giovedì 24 marzo 2011

Federali-Mattino. 24 marzo 2011. La lingua veneta ha una nobiltà letteraria straordinaria, che la stessa Istat riconosce come sia la lingua correntemente parlata dalla maggioranza dei veneti. L’obiettivo della proposta è far sì che il parlamento stabilisca che il veneto venga considerato (e tutelato) ufficialmente in quanto lingua minoritaria storica usata nel territorio italiano accanto a albanese, catalano, tedesco, greco, sloveno e croato, francese, franco-provenzale, friulano, ladino, occitano e sardo.

Turn over tribali:
Lo Yemen che scotta.
Yemen: stato emergenza, saleh offre elezioni ma cresce pressione.
Scontri e proteste di piazza dallo Yemen alla Siria
Frattini sulla crisi in Libia: non si tratta di fare la guerra ma di impedirla.

Forza Luis:
Bozen. Bolzano: i prezzi delle case pronti a risalire.
Bozen. Monumenti in Alto Adige, Durnwalder: "L'accordo vale anche con Galan".
Bozen. Emergenza Libia, Durnwalder: «Possiamo ospitare 50 profughi». BOLZANO.
Bozen. La Giornata dell'acqua, i bolzanini scoprono che la loro è eccellente.
Ivrea. 'Mille euro per ogni alunno'.

Padani:
Milano. «Le Ferrari? Un prestito di un amico»
Venezia. «Roma riconosca la lingua veneta»
Treviso. Fotovoltaico record nella discarica.
Parma. Parmalat: varato dl antiscalate, si lavora alla cordata italiana


Lo Yemen che scotta. di Lorena De Vita
La precarietà della posizione del presidente Saleh aumenta di giorno in giorno. La molteplicità delle anime della protesta nelle piazze. La crisi politica, tra dimissioni a catena di ministri e ambasciatori. Sana’a chiede aiuto a Riyad.
Prima sono arrivate le concessioni in campo economico, con la promessa di salari più alti e più possibilità per i giovani (quelli sotto i 25 anni rappresentano il 70% della popolazione) di entrare nel mercato del lavoro.
Poi si sono aggiunte le concessioni politiche, con la rinuncia ufficiale a ricandidarsi alle elezioni 2013, la garanzia che la sua non sarà una “presidenza a vita” (come invece in molti avevano sostenuto) e che la carica presidenziale non verrà ereditata dal suo primogenito.
Tra gennaio e febbraio, insomma, Saleh ha cercato di districarsi al meglio dalla grave crisi politica del paese mentre i cittadini continuavano a scendere in piazza, giorno dopo giorno, e ad essere aggrediti dalle forze di sicurezza – tanto da costringere l’amministrazione Usa a pronunciarsi più volte per condannare il dilagare di fenomeni di violenza a danno dei manifestanti. Ma il classico approccio carota/bastone sembra che questa volta stia fallendo e che la situazione stia per sfuggire di mano.
A poco a poco, infatti, si sta sgretolando l’apparato politico nazionale: negli ultimi giorni hanno rassegnato le proprie dimissioni almeno una ventina di parlamentari del partito di maggioranza e diversi ministri governativi (dicastero del Turismo, per i Diritti umani e degli Affari religiosi), tanto da spingere il presidente Saleh a sciogliere il governo, per rinominarlo poco dopo ma solo in veste temporanea, e a proclamare lo stato di emergenza.
Nel frattempo, all’estero, gli ambasciatori dello Yemen presso Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Cina, Arabia Saudita, Repubblica Ceca e Siria hanno rassegnato le proprie dimissioni, mentre i rappresentanti diplomatici di Sana’a presso Pakistan, Qatar, Oman, Libano, Giappone, Spagna e Onu hanno dichiarato il proprio supporto ai manifestanti anti-governativi.
Caos politico, il presidente vacilla - in queste condizioni è praticamente inevitabile che altri attori tentino di approfittare della forte instabilità del momento per salire al potere: una chiave di lettura che potrebbe aiutare a comprendere la dinamica della defezione del generale Ali Mohsen al-Ahmar (ancor più grave perché legato al clan dello stesso Saleh), che lo scorso 21 marzo ha annunciato che le proprie forze si sarebbero schierate dalla parte dei manifestanti, innescando una dinamica da vera e propria guerra civile.
L’esercito e le forze di sicurezza assurgono ancora una volta a elemento-chiave per determinare l’andamento della rivolta, come tempo fa era successo in Egitto. Ma le differenze rispetto al Cairo sono infinite e l’ambasciatore britannico in Yemen, giorni fa, mentre esortava i propri connazionali a lasciare il paese, ha pronosticato un corso degli eventi più “libico” che egiziano o tunisino.
Abu Bakr al-Qirbi, che per ora ha mantenuto l’incarico di ministro degli Esteri, mentre le forze del generale al-Ahmar si schieravano dalla parte dei movimenti anti-governativi volava in Arabia Saudita con una lettera da consegnare a re Abdullah da parte di Saleh riguardante “gli sviluppi politici regionali e le relazioni fraterne tra i due paesi”.
O almeno questo è quanto dichiarato dallo stesso ministro in partenza che, probabilmente, è andato a sollecitare l’aiuto di Riyad per contenere la situazione di crisi, forse anche militarmente anche se ancora non è chiaro quale possa essere lo spazio di manovra per un intervento saudita in aiuto del “fratello” yemenita.
Il direttore dell’istituto Brookings di Doha, Salman Shaikh, ha constatato che le diverse istanze dei manifestanti e degli oppositori del regime sono recentemente confluite nella richiesta principale che Saleh lasci il governo, sottolineando come l’unità di piazza possa effettivamente arrecare serie difficoltà al presidente e a costringerlo a dimettersi al più presto.
Eppure, osservando la dinamica delle proteste, quello che appare non è una unica grande sollevazione di piazza contro il palazzo corrotto e violento, ma piuttosto una serie di proteste diverse e che rivendicano obiettivi molto diversi tra loro, dalle riforme costituzionali e della legge elettorale richieste soprattutto nella capitale, alla secessione del Sud, che rappresenta una vera e propria spina nel fianco per Saleh.
Proprio per ostacolare il lavoro di documentazione sulle rivolte nella zona meridionale del paese, il 22 marzo forze governative hanno fatto irruzione negli studi di Aljazeera nella capitale yemenita, sequestrando una notevole quantità di materiali.
L’opposizione ha annunciato per venerdì un grande corteo. Obiettivo: "destituire il presidente, ovunque si trovi", come dichiarato dal portavoce Mohamed Qahtan. Trentadue anni di anni di presidenza potrebbero essere un po’ troppi, anche per l’abile Saleh che però ha già messo in guardia la popolazione: o rimane al potere o sarà la guerra civile.

