mercoledì 18 aprile 2012

pm_18.4.12/ Bar dello Sport, Nuova Gestione. - Stefano Manzocchi: Ci sono molte cause per il revival dei nazionalismi: la crescente diseguaglianza dei redditi richiama una redistribuzione statale; gli eccessi e le deviazioni della finanza globale sollecitano più regolamentazione; l'epocale spostamento di ricchezza e produzione verso il Pacifico suggerisce interventi per rallentarlo o contrastarlo.

Marò arrestati in India 12 maggio fiaccolata a Roma
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Rivolta a Quarto contro la discarica
Torna il fantasma del protezionismo
Spagna: morosità crediti supera 8%, la piu’ alta da 18 ann
Ticino. Il tramonto di Bossi. L’alba di Grillo
Ticino. La pecunia olezza su Bruxelles
Serbia: italiana Vescovini costruisce fabbrica a Sabac

Marò arrestati in India 12 maggio fiaccolata a Roma
Familiari vanno a Kerala
ROMA – Si terrà a Roma il 12 maggio una fiaccolata di solidarietà nei confronti dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati dell’omicidio di due pescatori indiani, in prigione da 60 giorni a Trivandrum nello stato del Kerala in India. La fiaccolata,organizzata dalle famiglie, si terrà in piazza S.S. Apostoli a Roma dalle 19 alle 21. Hanno chiesto di partecipare all’evento per portare la loro solidarietà numerose personalità politiche. Gli organizzatori stanno definendo la scaletta della manifestazione.
In un volantino che annuncia l’ iniziativa, firmato dalle sorelle di Massimiliano Latorre, Carolina e Franca, e dalla moglie e dalla sorella di Salvatore Girone, Vania Ardito e Carmela Girone, si precisa che che le due famiglie «scendono in piazza per far sì che presto sia fatta chiarezza».
«Dal 15 febbraio i nostri due Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – si legge ancora nel volantino- sono detenuti illegalmente e ingiustamente nella prigione indiana di Trivandrum. Da allora arrivano poche e scarne notizie sulla sorte dei 'nostrì Uomini. Intanto i mesi sono passati e dalle lontane terre indiane non giunge nulla di confortante. La carcerazione preventiva viene, di volta in volta, prolungata e ai nostri Leoni viene negata la libertà di riabbracciare i propri cari».
«Noi italiani, fieri di essere tali, – continua il comunicato – ci uniremo al loro fianco affinchè l’Italia non resti indifferente alla sorte dei due militari del Reggimento San Marco, che hanno giurato fedeltà alla Bandiera Italiana, servendola sempre e comunque, malgrado tutto! È giunta l’ora che due servitori della patria e padri di famiglia tornino a casa!».
ORE 10:07 - FAMIGLIE LATORRE E GIRONE IN PARTENZA PER KERALA
«Oggi per Massimiliano e Salvatore sono 60 giorni di carcere in India ma in loro la speranza non è mai venuta meno». A parlare è Christian D’Addario, 34 anni, nipote di Massimiliano Latorre, uno dei due marò coinvolti nell’incidente in cui morirono due pescatori indiani,in carcere da 2 mesi nello stato del Kerala. A breve le famiglie Girone e Latorre partiranno per l’India per riabbracciare i loro cari e verificare le condizioni dei due marò.La loro permanenza nel Kerala durerà circa 10 giorni.
