MARCO ZATTERIN – La Stampa.
José Manuel Barroso precisa, ma non molla. Alla cancelliera tedesca Angela Merkel, sempre determinata a vestire, i panni di «Frau No» nel trattare la possibilità d'una più forte e solidale integrazione economica in seno all'Unione europea, dice che la Commissione Ue di cui è presidente «non ha soltanto il diritto, ma anche il dovere di dire ai cittadini europei ciò che ritiene corretto».
Si riferisce alla proposta con cui mercoledi ha suggerito di aumentare la capacità finanziaria del fondo salva-stati (e non di innalzarne il capitale) e alla durezza con cui Berlino ha accolto l'idea. «Mi aspetto che i dirigenti politici tedeschi accettino il ruolo della Commissione», ha detto il portoghese. Si aspetta anche che aprano al dibattito. Cosa che, sinora, non è successa.
L'importante, come spesso succede, è che se ne parli. Barroso e il commissario Ue all'Economia, Olli Rehn, hanno perlomeno messo sul tavolo un'idea. Nell'ambito dell'insieme delle iniziative decise dall'Unione, a partire dal semestre finanziario in cui coordinare le politiche di bilancio, i due di Bruxelles hanno posto il problema dell'efficacia effettiva dell'Efsf, il meccanismo di stabilità finanziario europeo lanciato in maggio per salvare la Grecia e poi utilizzato anche per l'Lrlanda.
Vorrebbero che avesse le spalle più grosse, maggiore capacità di garanzia. «Noi dobbiamo inviare segnali forti e dare garanzia sulla stabilità della zona euro», è stato il messaggio.
Il numero uno dell'esecutivo Ue ha aperto le danze sulla delicata vicenda del fondo anche nel tentativo di alleggerire la pressione speculativa su Portogallo e Spagna. Insieme con gli sforzi di risanamento dei due governi sotto tiro, ha in sostanza ottenuto qualche risultato, visto che i due collocamenti di titoli a lungo di Lisbona e Madrid non sono andati male e il credito è costato meno delle previsioni. Basta per essere appena sollevati, però finisce li.
La crisi finanziaria ha portato recessione, perdita di competitività e debiti stellari. I mercati speculano sulle differenze relative fra i soci dell'Eurozona. Se il club della moneta unica non si compatta, andranno avanti sino all'ultimo cent.
Stasera a Bruxelles ne parlano i ministri dell'economia di Eurolandia, per l'Italia c'è Giulio Tremonti. Rehn spiegherà loro che dei 440 miliardi di euro impegnati dall'Eurozona per l'Efsf solo 250 miliardi circa possono essere utilizzati, mentre gli altri devono rimanere per garantire la sanità dello strumento e la sua Tripla A. La ricetta che si studia è quella di arrivare effettivamente a poter movimentare 440 miliardi, cosa che potrebbe accadere ampliando la dote dei paesi che hanno il rating più elevato, come Germania e Francia.
La Bce, per inciso, è d'accordo con Bruxelles. Il ruolo di Berlino è ambiguo. Da un lato il ministro delle Finanze Wolfgang Schàuble si dice disposto a considerare il rafforzamento dell'Efsf, dall'altro il suo collega degli esteri; Guido Westerwelle, giura di «non aver capito le proposte di Barroso».
Poi aggiunge che, «quando un fondo non è utilizzato che in piccola parte, non c'è ragione per discuterne l'incremento». Fanno il poliziotto buono e il poliziotto cattivo? Possibile. Il presidente della Commissione ha auspicato una svolta sullo strumento anticrac al vertice del 4 febbraio.
Stasera si potrebbe capire se c'è la possibilità di un successo che, nonostante i dissidi, i bookmaker dell'Europa continuano a quotare basso.
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