Yemen: stato emergenza, saleh offre elezioni ma cresce pressione. 8:47 23 MAR 2011

(AGI) - Sanaa, 23 mar. - Il Parlamento yemenita ha approvato lo stato d'emergenza decretato lo scorso venerdi' dal presidente, Ali Abdullah Saleh. Ma cresce la tensione nel timore che lo stato d'emergenza, che durera' trenta giorni, possa scatenare una nuova "strage" e repressione delle proteste anti-regime.
  Nel tentativo di placare la richiesta di sue dimissioni, il presidente ha offerto un referendum costituzionale, elezioni parlamentari e soprattutto nuove elezioni presidenziali da tenersi entro la fine dell'anno. Ma l'opposizione non e' intenzionata ad allentare la presa. E le proteste contro Saleh, da 32 anni alla guida del poverissimo Paese nella penisola arabica (disoccupazione al 35 per cento, con punte al 50 tra i giovani), iniziano a preoccupare le diplomazie occidentali che temono che le varie cellule di Al Qaeda, gia' molto attive, possano rafforzarsi ulteriormente in assenza di uno Stato forte. Lo Yemen confina con l'Arabia Saudita, il maggiore produttore di greggio e con le rotte marittime piu' trafficate al mondo. Negli ultimi due anni ci sono stati gia' molti attentati contro interessi sauditi e Usa nella regione. A lungo sostenuto dai leader arabi e occidentali in quanto uomo forte capace di unificare un Paese molto tribale, Saleh davanti al Parlamento ha agitato lo spettro della guerra civile e della disintegrazione qualora venisse rimosso da un colpo di Stato.
  Molti ambasciatori, deputati, capi tribu' e alti ufficiali dell'esercito, tra cui il potente generale Ali Mohsen, si sono gia' schierati contro Saleh e la feroce repressione che ha provocato il massacro di 52 manifestanti venerdi' scorso. Ma gli Stati Uniti sembrano avere la speranza che Saleh, fedele alleato di Washington nella 'guerra al terrorismo', possa resistere. Dal Cairo, il segretario alla Difesa, Roberto Gates, ha detto che e' ancora troppo presto per capire dove porteranno le turbolenze e aggiunto, senza mezzi termini, che Washington non ha messo in conto uno Yemen senza Saleh. "Le cose sono ovviamente molto instabili: penso che sia troppo presto per prevedere un risultato. Ma abbiamo avuto un buon rapporto di lavoro con il presidente Saleh, che e' stato un alleato importante nella lotta al terrorismo". L'opposizione yemenita ha convocato per venerdi' un grande corteo che marcera' sul palazzo presidenziale. Dopo la preghiera, i manifestanti marceranno per chiederne le immediate dimissioni del presidente, apertamente contestato ormai dal 3 febbraio scorso, quando la Giornata della Rabbia porto' in piazza oltre 10mila persone a Sanaa. "Sara' il 'Venerdi' della marcia in avanti', con centinaia di migliaia di persone che arriveranno ovunque ti trovi per destituirti", ha preannunciato, rivolto a Saleh, il portavoce dell'opposizione Mohamed Qahtana.