«Per loro laggiù e per le nostre famiglie qui in Italia – spiega Christian – questo periodo è sembrato lungo una vita, non abbiamo parole per descrivere l'attesa. Quando è possibile, in media ogni due giorni, Massimiliano si fa sentire e quindi abbiamo notizie dirette. Diciamo che Massimiliano e Salvatore stanno abbastanza bene, sono speranzosi che la loro situazione si risolva in un arco di tempo abbastanza ragionevole». Ieri il magistrato di Kollam, nello stato meridionale indiano del Kerala, ha esteso di altri 14 giorni la carcerazione preventiva dei marò e certo la notizia non è stata accolta con gioia dalle famiglie. «Ormai questo rimandare continuo fa parte del gioco -sottolinea Christian – non ne siamo felici però immaginavamo. In noi resta la fiducia che la situazione possa risolversi, siamo in costante contatto con le autorità e con la caserma».
ORE 10:09 - NIPOTE LATORRE: SU FB GRUPPO A 27 MILA ADESIONI
«L'idea di fare una fiaccolata a Roma, per richiamare l’attenzione sui nostri marò ci è venuta dopo la creazione del gruppo su Facebook «Ridateci i nostri leoni» creato da un amico di mio zio, Massimiliano Latorre, che nel giro di poco tempo è passato da 4 mila a 27 mila membri. Sono in tanti gli italiani ad avere a cuore la sorte di Salvatore e Massimimiliano». Così Christian D’Addario, nipote di Massimiliano Latorre, uno dei due maròin carcere in India spiega perchè la sua famiglia ha deciso di indire una manifestazione di solidarietà con i due militari il 16 maggio a Roma. «La manifestazione non ha nulla di diverso da quelle che abbiamo tenuto a Taranto, solo che a Roma, essendo a metà dell’ Italia, vogliamo dare la possibilità di partecipare un pò a tutti coloro che ci hanno espresso solidarietà». Christian sottolinea che sono diverse le personalità che hanno chiesto di partecipare e che ancora la macchina organizzativa sta definendo il programma. La famiglia dell’altro marò, Salvatore Girone, è in stretto contatto con i Latorre: « Loro parteciperanno con noi, su tutto quello che può servire per la giusta causa, ci muoviamo sempre insieme».
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Rivolta a Quarto contro la discarica
Blocchi stradali contro l'ipotesi di uno sversatoio nella cava del Castagnaro. Isolato il centro flegreo
NAPOLI - Una serie di blocchi stradali sono in corso nel comune di Quarto, a ovest di Napoli, contro l'ipotesi di realizzazione di una discarica nella cava del Castagnaro. I manifestanti hanno di fatto «isolato» la città impedendo la circolazione in quattro punti, via Montagna Spaccata, dove è stato posizionato anche un autobus al centro della carreggiata, via Masucci, via Campana e via Marmolito. Bloccati dunque i collegamenti con Napoli e gli altri comuni della zona. Sul posto è presente la polizia.
Per motivi di ordine pubblico e sicurezza stradale è stato chiuso al traffico in entrambe le direzioni lo svincolo di Quarto, in provincia di Napoli, all'altezza del km 50,200 della strada statale 7 Quater Domitiana. La decisione, comunicata dall'Anas, per effetto della manifestazione in corso contro l'ipotesi di realizzazione della discarica nella cava del Castagnaro. Personale dell'Anas, in collaborazione con la Polizia stradale, è presente sul posto per la gestione della viabilità.

