirli, garantire loro un livello di benessere accettabile, comporta risorse che spesso una famiglia monoreddito non può disporre.
Ne consegue che il lavoro femminile è ,nel contempo, una emergenza ed una priorità: serve per conseguire la parità delle opportunità lavorative tra maschi e femmine, un traguardo ancora molto lontano, e soprattutto è finalizzato a spingere la donna ad elevare il suo tasso di fecondità che è una delle condizioni primarie per impedire il declino demografico.
Occorrono politiche ad hoc da considerare centrali in un piano di sviluppo socio-economico e di un conseguente piano del lavoro, in cui appunto il ruolo della donna acquisti funzione e valore di straordinarietà, prevedendo un maggiore ricorso al part time, attualmente poco diffuso in Basilicata che meglio consente di conciliare lavoro e famiglia, misure di maggiore incentivazione per il reingresso al lavoro per le donne dopo la maternità, il rilancio di specifiche misure per l’imprenditoria femminile e così via.
Alle donne è richiesto una maggiore capacità d’iniziativa nell’intrapresa economica, esistendo in Basilicata rilevanti opportunità d’impresa nell’artigianato, ed in quello artistico in particolare, nelle attività terziarie, in agricoltura,sicuramente alla portata del mondo femminile, dato che comportano modesti impieghi di capitale, tempi di avvio delle attività molto contenuti e spazi d’intervento riguardanti le vocazioni economiche locali, di per sé poco esposti alla concorrenza esterna, soprattutto di quella del mercato globale.
La bravura delle donne dovrà essere quella di sviluppare la cooperazione tra le attività, mirando a creare circuiti di rete, contratti ed intese commerciali per dar luogo a soglie dimensionali di gestione della commercializzazione delle produzioni che in molti rami di attività necessariamente hanno localizzazioni diffuse sul territorio ed entità produttive ridotte che occorre appunto concentrare in determinati punti di vendita, garantendo le necessarie economie di scala richieste per azioni di collocamento e marketing dei prodotti.
Produzione diffusa e concentrazione della commercializzazione possono essere la formula vincente per imporsi su un mercato almeno interregionale. In questa ottica può fare molto, in termini di promozione e formazione delle relative strutture organizzative, la Regione Basilicata.
Ma alla donna lucana è richiesto, anche e soprattutto, un salto di qualità come soggetto sociale: il familismo amorale, il clientelismo, la dipendenza dalla politica, non sono fenomeni solo maschili, vengono assecondati anche dalla donna. L’idea del posto fisso nella pubblica amministrazione fa parte di un cultura, nella quale non è estranea la componente femminile (vedasi le sollecitazioni di associazioni femminili in direzione di misure di precariato occupazionale nella PA che sono un “imbroglio” per gli stessi potenziali destinatari).
La donna ha una essenziale funzione educativa da svolgere ( insieme al maschio, per la verità). Spesso faccio fatica a distinguere in politiche di genere le azioni di sviluppo civile ed economico. Per questo mi riesce difficile comprendere le “quote rosa” nelle diverse rappresentanze istituzionali. Sono collocazioni da conquistarsi, puntando sulle proprie capacità, sui propri meriti: rivendicare rendite di posizione non mi sembra il modo migliore per affermarsi in qualsiasi ambito.
Certo, il momento attuale non è dei migliori: il “berlusconismo”, il “leghismo” stanno facendo emergere la parte peggiore di tutti noi; non offrono un quadro di azione molto favorevole, alimentando modelli, costumi, comportamenti che non prevedono molta dignità delle persone, grandi aperture mentali, indipendentemente dal genere, a cui si appartiene. Il servilismo, le scorciatoie per avere successo, l’adulazione del potente stanno permeando la vita di una parte cospicua della popolazione italiana. E non è a dire che in Basilicata ne siamo esenti. La donna lucana può contribuire ad uscire da questa deriva morale, incominciando a rivedere il proprio modo di essere in famiglia, con i figli, nei rapporto con la società e con le forme di partecipazione democratica che la caratterizzano: entri massicciamente in politica, stabilisca alleanze con le forze migliori della società, della scuola, dell’università, mettendo in discussione, d’intesa con i maschi, le sue fondamenta culturali, tutti fattori che poi sono i tanti modi per essere cittadini e non sudditi.
Nino D’Agostino
Gli atenei siciliani spengono le idee
di Liliana Rosano. Ricerca. Si tagliano i fondi si perdono occasioni.
Cervelli in fuga. Negli ultimi 20 anni l’Italia ha perso quasi 4 miliardi di euro di mancato ricavo per brevetti e invenzioni di cervelli in fuga che hanno trovato terreno fertile all’estero.
