Emigriamo anche noi. Nel 2010 gli italiani all'estero sono in aumento: 113mila in più rispetto all'anno scorso.
Fondi speciali, spesa ordinaria
Gianni Letta e Chiodi: L'Aquila non è morta, i finanziamenti ci sono
Sardegna. L'Isola sarà come Lampedusa.
Decimomannu: paradosso della guerra. Gli arabi in Porsche, i sardi a casa.
Ginosa Marina. Da Roma arriva la Protezione civile
Taranto. Corsa alla stazione. Città assediata dai tunisini in fuga
Immigrazione - Fondi Unione Europea
Acerra, riapre «per poco »il terzo forno
Emigriamo anche noi. Nel 2010 gli italiani all'estero sono in aumento: 113mila in più rispetto all'anno scorso. oggi, 05 aprile 2011 08:48.
(Enzo Coniglio) Non c’è alcun dubbio. Nelle acque italiane si nasconde da alcuni decenni sicuramente il gene dell’imbecillità, dell’incapacità a ragionare, a saper ricordare e valutare anche le cose più semplici. Eppure siamo l’unico paese d’Europa che ha posto a fondamento dei propri programmi scolastici la storia, grazie al siciliano Giovanni Gentile e uno dei pochissimi in cui si studia filosofia e analisi logica in tutti i licei e le scuole magistrali. Dicono le statistiche che saremmo anche uno dei paesi più cristiani d’Europa e quindi, uno dei paesi più solidali con chi sarebbe in difficoltà e con chi soffre.
Dagli ultimi studi, sembra si tratti di geni mutogeni di natura “politica” non meglio identificati.
La cartina di tornasole che dà dell’Italia un impietoso giudizio, ci viene dal come stiamo trattando il flusso migratorio che ci ha raggiunto nelle ultime settimane e che ha interessato fin ad ora circa 20.000 giovani migranti provenienti in gran parte dalla Tunisia; gente approdata con mezzi di fortuna, vittima di sfruttatori bracconieri senza scrupoli che vendono a caro prezzo la speranza di libertà altrui; gente approdata e privata in alcuni casi di un piatto di minestra e persino dei servizi igienici, quasi fossero delle bestie.
Eppure si tratta, nella maggior parte dei casi, di giovani che hanno meno di 29 anni, bene educati e rispettosi, che sperano di farsi un avvenire emigrando esattamente come abbiamo fatto da sempre e continuiamo a fare noi italiani e con cifre di ben altra natura. Secondo l’apprezzato “Rapporto annuale degli Italiani all’estero” della Fondazione Migrantes, nel 2010 gli italiani all'estero sono aumentati di 113mila unità rispetto all'anno precedente e di 1 milione rispetto al 2006. Il 55,6% di questi è emigrato realmente dall’Italia mentre il 37% è invece nato in terra straniera. Come dire che i paesi terzi hanno dovuto assorbire in un solo anno circa 60.000 italiani dai 25 ai 40 anni. Un altro dato interessante tratto dallo stesso rapporto: gli italiani emigrati e regolarmente iscritti presso i consolati italiani nella apposita lista denominata AIRE (Associazione Italiana Residenti all’Estero), erano 4.028.370 nel dicembre dell’anno scorso. Come dire: il 70% dell’intera popolazione siciliana.
È da notare che l’Italia è considerata un’economia matura, un paese assolutamente sviluppato, una delle dieci potenze del modo occidentale. Provate ora a confrontare la nostra situazione con quella dei paesi della sponda sud e, in particolare con i giovani tunisini, che devono affrontare, oltre ad una profonda crisi economica che interessa tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente, una rivoluzione politica epocale simile ad un evento bellico che sta rivoluzionando profondamente l’assetto geopolitico e geoeconomico del Mare Nostrum che “nostro” non è più.