Torna il fantasma del protezionismo
di Stefano Manzocchi
Un po' razionalismo onirico alla Borges, un po' romanticismo avventuroso alla Gardel, l'Argentina è stata nel bene e nel male un laboratorio della politica economica nell'ultimo secolo. Piena di risorse e di intelligenze, insofferente di fronte ai vincoli dell'agire economico, spesso sedotta da leader tanto carismatici quanto inconcludenti: fonte di lezioni interessanti per chiunque voglia ragionarvi.
Negli anni Trenta fu all'avanguardia delle cosiddette politiche di "import substitution" per promuovere con le barriere commerciali l'autosufficienza industriale. Sembrava una grande idea di sviluppo per i Paesi in ritardo, la versione moderna del "protezionismo per le industrie nascenti" di ottocentesca memoria. La conseguenza fu una riduzione degli investimenti nel settore agricolo, dove il Paese ha un evidente vantaggio comparato, per destinare risorse all'industria. Quando quell'epoca si chiuse, negli anni Settanta, l'Argentina si ritrovò con un disavanzo pubblico galoppante, una capacità produttiva industriale largamente inefficiente per gli standard internazionali, un circolo vizioso di incrementi salariali ed alta inflazione che proseguì per tutti gli anni Ottanta. Il famigerato governo Menem, finito tra gli scandali, aprì nel 1989 una nuova pagina: controllo della spesa pubblica, privatizzazioni (tra cui quella della compagnia petrolifera Ypf), e l'infausto currency board, il regime di dollarizzazione voluto dal ministro Domingo Cavallo. Anni di boom, pioggia di investimenti esteri, tasso di cambio reale largamente sopravvalutato, eccesso di spesa interna sul reddito, ed infine ripudio del debito con l'estero, svalutazione fortissima del cambio, iperinflazione, miseria strisciante. Poi, lenta ma stabile, la ripresa e un nuovo rinascimento con i due Kirchner nel decennio passato.
Con la rinazionalizzazione di Ypf, l'Argentina fa di nuovo da apripista? E di cosa? In primo luogo, colpisce l'oggetto del contendere: il petrolio. L'energia, altre materie prime, e presto l'acqua rivestono uno status peculiare nella competizione aspra tra sistemi economici nazionali che cova sotto le ceneri della crisi finanziaria. La combinazione tra la domanda aggiuntiva degli emergenti - la Cina è ormai il secondo consumatore mondiale - e la minima crescita della capacità produttiva di greggio ci pone in una condizione di scarsità fino almeno 2015. Il primo messaggio della mossa argentina è che tutti i principali Paesi emergenti vogliono partecipare da attori e non più da comparse a questo Grande Gioco.
La seconda lezione riguarda i rischi di protezionismo. La domanda di protezione è alta a livello di guardia. L'alimentano il perdurare della crisi finanziaria con le sue ripetute ripercussioni su produzione e commercio mondiale, e i grandi squilibri commerciali che dividono l'Oriente dall'Occidente, o l'Europa al suo interno. Un summit assai inconcludente della Wto, nel dicembre scorso, segnalava che dopo le misure protezionistiche del 2008-2009 una seconda ondata di barriere più strutturali è alle porte. Se i Paesi emergenti non riconosceranno presto che col mutare del loro ruolo cambiano anche le loro responsabilità, potrebbero essere loro i principali protagonisti del nuovo protezionismo, e in questo senso la vicenda argentina è preoccupante sia per il timing sia per il tipo di intervento.
C'è poi una riflessione che riguarda il ritorno dei nazionalismi. Evaporato il miraggio della globalizzazione "dei soli mercati", il tramonto dell'indiscussa egemonia americana ha prodotto la rinnovata centralità di altri grandi Stati nazionali. E questo spinge anche altri Governi al protagonismo per ritagliarsi quanto meno un ruolo da media potenza regionale. Con molti pericoli e qualche effetto comico, basti pensare al fallito lancio del missile nordcoreano.
Ci sono molte cause per il revival dei nazionalismi: la crescente diseguaglianza dei redditi richiama una redistribuzione statale; gli eccessi e le deviazioni della finanza globale sollecitano più regolamentazione; l'epocale spostamento di ricchezza e produzione verso il Pacifico suggerisce interventi per rallentarlo o contrastarlo. L'errore spesso consiste nel ritenere che la nazione sia l'entità adatta per sviluppare l'agire politico, e che lo Stato sia l'attore giusto. Il velleitarismo può ben essere la malattia infantile del nazionalismo. Se l'Unione europea reagirà compatta e determinata per contrastare la nazionalizzazione di Ypf, la señora Kirchner sarà ricondotta a più miti consigli. Il Vecchio Continente ha un'arma efficacissima per convincere il resto del mondo a trattare, l'accesso al suo mercato interno: basta che la Commissione ed i Paesi membri non vadano in ordine sparso.
 18 aprile 2012