Amministrativi. Mentre si riducono sempre più i soldi per la ricerca, le tre università siciliane continuano a spendere ogni anno oltre 600 mln pe ril personale (6.000 docenti e 6.000 amministrativi). Vale fino a 148 milioni la fuga di un cervello di casa nostra all’estero. è questo il risultato che ha provato a calcolare l’Icom, Istituto per la Competitività, in un’indagine commissionata dalla Fondazione Lilly, che promuove la ricerca medica, e dalla Fondazione Cariplo: negli ultimi 20 anni l’Italia ha perso quasi 4 miliardi di euro. La cifra corrisponde a quanto ricavato dal deposito di 155 domande di brevetto, dei quali “l’inventore principale è nella lista dei top 20 italiani all’estero” e di altri 301 brevetti ai quali diversi ricercatori italiani emigrati hanno contribuito come membri del team di ricerca. Questi brevetti in 20 anni sono arrivati a un valore di 3,9 miliardi di euro. La Fondazione ha poi calcolato il rendimento del brevetto: per esempio, un farmaco anticancerogeno introdotto recentemente nel mercato ha generato un fatturato annuo di poco meno di due miliardi di euro. (continua)
Palermo - Una bella passeggiatina in centro tra 1400 palazzi pronti a crollare. di Luca Insalaco. L’assessore Carta replica ricordando il piano di investimenti da 24 mln € per il restauro degli edifici. Immobili pericolanti e in stato di forte degrado: un’emergenza tutta da affrontare. PALERMO - È un centro storico che si sbriciola quello palermitano. Sono ben 1406 gli immobili a rischio che presenti nel cuore della città vecchia. Di questi, 700 sono pericolanti (356 dei quali con pericolo di crollo imminente) e i restanti 700 in stato di forte degrado. A dare la consistenza del pericolo in cui versa il capoluogo sono gli uffici comunali al centro storico in risposta ad un’interrogazione presentata dal gruppo consiliare Un’Altra Storia.
“L’amministrazione – accusa la consigliera Nadia Spallitta - per la carenza di fondi assegnati a questo settore, annualmente riesce a eliminare il pericolo solo su 6/8 unità edilizie, per interventi sostituivi in danno dei proprietari inadempienti, che per lo più - senza sanzioni da parte della pubblica amministrazione – hanno abbandonato negli anni i loro immobili. Si tratta di un numero evidentemente irrisorio e inidoneo a garantire la sicurezza dei cittadini”. La capogruppo di Un’Altra Storia critica la mancanza di programmazione e di investimenti del Comune per eliminare i rischi, con la conseguenza che attualmente in centro potrebbero avverarsi centinaia di crolli. In presenza di rischi o di crolli, tuttavia, il Comune non sarebbe saprebbe neppure dove alloggiare gli sgomberati: “Per questo motivo – ricorda la Spallitta - dal 2002 ad oggi, sono state sgomberate solo 30 famiglie. Le altre continuano a vivere in immobili degradati e fatiscenti”.
Oltre al pericolo che incombe sui cittadini, c’è anche un danno erariale per l’amministrazione. In caso di interventi sostituivi, nel lungo tempo, il Comune riesce a recuperare una minima parte delle somme investite, ovvero solo il 25%. Se la situazione degli immobili privati è critica, quella degli edifici pubblici non è meno preoccupante: “Per quelli inseriti nella mappa del rischio – spiega la Spallitta, che presiede la commissione Urbanistica - il Consiglio Comunale ha assegnato 2 milioni di euro per il pronto intervento e la messa in sicurezza di immobili di proprietà comunale degradati, e rientranti nella mappatura del rischio, stanziamento che tuttavia - ad oggi – non è stato in concreto impegnato in mancanza delle progettazioni esecutive”.
Alla luce del grido di aiuto che arriva dal centro storico, per la consigliera, che di recente ha aderito a Sinistra e Libertà, è “indispensabile che nella nuova programmazione economica si affronti - una volta per tutte - la questione delle emergenze edilizie del centro storico, a salvaguardia della salute e della incolumità dei cittadini, ma altresì a tutela di un patrimonio storico che, anno dopo anno, si degrada e si perde”.
L’amministrazione comunale risponde annunciando un piano operativo per l’utilizzo di 24 milioni di euro di economie provenienti dalla L.R. 25/93, “da utilizzare come spinta propulsiva al restauro degli edifici monumentali, al recupero del tessuto edilizio, sia pubblico che privato, alla messa in sicurezza degli edifici e soprattutto alla riqualificazione degli spazi pubblici”.
In particolare uno stralcio da circa 18 milioni di euro sarà destinato ad opere pubbliche, mentre un secondo stralcio, da 6 milioni di euro, è destinato ad un bando per contributi ai privati per il recupero di immobili monumentali o fortemente degradati e pericolanti inseriti nella mappa del rischio. “Si tratta di un piano di interventi di grande importanza – afferma l’assessore al Centro storico, Maurizio Carta – che potremmo definire di ‘salute pubblica e di incentivo’ perché concentra la sua azione contemporaneamente su un piano di manutenzioni mirate al benessere degli abitanti del centro storico e sullo stimolo all’iniziativa privata, soprattutto dedicata all’edilizia pericolante. Una parte cospicua dei cantieri inizierà entro l’anno”.