Mi ricorda quello che è successo in Europa dopo la seconda guerra mondiale all’inizio degli anni ’50 quando il CIME (Comitato Intergovernativo per la Migrazione in Europa), in seguito denominato OIM, nato per gestire le grandi emigrazioni umane del dopoguerra, ha aiutato i governi a ricollocare ben 11 milioni di persone e ne ha curato il trasporto di oltre un milione. Ed erano quelli, anni ben più difficili degli attuali... eppure i nostri padri ce l’hanno fatta così come ce l’ha fatta la Germania a riconvertire i tedeschi dell’Est e noi europei dell’ovest a ricollocare gli emigrati della rivolta dell’Ungheria del 1956, della guerra Cecoslovacca del 1968; del Kosovo del 1999 e decine di altre gravissime crisi europee e non solo.
Non possiamo dimenticare che in Europa, fino al 1940, la democrazia era un eccezione esattamente come lo è stato fino a pochi mesi fa nei paesi della sponda sud e lo continua ad esserlo in alcuni di essi, quali la Libia, lo Yemen, la Siria, il Bahrein... In fondo i nostri cugini arabi stanno realizzando oggi quanto noi abbiamo realizzato nel secolo scorso. Noi siamo stati aiutati da un Piano Marshall, dal CIME, dalle Nazioni Unite; anche loro meritano qualcosa del genere e non certo di rimanere relegati su una collinetta di un’isola del Mediterraneo senza cibo e senza cessi!
Lo spettacolo del signor Bossi e dei suoi degni cugini della Lega è assolutamente inqualificabile non solo sul piano etico; esprime una profonda ignoranza storica e una sensibilità che, grazie a Dio e ai nostri padri, non ci appartiene. È assolutamente puerile e insostenibile quanto hanno dichiarato e fatto perché è evidente che questi giovani, esattamente come i giovani italiani, vorranno migliorare la loro vita attraverso l’emigrazione che comporta tanti rischi e tanti sacrifici soprattutto per loro come lo è stato e continua ad esserlo per molti giovani italiani che decidono di emigrare.
C’è però un punto su cui dobbiamo essere altrettanto chiari: il peso finanziario di una emigrazione sostenuta, non può e non deve essere sopportato soltanto dal nostro Paese. Non ha alcun senso come sanno bene gli stessi emigranti che vedono il nostro Paese soltanto come un trampolino per recarsi in altri paesi. Ha invece senso rimettere in moto il CIME, un Piano Marshall, la POA (Pontificia Opera Assistenza) ed oggi l’Unione Europea, insieme ad ogni altra organizzazione di supporto umanitario. Possiamo elaborare iniziative operative reciprocamente vantaggiose; non ultima, l’inserimento di questi emigrati nelle zone disabitate d’Italia che non sono poche e dove è minacciata la stabilità del territorio. In una mia recente visita a Palermo, ho raccolto una proposta veramente concreta ed innovativa che avrebbe delle ricadute molto positive.
Purtroppo in questo paese, a causa del virus che abbiamo ricordato all’inizio, chi grida, chi sbraita, chi manipola i media ha ragione. C’è da chiedersi seriamente se sia questa l’Italia che si vuole per noi stessi e per i nostri figli.
Fondi speciali, spesa ordinaria
Carmine Fotina – il Sole 24Ore
Questione di idee, spesso deboli, e di regole, ancora bizantine. Questione di centri decisionali, troppe volte in conflitto tra loro, e d'interessi particolari che hanno allontanato l'obiettivo generale. Così la quasi ventennale storia dei fondi europei, pur con delle eccezioni virtuose, resta segnata da un insuperato vizio di origine: quantità della spesa bassa e qualità degli interventi carente.
In altre parole, l'arma strategica per ridurre il divario economico tra il Nord e il Sud del Paese ha deluso le aspettative, come certificato anche dalla Corte dei conti: «La crescita del Pil pro capite nelle aree Obiettivo 1 del Mezzogiorno è stata non solo lievemente minore di quella italiana, ma soprattutto molto inferiore a quella delle restanti regioni Obiettivo 1 dell'Europa». Anno dopo anno i fondi speciali messi a disposizione dalla Ue hanno smarrito la loro funzione aggiuntiva, finendo per sostituire porzioni di spesa ordinaria che lo Stato non è riuscito a garantire. In questo modo si sono progressivamente perse di vista le finalità originarie della programmazione a sostegno delle aree deboli.