Scontri e proteste di piazza dallo Yemen alla Siria
Dalla Siria allo Yemen continuano le proteste nel mondo arabo. Scontri, proteste di piazza e la sensazione che i paesi a maggioranza musulmana vivano in un continuo stato di emergenza mai davvero rientrato dalla rivolta dei gelsomini in Tunisia a dicembre.

In Siria 15 morti durante le proteste
Sono almeno 15 le persone rimaste uccise oggi a Daraa, città della Siria meridionale da sei giorni teatro di proteste di piazza senza precedenti, secondo un nuovo bilancio fornito da attivisti per la difesa dei diritti umani. Fra le nove vittime degli scontri con le forze dell'ordine vi sono un bambino, due donne e un medico. Le altre sei sono state uccise durante i funerali delle prime nove: «Le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla durante i funerali», ha dichiarato uno degli attivisti, smentendo la versione ufficiale del regime, che ha parlato della violenza di «bande armate». Il presidente Bashar al-Assad ha emesso un decreto per le dimissioni di Faysal Kulthum, governatore di Daraai. Le manifestazioni di protesta si susseguono in Siria da febbraio. Tra le richieste, c'è la revoca dello stato di emergenza in vigore da 48 anni. La tensione è salita il 6 marzo quando un gruppo di adolescenti è stato arrestato a Deraa per aver scritto sui muri slogan contro il regime di Bashar al-Assad, succeduto nel 2000 al padre Hafez. Da quel giorno la partecipazione alle manifestazioni si è fatta più consistente. Il 18 marzo le forze di sicurezza hanno reagito con particolare durezza: sei morti tra i dimostranti.

Trenta giorni di stato d'emergenza nello Yemen
Il Parlamento yemenita ha approvato lo stato d'emergenza decretato lo scorso venerdì dal presidente, Ali Abdullah Saleh che durerà 30 giorni. Ma cresce la tensione nel timore che questo stato d'emergenza possa scatenare una nuova «strage» e repressione delle proteste anti-regime. Nel tentativo di placare la richiesta di sue dimissioni, il presidente ha offerto un referendum costituzionale, elezioni parlamentari e soprattutto nuove elezioni presidenziali entro fine anno. Ma l'opposizione non è intenzionata ad allentare la presa. E le proteste contro Saleh, da 32 anni alla guida del poverissimo paese nella penisola arabica (disoccupazione al 35%, con punte al 50 tra i giovani), iniziano a preoccupare le diplomazie occidentali che temono che le varie cellule di Al Qaeda, già molto attive, possano rafforzarsi ulteriormente in assenza di uno Stato forte. Lo Yemen confina con l'Arabia Saudita, il maggiore produttore di greggio e con le rotte marittime più trafficate al mondo. Negli ultimi due anni ci sono stati già molti attentati contro interessi sauditi e Usa nella regione. A lungo sostenuto dai leader arabi e occidentali in quanto uomo forte capace di unificare un paese molto tribale, davanti al parlamento Saleh ha agitato lo spettro della guerra civile e della disintegrazione qualora venisse rimosso da un colpo di Stato. Molti ambasciatori, deputati, capi tribù e alti ufficiali dell'esercito, tra cui il potente generale Ali Mohsen, si sono già schierati contro Saleh e la feroce repressione che ha provocato il massacro di 52 manifestanti venerdì. Ma gli Stati Uniti sembrano avere la speranza che Saleh, fedele alleato di Washington nella guerra al terrorismo, possa resistere.

Libano, rapiti sette turisti
Sette turisti europei ritenuti dispersi sono stati «verosimilmente rapiti» nella regione libanese della Bekaa, nella parte orientale del paese. Lo ha affermato un portavoce dell'esercito di Beirut.

Arabia Saudita
A Riyad sono stati arrestati 100 manifestanti nelle proteste di piazza nell'est del paese la settimana scorsa, denunciano gli attivisti dei diritti umani.

Bahrain
Il governo di Manama ha sospeso i voli da e per il Libano dopo le dichiarazioni del partito filosciita Hezbollah a sostegno delle proteste degli sciiti del Bahrain.

Frattini sulla crisi in Libia: non si tratta di fare la guerra ma di impedirla. «Non si tratta di fare la guerra ma di impedire la guerra e le sue nefaste conseguenze, di portare aiuto a chi è vittima di un'offensiva bellica indiscriminata». Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, sgombra il campo da equivoci e polemiche intervenendo sulla crisi libica al Senato dove è in corso il dibattito sulla missione italiana e indica nella risoluzione 1973 dell'Onu lo «sbocco di una graduale azione diplomatica della comunità internazionale»: disattendendola, la Libia si è posta «fuori dalla cornice della lealtà internazionale».

