Napoli. I prof di Milano: veniamo noi a insegnare nella scuola media che nessuno vuole
Una mescolanza di interessi pubblici e privati
Medvedev lascerà la presidenza a russa a Putin. «Diventeremo una delle più grandi economie del mondo»
Napoli. I prof di Milano: veniamo noi a insegnare nella scuola media che nessuno vuole
Caivano, la preside della Viviani, istituto disertato dai docenti: «157 lettere dal Nord, chiedono di venire qui»
NAPOLI - Alla scuola Viviani di Caivano nessun professore vuole andare. Troppi rischi, secondo i docenti. Ma dopo la denuncia della preside Eugenia Carfora sono iniziate a pervenire richieste di immissione in ruolo da tutta Italia (Milano, Brescia, Trieste) accompagnate da toccanti lettere di chi si dice pronto ad insegnare in un istituto che opera in una realtà non semplice. Siamo già a quota 157. La Viviani è una scuola cosiddetta di frontiera, collocata nel bel mezzo di uno dei quartieri più difficili della provincia di Napoli: il Parco Verde. Lo chiamano «Parco Verde» ma in questo pezzo della periferia di verde non se ne vede neanche a pagarlo. Solo degrado e casermoni di edilizia ecopopolare. «A chiunque venga conferito l'incarico nelle scuole di questo quartiere — spiega la preside Carfora — non appena ne ha l’occasione preferisce andar via. Gli insegnanti di ruolo non ci vogliono venire e mandano supplenti che appena possono scappano». Ma a far coraggio alla dirigente scolastica sono le lettere e le mail giunte a centinaia (157 per l’esattezza) negli ultimi giorni. sono firmate da insegnanti di Milano, Brescia, Trieste, che desidererebbero scendere al Sud, alla Viviani di Caivano, per dare, dicono, «un senso alla parola insegnamento».
La preside è donna risoluta, qualcuno la dipinge come severa ma solo perché prova a far rispettarele regole. «Non mi accontento di soluzioni tampone: chi viene in questa scuola — spiega al Corriere — deve avere la formazione e le motivazioni giuste per poter affrontare una situazione cosi complessa». Oggi la Viviani è tenuta bene: aiuole curate, aule pulite e ordinate. Non è stato sempre così. «Abbiamo dovuto lavorarci molto e nel corso di lavori sono state trovate persino armi». Davanti ai cancelli ci sono tante mamme che chiedono con insistenza il ritorno dei docenti scappati via. Potrebbero essere rimpiazzati, chissà, da volenterosi prof «padani». Nei giorni scorsi la preside ha inviato una comunicazione al ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, al direttore dell'Ufficio scolastico regionale per la Campania, Diego Bouchè, e al dirigente dell'ufficio territoriale di Napoli, Luisa Franzese. Atto necessario per segnalare una situazione, quella dei prof «fuggitivi», che va avanti da tempo e che sembra arrivata al capolinea. Mancano gli insegnanti: ci sono ben 22 cattedre vacanti. Nessuno se la sente di mettere piede in quella scuola e in quel quartiere. Eppure in questa provincia c'è un altissimo tasso di disoccupazione anche tra chi ha una laurea. «Mi batto per il funzionamento di questa scuola e voglio che i ragazzi abbiano quello che meritano — dice ancora la Carfora —, l’istituto viene mantenuto, annualmente, da supplenti temporanei, che quasi sempre si trovano spiazzati da situazioni tanto problematiche».
Sulla vicenda interviene anche Angela Cortese, consigliere regionale del Pd, ex assessore provinciale all'Istruzione. «Sarebbe il caso che la Gelmini raccogliesse il grido di allarme che viene dalla scuola media Viviani di Caivano, dove le cattedre sono rimaste vuote poiché i docenti sono spaventati dal dominio della camorra». Se non si trovano insegnanti — dal Sud o dal Nord —in grado di sopperire ai vuoti e alle croniche difficoltà, sarà molto complicato per il dirigente scolastico gestire l'anno scolastico appena inziato. Del resto, la preside non vuole ancora ricorrere a docenti che arrivano giusto per fare un po’ di punteggio e poi arrivederci e grazie. «Così si aggrava solo il disagio didattico, a danno di una platea scolastica già fortemente mortificata per il degrado di questo quartiere»
Rocco Sessa
Una mescolanza di interessi pubblici e privati
di Cyro Andrade – 25 settembre 2011
Pubblicato in: Brasile
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
[Valor]
Recensione del libro di João Fábio Bertonha “Itália – Presente e Futuro”
Il capo del governo impegna la quasi totalità del suo tempo a cercare di conservare la sua scarsa maggioranza in Parlamento, mentre ogni giorno spreca ciò che ne resta in dispute con l’autorità giudiziaria o con la stampa. Perciò ha poco tempo da dedicare al governo della cosa pubblica e agli interessi della collettività, preferendo quelli privati, i suoi personali e quelli della sua rete di influenza e di potere.