Solo adesso si avvicinano scadenze decisive per un possibile cambio di rotta. Uno degli ultimi decreti attuativi del federalismo fiscale anticipa le linee generali della nuova politica di coesione europea, mentre il Governo, scontentando non poco le Regioni, ha avviato una riprogrammazione generale delle risorse fin qui incagliate. Il tempo stringe e aumenta il pressing della Commissione europea, che può far valere la tagliola del disimpegno automatico. L'ultimo resoconto, messo nero su bianco in un recente incontro tra il ministro Fitto e i governatori, parla di quasi 6 miliardi di spese (8 includendo anche il Centro-Nord) da certificare entro il prossimo 31 dicembre. Una cifra monstre, pari a quasi un settimo del programma comunitario 2007-2013. Come fare?
Il Governo ha scelto l'arma di un progressivo accentramento della governance, fissando scadenze rigorose in corso d'anno per rispettare il target ed evitare che risorse preziose tornino a Bruxelles. In poche parole bisogna fare in fretta. La Ragioneria dello Stato, nell'ultimo bilancio sullo stato di attuazione aggiornato al 31 dicembre 2010, ha segnalato dei progressi, ma il ritardo da recuperare resta notevole. Al Sud, i pagamenti relativi ai 43,6 miliardi della programmazione 2007-2013 (tra fondi comunitari e cofinanziamento nazionale) si fermano al 9,6%; gli impegni al 18,8. I dati variano molto in base al programma, ma sulla spesa spiccano in negativo il 2,4% della Campania e il 3,7% della Sicilia sul fondo Fse; il 6,6 e il 7,7% delle stesse regioni sul fondo Fesr. Vanno appena meglio due dei programmi che coinvolgono direttamente anche i ministeri – su cultura-turismo ed energie rinnovabili (8,7 e 8,8%) – a testimonianza che le responsabilità possono riguardare diversi livelli di governo oltre che gli stessi enti o società statali beneficiarie.
Sono infatti molto spesso comuni le difficoltà. La Ragioneria dello Stato va sul tecnico: ritardi su sistemi di contabilità, dichiarazioni di spesa, sorveglianza e check list, oltre all'annoso problema degli organici insufficienti. La Corte dei conti sottolinea invece come di per sé uno strumento dai tempi di pagamento contingentati metta in difficoltà un Paese che sulle opere pubbliche infrastrutturali ha performance da brividi: «Per interventi superiori ai 10 milioni la sola attività di progettazione può essere superiore a cinque anni e la realizzazione può concludersi dopo non meno di dieci». Dal canto suo la Banca d'Italia, con il capo servizio studi Daniele Franco, enfatizza altri due aspetti: «Forte frammentarietà degli interventi» e squilibrio eccessivo verso incentivi alle imprese, la cui efficacia si è «rilevata in genere modesta».
Un giudizio che, tralasciati i numeri, già ci proietta alla qualità della spesa. Senza usare il commento tranchant del ministro Tremonti, che ha addirittura parlato di «cialtroneria», o rifarsi agli esempi internazionali citati recentemente dal Financial Times, nel repertorio dei fondi europei si possono recuperare esempi significativi. Da un lato ci sono la metropolitana di Napoli, l'Alta velocità Roma-Napoli, interventi sulla rete energetica; dall'altro ci sono azioni di tutt'altra incisività come le «aree attrezzate per la sosta breve di caravan e roulotte» o di dubbia concretezza come le «attività finalizzate a fornire al management informazioni sull'ambiente esterno all'impresa». Le cronache hanno raccontato poi dei 710mila euro impiegati dalla Campania per un concerto di Elton John e contestati dalla Ue e di una lunga polemica su una sponsorizzazione della nazionale di calcio da parte della Calabria. Lungo l'elenco di consulenze e corsi di formazione dagli esiti modesti, senza contare che ogni anno su circa l'11% dei fondi (dati Olaf) si rilevano frodi o errori.
Eppure, inefficienze a parte, non si renderebbe giustizia alle politiche per il Mezzogiorno senza citare il tradimento del principio dell'"addizionalità". Alla fine degli anni 90 il Governo fissò dei traguardi molto precisi: al Sud sarebbe dovuta andare il 45% della spesa in conto capitale (tra risorse ordinarie, Ue e Fas).
