lunedì 23 luglio 2012

(4) XXIII.VII.MMXII/ Sergio Luciano: Ma c’è un’altra galassia dove il gioco del “dimettersi senza dimettersi”, o dell’”essere licenziati ma riprotetti” tocca autentici, e spesso invisibili, record: una galassia enorme e nebbiosa, quella delle piccole e medie società pubbliche locali. Già, perchè nel nostro Paese ci sono circa 7 mila tra società partecipate da enti pubblici, municipalizzate e simili, con una popolazione di 24 mila consiglieri di amministrazione, tutti di nomina sostanzialmente politica, e quindi spesso profani delle materie che dovrebbero amministrare, come lo era il tesoriere leghista Francesco Belsito, quello delle mancette al “Trota”, il figlio di Bossi, paracadutato addirittura nel consiglio d’amministrazione della Finmeccanica.

Il miracolo di Ercolano e la distanza abissale con Pompei
Gli intramontabili boiardi di Stato
Crisi: Spagna esclude rischio default, ma non gli economisti
Ticino. Se ai nostri confini spunta una regione

Il miracolo di Ercolano e la distanza abissale con Pompei
Quando i privati fanno bene ai beni culturali:  l’esempio di Packard per la manutenzione del sito
di PIERLUIGI BATTISTA
Tra Pompei ed Ercolano c'è una distanza di circa quindici chilometri. Ma la distanza di civiltà, di cura, di attenzione alle vestigia del passato e insieme al buon uso delle risorse è abissale, a favore di Ercolano. È la smentita di un luogo comune e di un pregiudizio: quello secondo cui i privati siano dei predatori che vogliono far merce dei nostri tesori artistici mentre lo Stato, il pubblico è il titolare dell'interesse generale e del bene comune.
DISCREPANZE ABISSALI - La differenza è ampiamente documentata da un articolo di Claudio Pappaianni sull'Espresso. Pompei è dominio di un branco di cani randagi. Per gli scavi sono stati stanziati e spesi oltre 80 milioni di fondi pubblici strappati dal commissario Marcello Fiori, con risultati pressoché nulli. Le infiltrazioni continuano a massacrare le costruzioni già funestate da crolli. Il terreno è ricoperto di detriti. L'incuria è totale: si è staccato persino il telone bianco che dovrebbe ricoprire le macerie della Schola Armaturarum. Il personale che lavora è assente, pigro, pletorico, costoso, di frequente in sciopero. Come era Hercolaneaum fino a una decina di anni fa, quando molte case erano puntellate e inaccessibili. Dove oggi è stato «messo in sicurezza l'intero patrimonio». «Affreschi e mosaici sono al riparo dal guano dei piccioni». L'ottanta per cento degli edifici «è stato dotato di coperture». Una decina di case «sono diventate visitabili». Le acque piovane «sono state canalizzate» e «il sistema fognario è stato ripristinato». Perfino le toilette sono pulite per gli oltre 300 mila visitatori all'anno, «le informazioni sono chiare e il personale è cortese». Un miracolo? No, una scelta.
PASSIONE PER L’ARCHEOLOGIA - È accaduto che nel 2000 David W. Packard, «l'erede dell'impero informatico di Palo Alto», appassionato di letteratura classica e di archeologia ottiene dalla Soprintendenza di Ercolano (la stessa di Pompei) l'autorizzazione a investire cifre ragguardevoli per la manutenzione di Ercolano. La passione che muove Packard non è il lucro finanziario, ma il desiderio di legare il proprio nome al salvataggio di un patrimonio culturale dell'umanità. Con 16 milioni di euro e uno staff di giovani collaboratori tutti più o meno sotto i quarant'anni, Packard crea e finanzia l'«Hercolaneum Conservation Project» con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei.
LA RINASCITA DI ERCOLANO - I risultati sono sotto gli occhi di tutto: a Pompei il degrado, distruzione, crolli e abbandono; a Ercolano la rinascita, la manutenzione, la conservazione intelligente di un bene immenso. Potrebbe essere un esempio. Un colpo alla pigrizia di chi chiede solo elargizioni dello Stato e non coinvolge i privati, la borghesia «diffusa» animata da spirito civico e comunitario o anche solo da ambizione mecenatesca, nella difesa di tanti palazzi, chiese, conventi, teatri, passeggiate archeologiche, monumenti del passato costretti a languire nell'incuria di uno Stato ormai senza risorse. A Pompei, non ad Ercolano.