Spagna: morosità crediti supera 8%, la piu’ alta da 18 ann
18 aprile, 11:10
(ANSAmed) - Madrid, 18 APR - La morosità dei crediti finanziari concessi da banche, casse di deposito e cooperative spagnole a privati e imprese ha raggiunto a febbraio l'8,15%, il livello più alto degli ultimi 18 anni, secondo i dati diffusi oggi dalla Banca di Spagna. Il tasso di febbraio supera di due decimi quello del 7,9% registrato a gennaio e di quasi due punti percentuali la morosità su base annua, rispetto al 6% registrato nel febbraio 2011. In cifre assolute, i crediti morosi a febbraio ammontavano complessivamente a 143,815 miliardi di euro. (ANSAmed)

Ticino. Il tramonto di Bossi. L’alba di Grillo
 di Erminio Ferrari - 04/18/2012
Yasser Arafat, che (nel bene e nel male) di lotta per l’indipendenza di un popolo qualcosa sapeva, si presentò nel 1974 alla sede delle Nazioni Unite di Ginevra portando un ramoscello d’ulivo e una pistola nella fondina.
Roberto Maroni si è presentato a Bergamo qualche sera fa con una scopa in mano.
Basterebbe questo a dare la misura e la qualità dell’indipendenza nella quale professa tanta fede.
In mezzo a tutto, e senza sollevare questi personaggi dalle enormi responsabilità che portano per il degrado del costume civile italiano, l’avventura della Lega Nord è stata una colossale buffonata, i cui danni hanno superato ciò che probabilmente gli stessi perdigiorno all’origine del tutto riuscivano a immaginare.
Una sorta di scommessa fatta in uno dei tanti Bar Sport della provincia italiana, tra scioperati di vario spessore, sui quali avessero puntato a loro volta ideologi di poca fortuna e studiosi con più fissazioni che sapere.
Cattaneo, i celti, le lingue locali, i “popoli padani” i soli delle Alpi, tutto mischiato e gettato in una vecchia scatola di biscotti, da cui estrarre estemporaneità retoriche, come si faceva con i fagioli per segnare le caselle nelle tombole di una volta.
I sociologi (Aldo Bonomi, per fare un nome) hanno spiegato bene come il disagio e lo spaesamento, siano divenuti rancore e come si sia prodotta la “questione settentrionale”. I politologi hanno detto di come lo spazio lasciato vacante dallo sgretolamento dei partiti storici sia stato agevolmente occupato dagli imprenditori del malcontento e dell’antipolitica, e di quanto sia stata decisiva l’ignavia della sinistra postcomunista nel consegnare gli orfani della lotta di classe alla lotta etnica. Mentre, a distanza di vent’anni, c’è ancora chi sostiene che la ragione sociale della Lega non sia altro che una rivolta fiscale.
Ma questa non è ancora una risposta alla domanda su come è stato possibile che centinaia di migliaia di persone abbiano creduto a questabanda bossottidella politica. È un interrogativo decisivo poiché se, con il tramonto di Bossi, la Lega si avvierà a un drastico ridimensionamento o a una ridefinizione da partito carismatico a partito genericamente populista (con picchi di consenso circoscritti territorialmente), qualcuno dovrà pur affrontare ed eventualmente convincere quell’elettorato disperso.
Un elettorato blandito come pochi altri in questi giorni, in maniera stucchevole e sospetta. Fa un certo effetto leggere nelle parole degli inviati o ascoltare i politici avversari della Lega parlare quasi con affetto delle moltitudini leghiste, quasi non fossero le stesse che incitavano i Borghezio o i Gentilini (quello che impallinerebbe gli immigrati come le lepri) a spararla ancora più grossa, che applaudivano le ronde padane, che votavano quei ceffi proprio perché promettevano di gettare a mare gli immigrati.
Chi parlerà loro? Di Pietro e Grillo non perderanno tempo, come conferma la loro adesione al teorema complottista secondo cui la Lega è finita nel tritacarne solo perché è rimasta sola a opporsi alla tecnocrazia di Monti. E francamente tra un vecchio ridotto male che alza il dito medio e l’inventore del Vaffa day la scelta è desolante. Ma la scorciatoia populista è quella più praticata in tempi di confusione e di latitanza di senso, e lo scenario che si prospetta è esattamente questo.
Aggravato, oltretutto, dall’opacità di un quadro politico che vede riuniti gli avversari acerrimi di un tempo, ora ridotti al silenzio o alla cortigianeria dalla forza (o forse è solo sicumera) di un governo tecnico il cui avveduto capo non perde occasione per ripetere che vi è stato chiamato per fare ciò che “loro” non sapevano o non volevano fare.
Non solo. In tempi e modi diversi, anche “loro” hanno governato con la Lega: il centrosinistra alleandosi con Bossi quando si trattò di far cadere Berlusconi nel ’95; Casini e i berluscones (ma anche un Fini pur ora defilato nel ruolo istituzionale) quando la destra marciava senza fare prigionieri.
Se le camicie verdi hanno potuto inscenare le loro grottesche messinscene indipendentiste, se la scopa di Maroni diventa importante oltre il suo valore, se l’ex ministro dell’Interno bacia una bandiera che si vorrebbe di uno Stato diverso da quello sulla cui Costituzione ha giurato non più tardi di due anni prima è perché anche “loro” non avevano visto. Non avevano voluto vedere. L’antipolitica che ora indicano come un babau è un po’ anche figlia loro.

