domenica 3 aprile 2011

Federali-Sera. 3 aprile 2011. Tunisi. Nessun accordo sull’immigrazione è stato firmato dalla Tunisia con l’Italia lo scorso 25 marzo durante la missione a Tunisi dei ministri degli Esteri Franco Frattini e dell’Interno Roberto Maroni. Lo fanno sapere all’agenzia tunisina Tap fonti ufficiali del ministero degli Esteri di Tunisi a seguito di alcune «dichiarazioni di partiti politici ripresi dai media italiani su un non rispetto da parte della Tunisia dell’accordo sull’immigrazione clandestina firmato» durante la visita dei due ministri.

Esami di riparazione:
Bressanone. Unità, si muovono le associazioni.
Sentimento di unità nazionale.

Anche noi anche noi, esistiamo anche noi, anche:
Belluno. «Zone franche anche qui». Berlusconi le ha promesse a Lampedusa, Toscani rilancia.
Ferrara. «Caro prefetto, ci siamo anche noi».
Padova. Galan va alla guerra.
Brenta. In piazza contro la moschea.

Stanno arrivando:
Scontro sui rimpatri, Tunisia:«Nessun accordo con l’Italia»
Zaia: Tunisia si impegni o romperemo rapporti. Roma, 03-04-2011
I nuovi Cie «persi» nella lite Viminale-Regioni
Bressanone. Accoglienza profughi: c'è l'ipotesi Vipiteno.
Udin. Tondo: «Sì ai profughi in Fvg ma soltanto per venti giorni»
Jesolo. «Profughi sì, ma se lavorano».
Padova. Il no del Pd alla tendopoli della Romagnoli
Padova. In arrivo 200. Sindaco contro Maroni.
Padova. «Con le tendopoli Maroni crea ghetti come via Anelli».


Bressanone. Unità, si muovono le associazioni. Alessandrini, Ana: «Il 2 giugno ci sarà una cerimonia riparatoria». di Tiziana Campagnoli. BRESSANONE. La data del 2 giugno, festa della Repubblica, potrebbe trasformarsi in un evento per onorare anche i 150 anni dell'Unità d'Italia. Alcune associazioni, infatti, si sono mobilitate per cercare di rimediare al vuoto di festeggiamenti del 17 marzo, e organizzare un doppio evento.  L'imput è partito dai gruppi consiliari di lingua italiana, Insieme per Bressanone e Uniti per il Centrodestra, ma ora saranno le associazioni, in particolar modo gli alpini dell'Ana, a dover darsi da fare per organizzare una manifestazione ad hoc.  Il presidente della sezione Ana di Bressanone, Carlo Alessandrini, conferma che si sta lavorando all'evento, ma tiene comunque a precisare che la politica non c'entra nulla: «Siamo associazioni indipendenti, e quindi in questa nostra iniziativa la politica non c'entra nulla - spiega Alessandrini - confermo che stiamo lavorando per organizzare un evento in occasione della festa della Repubblica il 2 giugno prossimo. Potrebbe essere un modo per festeggiare i 65 anni della Repubblica italiana e contemporaneamente onorare i 150 anni dell'Unità di Italia. Il 17 marzo praticamente non è stato fatto nulla e quindi ci sembra giusto fare qualcosa». Proprio le associazioni d'arma avevano manifestato in modo particolare il disappunto per la mancanza di iniziative da paete del Comune per i 150 anni.  Alessandrini non intende ribattere alle accuse del sindaco Alberto Pürgstaller secondo cui sarebbero le associazioni italiane ad avere la responsabilità dei mancati festeggiamenti in quanto non si sarebbero mosse per proporre o organizzare un evento con il sostegno del Comune. Un intervento, quello del sindaco, arrivato all'apice delle polemiche che hanno investito l'amministrazione comunale e in particolare gli assessori di lingua italiana del Pd.  «Non intendo fare polemiche - continua - ciò che è importante è che l'Ana, ma anche l'associazione Don Bosco, l'Ansi e i carabinieri, si stanno dando da fare per organizzare un evento per il 2 giugno. La cosa è ancora in alto mare, ma mercoledì prossimo ci riuniremo nuovamente per valutare insieme il da farsi».  Le associazioni, ovviamente, chiederanno sostegno al Comune: «Non possiamo fare altrimenti - conferma il responsabile delle penne nere di Bressanone - siamo associazioni di volontariato, senza grandi mezzi economici, e per qualsiasi evento abbiamo bisogno dell'aiuto del Comune».  Il prossimo incontro è dunque previsto per mercoledì prossimo:» Non abbiamo ancora le idee chiare sul cosa fare - conclude il presidente dell'Ana - l'unica cosa certa è il nostro impegno per organizzare qualcosa che riunisca tutti, italiani e tedeschi. A tal proposito, tengo a dire che inviteremo a partecipare all'organizzazione anche alcune associazioni di lingua tedesca».  L'imput alle associazioni, come già detto, è arrivato dai gruppi consiliari italiani. In particolar modo da Dario Stablum, Alberto Conci di Insieme per Bressanone, e Antonio Bova e Massimo Bessone di Uniti per il Centrodestra.  «È vero, noi consiglieri italiani abbiamo ritenuto giusto riunire le associazioni, l'incontro si è svolto lunedì scorso, ma non con l'intento di interferire nella loro attività, ma per offrire loro il nostro sostegno - spiega il consigliere Dario Stablum - ora che l'iniziativa è partita ci facciamo da parte, lasciando a loro la piena autonomia di valutare ed organizzare qualsiasi evento».

