Tremontiade:
San Marino. Frontalieri San Marino a Napolitano: “Disagio doppia imposizione”
San Marino. Evasione fiscale è record in Italia 50 miliardi. San Marino responsabile del 2%
San Marino, inferno sul Titano. Crisi e guerra fiscale con l'Italia terremotano la repubblica
Milano. Evasione fiscale, pene leggere per i 70 promotori Mediolanum
Bologna. Evade fisco per 860mila euro
Tremonti convertito dal Cav sul fisco
Tremonti, ora basta opprimere le imprese con tasse e burocrazia
Semaforo verde del Senato al decreto omnibus. Il provvedimento torna alla Camera
Slogan elettorali:
Bozen. Rapporto economia: in Alto Adige aumenta il rischio di povertà
“La cricca spolpa Trieste. E noi assistiamo”
Venezia. I 9 tunisini arrivati fanno già tremare gli operatori turistici
San Marino. Frontalieri San Marino a Napolitano: “Disagio doppia imposizione”
20/04/11 17:25
[italian network] “Signor Presidente Napolitano, ci rivolgiamo a Lei con questa cartolina in qualità di lavoratori frontalieri italiani occupati nella Repubblica di San Marino per segnalare il nostro stato di disagio e di precarietà per l’incerto trattamento fiscale dovuto alla doppia imposizione”. È il testo della cartolina inviata dai frontalieri italiani a San Marino al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
“Questa situazione è aggravata dalla decisione del Governo sammarinese di introdurre un nuovo prelievo fiscale nelle buste paga dei lavoratori sulla base della provenienza anagrafica. Chiediamo il Suo intervento per segnalare al Parlamento la necessità e l’urgenza di regolare attraverso una legge ordinaria o una convenzione tra i due Stati anche la materia fiscale, come avviene per altri Paesi interessati dal fenomeno del frontalierato”.
“Riteniamo, infine, urgente la ripresa del dialogo tra i due Stati affinchè l’attuale stallo diplomatico non abbia ricadute sui lavoratori, sulle imprese, l’occupazione e l’economia delle Regioni limitrofe”.
(20/04/2011 – ITL/ITNET)
San Marino. Evasione fiscale è record in Italia 50 miliardi. San Marino responsabile del 2%
Scritto da La Redazione - giovedì, 21 aprile 2011
Nel 2010 la Guardia di Finanza ha scoperto redditi non dichiarati al fisco per 49,245 miliardi di euro, una somma cresciuta del 46% rispetto al 2009.
E’ uno dei dati contenuti nel rapporto 2010 delle Fiamme Gialle, illustrato dal comandante generale, Nino Di Paolo, ai membri della VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati durante l’audizione del 26 gennaio.
Gli evasori totali, ossia soggetti che pur svolgendo attivita’ economiche non avevano mai presentato le dichiarazioni dei redditi, scoperti dalla Guardia di Finanza sono stati 8.850 (+18% rispetto al 2009), per un totale di 20,263 miliardi di euro (+ 47% rispetto al 2009) occultati al fisco. Sono stati invece 10,533 i miliardi di euro individuati dai casi di evasione fiscale internazionale (a fronte dei 5,8 miliardi del 2009), posti in essere mediante esterovestizioni della residenza di persone fisiche e societa’, triangolazioni con Paesi off-shore e omesse dichiarazioni di capitali detenuti all’estero.
I casi di evasione fiscale internazionale scoperti sono risultati principalmente concentrati in Lussemburgo per il 26%, in Svizzera per il 25%, nel Regno Unito 7%, a Panama per il 6%, a San Marino e nel Liechtenstein per il 2% ciascuno, mentre la restante quota e’ distribuita fra gran parte degli altri 54 paradisi fiscali della black list italiana.
Nel periodo 2008-2010 la percentuale di recepimento dei rilievi della Guardia di Finanza in sede di accertamento si attesta ad oltre il 93% con importi che ammontano, complessivamente, a circa 26 miliardi di imposta accertata fra imposte dirette, Iva, Irap e ritenute.