Col federalismo fiscale finalmente vanno via gli amministratori spreconi. di Maria Rosaria Minà. Urge la riforma della contabilità pubblica alla luce della legge nazionale 196/2009: lo sottolinea la Corte dei Conti Sicilia. Uno degli aspetti positivi dell’attuazione della legge 42/09, evidenziato da La Loggia (pres. Copaff). PALERMO - “Il federalismo fiscale è un tema di grande attualità, che la Sicilia accoglie come una sfida e con spirito di responsabilità. Il rapporto di controllo e vigilanza svolto dalla Corte dei Conti in tale contesto è insostituibile e prezioso”. Con questa antifona Raffaele Lombardo, presidente della Regione Sicilia, apre i lavori del Convegno “Riforma della contabilità pubblica, avvio del federalismo fiscale e adeguamenti organizzativi”, organizzato dalla Sezione di controllo della Corte dei Conti-Sicilia, e presieduto da Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti.
Nel corso dell’incontro, che si è svolto lo scorso 4/5 marzo presso la Sala Gialla di Palazzo dei Normanni, i tre profili in questione sono stati affidati ad interlocutori d’eccezione. Il loro intervento ha contribuito a fare chiarezza sulla riforma del federalismo fiscale, peraltro in itinere, e che al momento, solleva da più parti diverse perplessità.
Per Rita Arrigoni, Presidente Corte dei Conti per la Sicilia, intervenuta alla presentazione del convegno, “c’è urgente necessità di rivedere le leggi che regolano la contabilità pubblica”. “La legge di riferimento è del 1977, modificata nel 2008, da una riforma nata già vecchia”, stigmatizza Salvatore Di Gregorio, vicesegretario generale dell’Ars, intervenuto sulla questione.
Sono inoltre entrati nel merito Paolo De Ioanna, Consigliere di Stato, Rita Perez, Ordinario di diritto Pubblico presso l’Università La Sapienza di Roma; Maurizio Meloni, Presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei Conti.
Sull’attuazione del federalismo fiscale è intervenuto Loris Tosi, Ordinario di Diritto Tributario, dell’Università Cà Foscari di Venezia, che evidenziando le criticità che riguardano il federalismo municipale, lo ritiene una riforma tutt’altro che epocale: “Il legislatore si accinge a varare un provvedimento di ordinaria risistemazione ed al più semplificazione, da cui emergono incoerenze che impediscono la sostenibilità delle soluzioni proposte”. Qualche dubbio, seppur su versante differente, lo ha anche Mario Ristuccia, Procuratore Generale della Corte dei Conti, il quale, relativamente ai meccanismi sanzionatori e premiali, contemplati dall’art.2 della L.N.42/09, riscontra “una evidente sfiducia nei confronti del sistema operante, e lo spostamento sul piano politico del sistema sanzionatorio, che potrebbe costituire ragione sufficiente per ammettere l’immutata praticabilità dei rimedi giurisdizionali”. Per quanto riguarda i costi standard Andrea Parlato, ordinario di diritto Finanziario, Università di Palermo, entrato nel cuore della questione, si chiede: “qual è il costo del costo standard?”. Chi invece scorge, con chiarezza, una nota positiva nella riforma è Enrico La Loggia, Presidente della Commissione Parlamentare per l’attuazione del Federalismo fiscale, secondo cui “il federalismo potrà colpire solo gli amministratori spreconi, di certo non i cittadini”.
Nella terza sessione, che affronta gli aspetti del federalismo per le autonomie locali e gli adeguamenti organizzativi hanno dato il loro contributo Giuseppe Verde, Ordinario di Diritto Costituzionale, Giovanni Petruzzella, ordinario di Diritto Costituzionale -Università di Palermo, Maria Immordino, ordinario di Diritto Amministrativo-Università di Palermo, Carlo Chiapparelli, Consigliere della Corte dei Conti-sezioni riunite in sede di Controllo.
Armao: “Fino ad oggi perequazione fiscale e infrastrutturale senza traccia”
PALERMO - “Il federalismo fiscale è una riforma importante che si misura con le difficoltà di una forte divaricazione tra Nord e Sud del Paese”. Con questa premessa Gaetano Armao, assessore all’Economia della Regione siciliana, apre il suo intervento al Convegno Riforma della contabilità pubblica, avvio del federalismo fiscale e adeguamenti organizzativi, ribadendo, ancora una volta, i limiti di una riforma nel cui processo di affermazione interseca l’onda della progressiva dissoluzione dei punti di forza dell’autonomia siciliana. In tal senso per l’assessore il federalismo in Sicilia è possibile solo se è garante dello statuto siciliano che è e rimane un riferimento sicuro di qualsiasi regionalismo preso sul serio. A tal proposito dichiara: “Il Governo regionale, sin dalla diffusione delle prime versioni dei testi normativi, ha avviato un confronto serrato con il Governo nazionale, affinchè siano garantite le condizioni necessarie per una crescita equilibrata”.
E chiarisce: “La sentenza n. 201/2010 è stato certamente uno step determinate a favore della Sicilia: la Corte Costituzionale ha difatti blindato gli artt.15,22,e 27 della legge 42/2010 – concernente delega al Governo in materia di federalismo fiscale, ritenendoli gli unici a cui si debba far riferimento nella trattativa tra Stato e Regioni. In senso metaforico, il legislatore ha affidato il cammino del federalismo a due gambe forti, la prima delle quali è circoscritta nell’art. 22, che riguarda la perequazione fiscale, mentre l’art.27 dovrebbe riguardare la perequazione infrastrutturale. Ebbene, da quello che emerge dal dibattito sino ad adesso sviluppato, la perequazione fiscale è appena accennata, mentre quella infrastrutturale è del tutto inesistente; è evidente che questo federalismo è più che claudicante, e rischia di naufragare dopo qualche metro”.