Sentimento di unità nazionale.
Signor Presidente della Repubblica,
desidero innanzi tutto esprimerle un sentito ringraziamento per la sua visita a Varese, che è uno dei luoghi emblematici nella storia del Risorgimento italiano. Una storia che si intreccia con quella della Resistenza e dalla quale è scaturito il bene più prezioso per una nazione: la Libertà. La Libertà è una e indivisibile. Essa si declina in varie forme, dalla partecipazione alla guida della cosa pubblica, alla libera iniziativa economica, all'istruzione, al credo religioso e altro ancora. In questo nostro territorio credo siamo stati capaci di fare buon uso della Libertà. Ci siamo distinti in modo particolare nella capacità di intraprendere. Gli annali della storia dell'impresa italiana annoverano molti nomi legati a questo territorio, autoctoni o qui trasferiti. Qui, tutti hanno trovato un ambiente favorevole all'esercizio dell'impresa. Qui l'impresa si è moltiplicata dando particolare evidenza a quel modello di sviluppo basato sulla piccole e media impresa familiare. Qui si sono insediate diverse imprese multinazionali. L'occupazione nell'industria varesina sfiora il 63%. Le esportazioni varesine rappresentano il 40% del Pil locale. Il nostro contributo alla formazione del PIL nazionale è pari all'1,7%. Il territorio della piccola provincia di Varese è pari soltanto allo 0,4% di quello italiano. Oggi le nostre imprese sono impegnate a ri-orientare la propria attività e i propri modelli operativi per mantenere le posizioni acquisite nell'economia mondiale di fronte alle profonde trasformazioni indotte dalla repentina globalizzazione del mercato.
E' un compito non facile. Vorremmo poterlo compiere in un contesto più favorevole, sotto diversi profili: quello locale, che soffre ancora per la carenza di adeguate infrastrutture di trasporto nonostante il considerevole impegno delle istituzioni locali e della Regione, negli ultimi tempi; quello nazionale, nel quale faticano a farsi strada quelle riforme apparentemente condivise dai più e inspiegabilmente frenate da logiche della politica che facciamo fatica a comprendere e condividere. Logiche che probabilmente si spiegano anche per l'affievolimento del sentimento di unità nazionale.
*Presidente Univa Varese

Belluno. «Zone franche anche qui». Berlusconi le ha promesse a Lampedusa, Toscani rilancia. BELLUNO. Il vicepresidente del consiglio regionale scrive al premier Silvio Berlusconi: anche la montagna vive in una situazione di emergenza, servono misure economiche urgenti da parte del Governo. Una delle aree più belle delle Alpi, da poco Patrimonio dell'Umanità, rischia lo spopolamento.  E dunque zone franche in Agordino e Cadore, non solo a Lampedusa. E' questa la richiesta contenuta nella lettera che Matteo Toscani ha inviato a Berlusconi. Nel suo intervento mercoledì, il Capo del Governo ha annunciato che l'isola siciliana diventerà una zona a burocrazia zero e che chiederà a Bruxelles l'istituzione di una zona franca nella quale non si paghino tasse per i prodotti importati ed esportati. «Per aprire un ristorante o un negozio basterà rispettare le leggi edilizie e sanitarie vigenti», ha detto Berlusconi ai lampedusani.  «Va bene aiutare chi sta affrontando una situazione di emergenza - commenta il vicepresidente del consiglio veneto - ma è giusto pensare anche a quei territori che, per ragioni strutturali, vivono in una situazione di grave difficoltà. Per questa ragione ho deciso di scrivere una lettera al presidente del Consiglio dei Ministri, invitandolo a prendere in considerazione la proposta di istituire zone franche anche in quei territori di montagna che confinano con realtà a statuto speciale, e cioè in Agordino e in Cadore».  Nella sua lettera, il vicepresidente dell'assemblea regionale evidenzia l'impossibilità a competere con le ricche Province di Trento e Bolzano, con il Friuli Venezia Giulia e con l'Austria, con gli strumenti attualmente a disposizione delle istituzioni locali a statuto ordinario.  Non solo. Per delineare sinteticamente la situazione in cui versano le aree montane bellunesi, Toscani fornisce alcune osservazioni relative al trend demografico che, se proseguirà anche nei prossimi anni, porterà a conseguenze disastrose. Scrive Toscani: «Una delle più belle aree dell'arco Alpino, da poco Patrimonio dell'Umanità, rischia il definitivo spopolamento, con la conseguente crisi irreversibile dell'intero sistema socio-economico».  «Se poi si considera che, proprio in queste aree che erano il cuore del distretto dell'occhiale, l'impatto della concorrenza globale ha avuto effetti devastanti soprattutto sulle piccole e medie imprese - sostiene ancora il consigliere regionale - s'intuisce quale sia l'urgenza di misure economiche adeguate». Toscani chiede perciò al presidente del Consiglio, con "rispetto" ma anche con "forza" e "determinazione", «valutare la possibilità di istituire una zona franca che comprenda i territori del Cadore e dell'Agordino». «Per le popolazioni di queste aree montane - aggiunge Toscani - sarebbe una soluzione di vitale importanza, che peraltro allo Stato comporterebbe vantaggi economici pari o addirittura superiori al costo complessivo delle minori entrate fiscali, per il circolo virtuoso che così si attiverebbe».