San Marino, inferno sul Titano. Crisi e guerra fiscale con l'Italia terremotano la repubblica
di Giorgio Ponziano
Primavera calda. San Marino si ritrova in sciopero e davanti alle fabbriche, Fli (federazione lavoratori dell'industria) e Csu (centrale sindacale unitaria), cioè la Cgil-Cisl-Uil del piccolo Stato, inalberano striscioni con lo slogan: «Noi amiamo San Marino». Dopo gli anni d'oro da paradiso fiscale, San Marino è sul baratro di una crisi senza precedenti, perfino le casse delle banche languono dopo che con lo scudo fiscale sono tornati in Italia 5 miliardi di euro e la paura per le mosse anti-Titano del ministro Giulio Tremonti ha fatto il resto.
Occorre una riconversione profonda dell'economia ma i partiti sono divisi e si tergiversa. Alle richieste di incontro dei governanti Tremonti ha finora risposto picche e questa guerra non dichiarata da parte dell'Italia (stanca dei privilegi fiscali della mini-repubblica) incomincia a fare vittime: aziende che chiudono, banche in sofferenza, frontalieri (in 6 mila dalla Romagna vanno a lavorare a San Marino) sul piede di guerra. Due dati chiariscono il passaggio dal paradiso all'inferno del Titano. Primo: dalla tradizionale piena occupazione a 150 licenziamenti nel 2011 in 66 aziende. Secondo: la finanza pubblica per la prima volta dal dopoguerra registrerà un passivo a fine anno di 300 milioni di euro. Hanno incrociato le braccia anche i lavoratori di un'azienda storica, la Robopac, leader nella produzione di macchine per imballaggio: i soliti striscioni «Noi amiamo San Marino» ma anche una lettera ai Capitati Reggenti, massima autorità dello Stato: «Uno dei fattori di maggiore preoccupazione di tutto il mondo del lavoro è la crisi nei rapporti con l'Italia. Tra gli effetti dalla mancata firma degli accordi vi è la tassa sui frontalieri, che oltre a determinare una forte penalizzazione economica per i lavoratori non residenti, crea una ingiustificata sperequazione tra colleghi che svolgono le stesse mansioni lavorative».Sì perché uno dei primi provvedimenti d'emergenza è stata una tassa (200 euro l'anno) a carico di chi ogni giorno supera la frontiera per andare a lavorare a San Marino, che quindi si trova a pagare le tasse in Italia, a San Marino e ora anche un'addizionale. Una legge leghista e razzista la definisce il comitato dei frontalieri, che ha scritto anche al presidente Giorgio Napolitano: «Signor presidente, ci rivolgiamo a Lei per segnalare il nostro stato di disagio e di precarietà_. situazione aggravata dalla decisione del governo sammarinese di introdurre un nuovo prelievo fiscale nelle buste paga dei lavoratori sulla base della provenienza anagrafica». A San Marino, stretta nella morsa della crisi, si levano varie voci. C'è chi è realista: «È quasi certo che questa fetta di mercato finanziario che se n'è andato con lo scudo fiscale non rientrerà. È il sistema che si deve quindi riassestare puntando sulla capacità di offrire servizi di eccellenza» (Pasquale Valentini, segretario di Stato per le finanze). E chi velatamente minaccia: «Faremo sentire la nostra voce in tutti gli organismi internazionali e multilaterali in cui siamo presenti. Fermo restando che i rapporti con l'Italia rimangono di straordinaria importanza» (Antonella Mularoni, segretario di Stato per gli affari esteri). Ma vi è anche chi propone un collettivo esame di coscienza: «A San Marino ci sono 3.200 società senza dipendenti. Attraverso controlli sistematici sono state chiuse 54 società, non sono fiero di averlo fatto, ma era necessario, tra queste anche una società presente a San Marino da oltre 12 anni che aveva uno giro di esportazione verso l'Italia di 80 milioni senza avere una vera e propria struttura alle spalle. Dobbiamo