“Detto questo -conclude Armao - oggi più che mai è necessario vigilare sul processo attuativo del federalismo fiscale a livello nazionale, al fine di tutelare le prerogative uniche che lo Statuto riconosce alla Regione siciliana, chiedendo altresì l’immediata apertura del tavolo di trattative sulla perequazione infrastrutturale”.
Nuovo 118: risparmi per 30 milioni. di Massimo Mobilia. Il decreto di riordino del nuovo Sistema urgenza emergenza sanitaria (Sues) dell’assessore Russo. Dai 166 mln del 2009 ai 136 previsti per il 2011. Tagli su ambulanze ed elisoccorso. PALERMO – Nella Sanità siciliana il servizio del “118” sta vivendo, da qualche anno a questa parte, un processo di riordino nell’idea di razionalizzazione mezzi e uomini per ridurre i costi e ottimizzare il servizio. Il 4 febbraio scorso è arrivata la firma dell’assessore regionale al ramo, Massimo Russo, sul decreto di approvazione del documento recante gli interventi di riordino del Sistema di urgenza emergenza sanitaria in Sicilia, gestito dalla Seus, società consortile per azioni a capitale interamente pubblico, costituita il 22 dicembre 2009 tra la Regione siciliana, socio pubblico di maggioranza e le Aziende del Servizio sanitario regionale.
Un Sistema che nel 2010 è costato alla Regione 151 milioni e 244 mila euro e che, secondo l’ultimo decreto, si prevede possa costare, alla fine del 2011, 136 milioni e 157 mila euro (vedi tabella in pagina), per un risparmio di oltre 15 milioni di euro. Già l’anno scorso erano stati risparmiati circa 15 milioni rispetto ai costi del 2009 che ammontavano a 166 milioni e 244 mila euro. Quindi, se alla fine di quest’anno le previsioni saranno rispettate, la Regione avrà risparmiato in due anni 30 milioni e 86 mila euro. Una bella cifra se si pensa che il 118 è da sempre stato uno dei servizi più onerosi da mantenere.
Questo risparmio va a toccare, in particolare, solo due delle voci di spesa sostenute: il costo delle ambulanze e quello dell’elisoccorso. Sul primo fronte, dei 256 mezzi di soccorso terrestre a disposizione in Sicilia dal 2001 nel nuovo Sues, 79 vengono destinati al cosiddetto “soccorso avanzato” (Msa) con un equipaggio formato da un autista soccorritore, un infermiere e un medico di emergenza territoriale (Met); i restanti 177 mezzi sono definiti “ambulanza di base”, con a bordo solo un autista e un soccorritore.
L’economia nel soccorso avanzato avviene attraverso la riduzione dell’equipaggio e la rimodulazione degli orari. Non saranno più necessari 663 autisti soccorritori (pari a 55 postazioni), permettendo di ridurre l’onere della convenzione con la Croce Rossa. Così, se nel 2009 il personale era costato 77 milioni e 823 mila euro, nel 2010 è costato 62 milioni e 823 mila (15 mln in meno) e questa cifra dovrà confermarsi anche nel 2011.
Per quanto riguarda, invece, il servizio di elisoccorso che fin’ora è costato 18 milioni e 321 mila euro, il 15 gennaio scorso è scaduto il contratto con il gestore (Ati: Elilario Italia e Elilombarda) a cui era stato affidato il servizio che adesso verrà cogestito dal dipartimento regionale di Protezione civile su cui graveranno gli oneri, ad eccezione della parte variabile corrispondente a 2.800 ore di volo annue, ovvero 3 milioni e 324 mila euro che rimarranno a carico del Sues. In questo modo sarà possibile risparmiare quest’anno altri 15 milioni di euro.
Resterà invariato, invece, il costo del personale sanitario di elisoccorso, pari a 1,6 milioni di euro, dovuti ai gettoni di presenza: 33,20 euro l’ora per il medico rianimatore e 18,50 euro l’ora per l’infermiere. Sull’Isola resteranno attive 24 ore su 24, le 5 eliambulanze che stazionano rispettivamente a Palermo (per le province di Palermo e Trapani), Lampedusa (per le Pelagie), Catania (per Catania, Siracusa e Ragusa), Messina e Caltanissetta (per Caltanissetta, Enna e Agrigento).
In catene sindaco di Mottola: difendo il nostro ospedale. MOTTOLA (TARANTO) – Il sindaco di Mottola (Taranto), Giovanni Quero (Pdl), da questa mattina è incatenato davanti all’ospedale cittadino, destinato alla chiusura secondo quanto disposto dal Piano di rientro sanitario della Regione Puglia, destinato ad avere effetto entro il 15 marzo. Il primo cittadino teme che la struttura non sia utilizzata nemmeno come centro di riabilitazione, così come prospettato dalla Regione. Quero non ha nemmeno firmato la delibera dell’azienda sanitaria locale che dispone la chiusura del nosocomio.