Ferrara. «Caro prefetto, ci siamo anche noi». Sit in degli agenti davanti al carcere: non si occupi solo dei profughi. «Al prefetto vogliamo ricordare che non c'è solo l'emergenza immigrati. C'è un'emergenza anche in carcere e nessuno si deve voltare dall'altra parte. La sicurezza è un bene di tutti». Gli agenti di custodia tornano a protestare. Ieri si è svolta la manifestazione del Sappe.  Un drappello di operatori si è infatti radunato davanti all'ingresso del penitenziario di via Arginone per ribadire i motivi che creano preoccupazione, malcontento e disagio tra i dipendenti dell'istituto di pena. Ed è un elenco che sembra allungarsi a ogni manifestazione, come se la politica si fosse dimostrata sorda ad ogni chiamata. Ieri mattina il sindacato Sappe ha indetto l'astensione in tutta la regione. Undici i temi sollevati, che includono carenza di personale e sovraffollamento delle celle, l'inadeguatezza dei mezzi di trasporto, la mancanza dei fondi per finanziare lo straordinario e le 'missioni' esterne, l'assenza di ristrutturazioni sugli edifici, il super-lavoro. «In Emilia Romagna mancano 650 agenti, in Italia 6500, a Ferrara una sessantina - spiegano Roberto Tronca e Antonio Fabio Renda, segretario e vice del sindacato - i lavori per la nuova ala del carcere sarebbero dovuti iniziare a febbraio, siamo ad aprile ed è tutto fermo. Ma per noi va bene così: abbiamo già visto cosa succede quando si interviene su una struttura. Quando nel 1995 si chiuse la sezione femminile per istituire la sezione collaboratori di giustizia il Dipartimento avrebbe dovuto inviare a Ferrara 15 unità di personale in più ma non è arrivato nessno. La nuova sezione dovrebbe ospitare 200 detenuti che entreranno subito, gli agenti forse mai». All'Arginone lavorano oggi 156 poliziotti (l'organico ne prevede 178) e i detenuti sono 465 mentre non dovrebbero superare il tetto delle 250 unità, proseguono i due sindacalisti. L'altro ieri, lamentano, era in programma un incontro in prefettura, «ma è stato rinviato a data da destinarsi, forse a causa dell'emergenza profughi. Mantenere l'ordine pubblico in carcere non è solo un problema nostro ma di tutta la società».  «Per sopperire alle esigenze di servizio i turni si allungano - concludono Tronca e Rende - su di noi ricadono anche funzioni che dovrebbero svolgere altri, come la presa in carico del detenuto per le direttissime». A livello nazionale si stanno formando 700 nuovi agenti «ma sono solo una goccia nell'oceano».

Padova. Galan va alla guerra. Il nemico? Più di Tremonti, l'inerzia. L'isola veneta diventa un'ex cantina con soffitto a volta, in un ristorantino a due passi da Fontana di Trevi. Perché alla tavola della delegazione della Regione Veneto (n.b. del Consiglio), capeggiata dal presidente Clodovaldo Ruffato che all'ultimo ha rinunciato alla carbonara, si materializza il ministro Galan. Anzi si materializza Giancarlo Galan, in camicia poco ministeriale, con il suo uomo-ombra Franco Miracco e due fedelissime dello staff portate da Venezia in men che non si dica. Il richiamo della terra viaggia sui telefonini, ed è un ritorno a casa, alle facce consuete, perfino alla politica domestica. Scendere in un seminterrato e trovare scampoli di famiglia politica è consolazione, mozione degli affetti, mettici pure un'occhiata, come dire, di controllo.  E infatti, quando Galan torna a pensare al Veneto, eccolo ragionare in termini di strategia, di uomini, di forze proprie e altrui. «Forza Veneto? E' un marchio mio e lo gestisco io. Non lo brucio, che so, su Treviso. E nemmeno da qualche altra parte. Forza Veneto sono io, sarà un simbolo forte quando serve». Allusioni, più che progetti, ma si capisce che sotto c'è il confronto con la Lega, carte da giocare al momento giusto. Ma ci sono anche i sacconiani, le altre componenti del Pdl. Ruffato, dopo l'ultimo boccone di cacio e pepe, drizza le orecchie per captare indicazioni. Ma non arriveranno: troppe orecchie conviviali e soprattutto foreste.  Il ministro dei Beni Culturali è reduce da un veloce confronto con Andrea Carandini, che è tornato al suo posto di presidente del Consiglio superiore dei Beni Culturali ritirando le dimissioni. Ha aspettato il ministro per due ore, poi una chiacchierata per capire «che l'aria è cambiata» e ricevere assicurazioni. L'archeologo torna volentieri, accompagnerà Galan a Pompei, prima tappa di una via crucis che abbonda degli abbandoni, delle impossibilità, delle omissioni di un ministero più derelitto di altri e infinitamente più esposto
alla visibilità mediatica.  Mentre ha ripreso in mano il sacro testo di Giulio
Carlo Argan («E' un attimo fare gaffe, ti chiedono di tutto a bruciapelo»), ragiona sulla Venere di Morgantina, resituita dal Getty Museum: che è in sette pezzi da riassemlare, e vabbè, ma soprattutto dovrebbe tornare ad Aidone, un paesino della Sicilia in provincia di Enna talmente sperduto che è perfino difficile arrivarci in macchina. «Ma cosa ci va a fare lì?» si chiede il ministro che una domanda simile, apriti cielo, se l'era già posta per i bronzi di Riace, di cui i calabresi di Reggio sono talmente gelosi che li fanno vedere a pochissimi visitatori. Si annuncia la prima battaglia di qualcosa che sarà una guerra.  Il ministro Galan non scrive poesie, a quanto si sa, anzi ha la tendenza a dimenticare anche quelle (altrui) pervicacemente imparate a memoria. Ripassa l'Infinito, ma dà l'impressione di stare con i piedi per terra: cosicché, sperabilmente, avremo chi affronta gli immani problemi del nostro patrimonio culturale con minor evanescenza. Fin troppo facile, adesso, dire che il nemico è Tremonti. Prima della miseria economica ci sono stati sprechi, incuria, disorganizzazione, perfino politiche assistenziali spacciate per difesa della cultura. L'ipertrofia di personale (e quindi costi), in alcune situazioni, è mirabolante, e fino a ieri sopportata con una rassegnazione pari all'incapacità di agire. Ma un sito che ha un visitatore l'anno, come quello archeologico di Ravanusa (nel 2009, dati da Vandali, di Stella e Rizzo) e 10 custodi (costo per la Regione Sicilia, fra stipendi e manutenzione: 340 mila euro l'anno) sarà pure un fiore all'occhiello per il suo territorio, ma un fiore decisamente appassito: o rifiorisce o si recide. Per ora le logiche del ministero continuano ad essere quelle della rappresentanza, della presenza: il ministro viene invitato ovunque, sempre. E visto che Bondi negli tempi era profondamente missing, la presenza di Galan è qualcosa che accomuna resurrezione e trasfigurazione. Mancano solo i miracoli.
Brenta. In piazza contro la moschea. Sit-in di protesta organizzato da un comitato popolare. PIAZZOLA. Sit-in contro la moschea. Oggi, dalle 17 alle 18.30, scendono in piazza Camerini e davanti al municipio coloro che non vogliono la realizzazione del centro culturale islamico, che sembra però essere imminente. L'iniziativa parte dal «comitato no moschea», sorto nei giorni scorsi, che si definisce spontaneo e apolitico.  Nessun portavoce ufficiale, anche se le menti sarebbero collocabili a destra. «Vogliamo evitare qualsiasi forma di strumentalizzazione e personalismo - precisa il comitato - dato che ci sono diverse ragioni perché i cittadini scenderanno in piazza. C'è chi verrà a manifestare contro l'atteggiamento dell'amministrazione che si è mostrata assente nella vicenda e non dà informazioni, chi contro il consigliere di minoranza Federico Bellot Romanet (Il Mondo) che sa della trattativa e si è schierato a favore. Ma ci sarà anche chi è cattolico e non vuole una moschea e chi reputa l'Islam una religione tutt'altro che democratica. Semplicemente chiunque non è d'accordo con la moschea a Piazzola e non è disposto ad accettare le decisioni calate dall'alto. Una manifestazione spontanea, autorizzata dalla Questura, senza simboli di partito, solo il tricolore, con liberi cittadini che vogliono essere messi al corrente di ciò che sta accadendo e vogliono esprimere il loro parere».  Non parteciperà la Lega, schieratasi per prima contro con una raccolta firme per un referendum, che oggi supera la soglia delle 800 adesioni. «Io non ci sarò - ammette Massimo Biasio - ma come partito lasciamo totale libertà se partecipare o meno. La vicenda è stata gestita tutta male, senza coinvolgere la gente. Bisognava fare chiarezza. Chi contro e chi pro, sono state solo le minoranze a muoversi».  