L'Italia ha ottenuto il pattugliamento delle acque internazionali
L'azione militare messa in atto dalla coalizione dei volonterosi, ha quindi chiarito il ministro, «è servita ad evitare danni gravissimi» sulla popolazione civile libica. L'Italia, ha aggiunto Frattini, «c'è e ci sarà» in futuro a sostegno della risoluzione anche con l'azione militare, ma è «convinta che la soluzione della crisi passa per il dialogo nazionale ed un processo costituente» che andrà sviluppato all'interno della Libia stessa. Il ministro ha poi annunciato che l'Italia «chiesto e ottenuto il pattugliamento delle acque internazionali» per «far rispettare l'embargo sulle armi» in Libia aggiungendo che l'operazione sarà coordinata «da Napoli con un ammiraglio italiano».

Il trattato con la Libia sospeso di diritto
Quanto al futuro del Colonnello Frattini ha pronunciato parole molto chiare. La «pre- condizione» perché la crisi libica si risolva positivamente, ha infatti detto il ministro, è «l'abbandono del potere da parte di Gheddafi». Frattini ha, quindi, aggiunto che da parte italiana c'è la volonta «di ripristinare con la Libia i rapporti preferenziali che abbiamo sempre avuto anche nel dopo Gheddafi». Rispetto poi a un altro tassello assai delicato, quello della sospensione del trattato di amicizia, il titolare della Farnesina ha detto che «dal punto di visto giuridico l'Italia opera nel rispetto degli obblighi del diritto internazionale perché è chiamata a rispettare la risoluzione dell'Onu e all'articolo 103 la carta dell'Onu prevede per gli stati membri la prevalenza assoluta e automatica della carta su ogni altro accordo internazionale e bilaterale». Dunque, è la conclusione del ministro, «dobbiamo considerare ormai sospeso di diritto e non più di fatto il trattato bilaterale con la Libia».

Il governo tutelerà i contratti delle imprese italiane
Frattini ha anche rassicurato sul futuro delle nostre aziende impegnate in Libia sottolineando che «non è fondata la tesi secondo cui i contratti delle nostre imprese sarebbero stati meglio tutelati in caso di mancato intervento». Le sanzioni contro il regime, chiarisce ancora il ministro, «li avrebbe comunque svuotati di ogni efficacia e lo stesso sarebbe valso nel caso in cui Gheddafi dovesse prevalere, perché le sanzioni continuerebbero a dispiegare i loro effetti e renderebbe inefficaci i contratti firmati». Quindi, assicura il ministro, il governo sarà impegnato a «tutelare le posizioni contrattualmente acquisite dalle imprese italiane sul mercato libico»: l'esecutivo insomma farà valere «la piena efficacia dei contratti». (Ce. Do.)
23 marzo 2011

Bozen. Bolzano: i prezzi delle case pronti a risalire. Compravendite in aumento. Perseghin: «La ripresa è già avviata». BOLZANO. Il mercato immobiliare si conferma in lenta ripresa. L'Agenzia del Territorio per il secondo semestre 2010 riporta prezzi stabili ed un aumento delle compravendite. Carlo Perseghin, presidente regionale Fiaip (agenti immobiliari), conferma: «È un ottimo momento per comprare. Possibile che nel 2012 i prezzi possano cominciare a risalire».
Ma si tratta di una prospettiva realistica o di un facile modo per indurre gli indecisi a darsi una mossa? «Direi che la prospettiva più che realistica è reale». Perché reale? «Per due motivi. Prima di tutto perché l'inflazione sta ripartendo e poi perché tra qualche mese avremo molta offerta di alloggi e poca domanda. Ed ogni volta che questi fattori si uniscono i prezzi salgono».
Perseghin spiega che le quotazioni del secondo semestre 2010 pubblicate sul sito dell'Agenzia del Territorio fotografano esattamente quanto anticipato in questi mesi. «Registriamo un aumento del numero di contrattazioni soprattutto degli immobili usati con prezzi che nel 2010 si sono stabilizzati sulle stime del 2009 e che continuano a tutt'oggi a rimanere bloccati».
Ricordiamo che il peggio è passato. Sempre secondo la Fiaip - infatti - nel 2008 in Alto Adige le compravendite erano scese del 25% rispetto all'anno precedente ed il 2009 aveva confermato il trend con i prezzi dell'usato in discesa dal 10 al 15%. «Abbiamo avuto il coraggio di parlare quando le cose andavano male ma adesso possiamo confermare con un evidente sollievo l'inversione di tendenza».
I prezzi degli alloggi in città - sempre secondo le quotazioni dell'Agenzia del Territorio - vanno a seconda delle zone da un minimo di 2.050 euro al metro di un alloggio tra Oltrisarco e Aslago o nella zona di via Resia e delle ex semirurali ad un massimo di 6.800/6.900 euro per un appartamento in una delle zone migliori di Gries o del Centro. Nel dettaglio i prezzi del Centro variano da un minimo di 2.500 euro al metro ad un massimo di 5.300, Sant'Osvaldo (dai 3.300 ai 6.800), Santa Maddalena (dai 2.900 ai 6.300), Gries (da 3.400 a 6.900), Viale Europa (dai 2.600 ai 3.900), Oltrisarco (dai 2.050 ai 3.600), Via Resia ed ex semirurali (dai 2.050 ai 3.300) e Piani-Rencio (dai 2.200 ai 3.700 euro).
«Il trilocale è sempre più richiesto dalle famiglie che però non si accontentano dei 65 metri ma ne vogliono dieci di più. Chiedono cucina abitabile ed un soggiorno nel quale poter stare seduti sul divano almeno in cinque». Il prezzo in questo caso viaggia per l'usato dai 230/240 mila ai 390 mila e per il nuovo dai 310 mila ad un massimo di 470/500 mila. Il bilocale (stanza e cucina) è sempre molto gettonato sia dai single che dalle giovani coppie perché abbordabile con quotazioni stabili da un minimo di 170 mila euro ad un massimo di 288/290 mila a seconda delle zone e delle condizioni.