Per il momento sono state tutelate solo alcune attività ambulatoriali. «Mi auguro – ha detto ai giornalisti – che il governatore, Vendola, e l’assessore regionale alla Sanità, Fiore, decidano di attivare la riabilitazione in questo ospedale così come da loro promesso. Solo in quel momento ritornerò sui miei passi». «Mi auguro – ha concluso Quero – che questo avvenga in tempi rapidi perchè oggi non è una bella giornata nè per me nè per la mia città».
La protesta di Quero si è conclusa dopo che il direttore generale dell’Asl di Taranto, Domenico Colasanto, gli ha comunicato di aver ricevuto il parere favorevole del presidente della giunta regionale e dell’assessore regionale alle politiche della Salute, per l'attivazione nei tempi più brevi possibili di un modulo di Terapia Riabilitativa Intensiva nell’ospedale di Mottola.
«Questa attivazione – scrive Colasanto in una nota - riconferma la scelta forte operata già al momento dell’approvazione del Pal Aziendale e risolve una questione aperta dal precedente riordino della rete ospedaliera, in quanto finalmente assegna un significato funzionale ed organizzativo alla scelta di riconversione verso la riabilitazione del presidio ospedaliero di Mottola».
Carburanti: proseguono rincari, al sud benzina a 1,61 litro. 8 marzo 2011 ROMA (ITALPRESS) – Prosegue, sull’effetto Libia, il rialzo dei prezzi dei carburanti. Nella nuova ondata di aumenti dei prezzi raccomandati da annotare in rapida successione: Esso (0,5 cent su benzina e diesel) come IP e Q8 e poi Tamoil (0,5 sulla benzina e 1 cent sul diesel) e TotalErg (0,7 sulla sola benzina). Movimenti che si fanno sentire pesantemente sul territorio. È quanto emerge dal consueto monitoraggio di quotidianoenergia.it. A livello Paese, oggi la media dei prezzi praticati della benzina (in modalita’ servito) va infatti dall’1,562 euro/litro degli impianti Tamoil all’1,570 dei punti vendita Eni e Q8 (no-logo a 1,484 euro/litro). Per il diesel si passa dall’1,453 euro/litro delle stazioni di servizio Tamoil all’1,464 rilevato negli impianti Q8 (le no-logo a 1,399). Il Gpl, infine, si posiziona tra lo 0,794 euro/litro registrato nei punti vendita Eni ed Esso allo 0,799 euro/litro degli impianti Q8 e Tamoil (0,771 euro/litro le no-logo). Quanto all’analisi per macroaree (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sud) si segnala, in particolare, che nel Mezzogiorno la benzina raggiunge punte massime di 1,611 euro/litro, mentre il diesel di 1,483 euro/litro. Situazione diversa al Nord-Est dove, nel caso della verde, le compagnie si mantengono poco oltre 1,55 euro/litro con punte minime di 1,52 euro/litro. Al Centro sono da segnalare i casi “virtuosi” di Beyfin e delle no-logo (1,485 e 1,492 rispettivamente sulla benzina). (ITALPRESS).
Scopelliti incontra i precari risposte per la stabilizzazione
Martedì 08 Marzo 2011 08:16 Redazione desk Giuseppe Scopelliti. CATANZARO - Il Presidente della Regione Giuseppe Scopelliti ha incontrato ieri mattina una delegazione di lavoratori precari (ex legge 28), insieme ai rappresentanti sindacali. All’incontro hanno preso parte, inoltre, l’assessore al Lavoro e formazione, Francescantonio Stillitani, il Dg del Dipartimento lavoro, Bruno Calvetta, il commissario di Calabria Lavoro, Pasquale Melissari ed il direttore di Calabria Etica, Pasquale Ruperto. «Nel corso della riunione - spiega una nota - è emersa la difficoltà al ricorso di un percorso di stabilizzazione generalizzata, utilizzato spesso in passato. Chi ha dei rapporti di impiego come precario, con enti e società con affidamenti da parte della Regione, una volta completato il periodo di utilizzo, termina il rapporto. Bisogna mettere da parte la cattiva prassi di utilizzare lo strumento del precariato come anticamera per l’assunzione a tempo indeterminato, evitando il normale iter dei concorsi, strumento sul quale la Regione deve attenersi. Per questi lavoratori, circa 300, al momento verranno utilizzati in progetti Co.Co.Co di utilità sociale, con Calabria Lavoro e Calabria Etica, come già avviene, ad esempio, nei Tribunali. Per il futuro verrà verificato un ventaglio di ipotesi tra cui la riproposizione di alcuni progetti, per dare la possibilità di utilizzarli in attesa di eventuali concorsi, dove, nei limiti della normativa in vigore, possa essere riservata loro una quota. Si valuteranno, inoltre, anche altri strumenti tra cui incentivi per favorire l’assunzione da parte di privati. Si è quindi concordato di ampliare le riflessioni sollecitate dai lavorati ex L. 28, a tutto il mondo del precariato, comprendendo anche gli Lsu/Lpu, al fine di individuare azioni concrete e risposte univoche, senza creare disparità di trattamento all’interno del bacino, coinvolgendo nelle varie fasi i sindacati. I sindacati si sono dimostrati d’accordo sulla strada concorsuale, ribadendo il concetto delle aspettative di questi lavoratori, anche alla luce del fatto che una parte di loro, in precedenza, con le altre amministrazioni, era stata stabilizzata». Nei giorni scorsi, nel corso di un altro incontro presieduto dall’assessore al Lavoro della Regione Calabria, Francescantonio Stillitani, alla presenza delle rappresentanze sindacali di Cisl, Cgil, Uil e Ugl, era stato sottoscritto il nuovo disciplinare, relativo ai Lavoratori Socialmente Utili (Lsu) che raggiungono il numero di 5.278 lavoratori. Il documento, che regola i rapporti tra lavoratore ed ente pubblico utilizzatore è stato modificato in vari punti. In particolare le variazioni riguardano: la possibilità che le ore integrative possano essere recuperate dal lavoratore entro il secondo mese successivo; le modalità di utilizzo dei periodi di riposo.