Scontro sui rimpatri, Tunisia:«Nessun accordo con l’Italia»
02 aprile 2011
Roma - L’Italia è un Paese di migranti. «Dobbiamo ricordarcene». E dobbiamo «mettere in atto azioni di comprensione e generosità che sono proprie di un Paese civile e cattolico». Il premier Silvio Berlusconi traccia la linea dell’ospitalità sul fronte dell’immigrazione.
E, alla vigilia della missione tunisina di lunedì per trattare la soluzione al problema degli sbarchi, spiega che dei 21 mila nordafricani arrivati, circa novemila potrebbero restare e trovare lavoro. Ma sulla questione è scontro con l’alleato leghista. «Clandestini fora di ball», ribadisce Roberto Calderoli, riecheggiando Bossi: «Se qualcuno la pensa diversamente, ospiti i clandestini a casa sua», aggiunge. C’è attesa per quanto si riuscirà a portare a casa lunedì da Tunisi, nelle fila della maggioranza. Si ostenta fiducia in Berlusconi e, soprattutto dalle fila leghiste, nel ministro dell’Interno Roberto Maroni. Ma restano irrisolte le tensioni per le diversità di vedute sulla linea da tenere e per la concentrazione degli immigrati al Sud, che ha portato alle dimissioni di Alfredo Mantovano.

Intanto è scontro sui rimpatri. Nessun accordo sull’immigrazione è stato firmato dalla Tunisia con l’Italia lo scorso 25 marzo durante la missione a Tunisi dei ministri degli Esteri Franco Frattini e dell’Interno Roberto Maroni. Lo fanno sapere all’agenzia tunisina Tap fonti ufficiali del ministero degli Esteri di Tunisi a seguito di alcune «dichiarazioni di partiti politici ripresi dai media italiani su un non rispetto da parte della Tunisia dell’accordo sull’immigrazione clandestina firmato» durante la visita dei due ministri.

Tunisi si appella al governo italiano affinché mostri «solidarietà con il popolo tunisino in questo importante periodo di transizione» sul fronte dell’immigrazione e ricorda che la Tunisia stessa sta facendo i conti con un afflusso di oltre 150.000 rifugiati dalla Libia che «sono stati accolti dal popolo tunisino» malgrado «la difficile situazione che attraversa il Paese». È quanto riferiscono fonti ufficiali del ministero degli Esteri tunisino.

Zaia: Tunisia si impegni o romperemo rapporti. Roma, 03-04-2011
"La Tunisia deve assolutamente prendersi l'impegno di fermare i clandestini, che poi non è mica la missione sulla Luna, si tratta di bloccare due porti. Altrimenti dobbiamo rompere tutti i rapporti diplomatici". E' quanto sostiene il governatore del veneto Luca Zaia in un'intervista al Corriere della Sera.

"Confido nell'attività del ministro Maroni e del presidente del Consiglio nel ricondurre tutte le parti al buon senso - dice Zaia - perché con le prove muscolari è inevitabile che finisca male", e cioè che "la situazione possa degenerare rispetto ai temi dell'occupazione e del turismo".

"Io spero che domani li rimpatrino tutti", aggiunge. "Del resto mi dicono gli imprenditori che lì il lavoro c'è: con la deregulation il calcestruzzo per gli abusi edilizi va alla grande". Il governatore leghista non risparmia critiche nei confronti della Francia e dell'Europa.

La Francia, afferma, "si è comportata in modo incredibile, trovando persino il modo di ignorare Shengen. Alla frontiera non stanno fermando solo i tunisini, ma anche gli italiani. Paghiamo lo scotto della campagna elettorale di Sarkozy". Quanto all'Europa, "non esiste", denuncia Zaia. "Ci riempie di direttive sulla lunghezza dei cetrioli ma quando si tratta di affrontare un'emergenza come questa ci lascia soli".

