Sezione Tito:
1. Reggio emilia. Distinguere storia e topomastica.
2. Padova. A Este piace poco "Fratelli d'Italia", proposta ritirata.
Sezione Saviano:
3. Treviso. Caso Saviano, la bibliotecaria non dorme più.
Sezione Zanzotto:
4. Matera. Capitale della Cultura: Zanzotto fa litigare Matera e Venezia.
Sezione nord est:
5. Bolzano. Sparirono 4 milioni: patteggia 3 anni.
6. Trieste. Giorno della memoria, sondaggio choc.
7. Gorizia. La Parentopoli di Gorizia: coinvolti altri dipendenti.
8. Trento. Cinquecento famiglie hanno perso la casa.
1. Reggio emilia. Distinguere storia e topomastica. reggio emilia. «Le accuse che arrivano dall'opposizione sulla decisione di non revocare l'intestazione di una strada a Tito, già presidente della Repubblica Jugoslava, sono impostate sulla solita oziosa demagogia e sono da rigettare. Una cosa è la storia, un'altra cosa è la toponomastica e più precisamente la storia della toponomastica cittadina». Così il gruppo consiliare del Pd replica alle accuse arrivate dall'opposizione. «A nessuno di noi - prosegue la nota - sfugge il dramma della vicenda delle Foibe, ivi compreso le responsabilità che furono del presidente Tito in quel frangente della storia. Ci riconosciamo nel giudizio netto espresso nel 2007 dal presidente Napolitano nel condannare l'odio etnico che spinse e determinò quella tragedia. E ci riconosciamo nella relazione della Commissione mista italo-slovena del 2000, sulla costruzione di una memoria storica condivisa. E' da sempre rilevante l'impegno della nostra città nella celebrazione della ricorrenza del Giorno del Ricordo, istituito per legge anche grazie al contributo determinante delle forze di centro sinistra. Ma non ci sfuggono nemmeno la complessità e le contraddizioni del ruolo giocato dal maresciallo Tito». E ancora: «Tito è stato infatti definito dal capogruppo Luca Vecchi dittatore e uomo di Stato che ha attraversato oltre 30 anni della storia internazionale. E' indubbio che gli amministratori dell'inizio anni Ottanta, che decisero l'intestazione fossero certamente calati nel sentire comune del proprio tempo. Ma il pregio della toponomastica è proprio questo: l'essere figlia del proprio tempo contribuendo a stratificare l'evoluzione e i cambiamenti intervenuti nel sentire comune di ogni epoca, di una città, di un Paese, di un continente. Pensiamo davvero che in ogni epoca sia intelligente girarsi indietro e produrre una rimozione di tutto ciò che si ritiene storicamente superato e non più condivisibile?». «Secondo la logica del centro destra, da cui puntuale e provocatoria è venuta ieri la proposta da parte del consigliere leghista Parenti di intitolare una strada a Hitler, che dovremmo fare di via Adua, di via Makallè, o di tanti luoghi ancora oggi intestatari di fatti tragici che pesano ancora come gravi responsabilità storiche della storia del nostro Paese?». «Questa - concludono gli esponenti del Pd riferendosi all'opposizione - è la vacuità delle loro proposte e dell'iniziativa politica che li contraddistingue. Ci è sembrata una discussione troppo strumentale e faziosa, politicamente poco seria, per un Consiglio comunale che avrebbe il compito di dedicarsi a ben altri problemi».
2. Padova. A Este piace poco "Fratelli d'Italia", proposta ritirata. Non convince l'idea di tre esponenti del Pd di far suonare l'Inno di Mameli prima di ogni seduta del Consiglio comunale. ESTE. Centocinquant'anni d'Unità d'Italia, centocinquanta minuti di polemiche. L'Inno di Mameli rischiava di mettere sotto la maggioranza di Giancarlo Piva, che dopo due ore e mezzo di discussione è stata costretta a ritirare la mozione con la quale il Consiglio comunale di Este si impegnava a far suonare "Fratelli d'Italia" all'inizio di ogni futura seduta.
