Zaia teme l’orda di lavoratori. Serracchiani:
«Io la delocalizzazione». Il governo valuta pro e contro del regime transitorio
di Mauro Manzin
TRIESTE. Che la Croazia dovesse entrare
nell’Unione europea se ne parlava già da un po’ di tempo. Ci sono stati due
anni di trattative aperte tra Zagabria e Bruxelles. Ma, a quanto sembra, che il
prossimo 1 luglio l’ex repubblica jugoslava diventerà la ventottesima stella
d’Europa ci si sta accorgendo solo ora, a 23 giorni dalla fatidica data. E così
il governatore del Veneto Luca Zaia, leghista doc, lancia l’allarme. E scrive
una lettera al presidente del Consiglio Enrico Letta. Oggetto: l’invasione dei
lavoratori croati nel Nordest dopo l’ingresso di Zagabria nell’Ue. Bisogna
evitare, secondo Zaia, «distorsioni del mercato del lavoro» dagli effetti
catastrofici «in questa fase di crisi». Per questo il Veneto chiede il
riconoscimento del criterio di gradualità, specialmente nel settore del lavoro.
L’adesione all’Ue dei Paesi dell’Europa centrale e orientale, come la Croazia
per l’appunto, «deve procedere - secondo Zaia - per gradi, in un arco di 7-10
anni» e il primo intervento dovrebbe essere quello del «contingentamento della
forza lavoro».
Zaia precisa subito che le sue non sono
visioni razziste. «Sono sempre stato - precisa - e confermo di essere
assolutamente favorevole all’entrata della Croazia nell’Ue, come lo sono per la
libera mobilità». E poi il governatore ricorda come con la Croazia «siamo
fratelli di sangue», come «mezza Croazia parla veneto» e come la sua Regione
sostenga economicamente «le nostre comunità e il patrimonio culturale della
Serenissima». Ma Zaia è preoccupato per la contiguità territoriale della
Croazia, dove un operaio guadagna il 30% in meno di un suo “collega” italiano e
vede il rischio dell’esodo verso il Nordest di migliaia di potenziali
lavoratori croati.
Palazzo Chigi, dal canto suo, afferma di
non aver ancora ricevuto alcuna missiva da Zaia. «Quando arriverà - spiegano
fonti governative - ne studieremo i contenuti e il possibile impatto e gli
eventuali strumenti da mettere in campo». Ma in effetti qualcosa a livello di
esecutivo si sta già muovendo. La direzione generale dell’immigrazione del
ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, infatti, sta predisponendo un
documento da sottoporre all’attenzione del viceministro Guerra per decidere se
applicare o meno il regime transitorio. Per questo motivo ha chiesto anche al
Friuli Venezia Giulia quale sia la sua posizione e quale impatto potrebbe avere
sul mercato del lavoro locale l’applicazione o meno del regime transitorio.
«Per i livelli occupazionali della Regione - spiega il governatore Debora Serracchiani
- è decisamente più “pericolosa” l’attrattività che la Croazia saprà esercitare
nei confronti delle nostre aziende in termini di tassazione, che incentiva alla
delocalizzazione, o altre forme di concorrenza che vedono coinvolte ad esempio
le imprese di trasporto, a prescindere da qualunque regime transitorio». «Più
che di alzare steccati di paglia - precisa - dobbiamo preoccuparci di alzare il
nostro livello di competitività territoriale, ed è quello che stiamo facendo,
tra l’altro, premendo sul governo e sulla Commissione europea per accedere agli
aiuti di stati a finalità regionale». «Stiamo valutando la situazione alla luce
dei dati sui lavoratori transfrontalieri - afferma invece l’assessore regionale
al Lavoro Loredana Panariti - ma sicuramente non siamo di fronte ad
un’invasione o a ipotesi di massiccio incremento dei flussi attuali. Intanto i
lavoratori croati sono storicamente presenti sul territorio del Friuli Venezia
Giulia e, data la particolare vicinanza della regione istriana, si tratta soprattutto
di frontalieri che quotidianamente o settimanalmente fanno rientro nel paese di
residenza, difficili da censire in quanto molto spesso privi di regolare
contratto di lavoro».
ManzinMauro
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