I nuovi Cie «persi» nella lite Viminale-Regioni
M. Lud. ROMA
Nuovi Cie: vorrei ma non posso. I centri per l'identificazione e l'espulsione degli immigrati oggi sono 13, gli stessi esistenti quando Roberto Maroni si è insediato al ministero dell'Interno. E una delle prime dichiarazioni del neoministro, ripetuta più volte, fu: «Un Cie (prima si chiamavano Cpt, centri di permanenza temporanea, ndr) in ogni regione».
Sì, perché non ce ne sono in Liguria, Valle d'Aosta, Trentino Alto-Adige, Veneto, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania e Sardegna. Sono almeno uno in tutte le altre regioni, la Puglia ne ha due (a Bari e Brindisi), la Sicilia tre: Lampedusa, Trapani e Caltanissetta. Totale posti disponibili: 1.814. Neanche il 10% dei 22mila clandestini, nella stragrande maggioranza tunisini, giunti dall'inizio dell'anno.
Dal suo arrivo al Viminale Maroni ci ha messo tutta la buona volontà. Ma oggi, con lo stop delle regioni alle tendopoli definite dal ministro «Cie temporanei», si comprende che le intenzioni iniziali avevano una probabilità molto alta di rimanere sulla carta quando si parlava di centri tradizionali (edifici, recinzioni, attrezzature). Come si è dimostrato a posteriori. Eppure, ricevuto l'incarico di dare attuazione all'indirizzo politico, l'allora capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, Mario Morcone - oggi candidato sindaco Pd a Napoli - cominciò una faticosa ricognizione sul territorio per capire dove e come costruire i tanto contestati centri. I Cie, infatti, generano problemi anche quando non c'è emergenza. Oltre alla presenza concentrata di immigrati, con possibili e spesso frequenti disordini, attraggono, per esempio, il mondo dell'antagonismo e dell'anarco-insurrezionalismo, che ne fanno uno dei motivi di lotta eversiva. Le regioni a governo di centrosinistra, poi, portano avanti un'opposizione di natura politica più o meno intensa. Nonostante tutto, Morcone con uno staff di ingegneri, architetti e uomini della carriera prefettizia cominciò a girare le zone interessate. Si calcolò che un Cie nuovo costa circa 15 milioni di euro e sono necessari un paio d'anni per costruirlo e consegnarlo «chiavi in mano». Poi cominciò l'esame di una serie di strutture messe a disposizione dalla Difesa e il lavoro diventò sconfortante. Perché non si trattava di ex caserme bisognose, al massimo, di una riverniciata, ma di ben altro. Un edificio militare in Veneto posto su una sorta di rocca-fortezza fu scartato non appena visto. Vicino Roma era disponibile un'area dove si facevano esercitazioni di lancio di bombe a mano: il costo esorbitante della bonifica rendeva improponibile quell'ipotesi.
Fu trovata, alla fine, qualche area vicino agli aeroporti – anche per non essere troppo vicini agli insediamenti urbani – ma poi fu facile capire che le Regioni avrebbero detto di no. Punto. Riunioni al ministero, tavoli di lavoro, incontri, confronti, visite sul territorio: tutto fermo, alla fine, o quasi. Il tema, nonostante tutto, Maroni lo ha rilanciato a più riprese. E ogni anno è stato rifinanziato un apposito capitolo di bilancio per circa 127 milioni: basterebbero per dieci nuovi centri, o quasi. Adesso, però, l'emergenza costringe a costruire in poche ore Cie temporanei, cioè tendopoli con recinzioni sommarie.

Bressanone. Accoglienza profughi: c'è l'ipotesi Vipiteno. Emergenza Tunisia, il nome è stato fatto ieri durante la riunione a Palazzo Chigi. BRESSANONE. C'è anche Vipiteno - insieme a Torino, Brescia e Padova - nell'elenco delle città del nord Italia che potrebbero ospitare i profughi tunisini che a migliaia stanno raggiungendo nelle ultime ore il territorio italiano a Lampedusa.  Al momento le autorità provinciali confermano solo che anche l'Alto Adige parteciperà al programma di accoglienza: «Nomi di città ancora non ne sono stati fatti - ha detto l'assessore provinciale Roberto Bizzo, che ha la delega per l'immigrazione - sappiamo che ospiteremo circa cinquanta persone, ma solo nella riunione di giunta di lunedì decideremo dove. L'unica cosa certa - ha aggiunto Roberto Bizzo - è che verranno utilizzate caserme dismesse per accogliere i profughi». Nel comune dell'Alta val d'Isarco ieri le autorità erano all'oscuro di un arrivo di profughi: «A noi non è stato ancora comunicato nulla», ha detto l'assesso comunale Daniele Ferri.  Il nome di Vipiteno è trapelato nella tarda mattinata di ieri, mentre era in corso la cabina di regia sull'emergenza immigrazione a Palazzo Chigi. Qui è stato deciso che nei centri di accoglienza provvisoria dei migranti saranno pronte in 48 ore 7 mila tende da destinare ai siti che saranno scelti nelle varie regioni. Alla riunione hanno partecipato il premier Silvio Berlusconi, il ministro degli Interni Roberto Maroni, il mistro della Difesa Ignazio La Russa, il ministro delle Regioni Raffaele Fitto, i rappresentanti di regioni, province e comuni e il capo della Protezione civile, Franco Gabrielli.  Con ogni probabilità il nome Vipiteno spuntato ieri mattina a Roma era in realtà riferito alla vicina Prati di Vizze, dove in passato sono stati ospitati centinaia di profughi in fuga dalle guerra che hanno infiammato l'area balcanica. Durante gli anni Novanta, infatti, hanno trovato ospitalità in una caserma dismessa i cittadini bosniaci, travolti dai conflitti esplosi dopo la dissoluzione dell'ex Jugoslavia. Nel 1999 la struttura era stata nuovamente indicata per ospitare i profughi kossovari, costretti a lasciare la propria terra mentre infuriava lo scontro con i serbi.  Altre strutture in passato sono state utilizzate per ospitare profughi. A Malles, in val Venosta, avevano trovato posto in un'ala della caserma Wackernell, demolita nei mesi scorsi. Anche Monguelfo si era messa a disposizione per aiutare chi era in fuga dalla guerra. Molte di quelle strutture - lo ha fatto notare nei giorni scorsi anche il presidente della Provincia, Luis Durnwalder - oggi non esistono più, perchè demolite, oppure non sono più in grado, perchè abbandonate da anni, di ospitare delle persone.  Lunedì, dunque, la giunta provinciale affronterà l'argomento, indicando luogo e struttura in grado di ospitare una cinquantina di immigrati tunisini che hanno raggiunto le coste di Lampedusa dopo un viaggio disperato.  A Torino, nell'Arena, stanno già allestendo la tendopoli per ospitare i profughi. Altre città del Nord Italia dovrebbero essere coinvolte nel programma straordinario. Oltre all'ipotesi Vipiteno, ci sono Brescia e Padova.