Gli intramontabili boiardi di Stato
Genova - Dieci mesi fa il senatore dell’Italia dei Valori Elio Lannutti ci aveva fatto addirittura un’interpellanza parlamentare: perché le dimissioni dall’incarico del direttore commerciale di Finmeccanica Paolo Pozzesseree del dirigente Salvatore Metrangolo non collimavano col fatto che i due manager venivano ancora visti transitare negli uffici del gruppo... E la situazione, almeno a proposito del primo, è tuttora immutata. Perché c’è una vecchia legge non scritta, nelle aziende pubbliche italiane, mai rinnegata anche se oggi un po’ più debole di un tempo. Qual è questa legge?
È quella, mai rinnegata anche se oggi un po’ più debole di un tempo, secondo la quale, a meno di cause eccezionali, il dirigente che sa farsi da parte in tempo rispetto a un “ribaltone” gestionale non viene bruciato e buttato fuori ma “riprotetto” in qualche altro incarico defilato, per decisione degli stessi apparati che ne sanciscono, intanto, la giubilazione.
Insomma: li si fa cadere in piedi. Un caso da manuale riguarda forse l’“ultimo dei boiardi”, Maurizio Prato, oggi presidente e amministratore delegato del Poligrafico dello Stato ma pensionato da sei anni (ne ha 71) essendo già stato amministratore delegato di Fintecna e direttore dell’Agenzia del Demanio. Una persona perbene, mai coinvolta in scandali infamanti, e sempre ricollocata qua e là anche dove forse non sarebbe servito. Un altro caso tipico è quello di Marco Zanichelli, oggi presidente di Trenitalia, scaduto, dopo aver rivestito vari ruoli in Alitalia e per 70 giorni anche quello di amministratore delegato, ed essere stato alla fine “riprotetto” nei treni. In verità, rispetto agli Anni Novanta, qualcosa è cambiato. Le grandi Partecipazioni statali dell’era precedente le privatizzazioni erano una greppia senza fondo, oggi non più.
Era l’epoca in cui, per esempio, l’amministratore delegato di Alitalia Giovanni Bisignani veniva riciclato su Tirrenia; o Giancarlo Cimoli trasferito in un amen dalle Ferrovie alla stessa Alitalia, dove poi finiva con l’avvitarsi in una gestione dissestata; o ancora l’ex capo delle relazioni esterne Stet Guido Pugliesi, trasferito a guidare la compagnia assicurativa del gruppo Telecom, Meie, veniva ricollocato all’Enav, anche lui per uscirne alla fine con poco successo. Da allora la greppia si è ristretta, la “mobilità interna” è diventata difficile, a volte i compensi – nel corso di questi traslochi – calano.
Eppure la legge sullo “spoil system”, promulgata il 15 luglio del 2012 per riordinare “la dirigenza statale e favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato”, non è mai del tutto decollata. A difendere sulle loro poltrone i manager pubblici dovrebbero essere ormai solo i loro contratti di lavoro, ma gli “adesivi” relazionali funzionano ancora, almeno per chi ha bene operato: come nel caso di Paolo Rubini, direttore generale dell’Enit, che in teoria con la nuova gestione di Pierluigi Celli potrebbe essere rimosso dall’oggi al domani ma si è visto ventilare un incarico compensativo... Accetterà o se ne andrà nel privato?
Una citazione la merita sempre il mondo Rai, dove per tradizione a tutti i trombati viene trovato un posto, anche se non si allineano: come Massimo Liofredi, ex direttore di Rai Due, che nonostante si sia visto respingere il ricorso dal giudice per il reintegro, è stato comunque piazzato a Rai Ragazzi; per non parlare dell’ex direttore generale Mauro Masi, riprotetto a suo tempo da Letta alla Consap, la “concessionaria dei servizi assicurativi pubblici”. Ma c’è un’altra galassia dove il gioco del “dimettersi senza dimettersi”, o dell’”essere licenziati ma riprotetti” tocca autentici, e spesso invisibili, record: una galassia enorme e nebbiosa, quella delle piccole e medie società pubbliche locali.
Già, perchè nel nostro Paese ci sono circa 7 mila tra società partecipate da enti pubblici, municipalizzate e simili, con una popolazione di 24 mila consiglieri di amministrazione, tutti di nomina sostanzialmente politica, e quindi spesso profani delle materie che dovrebbero amministrare, come lo era il tesoriere leghista Francesco Belsito, quello delle mancette al “Trota”, il figlio di Bossi, paracadutato addirittura nel consiglio d’amministrazione della Finmeccanica. Un esempio gustoso per tutti arriva da Roma, dove l’ex governatore regionale Francesco Storace ha messo nel mirino, con un’interrogazione, l’ex AtLazio, Agenzia Regionale per la promozione turistica di Roma e del Lazio, in liquidazione, di cui due dirigenti e cinque dipendenti sono stati trasferiti a Sviluppo Lazio...