Negli anni successivi il target è stato però puntualmente disatteso e nell'attuale legislatura si è rinunciato a obiettivi quantitativi. Così facendo, i fondi speciali hanno finito spesso per sostituire spese ordinarie decrescenti a danno dell'efficacia stessa delle politiche di coesione. «È utile rammentare – rileva su questo punto la Banca d'Italia nell'ultima audizione sul federalismo fiscale – che l'insieme delle risorse in conto capitale aggiuntive è di poco superiore al 5% dell'intera spesa pubblica nel Mezzogiorno. Se la restante parte della spesa pubblica, in larga misura corrente, produce risultati insoddisfacenti nei servizi essenziali (istruzione, giustizia, sanità, eccetera) le politiche regionali hanno poca possibilità d'incidere significativamente sullo sviluppo delle aree in ritardo».
Gianni Letta e Chiodi: L'Aquila non è morta, i finanziamenti ci sono
Giuseppe Latour. ROMA.
«Non è vero che non ci sono soldi. Le risorse sono solo da spendere». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, risponde così alle ultime polemiche, in ordine di tempo, sul terremoto abruzzese. Insieme al presidente della Regione e commissario delegato per la ricostruzione, Gianni Chiodi, parla dello stato delle cose all'Aquila e dintorni, a due anni dal sisma. E punta il dito contro alcune amministrazioni locali, colpevoli di qualche lentezza nell'impiegare le risorse, non avendo completato per tempo tutti i passaggi burocratici necessari all'avvio dei cantieri per la ricostruzione degli edifici più danneggiati. Soprattutto, quelli del centro storico del capoluogo.
Il quadro dei numeri viene composto da Chiodi. «Ad oggi tra emergenza e ricostruzione – spiega – abbiamo speso circa 1,4 miliardi». Poco più di 1,7 miliardi sono, invece, soldi liquidi che non sono stati ancora usati. «È denaro che – racconta il commissario – potremmo impiegare anche subito». Una buona fetta di questi soldi, circa 483 milioni, è di pertinenza della contabilità speciale per la ricostruzione. «Sono – spiega il capo della struttura tecnica di missione, Gaetano Fontana – soldi che trasferiamo ogni giorno per le scuole, le università, la riparazione e la messa in sicurezza di edifici, ma anche per interventi come la rimozione di macerie». Per arrivare a 1,7 miliardi bisogna includere anche i fondi della contabilità speciale per l'emergenza e quelli messi a disposizione dalla Cassa depositi e prestiti. A questi, nel corso del 2011, il Cipe aggiungerà 1,5 miliardi.
Se c'è tanto denaro, allora, perché ci sono difficoltà a spenderlo? «Il problema – spiega Chiodi – riguarda soprattutto gli edifici che sono stati classificati come "E", cioè con il massimo livello di danni». Molti di questi fanno parte dei centri storici, dove è necessario che ciascun Comune predisponga un piano di ricostruzione prima di avviare i lavori.
La situazione dei piani, ad oggi, è desolante. «I Comuni che devono consegnare questi documenti sono 57 – spiega Fontana –, ma attualmente non ce n'è neppure uno che lo abbia fatto. Sappiamo però di varie amministrazioni che stanno lavorando; 26 di queste hanno sottoscritto accordi con università». Tra gli inadempienti, preoccupa molto L'Aquila. «Per adesso – dice Chiodi – so che il Comune ha incaricato un architetto di redigere i piani lo scorso novembre e ce lo ha comunicato solo qualche giorno fa». Esiste, allora, qualche viscosità nella comunicazione tra le istituzioni, sebbene sia stato da poco aperto un tavolo tra tutte le parti coinvolte. «Il sindaco Massimo Cialente – racconta Letta – si era dimesso contro presunte inefficienze ma sabato è stata ricostituita una perfetta unità di intenti, si è unito al tavolo e ha ritirato le dimissioni».