Udin. Tondo: «Sì ai profughi in Fvg ma soltanto per venti giorni»
di Renato Schinko
Il governatore prende le distanze dal Governo: «Le tendopoli sono giustificabili per due o tre settimane»
UDINE. Tondo prende le distanze dalle scelte fatte dal Governo sul problema-immigrazione. L'ha fatto ieri a Udine, intervenendo all'appuntamento con i giovani imprenditori, organizzato al polo fieristico udinese.
Mentre il vento e il mare grosso interrompevano il trasferimento degli immigrati da Lampedusa, il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia spiegava: «Le decisioni prese ci lasciano molto perplessi - ha detto Tondo -, perché il progetto di allestire tendopoli in tutta Italia è un soluzione che potrebbe andare bene al massimo per quindici oppure venti giorni. In caso contrario dovrebbero essere scandagliate altre possibilità».

Ma allora la soluzione qual è? Secondo il governatore del Friuli Venezia Giulia, «dobbiamo augurarci che il Governo riesca a prendere accordi con i vertici tunisini, affinché siano consentiti i rimpatri per riportare gli immigrati sul loro Continente».

Poi Tondo, commentando «il comportamento degli altri Paesi» («l'Europa e il resto del pianeta stanno a guardare e se ne lavano le mani») si è soffermato sulle reale condizione degli immigrati: «E' difficile individuare quali siano gli extracomunitari che scappano per condizioni di bisogno e quali, invece, stiano lasciando il loro Paese semplicemente per cercare nuove opportunità».

I profughi libici, invece, secondo Tondo, non rappresentano un reale problema per l'Italia: «In tutto - ha dichiarato il presidente della Regione - dovrebbero essere circa 2 mila, quindi nel nostro territorio ne arriverebbero non più di un cinquantina. Un numero del genere non creerebbe disagi». Dichiarazioni, quelle del presidente della Regione, che devono comunque fare i conti con l'emergenza Lampedusa e con le promesse del premier Silvio Berlusconi che, sempre ieri, ha dichiarato «che già da domani (oggi, ndr) l'isola siciliana sarà ridata ai cittadini. Nel caso in cui dovessero arrivare altri clandestini dal molo passeranno direttamente a una nave ormeggiata sempre nel porto che li porterà nei centri di identificazione nelle varie regioni».

Da qui nascono i dubbi del governatore Tondo che, come altri presidenti di regione, dovrà affrontare la possibile emergenza immigrati pure in Friuli Venezia Giulia, non avendo però alcun problema, come detto, «a ospitare l'esiguo numero di rifugiati politici libici».

Jesolo. «Profughi sì, ma se lavorano». Lo propone il vicesindaco Zoggia. Intanto spunta l'ipotesi Fiorentina. di Giovanni Cagnassi
JESOLO. Lavori socialmente utili per i profughi che arriveranno a Jesolo. Il vice sindaco Valerio Zoggia, ritiene che presto o tardi arriveranno e lancia a nome del Comune di Jesolo una proposta al Governo Berlusconi e al Ministro Maroni. Non verrebbero pagati, ma sarebbero impiegati ad esempio per pulire la spiaggia. «L'emergenza profughi è un'emergenza umanitaria che riguarda tutti- sostiene Zoggia- pertanto deve essere risolta con il buon senso e l'impegno di tutti. A Lampedusa in questi giorni sono arrivati immigrati che tentano di migliorare la loro condizione economica cercando «fortuna» in altri Paesi, poi clandestini che, in quanto tali, devono essere rimpatriati nel più breve tempo possibile. Infine profughi, persone in fuga dal loro Paese perché coinvolto in una guerra in corso. Sono quindi, bisognose di accoglienza e di aiuto. E' necessario si preveda un piano di accoglienza dettagliato, che presuma la dislocazione, su tutto il territorio nazionale, dei profughi distribuendoli con un criterio che ne definisca il numero da destinare, in proporzione ai residenti dei Comuni. Ad oggi, sono circa 6.000 persone. Sembrano tante ma sono un numero relativamente esiguo, se si fa riferimento agli oltre 60 milioni di italiani. Tutti i Comuni potrebbero ospitarne una parte in modo da essere sicuri di risolvere l'emergenza. Jesolo con i suoi circa 25 mila abitanti, in proporzione ai residenti ne potrebbe ospitare circa 3. La decisione sulla disponibilità dell'immobile Croce Rossa non è di nostra competenza. In considerazione della prossima stagione estiva, credo si potrebbero ospitare gruppi composti in prevalenza da donne e bambini. E se proprio ci impongono di ospitarli almeno vengano impiegati in lavori socialmente utili al fine di venire incontro ai costi che la comunità sostiene per loro».  Oltre alla Croce Rossa jesolana, si parla anche di caserme dismesse, come ad esempio quella di Ca' Tron, anche se potrebbero essere prese in considerazione la ex caserma di Fiorentina a San Donà o quella di Ca' Turcata a Eraclea.  «La cosmopolita Jesolo- dice Roberto Rugolotto del Pd- non ha mai voltato la faccia alle emergenze umanitarie ed è naturale che fra i possibili centri utilizzabili vi sia anche quello della Croce Rossa. L'emergenza ha un significato profondo che va sempre ricordato, sottolineato e condiviso». Secondo Sinistra Ecologia e Libertà di Salvatore Esposito l'atteggiamento del Comune di Jesolo e degli estremisti pronti a protestare davanti ai cancelli della Cri è semplicemente vergognoso.


