lunedì 23 luglio 2012

Il sospetto di far pagare la crisi ai meridionali

di Gianfranco Viesti
Le vicende siciliane di queste ultime ore si prestano a qualche riflessione.




Cominciamo dal punto più importante, poco sottolineato. L’origine di tutti i problemi è la “specialità” della Regione Siciliana. Cioè il fatto che essa segua regole di finanziamento e di tenuta dei conti pubblici assai diverse da quelle delle regioni a statuto ordinario, come la Puglia o la Lombardia. L’esistenza in Italia di quattro regioni a statuto speciale (oltre alla Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta) e delle due province autonome di Trento e Bolzano ha precise, anche se molto lontane origine storiche. Ma non si giustifica più per nessun motivo. Eppure, anche la tanto decantata legge sul federalismo fiscale si era “dimenticata” di abolirle, sotto il ricatto politico delle rappresentanze regionali, nonostante l’enorme maggioranza che aveva il centro-destra.

La specialità ha un semplice effetto: i cittadini di quelle regioni ricevono un trattamento assai migliore in moltissimi campi rispetto agli altri italiani. Senza che vi sia più alcun perché; e con conseguenze gravi, come i fenomeni di “fuga” dei comuni veneti verso Trento, o le gravi, inaccettabili disparità tra siciliani e calabresi. Con livelli di spesa procapite per i grandi servizi pubblici enormemente superiori rispetto al resto d’Italia, specie in Alto Adige o in Val d’Aosta. Perché il governo Monti non propone la loro abolizione o realizza nella reltà trattamenti più equi? Avrebbe notevoli effeti di risparmio, e soprattutto di maggiore uguaglianza tra i cittadini italiani. Perché nessuno dei tanti soloni che pontificano sui giornali lo propone?

Secondo punto. La Regione Siciliana non è certamente bene amministrata; non lo è stata e non lo è. E’ gonfia di personale. Mantiene una quota ampia dell’economia regionale con sussidi e sostegni di vario genere, a carico del bilancio regionale (e quindi di tutti gli italiani). Certamente ha livelli di spreco molto alti, e inaccettabili forme di privilegio, ad esempio per i suoi politici, per i dipendenti e i pensionati regionali che sono uno schiaffo all’intero paese. Specie di questi tempi. Eppure anche nell’ultimo periodo qualcosa si è mosso anche in Sicilia. Il rapporto “Il cambiamento possibile” della Fondazione RES documenta i non pochi passi avanti – più significativi che in altre regioni – che sono stati compiuti nella sanità siciliana. Demonizzare una realtà non serve mai a capire; non accorgersi di quello che cambia, specie nelle situazioni più difficili, non aiuta chi si sforza di migliorare. Abbiamo purtroppo in Italia un’informazione bravissima ad abbaiare contro gli sprechi (anche perché fa vendere tante copie di libri) e a fornire immagini a senso unico, ma poco capace di distinguere e di raccontare la realtà. In un momento come questo aizzare il risentimento è facile, ma non porta lontano.

Ma di che parliamo? Non è chiaro. Tutto è nato da un articolo di Stella sul Corriere della Sera di sabato. Di non grande qualità, se è possibile dirlo. Che metteva assieme tanti fatti scombinati. E che soprattutto partiva da un appiglio esile: un provvedimento di sospensione dell’erogazione dei fondi strutturali che è stato ed è anche oggi comminato a tante altre regioni, a cominciare da quelle inglesi o dalla Val d’Aosta; che non indica necessariamente chissà quali nefandezze. Poi c’è stata l’intervista al vicepresidente di Confindustria Lo Bello, che ha espresso tesi forti, ma che sostiene da anni. E poi si è cominciato addirittura a parlare di fallimento della Sicilia, di Sicilia come la Grecia. Non sappiamo quali siano le condizioni di cassa della Regione Siciliana, e le cronache non aiutano certo a capire. Che si muova il Presidente del Consiglio, in sé, non è certo negativo. Ma si è mosso perché è apparso un articolo sul Corriere o perché ha elementi che noi non abbiamo? La vicenda ha tanti lati oscuri, che sarebbe bene illuminare. Certamente nessuna difesa a priori della Giunta Regionale Siciliana, ci mancherebbe. Ma la gogna sulla pubblica piazza dovrebbe appartenere a epoche incivili fortunatamente superate. Un paese in difficoltà dovrebbe capirsi meglio, e non partire lancia in resta.

Infine una sensazione. Il meccanismo mediatico da tempo in atto (e pienamente utilizzato nell’articolo di Stella già citato) è semplice: Sicilia uguale Sud. Stessi sprechi. Stesso malgoverno. Chissà cosa penserebbero i lettori di quel giornale se qualcuno raccontasse loro che se la Sicilia (insieme al Trentino Alto Adige) è la regione più gonfia di dipendenti pubblici locali, quella che ne ha meno è la Puglia. Ma, si sa, quando si parla di Mezzogiorno andare per il sottile è un optional. Bisogna sempre e comunque rincorrere i peggiori sentimenti e risentimenti di una parte dell’opinione pubblica dell’”Italia civile”; e continuare a suggerire che l’Italia si salva semplicemente se elimina l’enorme spesa e gli strepitosi sprechi del Sud. Anche qui: nessuna difesa ad oltranza degli uni contro gli altri, nessun leghismo al contrario. Ma che ci sia qualcuno, molto forte nel mondo della comunicazione, che stia seguendo l’italico costume di far pagare il più possibile la crisi agli altri (ai meridionali) è una ipotesi che non può essere scartata a priori.

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