Se gli edifici più danneggiati accusano qualche ritardo, non è così per gli altri. «La ricostruzione va avanti. L'Aquila – dice Chiodi – ha grossomodo gli stessi residenti che aveva quando sono diventato commissario. Fuori dai centri storici, poi, sono stati avviati oltre 11mila cantieri». Gli fa eco Letta: «È tutto regolare, trasparente e documentabile». I cittadini che vivono in alberghi da febbraio scorso ad oggi sono calati dell'82%, come quelli nelle caserme (-77,7%) e quelli che godono di sussidi per una sistemazione autonoma (-50,7%).
Guardando alle pratiche di richiesta di contributi per la ricostruzione avviate nel solo capoluogo, il punto dolente sono, ancora una volta, gli stabili classificati come "E": appena 699 su 16mila. Un andamento sul quale ha inciso molto, oltre al problema dei piani di ricostruzione, anche la polemica con costruttori e progettisti. «Ci sono stati sottoposti 17 punti critici – racconta Fontana – da chiarire per avviare questa fase della ricostruzione. Dopo qualche discussione, abbiamo superato le difficoltà e adesso possiamo procedere». La prossima scadenza, a questo punto, è il 30 giugno, termine massimo per presentare le domande per gli edifici "E" fuori dai centri storici.
Sardegna. L'Isola sarà come Lampedusa. Allerta del portavoce tunisino. “Preparatevi a scene già viste a Lampedusa. Anzi a situazioni forse peggiori. La Sardegna sarà la meta degli sbarchi dei tunisini e, se pensiamo a quanto successo in Sicilia, potrebbe andare in tilt in poco tempo”. Chabaani Abderazak, 41 anni, 20 dei quali vissuti a Cagliari, delegato del consolato tunisino in Sardegna, lancia l'allarme.
Oggi è stato convocato nelle sede diplomatica romana del Paese nordafricano per fare la radiografia di quello che è a tutti gli effetti un esodo.
Domenica i primi sbarchi. Il mare calmo e le temperature quasi estive non preannunciano niente di buono: altri disperati per tutta l'estate raggiungeranno le coste sudoccidentali dell'Isola.
L'ANALISI Domenica oltre 30 persone (32 per la Guardia di finanza, 37 per la Prefettura) sono state bloccate dai carabinieri sulla spiaggia di Chia. Gli immigrati sono finiti al centro di Elmas, i due scafisti nel carcere di Buoncammino. «La situazione a Lampedusa è ormai al collasso, le immagini che arrivano in Tunisia hanno convinto chi voleva partire a cambiare destinazione. D'altra parte - afferma Abderazak - la tratta da percorrere è relativamente breve. La Tunisia è separata dalla Sardegna da appena 90 miglia di mare».
Decimomannu: paradosso della guerra. Gli arabi in Porsche, i sardi a casa. Potere dei petrodollari. I generali dello Stato maggiore delle Forze armate degli Emirati Arabi Uniti alloggiano nelle suite di un hotel di lusso al centro di Cagliari e ogni giorno viaggiano a bordo di una Porsche, presa rigorosamente a noleggio, verso l'aeroporto militare di Decimomannu, piattaforma dei loro aerei (Mirage 2000) sempre in procinto di decollare verso la Libia. La "truppa" araba (240 persone) invece è sistemata in un albergo sul litorale di Quartu e si muove verso Decimomannu in pullman.
I SARDI - Sono circa sessanta le famiglie di Villasor, Decimomannu, Decimoputzu e San Sperate che campano grazie all'impiego nella base italo-tedesca di Decimomannu.
Venerdì scorso, all'ennesimo cambio della guardia tra le ditte che hanno vinto l'appalto per le pulizie delle caserme di tutta Italia, la notizia temuta: riduzione dell'orario di lavoro. Per tutti. Del venti per cento netto. Per fare un esempio concreto, chi oggi era impegnato a lavorare per 34 ore alla settimana, dovrà farne soltanto 27. Lo stipendio passa da 850 a 600 euro. Ma c'è anche chi percepisce 400 euro mensili per lavorare soltanto quattro ore al giorno.
Martedì 05 aprile 2011 08.39
Ginosa Marina. Da Roma arriva la Protezione civile
Lunedì 04 Aprile 2011 14:07 GINOSA MARINA - Il Governo manda gli uomini della Protezione civile per cominciare la conta dei danni.