Il profilo che lo storico João Fábio Bertonha traccia di Silvio Berlusconi può ridursi a questo, con una sintesi che nello stesso tempo esprime il fallimento di un sistema politico, quello italiano, che “non si trasforma” soprattutto perché è stato soggiogato negli ultimi 20 anni dai piani personali e lobbistici del “Cavaliere”. Le conseguenze di questa paralisi si riflettono sull’economia, sottraendole vitalità; inibiscono il progresso tecnologico così importante in un mondo volto alla conoscenza; favoriscono il mantenimento di un’università ridotta alla mediocrità; impediscono l’adeguata valutazione del problema demografico. Provocano perfino fibrillazioni nell’unità nazionale.
Nel libro di Bertonha – che è un’introduzione al declino del ruolo economico e geopolitico dell’Italia nell’Europa e nel mondo – Berlusconi è l’anti-eroe, il “punto di convergenza di buona parte dei dilemmi e dei problemi che affliggono l’Italia di oggi”. Lui e il “suo gruppo” , dice Bertonha, sono presentati come i protagonisti di una regressione politica costruita metodicamente sul vuoto di leadership e sulla mancanza di unità dell’opposizione. “Oltre a garantire gli interessi personali e di imprenditore, Berlusconi e la sua coalizione hanno portato a termine un progetto più ampio: smantellare la Costituzione repubblicana del 1948 e le conquiste sociali ottenute da allora”.
La loro intenzione è di sostituirle con “un regime presidenziale fondato su un populismo plebiscitario basato sul dominio dei mezzi di comunicazione di massa e sul saldo controllo degli oppositori”, pretese che proliferano in un paese con “poca cultura civica, in cui lo Stato ha poca legittimità, e in cui la democrazia è immatura”. Anche la sinistra ha le sue colpe: “Non è stata capace di accorgersi del fatto che il gruppo di Berlusconi ha smesso di essere solo un partito mediatico per diventare una forza con capacità di penetrazione nella società, capace di mobilitare le persone disorientate dalla novità della globalizzazione in direzione non fascista, ma antidemocratica, populista”.
Il personaggio Berlusconi gode una profonda e aperta antipatia da parte dell’autore. Il libro di Bertonha tuttavia non si esaurisce in svalutazioni soggettive dell’uomo Berlusconi, ma lo situa criticamente nella storia recente di un paese che sembra essersi perso, a giudicare dalla forza intrinseca che lo fece rifiorire dopo la seconda guerra mondiale e che lo innalzò a un livello di sviluppo pari a quello dei maggiori paesi europei (anche se ora retrocede). “La mia antipatia non è mossa da alcun interesse personale o preconcetto ideologico – assicura Bertonha – ma da un’analisi attenta di dati, situazione e fatti” di dimensioni tali da dimostrare che i problemi italiani non possono essere tutti attribuibili a Berlusconi. Non pochi vengono da lontano, sono strutturali, sia quelli economici che quelli politici e culturali.
Laureato dottore nell’università di Campinas, con post dottorato all’Università di Roma, ricercatore presso varie università europee e statunitensi, Bertonha conosce l’Italia, l’oggetto prioritario dei suoi studi accademici, grazie a ciò osserva durante i viaggi frequenti al paese dei suoi avi. Il confine temporale in questo suo libro arriva all’ultimo decennio del ventesimo secolo e al primo del ventunesimo. In un libro precedente, “Gli italiani”, pubblicato nel 2005 dallo stesso editore, “lo sguardo era storicamente panoramico e prendeva in considerazione il lungo passato dell’Italia; osservarlo alla luce del presente puo’ portare solo a una valutazione positiva, poiché l’Italia ha progredito molto dai tempi dell’unificazione, 150 anni fa”, dice nell’introduzione. “Tuttavia quando rivolgiamo la nostra attenzione al presente immediato e al futuro non possiamo non essere allarmati dalla direzione che prende quel paese e il suo popolo”.