Bozen. Monumenti in Alto Adige, Durnwalder: "L'accordo vale anche con Galan". BOLZANO. Il governatore altoatesino Luis Durnwalder si dice convinto che l'accordo sul 'depotenziamento' dei monumenti fascisti in Alto Adige, firmato dal ministro Sandro Bondi alla vigilia del voto di sfiducia non sarà messo in discussione dal suo successore Giancarlo Galan, come invece chiede Fli.
''Faccio i miei sentiti auguri all'ex collega Galan per la sua nomina'', ha detto Durnwalder. In passato il presidente della Provincia di Bolzano e l'allora governatore veneto hanno avuto numerosi scambi di battute sull'autonomia speciale.
Galan definì Durnwalder una volta, non senza ironia, 'amico-nemico'. In merito alla 'storicizzazione' dei monumenti del Ventennio Durnwalder ha detto oggi che ''gli impegni presi da Bondi restano in vigore perché fatti come ministro e cioè come rappresentante del governo''.
Quindi "la nomina di un nuovo ministro - ha aggiunto - non rimette tutto in discussione''.
Non la pensa così il finiano Alessandro Urzi'. Pochi minuti dopo la nomina di Galan, il consigliere provinciale ha inviato una lettera al neo ministro alla cultura, affermando che ''la lettera del suo predecessore costituisce una ferita aperta che deve essere sanata e lo potrà essere grazie ad un suo intervento immediato che ritiri ufficialmente le concessioni unilaterali del ministero verso la Provincia e garantisca la rappresentanza ideale da parte del Suo ministero verso un patrimonio che non puo' essere oggetto di svendita''.

Bozen. Emergenza Libia, Durnwalder: «Possiamo ospitare 50 profughi». BOLZANO. Emergenza Libia, il presidente altoatesino Durnwalder mette subito le mani avanti: «In Alto Adige abbiamo poche strutture per ospitare profughi, al massimo possiamo accoglierne una cinquantina».
«La protezione civile provinciale, ha precisato, potrebbe comunque mettere a disposizione «tende e container per circa due o trecento persone».
Durante la guerra nell'ex Jugoslavia l'Alto Adige aveva accolto circa trecento profughi in ex caserme a Malles, Vipiteno e Monguelfo, che, ha fatto presente il presidente Durnwalder, «nel frattempo sono state in gran parte abbattute». Il presidente della Provincia di Bolzano ha sottolineato infine di non aver ancora ricevuto nessuna comunicazione ufficiale da parte di Roma.
«Tempo fa - ha detto - ci è stata chiesta la nostra disponibilità. Certamente faremo la nostra parte, nei limiti del possibile».