Crisi: Spagna esclude rischio default, ma non gli economisti
Madrid,nessun salvataggio. analisti,situazione ormai compromessa
23 luglio, 19:51
(di Paola Del Vecchio) (ANSAmed) - MADRID, 23 LUG - La Spagna brucia e non solo per gli incendi che da ieri seminano morte e distruzione nel Nordest del Paese. Col differenziale bonos-bund alle stelle e la Borsa che e' riuscita a recuperare a -1,1% solo dopo la decisione di sospendere le operazioni di short selling, l'incubo default si materializza ogni ora di più. Il governo, per bocca del ministro dell'Economia Luis De Guindos, esclude l'eventualità di un salvataggio integrale, attribuendo le convulsioni sul debito spagnolo ai "comportamenti irrazionali" dei mercati. Ma sono molti gli economisti a sostenere il contrario. Soprattutto dopo che l'approvazione da parte dell'Eurogruppo degli aiuti al sistema bancario spagnolo fino a 100 miliardi di euro non ha dissipato le incertezze.
Aggravate anzi dalla richiesta della Comunità di Valencia di ricorrere per 3,5 miliardi di euro al Fondo di liquidità per far fronte ai pagamenti in scadenza. Un bailout in piena regola. E anche altre regioni, come l'indebitatissima Murcia, starebbero a loro volta valutando un salvataggio. "La Spagna non ha bisogno di essere salvata perchè è un Paese solvibile e necessita solo di tempo e finanziamenti", ha assicurato oggi de Guindos al Congresso. In aula ha spiegato i dettagli del Memorandum d'intesa per il pagamento da parte della Ue della prima tranche di 30 miliardi di euro alle banche iberiche. Previste fusioni e liquidazione di casse di deposito insanabili. Ma troppo tardi, secondo molti analisti. La Spagna è già "in una situazione limite", secondo Kenneth Rogoff, ex economista capo del Fmi e docente di Harvard, che dalle pagine de El Pais considera "poco probabile che la Spagna si liberi da un salvataggio totale". Oggi la Banca centrale ha confermato un aggravarsi della recessione nel secondo trimestre - dallo 0,3% allo 0,4% - con una crescita negativa dell'1% su base annua. La preoccupazione è che, in mancanza di una ripresa fino al 2014, non sarà possibile finanziarsi sui mercati. La scadenza di 27 miliardi del debito pubblico prevista per ottobre, secondo molti analisti, sarà per Madrid impossibile da affrontare se i bonos a 10 anni si mantengono sul 7%, una soglia di non ritorno. Secondo Alberto Matallan, di Inverseguos, la pericolosità della situazione è indicata dalla comparazione fra il rendimento del bono a 2 anni e quello di riferimento a 10 anni: "E' un segnale preoccupante che l'interesse del debito a breve superi quella di lungo termine, perchè significa che gli investitori prevedono che presto possa accadere qualcosa di grave", osserva.
La Spagna è ancora lontana dall'interesse del 10% raggiunto dai bond greci a 10 anni, dal 9% di quelli irlandesi e dall'8% di quelli portoghesi, che hanno segnato la bancarotta. Ma quanto potrà resistere così? "Non più di tre mesi. L'unico margine esistente è la liquidità del Tesoro, 24 miliardi di euro rispetto ai 54 miliardi di tre mesi fa", replica Javier Flores, responsabile di studi finanziari di Asinver. L'analista avverte che se lo Stato dovrà affrontare il 'rescate' delle comunità autonome nei prossimi mesi sarà "matematicamente impossibile" far fronte al debito in scadenza, tenendo conto che il calendario di emissioni segnerà una pausa ad agosto. Da settimane lo stesso governo Rajoy ripete che il bono a 10 anni con interesse superiore al 7% è insostenibile. "Abbiamo liquidità per soli tre mesi", ha confessato a La Vanguardia una fonte governativa che mantiene l'anonimato. Un modesto margine per passare "i maledetti cinquanta giorni" concessi dalla Corte costituzionale tedesca per decidere se ampliare le funzioni del nuovo Fondo di salvataggio europeo (Esm) perchè acquisti il debito degli Stati con problemi. Le stesse banche spagnole starebbero vendendo parte del debito pubblico nazionale, per limitare il pericolo che gli audit di Fmi e Ue sui loro bilanci considerino eccessiva l'esposizione al rischio Paese. Domani intanto il ministro de Guindos volerà a Berlino per incontrare il suo omologo tedesco Wolfgang Schauble in un'offensiva diplomatica mossa da Madrid presso le cancellerie europee che però finora non ha sortito gli effetti sperati.(ANSAmed).