Padova. Il no del Pd alla tendopoli della Romagnoli
«Distribuire gli immigrati nel Veneto»
Banchetto del partito in piazza delle Erbe. Il sindaco Zanonato: «Non possiedo alcuna novità sui trasferimenti, né dalla Provincia, né dalla Regione»
PADOVA – Una tendopoli all’interno dell’ex caserma militare Romagnoli per trasferirvi una parte dei tunisini sbarcati a Lampedusa? Il sindaco di Padova Flavio Zanonato (Pd) non ha ancora ricevuto «né dal Governo né tantomeno dalla Regione» alcuna conferma: «Non possiedo alcuna novità in merito – ha spiegato questa mattina – Spero di avere per martedì, durante l’incontro con il ministro Maroni a Roma a Palazzo Chigi, cui parteciperò nelle vesti di responsabile-immigrazione dell’Anci (l’associazione nazionale dei comuni italiani, ndr), alcune notizie concrete, in un senso o nell’altro. Fermo restando che le tendopoli, per affrontare un’emergenza del genere, sono la scelta peggiore: sono infatti ingestibili, pericolose e poco dignitose.

Sarebbe giunto il momento – ha ribadito Zanonato, con a fianco il segretario cittadino del Pd Piero Ruzzante, i consiglieri regionali Mauro Bortoli e Claudio Sinigaglia e i parlamentari Paolo Giaretta ed Alessandro Naccarato – di passare dalle parole ai fatti. Noi siamo favorevoli ad un tipo concreto di solidarietà, cioè con gli immigrati ospitati in piccoli numeri ed in piccole strutture all’interno di tutti i maggiori comuni del Veneto e dell’Italia e non soltanto in alcuni, come invece parrebbe aver deciso il Governo». Il Pd padovano, per l’intera giornata, ha allestito un banchetto in piazza delle Erbe, accompagnato da una scritta: «No alla tendopoli leghista di Maroni e Zaia». E, proprio al presidente della Regione, si è rivolto Ruzzante: «Per quale motivo il governatore Zaia se ne sta muto? Dimostri ora di saper governare il nostro territorio e si faccia dire dal ministro Maroni, dato che è un suo collega di partito, quanti tunisini ha davvero intenzione di mandare in Veneto. Un migliaio? Bene – il suggerimento di Ruzzante – il presidente convochi i sindaci di tutti i comuni della regione con più di 20mila abitanti e divida equamente il numero di immigrati in arrivo. Così facendo, le tendopoli non saranno più necessarie e queste persone potranno essere accolte in piccole strutture, scelte direttamente dai vari municipi».

«Se mai l’indicazione della Romagnoli si rivelasse fondata – ha quindi aggiunto l’ex vicesindaco di Padova Sinigaglia – i mandanti sarebbero presto individuati. In primis, l’onorevole Filippo Ascierto (Pdl), che non ha mai perso occasione nel reclamare un Cie (centro di identificazione ed espulsione, ndr) nel Padovano: cos’altro sarebbe infatti, se non un Cie, la tendopoli montata alla Romagnoli? E poi il sindaco di Cittadella Massimo Bitonci (Lega), che vedrebbe così esaudito il suo desiderio di scaricare il problema dei tunisini soltanto su Padova».
D.D’A.