Bozen. La Giornata dell'acqua, i bolzanini scoprono che la loro è eccellente. Molti visitatori ospitati dai tecnici che hanno dimostrato che quella del rubinetto è sana e ricca. BOLZANO. L'acqua del sindaco è buona e fa bene. E in Alto Adige molto di più che in ogni altra zona d'Italia. Qui l'H2O è ottima. E non potranno dire lo stesso la signora Moratti o il signor Alemanno. Potranno vantare più superficie, più negozi e ben due squadre di calcio in serie A, ma in quanto ad acqua non c'è storia: Bolzano 1 altre città 0. Non è ovviamente una novità che tra montagne e aria pulita, l'acqua altoatesina non può che essere eccezionale. E ieri, per dare conferma di queste tesi, il Laboratorio analisi acqua di Bolzano, in occasione della giornata mondiale dell'acqua, ha aperto le sue porte a tutti visitatori. L'acqua locale risulta sana e ricca di minerali e come spiega la dottoressa Antonella Veneri, è anche meglio di quella che viene acquistata nei supermercati "Non vale la pena comprare l'acqua imbottigliata" spiega. "Nel nostro laboratorio analizziamo ogni tipo di acqua della regione, comprese quella in bottiglia. Oggi abbiamo mostrato ai nostri visitatori come queste analisi vengono portate a termine nei nostri laboratori e quanto sia ottima l'acqua che esce dai nostri rubinetti."
Quindi non serve acquistarla al supermercato. E per un'ulteriore conferma ogni visitatore ha avuto un'opportunità unica: poter portare una bottiglia da almeno mezzo litro per far si che l'acqua di casa propria potesse essere analizzata. Giuseppe Saluzzi ha approfittato dell'opportunità, portando con sé e consegnando l'acqua prelevata direttamente dal suo rubinetto in via Mendola. "E' un'occasione importante per comprendere esattamente cosa beviamo" spiega " siamo stati convinti che le bottiglie che acquistiamo siano il meglio che si possa trovare. Ma non è così: come possiamo sapere da dove arriva quell'acqua e com'è esattamente composta? Una possibilità come quella che offre il laboratorio forse può portare a cambiare idea e convincere i cittadini che ciò che esce dal nostro rubinetto è ottimo."
La dottoressa Luciana Luisi ha inoltre spiegato come una sola volta nell'acqua altoatesina siano state trovate sostanze non ottimali: si parla del famoso caso dell'arsenico ritrovato a Prato allo Stelvio. E Sabrina Horak ha portato dalla Val Venosta la sua acqua e aggiunge: "So bene che ora pare non esserci più rischio per quanto riguarda la presenza di arsenico nella nostra acqua, ma controllare non fa di certo male. E' un'occasione unica che ho voluto sfruttare."

Ivrea. 'Mille euro per ogni alunno'. Ronco, bonus del Comune a chi iscrive i figli alla primaria. IVREA. Mentre da una parte i Comuni ricorrono all'associazionismo per razionalizzare i servizi e fare, in questo modo, fronte alle difficoltà economiche in cui tutti i piccoli centri si dibattono, dall'altra c'è chi cerca di mantenere, attraverso i giovanissimi, la propria indentità.

"Venite a scuola a Ronco" è l'invito del Comune del piccolo centro della Val Soana che ha previsto addirittura un bonus. Mille euro all'anno alle famiglie che iscriveranno il loro bambino alla primaria. In questo paese montano che non vuole saperne di chiudere i battenti della scuola, l'amministrazione comunale è decisa ad investire del suo per mantenere un servizio fondamentale.

Lo farà anche se gli alunni saranno meno dei sei che la frequentano quest'anno e gli altri due Comuni della valle seguono il suo esempio. A partire dall'anno scolastico 2012-2013, le famiglie con bambini in età scolare,residenti nel Comune di Ronco, potranno usufruire di un contributo annuo di mille euro per il primo figlio iscritto alla scuola elementare del paese, di cinquecento per il secondo e di altri cinquecento per ognuno di quelli che li seguiranno.

La delibera approvata la settimana scorsa dalla giunta guidata da Danilo Crosasso è già esecutiva ed ora stanno per fare altrettanto i Comuni di Valprato e di Ingria, anche loro decisi ad investire nella scuola.

Milano. «Le Ferrari? Un prestito di un amico»
Il sindaco di Buccinasco Loris Cereda, arrestato per corruzione, si difende davanti al gip. MILANO - Le due Ferrari le ha ricevute in prestito come gesto di cortesia da un amico. Così, a quanto si è saputo, si sarebbe difeso, davanti al gip di Milano Gaetano Brusa, il sindaco di Buccinasco (Milano) Loris Cereda, arrestato martedì per presunti episodi di corruzione e falso in atto pubblico, assieme a un assessore, un consigliere comunale e altre tre persone. Interrogato dal giudice, il primo cittadino ha risposto alle domande difendendosi dalle accuse. Cereda ha cercato di spiegare l'origine di quei 5 mila euro ricevuti, secondo l'accusa, dall'amministratore di una società edile per far approvare una convenzione tra il Comune e la Sodibelco Srl per la concessione «d'uso di un'area verde» da destinare a parcheggio di un centro commerciale.