Ticino. Se ai nostri confini spunta una regione
Il Consiglio dei ministri ridefinisce le province
Il Consiglio dei ministri italiano ha approvato venerdì un provvedimento per il riordino delle province che prevede, fra le altre cose, la soppressione di quelle che coincidono con dieci città metropolitane. Verranno tagliate ben 64 province su 107. La scadenza per questo riassestamento è stata fissata a gennaio 2014. Per quanto riguarda le province restanti, dovranno avere almeno 350mila abitanti ed una superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Le nuove entità eserciteranno competenze in materia ambientale, di trasporto e di viabilità, mentre le altre pertinenze saranno delegate ai Comuni.
Regione a statuto speciale?
La notizia non ha però mancato di suscitare reazioni. Così, sei presidenti di province italiane, due piemontesi e quattro lombarde, hanno già lanciato, per voce del presidente della Provincia di Varese Dario Galli, la proposta di creare una nuova “regione a statuto speciale”, a ridosso della frontiera svizzera. Cinque di queste sei regioni (Como, Novara, Sondrio, Varese, Verbania e Lecco) confinano infatti con il Ticino o il Grigioni italiano. L’accorpamento previsto dal Governo Monti farebbe infatti “scomparire” le province che non rispettano i nuovi standard. Galli ha quindi proposto apertamente la creazione di una Regione Cisalpina. Il progetto, anche se lungamente illustrato in una lettera di Galli pubblicata dal quotidiano “La Prealpina”, è ancora tutto da definire. Anche gli altri cinque presidenti si sarebbero detti d’accordo, allettati da un’ulteriore richiesta: quella di invocare lo statuto speciale motivato dall’estensione del confine dell’ipotetica regione con la Svizzera, proprio come nel caso del Trenitino-Alto Adige.

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