Concretamente, l'idea era di procedere all'appello nominale dei consiglieri avendo come sottofondo l'Inno di Mameli. La proposta portava la firma dei tre consiglieri del Partito democratico: Maria Luisa Cagnotto, Rosa Rizzato e Vincenzo Corsini. «Suonare "Fratelli d'Italia" non è retorica - hanno spiegato i tre esponenti del Pd - ma un'azione che consolida l'appartenenza alla nazione. E' un segno simbolico, concreto e duraturo».
«Mi pare una forzatura - ha commentato Piergiorgio Cortelazzo (Popolo della libertà) - e c'è il rischio che con queste iniziative si strumentalizzi un simbolo così importante. La Regione Veneto, con una proposta di legge di cui sono stato il primo firmatario, ha già approvato il programma dei festeggiamenti per l'Unità d'Italia: non andiamo ad aggiungere strane iniziative».
«A questo punto io chiedo che dopo l'Inno sia obbligatorio procedere anche all'alzabandiera - ha ironizzato Maurizio Lucca (pure Pdl) - e probabilmente la Lega Nord chiederà di suonare il "Va pensiero" e la sinistra estrema "Bella ciao": una bella goliardata».
«Questa mozione è stata presentata da tre consiglieri all'insaputa del Consiglio comunale e senza la concertazione dell'intera maggioranza - ha continuato Stefano Bernardoni (Pdl) - E' svilente vedere che un simile argomento, che poteva unire tutti, non sia stato condiviso». Anche la civica Este Viva ha fatto intendere il proprio voto sfavorevole all'iniziativa, sottolineando come la mozione sia stata presentata di soppiatto. Ma non è stata solo l'opposizione a prendere le distanze dalla proposta. Le Civiche d'Este hanno deciso di astenersi, «perché un tema del genere non compete al consiglio comunale», ha sottolineato Leonardo Renesto. Rifondazione Comunista ha invece richiesto alcuni emendamenti che, di fatto, avrebbero rivoluzionato la mozione e senza i quali sarebbe arrivata un'astensione o un voto contrario: «Più che far suonare l'Inno, sarebbe meglio che il Comune si impegnasse a far riscoprire i valori del Risorgimento», ha motivato Paolo Venco.
In caso di voto, la mozione avrebbe rischiato di non avere a favore i voti sufficienti. Il Pd sarebbe stato l'unico gruppo ad approvare l'Inno prima della seduta del Consiglio, incappando in una clamorosa sconfitta. Per questo Piva ha ritirato il documento, rimandando la discussione alla conferenza dei capigruppo. «Se questo è il clima - ha però affermato - dubito che si arriverà a una soluzione».
«Non avrei mai pensato che una richiesta così seria scatenasse tutto questo casino - sono state le parole amareggiate della Cagnotto -. Mi aspettavo che la mozione passasse in cinque minuti: che delusione».
3. Treviso. Caso Saviano, la bibliotecaria non dorme più. L'assessore: «Nessuna volontà di licenziarla». Lucia Tundo è ancora sotto shock e va dall'avvocato. «Per licenziare un dipendente servono gravi motivi. Da parte del Comune non c'è alcuna accusa di furto verso la bibliotecaria». L'assessore alla Cultura Roberto Zamberlan lascia al segretario generale la decisione su eventuali provvedimenti disciplinari a carico della bibliotecaria Lucia Tundo.
Per la bibliotecaria al centro delle polemiche dopo il caso-Gomorra è probabile un richiamo formale. «Verificheremo il comportamento della dipendente nei termini di legge»: così si era espressa lunedì, durante l'incontro con la stampa, il neosegretario generale del Comune Ilaria Piattelli.
Il riferimento è al fatto che la bibliotecaria Lucia Tundo ha fatto entrare in biblioteca le telecamere del Tg3 senza autorizzazione dei suoi superiori.
Il segretario generale ha venti giorni di tempo per chiudere l'indagine interna e decidere eventuali provvedimenti a carico di Tundo.