CORTESIE TRA AMICI - Inoltre, il sindaco ha chiarito che quelle due Ferrari che, stando alle accuse, gli sarebbero state date dal commercialista Ettore Colella (arrestato) in cambio della garanzia di un contratto «per i servizi di igiene urbana», erano una «cortesia» tra amici. E ciò non avrebbe influito sulla sua attività amministrativa. Inoltre, oggi sono stati interrogati anche l'assessore ai Lavori pubblici Marco Cattaneo, accusato di falso in atto pubblico per una nomina irregolare e che avrebbe risposto solo a poche domande, e Cesare Lanati della Sodibelco Srl, difeso dall'avvocato Piero Magri. Lanati ha chiarito di essere l'imprenditore proprietario dell'area su cui doveva sorgere il centro commerciale, di aver stipulato un contratto di locazione con la Auchan e di aver corrisposto il 5% del valore del contratto a un intermediario, Umberto Pastori (arrestato), come si fa di solito.

GLI ALTRI ARRESTATI - Venerdì prossimo, invece, verranno interrogati dal gip gli altri arrestati: l'intermediario Umberto Pastori, il consigliere comunale Antonio Trimboli, che avrebbe falsificato assieme a Cattaneo e Cereda, atti comunali per nominare un architetto di fiducia come progettista del Piano di Governo del Territorio, e il commercialista Ettore Colella. Stando all'ordinanza firmata dal gip Brusa, Colella avrebbe tenuto il sindaco in una sorta di «libro paga aperto». Nell'ordinanza si legge, inoltre, che Colella «ha effettuato operazioni di prelievo di denaro contante per un ammontare allo stato complessivamente quantificato in circa 400 mila euro». Denaro di cui «non si conosce destinazione e/o utilizzo». Non è da escludere, prosegue il gip, «che tra i soggetti beneficiari di parte delle somme nella disponibilità di Colella vi sia lo stesso Cereda». E a tal proposito «si segnala che nel corso delle indagini (...) è emerso che» il sindaco «ha sicuramente delle disponibilità economiche in territorio elvetico delle quali non si conosce allo stato la provenienza». (fonte: Ansa)

Venezia. «Roma riconosca la lingua veneta»
Il consiglio ribalta il no dei commissari. Il consigliere di Unione Est Foggiato: «La lingua veneta è un pilastro della nostra identità»
VENEZIA — Un pungolo a Roma, affinché riconosca al veneto i crismi della «lingua», emancipandolo dal rango del «dialetto». Ce l’ha fatta il consigliere di Unione Nord Est Mariangelo Foggiato, avanguardia degli autonomisti a Palazzo Ferro Fini: l’assemblea ha infatti detto sì, martedì, alla sua proposta di legge «statale», da trasmettere al parlamento, per modificare la normativa nazionale (la legge 482 del 1999) che tutela le minoranze linguistiche storiche presenti nel territorio italiano. Verdetto a sorpresa, visto che il voto dell’aula ha ribaltato quello della commissione Cultura, che aveva deciso di proporre il «non passaggio agli articoli» di questa legge, che tradotto dal burocratese significa rispedirla nuovamente in commissione con la speranza che finisca nell’oblio di qualche cassetto polveroso.

L’obiettivo della proposta è far sì che il parlamento stabilisca che il veneto venga considerato (e tutelato) ufficialmente in quanto lingua minoritaria storica usata nel territorio italiano accanto a albanese, catalano, tedesco, greco, sloveno e croato, francese, franco-provenzale, friulano, ladino, occitano e sardo. La decisione di approvare il testo è stata presa con i voti favorevoli, oltre che di Foggiato, della Lega Nord, di Diego Bottacin, Giuseppe Bortolussi, Pietrangelo Pettenò di Federazione Sinistra Veneta e Udc il cui capogruppo, Stefano Valdegamberi, con un breve discorso pronunciato in cimbro, ha perorato la causa delle minoranze germanofone delle province di Verona, Vicenza e Belluno.

Sulla questione è intervenuto lo stesso consigliere Foggiato: «Profonda soddisfazione per l’approvazione di questa proposta e adesso ci aspettiamo che i parlamentari veneti facciano la loro parte a Roma modificando la legge in questione. - ha dichiarato - La lingua veneta è un pilastro della nostra identità e la sua valorizzazione è una tappa importante nel processo di riappropriazione della nostra sovranità politica e culturale». «La mia proposta - ha precisato - prevede di aggiungere il Veneto a questo elenco, partendo dal fatto che la nostra Regione si è già dotata di una propria legge per la ’Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto, che la lingua veneta è riconosciuta da importanti documenti linguistici, che lo stesso Consiglio d’Europa ha più volte sottolineato l’importanza delle lingue regionali o minoritarie, che la lingua veneta ha una nobiltà letteraria straordinaria, che la stessa Istat riconosce come sia la lingua correntemente parlata dalla maggioranza dei veneti». (Ansa)