Padova. In arrivo 200. Sindaco contro Maroni. Caserma Romagnoli e Bagnoli sono fra i siti: martedì il «verdetto». di Ernesto Milanesi. PADOVA. Potrebbero essere 200, in arrivo entro una settimana nel Veneto. Alla caserma Romagnoli di Chiesanuova oppure in quella di Bagnoli; a Venezia o in Polesine. Un poker da cui pescare un solo sito per l'intera regione. Martedì il summit servirà a ratificare l'opzione strategica del «trasloco» al Nord dell'emergenza immigrati di Lampedusa.  Ma ieri mattina sono entrati in fibrillazione tutti i referenti istituzionali dell'operazione «emergenza immigrati». Con la politica pronta a riaccendere la miccia delle polemiche con le ripicche incrociate sulle responsabilità di governo e enti locali. Una volta di più, si è scatenata la tempesta (anche mediatica) senza nessuna certezza ufficiale. Non c'è un ordine, nero su bianco, sui 200 migranti destinati al Veneto. La caserma di Chiesanuova e quella della Bassa sono alternative. E Padova lo è con le altre due province. Ormai è trapelato però che Padova (con Torino, Vipiteno e Brescia) sarà la mèta del «trasloco». E, di conseguenza, riparte una sorta di gioco delle quattro carte (coperte).  CABINA DI REGIA. Tutta romana, con il premier Silvio Berlusconi che entra ed esce dalla riunione. E le voci rimbalzano grazie ai presenti: l'assessore regionale Roberto Ciambetti o il sindaco di Torino Sergio Chiamprino. La vera cabina di regia decisionale sarà quella di martedì prossimo alle ore 12. Con il governatore Luca Zaia e Flavio Zanonato (sindaco e rappresentante dell'Anci) che annullano tutti gli altri impegni.  LEGA DI LOTTA E GOVERNO. Il ministro Roberto Maroni deve sbrogliare la matassa fra sbarchi, rimpatri, tendopoli e ordine pubblico. La Lega Nord cavalca sempre l'onda dei gazebo che in piazza agitano lo spettro dell'invasione di clandestini. Per restare ai
cliché d'epoca, un Carroccio impantanato in mezzo al guado.  PREFETTO.
Ennio Mario Sodano fa squillare il cellulare del sindaco durante la conferenza stampa delle ore 13 con il rettore Giuseppe Zaccaria al Bo, cui avrebbe dovuto partecipare. Il prefetto cerca informazioni, riscontri, verifiche. Zanonato ascolta e garantisce: «Dalla riunione non arriva nessuna notizia che corrisponda a ciò che scrive l'agenzia Ansa».  SINDACO. Mantiene la posizione istituzionale, al di là delle indiscrezioni che si rincorrono per tutto il giorno. «Non ho ricevuto alcuna comunicazione da parte del governo sull'intenzione di allestire una tendopoli a Padova. E le tendopoli sono la soluzione peggiore: ingestibili, insicure, non dignitose. L'Amministrazione comunale è contrarissima ad una simile ipotesi» afferma Zanonato.  Si ostina a distinguere fra il «piano Libia» annunciato da Maroni (50 mila profughi di guerra «che finora non ci sono») e l'invasione di Lampedusa («irregolari, per lo più tunisini che ora scappano in giro per il Paese»). Il sindaco mantiene la barra sulla differenza di status, come sul «dovere nazionale di farsi carico, visto che facciamo parte dell'Italia, dell'emergenza».  Ma Zanonato non ha dubbi: «Ciò che sta succedendo dimostra davvero tutto il dilettantismo di un ministro che sta gestendo una situazione delicata nel peggiore dei modi, creando panico e assumendo decisioni sulla testa degli enti locali e dei cittadini. Dopo una finzione che va avanti da settimane, il governo ammette che l'emergenza non sono i profughi libici, ma i migranti tunisini di Lampedusa, che grazie all'inerzia di Maroni, scappano a centinaia dalle tendopoli e arrivano senza alcun controllo nelle nostre città».  TAVOLO. E' lì che si decide. Zanonato respinge al mittente la «propaganda che strumentalizza e lascia marcire i problemi». Contabilizza: «Come Anci l'abbiamo ripetuto decine di volte al ministro. Ci sono 8.100 Comuni in grado di assorbire anche i 20 mila migranti di cui si parla. Significano 2,5 a Comune. A Padova già ci sono 20 rifugiati e per loro la "rete" dei progetti Sprar si può incrementare, se il governo la sostiene. Piccoli gruppi, dunque, che si possono gestire. Non le porcherie di migliaia concentrati in un solo posto».  Conclusione di Zanonato, che sfida le telecamere: «La cabina di regìa è ben altro dalle notizie false, dalla propaganda, dalla confusione. Vedo solo l'assoluta approssimazione del governo. Adesso vediamo martedì...». 

Padova. «Con le tendopoli Maroni crea ghetti come via Anelli».
di Fabiana Pesci. PADOVA. Un «no» senza appello alle tendopoli. Poi un monito che suona come una strigliata alla politica: «Basta scorciatoie, in una situazione tanto difficile non si può liquidare il problema immigrazione con una battuta». Marco Mascia, docente del Bo nonché direttore del centro diritti umani dell'Università, non esita ad affermare che ciò che sta avvenendo a Lampedusa «è vergognoso, intollerabile. La dignità umana degli abitanti dell'isola e delle persone provenienti dai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo è violata».  Professore: sono profughi o clandestini?  «Una premessa: tutte le persone umane che a qualsiasi titolo si trovano nel nostro territorio hanno stessi diritti fondamentali e stessi doveri dei cittadini italiani. Quindi una precisazione: la figura del clandestino non esiste nel diritto dell'Unione europea e tanto meno in quello internazionale dei diritti umani. E questo diritto prevale su quello nazionale».  Ma che status hanno allora le migliaia di persone sbarcate a Lampedusa?  «Delle migliaia di tunisini solo una piccola parte sono profughi. I più sono migranti economici, regolari od irregolari, ma il termine clandestino è inappropriato. E l'Italia ha la quasi totale responsabilità su di loro».  E l'Unione europea?  «Non ha colpa: l'Europa chiede da vent'anni una politica comune in materia di migrazione economica. Gli Stati non vogliono cedere sovranità nel settore immigrazione, ognuno vuole far da sé: quella che stiamo vivendo oggi ne è la drammatica conseguenza».  Siamo di fronte ad un'emergenza?  «Sì, un'emergenza che dura da dieci anni, cui la politica non ha ancora dato risposte. Non si può aspettare il ciclico picco di sbarchi e poi tentare soluzioni posticce. Bisogna istituire tavoli con le amministrazioni. Non si può dire ai sindaci vessati dai tagli e alla popolazione, da un giorno all'altro, che arriveranno mille migranti. Manca la politica strutturale: quella che toglie risorse alle spese militari per dare fondi a chi quei migranti li deve accogliere. Parlo delle amministrazioni, delle associazioni di volontariato: ci vogliono cabine di regia di  veri piani di accoglienza».   La tendopoli è una soluzione?  «No, assolutamente. Si rischia di creare un nuovo ghetto come via Anelli, di violare ancora una volta diritti umani. Il governo deve dare fondi agli enti locali, al volontariato: i migranti devono essere alloggiati in case famiglia, non in tende di fortuna. Una soluzione? Quanti sono i migranti di oggi? Seimila? Ebbene, in Italia sono circa duemila trecento i Comuni con più di cinque mila abitanti. Distribuirli significherebbe avere tre o quattro immigrati per area. Così si fa accoglienza e integrazione, non continuando con una sorta di orribile commercio di bestiame. Sono persone scappate dalla fame».  Quando finirà l'emergenza?  «Beh, non certo in 48/60 ore. Il flusso migratorio non si esaurirà, anzi, è destinato ad aumentare. Ecco perché è giunto il momento di dar vita alla politica europea dell'immigrazione. Se manca un piano, se la classe politica continuerà a non programmare, andrà sempre peggio».

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