Domani i volontari del corpo di Roma saranno sui luoghi dell’alluvione che nella notte del primo marzo scorso ha cancellato le contrade Pantano e Marinella di Ginosa Marina.
Da allora la situazione non è migliorata. Certo il fango non occupa più le strade e le case, allagate fino al primo piano, ma i 250 sfollati non possono ancora fare rientro in casa e nelle campagne molte delle coltivazioni sono andate distrutte peggiorando ulteriormente la situazione dei bilanci delle aziende agricole già vessate dalla crisi economica.
Da Comune, Provincia e Regione era già partita la richiesta per il riconoscimento dello stato di calamità, ma la discussione nel Consiglio dei Ministri non c’è ancora stata perché contemporaneamente scoppiava la guerra e l’arrivo degli immigrati tunisini ha spostato i riflettori sulla nuova emergenza immigrati.
I ginosini attendono, però, ancora di sapere come e quando potranno contare su aiuti economici in grado di riportare la normalità nelle due contrade. Un primo segnale in tal senso potrebbe arrivare già domani quando gli uomini della Protezione civile di Roma giungeranno in città. Eseguiranno i primi rilievi nelle case ancora umide e nelle campagne. Una conta dei danni che Comune e Regione ha già eseguito quantificando in oltre cento milioni di euro la somma utile per ricostruire e riparare.
Intanto i primi interventi sono già stati eseguiti. Gli argini di un tratto del fiume Galaso sono stati messi in sicurezza, anche se si attende di capire cosa è potuto succedere quella notte in Basilicata dove gli argini del Bradano hanno ceduto inondando anche Ginosa Marina.
I residenti hanno già presentato ricorso, mentre alloggiano ancora in albergo. Ci sono una ventina di famiglie che reclama ed in loro soccorso la gara di solidarietà non si ferma.
Dalla Parrocchia ieri sono stati raccolti ulteriori fondi, mentre il Comune sta pensando ad un avviso pubblico per cercare case in affitto da consegnare agli sfollati in attesa che le pareti delle loro abitazioni si asciughino.
Taranto. Corsa alla stazione. Città assediata dai tunisini in fuga
Lunedì 04 Aprile 2011 14:17 TARANTO - Stazione blindata da poliziotti e carabinieri. Dieci immigrati, nel fine settimana, che si fanno medicare al pronto soccorso del Ss. Annunziata.
Presumibilmente dopo una rissa. E’ sbarcata definitivamente a Taranto l’emergenza regalata alla Puglia da chi ha scelto la terra ionica come “discarica umana” per le migliaia di tunisini in fuga dal loro Paese. Stamattina lo scalo ferroviario regalava uno scenario di guerra. Mai visto. O meglio, visto solo due giorni fa. Sempre per lo stesso motivo.
Le forze dell’ordine sono impegnatissime in queste ore per tamponare le fughe, legittime o meno.
Stamani lo scalo ferroviario è stato blindato. I tunisini hanno provato a farsela alla larga. I più furbi ci sono riusciti. Hanno intravisto agenti e militari in assetto antisommossa e sono fuggiti a piedi. Alcuni sono stati bloccati e caricati su un bus. Devono tornare nella tendopoli di Manduria. In attesa della prossima (prevedibile) fuga.
Lì ritroveranno i conterranei. Duecento di loro ieri sera hanno inscenato una forma di protesta proprio dinanzi alla tendopoli della città messapica per chiedere libertà. Hanno dormito all’esterno delle tende allestite nel centro d’accoglienza sulla via per Oria. La protesta è proseguita anche oggi quando una parte di loro l’ha tramutata in sciopero della fame. Intanto nel capoluogo ionico cresce la preoccupazione. Non certo per razzismo, ma per il caos che si sta vivendo.
E in questo senso preoccupano le notizie di scontri e risse che arrivano con il contagocce.
Immigrazione - Fondi Unione Europea
30.03.2011
Più risorse per il rimpatrio volontario assistito
Il Fondo Europeo finanzia progetti per le categorie vulnerabili dei cittadini di Paesi terzi. Inviare le proposte di progetto entro le 12 del 15 aprile
Per supportare il Governo nella gestione dello stato di emergenza umanitaria, dovuto all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi nordafricani, è stato pubblicato un nuovo avviso per la selezione di un progetto da finanziare con le risorse del Fondo Europeo per i Rimpatri – Annualità 2009, relativo all’Azione 1.2.1, Programmi di rimpatrio volontario assistito e reintegrazione nei paesi di origine per gruppi vulnerabili specifici.