essere coscienti che prima non era stato fatto nulla, c'era una sorta di 'cartello' che scientificamente operava sul territorio con queste finalità. Quando ho messo le mani in certe cose ho scoperto che c'è chi ha fatto fortuna alle spalle di San Marino portando danno al paese. Mi sono anche occupato delle frodi fiscali perchè portare via l'Iva all'Italia è stato un grande errore» (Marco Arzilli, segretario di Stato dell'Industria). La tensione sui tre colli sembra destinata a salire mentre con un colpo di fantasia una società partecipata dallo Stato sta aprendo la più grande sala europea per il poker Texas Hold'em, a cui ci si può iscrivere anche via web. La crisi ha fatto suonare un altro campanello d'allarme, quello delle infiltrazioni della criminalità organizzata. Roberto Ceccarelli, ucciso qualche settimana fa a Roma davanti al teatro delle Vittorie, era soprannominato «il sammarinese» perché aveva rapporti con la Repubblica, era nota la sua disponibilità di auto di grossa cilindrata targate San Marino, attraverso una società a lui collegata, la «Avi Rent», dagli affari sospetti e con sede qui. Ma c'è dell'altro. Il commissario della legge Rita Vannucci ha reso noto che nel 2011 sono già stati sequestrati 826 mila euro per indagini interne e un milione e mezzo per rogatoria in azioni di contrasto al riciclaggio di denaro proveniente da usura e traffico di droga. Non male per il terzo Paese più piccolo d'Europa (61 chilometri quadrati, 32 mila abitanti) che sta vivendo il periodo più nero della sua storia recente.
Milano. Evasione fiscale, pene leggere per i 70 promotori Mediolanum
La maggior parte ha patteggiato, pagato una sanzione e risarcito l'Agenzia delle Entrate. Uno è stato assolto
MILANO - Si è concluso con 51 patteggiamenti e 8 condanne da un mese ad un anno (convertite in sanzioni pecuniarie) il procedimento, davanti al gup di Milano Fabrizio D'Arcangelo, a carico di una settantina di persone, in gran parte promotori di Banca Mediolanum, accusate di aver messo in piedi un giro di false fatture da circa 10 milioni di euro per evadere le tasse. È stato condannato a 4 mesi, convertiti in una sanzione pecuniaria da 4.500 euro, Oscar Di Montigny, responsabile dello sviluppo di rete di Banca Mediolanum e ad di Mediolanum Corporate University, nonché legato alla famiglia del fondatore di Mediolanum Ennio Doris, che aveva scelto il rito abbreviato come altre 7 persone che sono state condannate. I patteggiamenti sono stati in tutto 50, con pene comprese tra un mese e un massimo di un anno, nella maggior parte dei casi convertite in sanzioni pecuniarie. I riti abbreviati sono stati 14 e hanno portato a un'assoluzione con formula piena, cinque proscioglimenti per effetto dello «scudo fiscale» e otto condanne, anch'esse con pene comprese tra un mese e un massimo di un anno, nella maggior parte dei casi convertite in sanzioni pecuniarie.
IL RISARCIMENTO - Gran parte degli imputati, anche di quei 51 che hanno patteggiato pene inferiori a 6 mesi, hanno risarcito l'Agenzia delle Entrate, pagando anche una sanzione, al fine di quel «ravvedimento operoso» che ha influito poi anche sull'entità delle pene. L'inchiesta, coordinata dal pm di Milano, Roberto Pellicano, era nata da un filone di quella su Banca Italease e dalle dichiarazioni di un commercialista svizzero, Giovanni Guastalla. Secondo l'accusa, sarebbe stato un commercialista, Marco Baroni, la mente del sistema di evasione fiscale che si basava su un giro di fatture false, emesse da una società americana e poi girate su conti di società off-shore in modo da portare poi contanti nelle tasche degli imputati e aggirare il fisco. Nel sistema sarebbero stati coinvolti sia alcuni promotori di Mediolanum che loro clienti.