E lei, la principale protagonista di questa bagarre? Chi la conosce dice che Lucia è sconvolta. Addirittura non dormirebbe più di notte. «Dopo che erano stati tolti i libri di Saviano dagli scaffali, avevo un peso insopportabile sullo stomaco - ha raccontato nei giorni scorsi la donna - è la cosa peggiore che mi sia successa in 24 anni di lavoro».Per tutelarsi in futuro, la bibliotecaria avrebbe già nominato un legale di fiducia. Nonostante l'amministrazione comunale cerchi di mettere a tacere il «caso Saviano», l'argomento è stato al centro della giunta di martedì.
Il sindaco ha ribadito le proprie posizioni: nessuna censura, semmai «Gomorra» è sparito per un furto. Una linea, questa, ricalcata anche nella lettera firmata da Sergio Marton che ieri è apparsa sul sito Internet del Comune.
«Nella nostra biblioteca è possibile reperire opere contenenti messaggi di qualsivoglia colore politico e, soprattutto, di cultura nel senso più ampio del termine - scrive Marton - per rispondere alle insinuazioni o ai dubbi, ancorché infondati, emersi in questi giorni, preciso che noi amministratori non abbiamo accesso alla biblioteca comunale se non in presenza del personale addetto».
Sempre sul piano politico, l'assessore Zamberlan respinge le richieste di dimissioni lanciate ieri dalla lista «Preganziol Insieme».
«Ho ricevuto il mandato dal sindaco ed a lui rispondo - dice - non sarà certo l'ex sindaco Franco Zanata a togliermi le deleghe».
Ieri, intanto, «Gomorra» è tornato in biblioteca. Non in una copia, bensì in due: una acquistata dal Comune, l'altra donata da un cittadino che ha lasciato il volume sulla porta.
E oggi il popolo del «No alla censura» scenderà in strada per il sit-in. Appuntamento alle 17 - in concomitanza con l'uscita dei ragazzi delle medie - in via Gramsci con la Costituzione. I cittadini entreranno in biblioteca a chiedere le opere di Roberto Saviano.
4. Matera. Capitale della Cultura: Zanzotto fa litigare Matera e Venezia. Matera 2019, Il Gazzettino di Venezia sospetta un giallo sull’adesione del poeta trevigiano Andrea Zanzotto al manifesto di sostegno alla città dei Sassi. 26/01/2011 VENEZIA - parla di un giallo, Matera rispedisce la provocazione al mittente.
La querelle a distanza che, ieri, ha messo a confronto le due città, candidate ad essere capitale europea della Cultura nel 2019, è basata sull’adesione del poeta Andrea Zanzotto al manifesto di sostegno alla città dei Sassi.
Nel titolo del Gazzettino di Venezia di ieri si lancia l’ipotesi di un giallo sulla sua firma, sospetto rispedito al mittente in poche ore, come conferma Antonio Calbi (promotore di Prospettiva Matera 2019 che, proprio pochi giorni fa, ha presentato l’elenco delle personalità dell’arte e della cultura che hanno sostenuto la candidatura).
Nell’articolo del quotidiano veneto, a firma di Paolo Navarro Dina che parla, tra l’altro di una operazione che sarebbe «Farina del sacco di uno degli organizzatori del Comitato locale che ha buone conoscenze nel mondo dello spettacolo in Italia.
Tutto qui. Insomma tutto da dimostrare».
La singolar tenzone fra le due città, si gioca attorno alla firma, o meglio adesione, del poeta trevigiano Zanzotto che, secondo le fonti venete, non avrebbe mai apposto la sua sigla.
«Il poeta Zanzotto ha ragione nel dire che non ha firmato nulla - chiarisce Calbi, che demolisce il finto mistero - perchè non c’era nulla da firmare nè votare. Il suo è un appoggio morale alla candidatura.