La crisi si mangia gli atenei, iscrizioni a picco
08 marzo 2011
Meno matricole e meno laureati: così sta arretrando l’Università pubblica italiana. Tutte le facoltà perdono iscrizioni (-5% nell’ultimo anno, -9,2% negli ultimi 4) - anche se le scientifiche tengono meglio - e il Sud e il Centro Italia soffrono di più rispetto al Nord. A fotografare il poco confortante scenario dell’istruzione superiore in Italia (in controtendenza gli atenei privati che registrano un aumento delle immatricolazioni del 2% assorbendo il 6,6% degli immatricolati totali) sono due rapporti, uno realizzato dal Cun (Consiglio universitario nazionale), l’altro elaborato dal consorzio Almalaurea, diffusi ieri dalla conferenza dei presidi.
Sul banco degli imputati certamente c’è la crisi economica - per molte famiglie mantenere un figlio all’università è diventato un costo insostenibile - ma non solo. «Manca una efficace politica di orientamento nelle scuole superiori che sventi il rischio di avere una massa di giovani di serie B rispetto agli altri Paesi», ha spiegato il presidente del Cun Andrea Lenzi puntando l’indice anche contro una campagna mediatica che non ha giovato al settore (si continua a dire troppi laureati, non trovano lavoro ecc...). E sicuramente gli investimenti in istruzione non fanno onore al nostro Paese: fra i 28 paesi dell’Oecd, infatti - ha sottolineato il presidente di Almalaurea, Andrea Cammelli - il finanziamento italiano, pubblico e privato, in istruzione universitaria è più elevato solo di quello della Repubblica Slovacca e dell’Ungheria (l’Italia vi destina lo 0,88% del Pil, contro l’1,07 della Germania, l’1,27 del Regno Unito, l’1,39 della Francia e il 3,11 degli Stati Uniti). Insomma, per dirla con le parole del rettore della Sapienza, Luigi Frati, presente stamani in Crui, si brucia il futuro dei giovani e del Paese se si continua a investire in comunità montane inutili piuttosto che in istruzione e ricerca. Quali che siano le cause, l’università ha perso appeal.
Lo dimostra il fatto che pur essendo aumentati i diplomati delle scuole superiori - +0,9% nel 2010 - si sono iscritti in meno all’università: il 62%, contro il 66% del 2009, il 65% nel 2008 e il 68% nel 2007. Eppure la laurea continua a «pagare»: i laureati presentano un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (77 contro 66%) e anche la retribuzione premia i titoli di studio superiori: risulta più elevata del 55% rispetto a quella percepita dai diplomati. Eppure, anche se meno rispetto all’anno passato, i laureati fanno ancora fatica a trovare lavoro dopo aver messo in tasca il titolo di studio. Considerando i laureati del 2009 emerge che la disoccupazione aumenta, seppure in misura inferiore all’anno scorso, fra i triennali: dal 15 al 16% (l’anno precedente l’incremento era stato intorno al 4 %).