Ticino. La pecunia olezza su Bruxelles
di Corrado Bianchi Porro
Il sole non dimentica alcun villaggio, dice un saggio proverbio africano. E così anche per la Svizzera è venuta una bellissima giornata di sole dopo che Bruxelles ha approvato gli accordi bilaterali con Germania e Gran Bretagna. Ieri poi anche il Consiglio dei ministri austriaco ha approvato l’accordo bilaterale tra Vienna e Berna. Ma dopo il via libera di Bruxelles, il movimento di farsi amica la Svizzera diventerà una valanga e anche l’Italia non potrà sottrarsi per molto ad un nuovo negoziato. Tutti si faranno sotto, eccettuata presumibilmente la Francia prima di conoscere l’esito delle elezioni e di varare un nuovo esecutivo. E i vari governi europei incominceranno a mettere a bilancio per il 2013 le poste che contano di ricevere dalle banche svizzere. La Svizzera dovrà essere abile ad ottenere adeguate contropartite nel momento della crisi dell’indebitamento sovrano, ad iniziare da un “passaporto” europeo che non sarà molto ben visto da parte degli istituti locali. Bisognerà poi vedere quanti investitori saranno disposti a pagare una penale che si preannuncia molto salata per mettersi in riga e chiudere le pendenze con il passato. D’altra parte il modello Rubik è destinato soprattutto a sanare il passato, una specie di “clausola del nonno” a scadenza temporale, mentre i nuovi capitali in entrata promettono di essere “puliti”. Comunque, spiega sempre la saggezza africana, le noci di cocco non cadono dalla palma senza tirar giù un po’ di foglie. Inutile illudersi, qualche ricaduta spiacevole ci sarà in un primo tempo. Speriamo non troppo pesante. Ma lo scenario favorevole che si apre davanti è decisamente incommensurabile. Se la Svizzera era dunque “prediletta” per affari “grigi”, oggi che la pecunia incomincia ad olezzare anche per il fisco, questa vicenda può essere la chiave di volta per una nuova promettente opportunità.

Serbia: italiana Vescovini costruisce fabbrica a Sabac
Opera nel campo della componentistica auto
18 aprile, 09:10
(ANSAmed) - BELGRADO, 18 APR - In Serbia la ditta italiana 'Vescovini', che produce componenti per l'industria automobilistica, ha cominciato oggi la costruzione di uno stabilimento a Sabac, 60 km circa a ovest di Belgrado.
 Come ha detto il direttore generale della societa', Federico Vescovini, citato dalla Beta, l'investimento ammonta a 5 milioni di euro. Lo stabilimento - che occupera' cento lavoratori - comincera' l'attivita' nel prossimo novembre, per raggiungere il massimo della capacita' nel febbraio 2013. Il volume di produzione dipendera' in particolare dalle esigenze del nuovo impianto Fiat di Kragujevac, che produrra' la nuova 500L e che e' stato inaugurato ieri alla presenza dell'amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne. (ANSAmed)

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