I 100 nomi della cultura italiana da me raccolti, e tutti hanno espresso un’adesione convinta ed entusiasta, sono un sostegno alla candidatura, un’auspicio che sia una città del Sud, questa volta a meritare di elevarsi per un anno, a Capitale europea della Cultura».
Nella nota che Antonio Calbi ha inviato a Navarro Dina il confronto fra le due città passa attraverso le anime che le contraddistinguono: Venezia legata all’acqua e Matera alla pietra.
«Sarebbe bello, nel caso vincesse Matera - prosegue Calbi - che Venezia le fosse alleata, e viceversa.
Ha qualcosa di magico, questo dialogo da lontano fra due città speciali: una galleggiante sull'acqua, una scavata nella roccia tufacea; la prima solare e teatrale, l'altra intimista e defilata. Paiono sorelle gemelle, seppure diverse, e davvero paiono uscite dalla mente e dalla penna di Italo Calvino, che sicuramente oggi avrebbe scritto un'addenda al suo celebre le Città Invisibili, perché la fiaba è l'anima sia di Venezia sia di Matera».
Il tentativo di montare un caso fra le due candidature, parlando di petizioni in opposizione poco sembra avere in comune con un’operazione di promozione e valorizzazione di territori che si candidano ad un riconoscimento prestigioso.
Sembra profilarsi una polemica che serpeggia fra la politica e l’annosa questione del sud e che non fa bene ai protagonisti della vicenda.
Lo spiega bene Calbi che aggiunge: « Venezia non è soltanto una Capitale Europea bensì una Capitale Mondiale della Cultura, con il suo straordinario patrimonio d'arte e di manifestazioni che la collocano senza eguali nel circuito delle città d'arte del pianeta.
Non ha affatto bisogno di travestirsi da se stessa per una manciata di mesi: è il cuore della cultura italiana e mondiale tutto l'anno, lo è tutti gli anni, da secoli. Non ha bisogno di partecipare al ballo delle debuttanti!
E' donna matura e navigata. Matera, invece, ha un grande bisogno di partecipare a questa competizione e di vincerla».
A stonare, in particolare, è il tentativo di coinvolgere Andrea Zanzotto che dalla sua Pieve di Soligo risponde un po’ irritato al cronista veneto che lo interroga sperando di “scovare” segreti che in realtà appartengono solo al monotono e obsoleto campanilismo italico. Antonella Ciervo.
5. Bolzano. Sparirono 4 milioni: patteggia 3 anni. Ex dipendente della Btb riuscì a garantire falsa liquidità all'impresa del padre. Bolzano. di Mario Bertoldi. BOLZANO. Riuscì a dirottare sui conti correnti dell'azienda del padre quasi 4 milioni di euro. Ieri Maria Tanzi, ex dipendente della filiale di via Orazio della Banca di Trento e Bolzano, ha patteggiato una condanna a 2 anni e 11 mesi di reclusione, con una multa di 400 euro. Il caso venne a galla nel novembre di quattro anni fa. La donna venne subito sospesa dall'impiego ed in seguito licenziata. In effetti la banca rilevò un notevole ammanco di denaro da addebitare ad un carosello di assegni circolari fasulli e di «sospesi contabili» messi in atto dall'imputata per creare una liquidità finanziaria (in realtà inesistente) a favore dell'impresa di costruzione del padre (la «Tanzi Costruzioni») che si trovava in forti difficoltà economiche. Ad ideare il raggiro sarebbe stata proprio la donna, forte delle conoscenze tecniche del sistema bancario e della posizione di totale fiducia raggiunta all'interno dell'istituto bancario. Per diversi mesi, secondo l'accusa, l'imputata avrebbe ideato un ingegnoso sistema di scambio assegni con un altro istituto bancario cittadino, utilizzando alcuni conti poco movimentati, in quanto intestati a società in fase fallimentare o pre-fallimentare. Come detto il carosello di assegni non coperti avrebbe permesso di costituire una fasulla liquidità a favore delle ditte (la «Tanzi Costruzioni srl» e la «Edil Tanzi srl») e avrebbe toccato cifre rilevanti, sino a 80 milioni di euro. Per alcune operazioni Maria Tanzi avrebbe appoggiato gli assegni destinati alle imprese del padre su alcuni conti «dormienti» cioè non movimentati da tempo in quanto intestati a fallimenti. E' il caso del fallimento «Oaks» e dei fallimenti «Tir Service», «Trend Art», «Vaccarini Dieter» e «Vi.ro». La liquidità versata sui conti delle imprese serviva in parte a pagare via via i fornitori e in parte a coprire gli assegni cabriolet emessi dallo stesso Luigi Tanzi. Il sistema occulto di finanziamento truffaldino delle imprese Tanzi avrebbe anche potuto non provocare danni qualora le ditte del gruppo avessero iniziato ad avere incassi reali. In realtà la situazione di sofferenza provocò un ammanco di circa 4 milioni di euro mai colmato. L'inchiesta ha perà chiarito che neppure un euro finì nelle tasche dei due imputati. Ieri davanti al giudice Claudio Gottardi (tribunale in composizione monocratica) ha patteggiato solo la signora Maria Tanzi. Il padre Luigi, a giudizio assieme a lei, sarà processato in maggio in quanto ieri non ha potuto presenziare in quanto ammalato. I due imputati sono riusciti a risarcire la banca solo per una piccola parte. A fronte di un danno provocato di quasi 4 milioni di euro Maria Tanzi ha versato 280 mila euro, frutto della vendita del proprio appartamento. Tre milioni e 400 mila sono stati invece versati alla banca dall'assicurazione che ora potrebbe anche decidere di tentare di rivalersi su padre e figlia i quali però non risultano titolari di beni.
6. Trieste. Giorno della memoria, sondaggio choc: «In Italia è antisemita un giovane su 5». TRIESTE. Più di due giovani italiani su 10 provano pulsioni antisemite, ma quasi la metà dei ragazzi e delle ragazze italiane (47%) dimostra una «forte simpatia» per gli ebrei. Il dato emerge da un’indagine realizzata dall’istituto di ricerche Iard-Swg di Trieste per la Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome, presentata nell’audizione dell’Osservatorio della Camera sui fenomeni di xenofobia e razzismo nel 2010.
Nel “bacino” antisemita si riconosce un 6% marcatamente estremista, per cui l’avversione nei confronti degli ebrei risulta decisamente più forte e radicata. Tra i simpatizzanti per gli ebrei si aggiunge una quota più contenuta (31%) il cui livello di propensione nei loro confronti è «moderato».
Tra i giovani italiani, tuttavia, il 71% non ha mai avuto rapporti diretti con gli ebrei. Nel bacino antisemita tale quota raggiunge il 76% e la maggior parte di questi ragazzi dichiara di non aver avuto dei contatti solo perchè non è mai capitato, mentre solo il 7% lo ha deciso scientemente. Fra i ragazzi che dimostrano pulsioni antisemite e che hanno avuto contatti con degli ebrei (24%), è il 30% ad affermare che la qualità del rapporto è stata negativa, contro un 32% che ne parla bene e di un 38% che non lo connota nè in un senso nè nell’altro.
Gli “antisemiti under 30” sono in prevalenza maschi (60%) e toccano tutte le fasce di età a partire dai 18 anni.
Rispetto all’area geografica, emerge che al Nord l’antipatia nei confronti delle persone di religione ebraica è molto più radicata che in altre zone e interessa il 43% dei giovani residenti. Quasi il 60% appartiene alla realtà studentesca o è laureato. Parte dell’a ntipatia per il popolo ebraico trova le sue fondamenta nel fatto che essi si pongono con maggior lealtà verso il loro mondo più che verso il Paese in cui vivono: a pensarla così è il 38% degli intolleranti (il 51% tra gli antisemiti estremi). Appaiono invece meno convinti (21%) del fatto che gli ebrei abbiano avuto un'influenza negativa sulla cultura e sulla civiltà cristiana.