Federalismo, batosta per le casse delle città calabresi
Martedì 08 Marzo 2011 08:24 Redazione desk CATANZARO - E’ di oltre 70 milioni il taglio che le amministrazioni dei capoluoghi di provincia calabresi dovrebbero subire per effetto dell’entrata in gioco del federalismo. E’ quanto prevede la stima elaborata dalla Cgia di Mestre e pubblicata su Corriereconomia. Il salasso maggiore nei trasferimenti delle risorse dallo Stato centrale agli enti municipali riguarda il Comune di Reggio che, in base alla stima, perde 28 milioni 688 mila euro, seguito da Cosenza con 18 milioni 730 mila euro e Catanzaro con 14 milioni 328 mila euro. Pesante segno negativo anche per Crotone che subirebbe un taglio di 9 milioni 76 mila euro e Vibo 4 milioni e 39 mila euro. Una transizione difficile, dunque, quella che si profila per la Calabria. Ma tragli esponenti politici della regione c’è chi rimane fiducioso. E’ il caso del parlamentare del Pdl Nino Foti che, sulla questione, ha le idee ben chiare. «Diventando progressivamente legge dello Stato - sottolinea - il federalismo riguarda tutta l’Italia, le amministrazioni pubbliche, i cittadini. La parola-chiave che ad esso viene collegata è: responsabilità. Una parola dimenticata che ha fatto lievitare la spesa pubblica e ha così sottratto risorse agli investimenti, a quelli che creano la ricchezza che poi viene distribuita: "poi" e non "prima" che sia creata. Si discuterà sui costi standard. Ma questi sono la parte emersa e visibile dell’iceberg: non c’è dubbio che tagliandola, tutta la massa riceverà una spinta verso l’alto. Questo è lo scopo della logica dei costi standard. Una frustata, non decisiva, ma indispensabile per fare comprendere a tutti che nessuno può più vivere di rendita sulle spalle degli altri.Spostando la responsabilità dei bilanci a livello locale, non dovrà essere l’aspetto negativo - cioè i tagli - a prevalere, ma quello positivo: la valorizzazione delle risorse e delle potenzialità locali. Sindaci e governatori non dovranno più piagnucolare, mediare, distribuire, lottizzare. Dovranno rinunciare a questi espedienti della vecchia politica. Dovranno diventare imprenditori del e nel loro territorio. Questo è il senso profondo e positivo del federalismo fiscale».
Notte di sbarchi a Lampedusa
Approdati alle Pelagie altri quattro barconi con 224 migranti a bordo. Negli ultimi due giorni si contano oltre 1.700 clandestini, tutti sono partiti dalle coste tunisine
LAMPEDUSA (AGRIGENTO) - Altri quattro barconi sono approdati in nottata tra Lampedusa e Linosa, dopo i 224 migranti giunti ieri sera.
I primi tre sbarchi, poco prima delle mezzanotte, sono avvenuti direttamente a terra: prima sono stati bloccati sette extracomunitari a Linosa, la più piccola delle Pelagie, poi altri 34 e ancora 36 a Lampedusa. L'ultimo arrivo all'1.50 quando la Guardia Costiera ha soccorso una "carretta" con 83 immigrati a bordo.
Sono 24 i barconi che negli ultimi due giorni hanno raggiunto le Pelagie, per un numero complessivo che sfiora le 1.700 persone. Tutte le imbarcazioni sono partite dalle coste meridionali della Tunisia.
Questa mattina sarà a Lampedusa il commissario straordinario per l'emergenza, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, che incontrerà il sindaco Bernardino De Rubeis e con le forze dell'ordine.
08/03/2011
Reggio: falsa indigenza per ottenere gratuito patrocinio, 7 denunce Martedì 08 Marzo 2011 09:31
I finanzieri del Gruppo di Reggio Calabria, nell’ ambito dell’attività svolta a tutela della spesa pubblica dello Stato, hanno condotto negli ultimi mesi approfonditi accertamenti volti al controllo della corretta applicazione della normativa riguardante l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio delle persone non in grado di sostenere le spese legali per promuovere un giudizio ovvero sostenere la difesa innanzi alla giustizia.
La normativa in questione prevede infatti che per accedere al predetto beneficio, il reddito annuo non deve superare euro 10.628,16.
Nel corso dei riscontri effettuati sono stati scoperti e denunciati alla locale Procura della Repubblica 7 falsi indigenti per reati di falso in autocertificazione necessaria all’ ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
In particolare, i minuziosi riscontri eseguiti hanno permesso di individuare in capo agli stessi la proprietà di diversi beni immobili quali ville e terreni nonché di beni mobili di ingente valore quali auto e moto di grossa cilindrata e da ultimo la titolarità di floride attività commerciali.
In alcuni casi, il reddito accertato si aggirava addirittura intorno ai 40.000,00 euro annui, di gran lunga superiore al limite fissato dalla legge.
L’ azione di servizio in questo delicato comparto è volta a garantire che le somme concesse dall’erario, per motivi assistenziali, non vengano distratte con artifizi e raggiri a persone benestanti, ma siano effettivamente destinate a coloro i quali, secondo la legge, sono veramente bisognevoli e quindi esposti al rischio di marginalità sociale con impossibilità di provvedere, per cause economiche, al mantenimento proprio e della propria famiglia.
Le Fiamme gialle reggine, in considerazione del massiccio e continuo ricorso dei cittadini alle suddette agevolazioni, incentiveranno nell’ anno in corso l’attività investigativa nel comparto con una ancora più serrata opera di monitoraggio.
La Herling: «Su Croce, Saviano inventa storie»
La nipote del filosofo critica un capitolo di «Vieni via con me» sulla ricostruzione del terremoto del 1883 di MARTA HERLING
Caro direttore,
in uno dei suoi monologhi televisivi ora raccolti nel volume Vieni via con me (Feltrinelli), Roberto Saviano afferma (Il terremoto a L'Aquila, p. 7): «Nel luglio del 1883 il filosofo Benedetto Croce si trovava in vacanza con la famiglia a Casamicciola, a Ischia. Era un ragazzo di diciassette anni. Era a tavola per la cena con la mamma, la sorella e il padre e si accingeva a prendere posto. A un tratto, come alleggerito, vide suo padre ondeggiare e subito sprofondare sul pavimento, mentre sua sorella schizzava in alto verso il tetto. Terrorizzato, cercò con lo sguardo la madre e la raggiunse sul balcone, da cui insieme precipitarono. Svenne e rimase sepolto fino al collo nelle macerie. Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: "Offri centomila lire a chi ti salva". Benedetto sarà l’unico supersite della sua famiglia massacrata dal terremoto».