Perché l’Italia ha optato per Berlusconi varie volte, dal momento che è un vero spettacolo pubblico di idiosincrasie tanto apertamente evidenti e tanto apertamente criticate? “Ė difficile non concordare con l’idea che, se non fosse ricco e non controllasse la televisione, sarebbe difficile per Berlusconi affermarsi come leader politico.“ dice Bertonha, mentre passa in rassegna i possibili motivi in grado di spiegare la permanenza del “Cavaliere” al potere, come inquilino o meno di Palazzo Chigi. Ma ci sono altri motivi. Uno sembra particolarmente rilevante: il grande richiamo che ha il suo discorso su molti Italiani. “Promette di amministrare l’Italia come amministra le sue imprese e afferma che tutti, se lavorano, possono diventare ricchi come ha fatto lui. Poco probabile, ma ciò che alla fine conta è il messaggio ‘antipolitico’ che ha una forte presa sugli Italiani, i quali vedono nel successo di Berlusconi la proiezione del successo che vorrebbero avere“, a qualsiasi costo etico.
“Chiaramente non possiamo essere tanto ingenui dal dimenticare che la corruzione, l’uso della cosa pubblica a fini privati e l’idea che il denaro può comprare tutto sono presenti in tutte le società moderne, in grado maggiore o minore”, dice Bertonha. Tuttavia “per un paese che si vuole europeo, moderno ed efficiente, la corruzione, la mancanza di etica e di rispetto delle leggi sono arrivati in Italia a livelli insopportabili”.
Come sarà l’Italia del dopo Berlusconi? Impossibile fare una previsione, “anche perché la cultura e il sistema che lo ha generato sono essenzialmente ancora intatti, e forse non muteranno nella sostanza”. Tuttavia, anche se in modo appena percettibile, la speranza nel cambiamento fa da contrappunto al disanimo che domina le riflessioni di Bertonha.
[Articolo originale "Essa mistura de interesses públicos e privados" di Cyro Andrade]
Medvedev lascerà la presidenza a russa a Putin. «Diventeremo una delle più grandi economie del mondo»
di Vladimir Sapozhnikov
Nel marzo del 2012 Vladimir Putin ritornerà alla presidenza russa. Lo ha annunciato oggi il presidente uscente, Dmitrij Medvedev, che non intende presentare la propria candidatura per il secondo mandato presidenziale. Medvedev diventerà invece il leader del partito del Cremlino "Russia Unita" e potrà sostituire Putin alla carica di primo ministro.
"Sono pronto a lavorare al Governo concentrandomi sulla realizzazione del programma di modernizzazione dell'economia russa", ha sottolineato Medvedev, secondo cui in questa situazione "sarebbe logico affidare la presidenza a Vladimir Putin".
Al Congresso del partito "Russia Unita" che si svolge oggi a Mosca, Putin ha dichiarato che la "decisione sul suo ritorno al Cremlino era stata presa molto tempo fa". Dopo le elezioni presidenziali del 2008 molti osservatori russi e internazionali erano d'accordo sul ruolo provvisorio di Medvedev.
A partire dal 2012 il mandato presidenziale avrà una durata non di quattro ma di sei anni. Vale a dire che Putin dopo l'intervallo coperto da Medvedev potrà presentarsi per due mandati presidenziali e quindi resterà al potere per 12 anni, fino al 2024. Nessuno crede che gli altri eventuali candidati alla presidenza russa, tra cui il leader del partito comunista, Ghennadij Zjuganov, e il leader dei nazionalisti, Vladimir Zhirinovskij, possano competere con la popolarità di Putin.
Nel suo discorso al congresso di "Russia Unita" Putin ha auspicato una crescita economica del 6-7% all'anno contro il 4%, previsto per il 2011: "Nei prossimi anni la Russia dovrà entrare nella lista delle maggiori economie del mondo", ha detto il primo ministro. Sul piano della politica sociale, Putin ha promesso che lo Stato non permetterà ai produttori di gas e di elettricità di aumentare le proprie tariffe, e ha sollecitato l'introduzione in Russia delle nuove tasse al consumo sugli oggetti di lusso e sugli immobili, destinate a "penalizzare" i "nuovi ricchi".
Attualmente in Russia è in vigore la cosiddetta "scala piatta" della tassa sui redditi delle persone fisiche: tutti, da un operaio al miliardario Roman Abramovich trasferiscono allo Stato il 13% dei propri redditi.
Toccherà dunque a Dmitrij Medvedev a guidare l'ex partito putiniano "Russia Unita" alle legislative del dicembre prossimo e far fronte alla preoccupante caduta di consensi, che negli ultimi mesi sono slittati dal 60% a sotto il 45 per cento.
24 settembre 2011
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