L’intolleranza della fetta antisemita degli under 30 si esplica anche in un atteggiamento di chiusura verso alcune situazioni, soprattutto l’idea di avere una figlia che fa coppia con un ebreo (51%), quota che scende leggermente (48%) se la cosa riguarda un figlio maschio. A seguire, la sensazione di avere un capo ebreo per il 38% dei giovani antisemiti, che vivrebbero invece con più tranquillità il fatto di avere un collega ebreo (29%). Poco accettate, ma più tollerate, le situazioni che contemplano un vicino di casa ebreo (35%) o la possibilità di sedere alla stessa tavola durante la cena (29%).
7. Gorizia. La Parentopoli di Gorizia: coinvolti altri dipendenti. Avrebbero favorito figli e nipoti nell’assegnazione dei voucher del Comune. di Christian Seu. GORIZIA. Non soltanto la figlia di un dirigente comunale, ma anche i nipoti di una posizione organizzativa e i congiunti di altri due dipendenti comunali. Dopo la denuncia del leghista Zotti, emergono nuovi dettagli sulla procedura che ha portato all’individuazione dei dieci studenti chiamati a distribuire materiale promozionale per conto dell’ente. A questi sono stati riconosciuti, tramite il sistema dei cosiddetti voucher, 200 euro per venti ore di lavoro. Rapporti di parentela. Una via l’altra, sorprendentemente a poche ore dalla pubblicazione del bando. Le prime cinque manifestazioni d’ interesse per il progetto di lavoro occasionale legato alla promozione delle attività culturali organizzate dal Comune sono state presentate da parenti di persone che prestano servizio negli stessi uffici comunali. Le ricerche compiute confermano che tra i candidati poi effettivamente selezionati figura il nome della figlia di uno dei sette dirigenti in servizio a palazzo.
Ma non finisce qui: spulciando la tabella che contiene i dati dei soggetti in possesso dei requisiti, si scopre che tra i beneficiari dei 200 euro previsti come compenso per le venti ore di servizio compaiono anche i nomi di due fratelli, nipoti di un titolare di posizione organizzativa (coinvolto addirittura, a quanto pare, nello stesso procedimento amministrativo) e figli di un altro dipendente dell’ente municipale. A completare il quadro la presenza della prole di altri due impiegati in piazza Municipio. «Non c’è niente di irregolare, ma è una questione di opportunità», aveva tuonato in aula Zotti.
La tempistica. Era il 2 settembre quando la giunta comunale, su proposta dell’assessore Guido Pettarin, approvava la delibera con la quale venivano stabilite le linee d’indirizzo per l’utilizzo dei voucher da destinare ai progetti di lavoro occasionale accessorio. Trascorsi i tempi tecnici necessari per predisporre l’opportuna documentazione, il 7 settembre gli uffici comunali provvedevano a pubblicare l’informativa con cui si formalizzava l’avvio della procedura di ricezione delle manifestazioni di interesse. Un atto che, come si legge nel provvedimento, «non è impegnativo né per il sottoscrittore né per il Comune di Gorizia, costituendo unicamente una prima base conoscitiva dei potenziali interessati alla fruizione del beneficio, relativamente al quale verranno, con successivi provvedimenti, attivati i singoli rapporti di lavoro».
Analizzando l’elenco dei ventuno studenti considerati idonei, si scopre che le prime cinque domande, firmate tutte da figli e parenti di impiegati in Municipio, sono state depositate all’u fficio protocollo proprio tra il 7 e l’8 settembre, a stretto giro di posta dunque dalla pubblicazione della comunicazione. Le altre richieste sono giunte via via nei giorni successivi, a debita distanza temporale: i primi fuori graduatoria hanno inoltrato la propria domanda appena il 13 settembre, a una settimana dalla pubblicazione dell’avviso.