Da dove l’autore di Gomorra ha tratto la ricostruzione di quella tragedia? Dalla sua mente di profeta del passato e del futuro, di scrittore la cui celebrità meritata con la sua opera prima, è stata trascinata dall’onda mediatica e del mercato editoriale, al quale è concesso di non verificare la corrispondenza fra le parole e fatti, o come insegnano gli storici, fra il racconto, la narrazione degli eventi, e le fonti, i documenti che ne sono diretta testimonianza. Uno scrittore che vuole riscrivere quello che altri hanno scritto non con le sole parole ma con l’esperienza vissuta: dal terremoto di Casamicciola, ad Auschwitz, al gulag, alla Kolyma. Dove Saviano ha orecchiato la storia che racconta nell’incipit del suo monologo? Certo non dalla lettura del testo del suo protagonista principale poiché sopravvissuto, Benedetto Croce, testo che si è tramandato intatto senza una parola in più di commento o di spiegazione, nella nostra memoria famigliare e nelle biografie del filosofo, che lo riportano a illustrare quella pagina tragica della vita sua e dei suoi cari. Ora lo citiamo integralmente per il rispetto e la considerazione che abbiamo dei milioni di ascoltatori del Saviano in versione televisiva e dei lettori, della sua versione a stampa. E per la dignità del ricordo di chi quella tragedia ha vissuto e potuto testimoniare.
Nelle Memorie della mia vita (10 aprile 1902), Benedetto Croce scrive: «Nel luglio 1883 mi trovavo da pochi giorni, con mio padre, mia madre e mia sorella Maria, a Casamicciola, in una pensione chiamata Villa Verde nell’alto della città, quando la sera del 29 accadde il terribile tremoto. Ricordo che si era finito di pranzare, e stavamo raccolti tutti in una stanza che dava sulla terrazza: mio padre scriveva una lettera, io leggevo di fronte a lui, mia madre e mia sorella discorrevano in un angolo l’una accanto all’altra, quando un rombo si udì cupo e prolungato, e nell’attimo stesso l’edifizio si sgretolò su di noi. Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina, fui cavato fuori da due soldati e steso su una barella all’aperto. Mio cugino fu tra i primi a recarsi da Napoli a Casamicciola, appena giunta notizia vaga del disastro. Ed egli mi fece trasportare a Napoli in casa sua. Mio padre, mia madre e mia sorella, furono rinvenuti solo nei giorni seguenti, morti sotto le macerie: mia sorella e mia madre abbracciate. Io m’ero rotto il braccio destro nel gomito, e fratturato in più punti il femore destro; ma risentivo poco o nessuna sofferenza, anzi come una certa consolazione di avere, in quel disastro, anche io ricevuto qualche danno: provavo come un rimorso di essermi salvato solo tra i miei, e l’idea di restare storpio o altrimenti offeso mi riusciva indifferente» .
Non è necessario, né opportuno, sottoporre i due testi a un confronto per evidenziarne le discrepanze, che balzano agli occhi di chiunque li legga l’uno dopo l’altro. Fra tutti i particolari che riporta Saviano, e che non corrispondono alla testimonianza di Croce, uno colpisce: non solo perché inventato dallo scrittore (licenza inaccettabile quando si parla di fatti realmente accaduti), ma improponibile in sé. «Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: “ Offri centomila lire a chi ti salva”. Quel parlare nell’agonia, separati, soffocati e sepolti dalle macerie...; quella cifra inimmaginabile per l’anno 1883, perché non bisogna essere economisti per sapere che il valore della lira a quell’epoca impedisce di supporre una simile offerta dalla mente e soprattutto dalle tasche degli uomini di allora. Forse Saviano ha orecchiato la testimonianza di un turista tedesco in vacanza a Casamicciola nel 1883, il quale in un libretto di recente pubblicato dichiara di aver ascoltato la voce di chi identifica con Benedetto Croce, dalle macerie, offrire una certa somma per essere liberato? Ma come può essere credibile nella foga del suo monologo? Perché nel messaggio che Saviano ci vuole comunicare e imporre, questo fa intendere: «mazzette» allora per i terremoti, «mazzette» oggi, la storia si ripete e soprattutto si perpetuano i grandi mali del nostro Mezzogiorno, mali atavici dai quali non può essere immune nessuno di noi, che abitiamo queste terre e abbiamo vissuto i loro terremoti — ultimi quelli dell’Irpinia del 1980 e dell’Abruzzo del 2009 — proprio perché non ne sarebbe stato immune, anche se inconsapevolmente per la necessità imposta dalla tragedia, uno dei loro più illustri figli. Caro Saviano, mi dispiace, c’è anche chi non offre e non riceve «le mance e le mazzette» : questa è mistificazione della storia e della memoria.
Nessun commento:
Posta un commento