Treviso. Fotovoltaico record nella discarica. Il sindaco di Paese ha presentato il progetto di un impianto fotovoltaico, il più grande del Veneto, che sarà realizzato in una discaricadismessa. Un investimento da 8 milioni. Una discarica estesa su 33 mila metri quadrati, in disuso da 12 anni ma ancora in grado di produrre forti quantità di percolato e di costare al comune di Paese oltre 100 mila euro l'anno in spese di smaltimento, sarà messa in sicurezza grazie ad un investimento di quasi 8 milioni di euro ammortizzabile con l'installazione di superfici fotovoltaiche.
Il progetto, per un modello non nuovo in assoluto ma che riguarda il sito più grande di tutto il Veneto, è stato presentato oggi dal sindaco, Francesco Pietrobon, e dal presidente del Consorzio intercomunale per la gestione dei rifiuti "Priula", Giuliano Pavanetto.
Per l'impermeabilizzazione superiore e la copertura della discarica di elementi di silicio amorfo sarà utilizzato un fondo di rotazione della Regione Veneto per 7,4 milioni da ripianare in 15 anni, oltre ad un finanziamento a fondo perduto per 338 mila euro.
I proventi della vendita dell'energia elettrica prodotta dall'impianto, circa un milione di kWh l'anno, assieme ai contributi statali, secondo il business plan dovrebbero permettere l'esecuzione dell'intervento senza oneri a carico del Comune e, nella peggiore delle ipotesi, pari a pochi euro l'anno per le famiglie utenti del Consorzio.

La discarica, appartenente ad una società ora fallita, a causa delle infiltrazioni del percolato nella falda superficiale, alcuni anni fa aveva provocato l'interruzione temporanea di emungimenti d'acqua ad uso civile in un comune limitrofo.
L'impiego della superficie per la produzione di energia elettrica, dunque, come è stato sottolineato, permette oggi un intervento di risoluzione del problema senza sforzi finanziari da parte della pubblica amministrazione.

Parma. Parmalat: varato dl antiscalate, si lavora alla cordata italiana
Intanto SocGen sale al 5,081% del capitale. A Piazza Affari il titolo guadagna l'1,05%
Roma, 23 mar (Il Velino) - È arrivata la prima trincea a difesa di Parmalat. Come preannunciato dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti nei giorni scorsi, il Consiglio dei ministri ha varato un decreto per tentare di arginare la scalata dei francesi di Lactalis al gruppo di Collecchio. Il dl, che si ispira a un analogo provvedimento transalpino, concede al Consiglio d’amministrazione di convocare l’assemblea per l’approvazione del bilancio e per il rinnovo dei vertici entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio 2010, non più entro 120 giorni. Provvedimento che si applica anche per le assemblee già convocate. Come è il caso Parmalat che dunque potrà spostare da metà aprile a fine giugno la data della riunione. E chissà che nel frattempo non spunti una cordata italiana su cui, ha ammesso il ministro dello Sviluppo economico durante il question time, “stiamo lavorando”. In questi giorni ci sono stati “incontri per stimolare una cordata con protagonisti della finanza italiana” in modo da creare un “polo alimentare nazionale in grado di competere sul mercato mondiale” ha detto Paolo Romani che ha definito Parmalat “un’azienda strategica per la filiera agroalimentare nazionale e una delle poche grandi multinazionali del Paese”. E non ha fatto mistero, il responsabile del Mse, che da qui a fine giugno l’esecutivo studierà “altri provvedimenti normativi” per difendere l’azienda risanata da Enrico Bondi. Un plauso all’azione del governo è arrivata dalla Confcommercio di Carlo Sangalli secondo cui “è tempo di definire il perimetro dei settori strategici per l’Italia e di tutelarli con determinazione nei confronti di chi applica regole asimmetriche rispetto alle nostre e che rendono la contendibilità davvero troppo a senso unico”. Chiude la porta invece Unicredit dopo che ieri il vicepresidente Fabrizio Palenzona aveva auspicato un’aggregazione fra Ferrero e il gruppo di Collecchio magari appoggiando l’operazione. “La situazione è semplice, non siamo coinvolti in nessun piano strategico per Parmalat - ha detto l’amministratore delegato Federico Ghizzoni -. Abbiamo una piccola partecipazione originata dal debito, ma non siamo coinvolti in nessuna discussione”.
Intanto dagli aggiornamenti della Consob si apprende che Societe Generale dal 18 marzo è salita al 5,081 per cento del capitale di Parmalat, quota che fa parte del contratto di equity swap stipulato con Lactalis secondo cui la banca francese può salire fino al 7 per cento del gruppo italiano. E a Piazza Affari il dl anti Opa sospinge il titolo che ha chiuso le contrattazioni in territorio positivo (+1,05 per cento) a quota 2,316 euro per azione.
(mpi) 23 mar 2011 18:27

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