L’inchiesta interna. Intanto nella giornata di ieri il segretario generale del Comune, Roberto Capobianco, ha avviato formalmente l’i ndagine interna tesa ad accertare eventuali irregolarità nella procedura sfociata nell’individuazione dei nove candidati. È stato il sindaco, Ettore Romoli, a richiedere ufficialmente a Capobianco di redigere una dettagliata relazione con il preciso intento di chiarire i contorni della vicenda. Posto che al momento non appaiono motivi che inducano a ipotizzare comportamenti illeciti, permangono i dubbi sull’opportunità morale dell’azione dei coinvolti: «Se accertati, i fatti configurano un atteggiamento quanto meno inopportuno da parte del dirigente», aveva detto il primo cittadino in aula, rispondendo all’interrogazione di Zotti.
8. Trento. Cinquecento famiglie hanno perso la casa. 27/01/2011 08:34. TRENTO - Tra esecuzioni di provvedimenti di sfratto e pignoramenti immobiliari, l'anno scorso 469 famiglie e piccole imprese trentine hanno perso la casa o l'immobile che avevano dato in garanzia per i debiti. Il quadro non è ancora completo: gli sfratti eseguiti sono 100 tra gennaio e ottobre, mentre mancano i dati degli ultimi due mesi. Ma già ora le abitazioni e altri immobili perduti sono il 9% in più del 2009, che pure era stato un anno difficile. L'impennata più consistente è quella dei pignoramenti: i nuovi procedimenti aperti registrano un incremento del 25% sull'anno precedente. Banche e fisco passano all'incasso delle garanzie immobiliari di debitori stremati dalla crisi. Sul versante degli sfratti, tra gennaio e ottobre 2010 in Trentino si registrano 224 nuovi provvedimenti emessi, di cui 84 a Trento e 140 nel resto della provincia.
Nell'intero 2009 erano stati 313, in crescita dell'1,6% sul 2008. La tendenza dell'anno scorso è invece alla diminuzione, come confermano i dati del solo capoluogo, già aggiornati a dicembre anche se non definitivi, che parlano di 101 nuovi sfratti rispetto ai 120 dell'anno precedente. In pratica, come registrano Inps e Istat nei loro ultimi rapporti, in Trentino viene sfrattata una famiglia ogni 700. Il dato è tra i meno pesanti a livello nazionale, ma solo pochi anni fa, nel 2007, era di una famiglia ogni 839. Una cosa è certa: come accade ormai da molti anni e si è accentuato durante la crisi, la netta maggioranza degli sfratti è per morosità dell'affittuario. L'anno scorso sono stati 199, pari all'89% del totale, mentre quelli per finita locazione si sono fermati a 25. Segnalano invece incrementi su base annua le richieste di esecuzione, mentre gli sfratti eseguiti si avviano a confermare il dato 2009. Le richieste nei primi dieci mesi dell'anno sono 211, mentre erano state 230 nell'intero 2009. Le esecuzioni sono state 100, rispetto alle 123 dei dodici mesi dell'anno prima. In un tale contesto, è praticamente irrilevante in provincia l'effetto della proroga, decisa dal governo, della sospensione degli sfratti per finita locazione, e non per morosità, ad alcune categorie disagiate, come anziani e disabili a basso reddito, fino al 31 dicembre di quest'anno. I sindacati hanno chiesto l'estensione dello stop agli sfratti per morosità incolpevole, cioè alle famiglie in difficoltà per la disoccupazione o la cassa integrazione. Più netta l'impennata dei pignoramenti immobiliari, che riguardano sia famiglie che imprese.
All'inizio del 2010 i procedimenti pendenti erano 484 presso il tribunale di Trento e 136 a Rovereto, ciascuno con i rispettivi circondari. Già nel 2009 i pendenti erano aumentati, del 25% a Trento e di quasi il 10% a Rovereto. Durante l'anno sono partiti 387 nuovi procedimenti nel capoluogo, con un incremento del 20,6% rispetto al 2009, e 134 nuovi pignoramenti nella città della Quercia, con un balzo del 42,6% rispetto all'anno precedente. In tutto 521 procedimenti, il 25,5% in più del 2009.
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