Pertanto, con la pubblicazione del presente avviso si intende potenziare gli interventi in corso, stanziando circa 82.000 euro per un programma di Rimpatrio Volontario Assistito e Reintegrazione (RVA&R) rivolto ad almeno 40 cittadini di Paesi terzi appartenenti a categorie vulnerabili (ad esempio, richiedenti/ titolari di protezione internazionale, vittime di tratta, cittadini di paesi terzi con permesso di soggiorno per motivi umanitari, etc), ammissibili per il ritorno volontario sulla base dell’art. 7 della Decisione 2007/575/CE nonché della vigente normativa italiana. Almeno 10 dei destinatari complessivamente attesi dovranno anche essere beneficiari di un’indennità di reintegrazione. Nell’individuazione dei soggetti destinatari dovrà essere data particolare attenzione alla situazione di emergenza creatasi con l’ingente flusso migratorio proveniente dal Nord Africa.
Le proposte progettuali dovranno essere presentate utilizzando la modulistica pubblicata sulla presente pagina web e secondo le modalità dettagliate nell’avviso pubblico. Le stesse dovranno pervenire presso il Ministero dell’Interno, a cura e rischio del mittente, entro e non oltre le ore 12.00 del 15 aprile 2011.
Acerra, riapre «per poco »il terzo forno
Rifiuti a Napoli ancora 2000 tonnellate in strada, nella discarica sequestrata a Giugliano si sversa abusivamente
NAPOLI - «Un’auto privata parcheggiata in curva, due persone che aggirano nei paraggi ed una scaletta di ferro a scavalcare la recinzione» . E’ la scena che, ieri mattina, è apparsa agli occhi del presidente della commissione regionale per le bonifiche, Antonio Amato, e del direttore di Legambiente Campania, Raffaele Del Giudice. Stavano svolgendo un sopralluogo alla Resit, la discarica di proprietà di Cipriano Chianese in cui, secondo quanto ha rivelato ai magistrati il pentito di camorra Gaetano Vassallo, furono occultati perfino i fusti tossici dell’Acna di Cengio. L’invaso, rivelò Vassallo, al cui interno morivano avvelenati finanche i topi.
La discarica è sotto sequestro, tuttavia, hanno notato ieri il consigliere regionale e l’esponente di Legambiente, c’è chi continua ad entrare. D’altronde, in tutta la zona che ospita vari immondezzai l’impianto di tritovagliatura stir di Giugliano, si sversa tuttora abusivamente ogni sorta di materiale. Lo documentano le foto scattate ieri: amianto, scarti di fonderia, rifiuti solidi urbani, stracci e copertoni pronti ad essere usati come base di combustione. Non lontano, campi agricoli e pescheti. Non abbiamo incontrato una sola pattuglia, qualcuno che presidiasse l’area , denuncia Amato. Eppure, aggiunge, «un sito sottoposto a sequestro dovrebbe essere vigilato. Invece, i militari se ne stanno chiusi dentro allo stir» .
Napoli, intanto, resta sporca. Siano 1600 le tonnellate accumulate in strada, come contabilizza l’ufficio flussi di palazzo Santa Lucia, oppure quasi 2000, come sostiene Palazzo San Giacomo, anche ieri c’erano cospicui cumuli maleodoranti. Infine, novità da Acerra. Tempo un paio di settimane e l’impianto funzionerà a pieno regime, con le tre linee contemporaneamente in funzione. Non e’ mai accaduto da settembre, quando si bucò per la prima volta la caldaia di uno dei tre forni. Il termovalorizzatore brucerà dunque circa 2000 tonnellate ogni 24 ore. Durerà poco, peraltro. Tra maggio e giugno Partenope Ambiente, che gestisce l’impianto, dovrà intervenire nuovamente anche sulla caldaia già oggetto di un intervento in autunno. Sarà di nuovo fermata la seconda linea.
Fabrizio Geremicca
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