Bologna. Evade fisco per 860mila euro
Multata impresa di costruzioni
L'azienda 'abbassava' il prezzo di vendita degli immobili per abbattere i ricavi. In alcuni casi lo scarto superava i 70mila euro. La società pagherà adesso 450mila euro tra imposte, sanzioni ed interessi
Bologna, 20 aprile 2011 - Con la compiacenza degli acquirenti ‘aggiustavano’ al ribasso il prezzo di vendita degli immobili per abbattere i ricavi: cosi’ i soci di un’impresa di costruzioni del bolognese erano riusciti a nascondere al Fisco in un solo anno 860mila euro.
Il basso livello di redditivita’ mostrato dalla societa’ - una dichiarazione da 770mila euro a fronte di ricavi per oltre 4 milioni di euro - ha insospettito gli 007 dell’Agenzia delle Entrate di Bologna, che hanno posto sotto osservazione 25 compravendite ‘sospette’.
Le indagini finanziarie svolte sui clienti che avevano acceso un mutuo per l’acquisto della casa hanno evidenziato una differenza sistematica tra il prezzo ufficiale di vendita e quello realmente pattuito, ricavabile dal contratto di mutuo stipulato con la banca. Uno scarto che mediamente si aggirava sui 40mila euro, ma in alcuni casi superava i 70mila euro.
La fondatezza dei rilievi mossi dai funzionari della Direzione Provinciale di Bologna ha convinto la societa’ a definire l’accertamento con il versamento di 450mila euro tra imposte, sanzioni ed interessi.
Tremonti convertito dal Cav sul fisco
di Marco Bertoncini
Silvio Berlusconi avverte, eccome, che in campagna elettorale bisogna saper promettere, con aria di serbar l'impegno, quel che la gente chiede. Alcune affermazioni di Giulio Tremonti di ieri, soprattutto in tema di «oppressione fiscale» (parole che appartengono al linguaggio di Berlusconi fin da prima della sua partecipazione alla politica, ma che non rientrano nell'usuale vocabolario del responsabile dell'Economia), paiono quasi suggerite dal Cav. Si sa che da mesi Berlusconi esercita pressioni su Tremonti perché attui una grande riforma fiscale che semplifichi, chiarisca, ripulisca ecc., ma soprattutto tagli le tasse. Tremonti, rigoroso sul fronte della spesa che non intende far crescere, è però costantemente cauto, per non dir di peggio, in tema di carico tributario. Ecco, quindi, che doppiamente attraggono le sue parole di ieri, dal sapore berlusconiano. Non altrettanto comprensibile, invece, è l'insistenza del presidente del Consiglio contro i magistrati. La riforma della giustizia senz'altro sarebbe gradita; ma una riforma che non dovrebbe né coincidere con prescrizioni (di nuovo) abbreviate, né identificarsi con processi (incoerentemente) allungati. Che il Cav debba rispondere a ogni colpo giudiziario con una parata legislativa, nessuno dubita, ove non sia in malafede; ma che i toni esasperati gli giovino, è altro. Accentuare, poi, l'attenzione su leggine di dubbia popolarità è un espediente che, in luogo di favorire, danneggia. Stupisce che Berlusconi, attento più di ogni altro politico agli umori della gente, pensi di condurre una campagna amministrativa (mutata in politica e cambiata infine in un plebiscito su se stesso) agitando non già temi quali la grande riforma della giustizia o i tagli fiscali, bensì sgradite leggine che, con doverose salvezze personali (risibilmente negate), trascinano effetti che l'elettore medio di centro-destra non tollera.
Tremonti, ora basta opprimere le imprese con tasse e burocrazia
Svolta del Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti? Ieri, parlando in Parlamento, il ministro ha voluto ricordare la situazione in cui si trovano ad operare le imprese italiane, strangolate dal record europeo di pressione fiscale e da una burocrazia soffocante.
Tremonti ha citato alcune cifre, che non lasciano spazio all’immaginazione o all’interpretazione, ricordando che il 68,6% degli utili di impresa vanno in tasse e che per adempiere ale scartoffie burocratiche, le piccole e medie imprese devono sborsare ogni anno 2,7 miliardi di euro. Numeri, aggiunge il ministro, che in realtà non vanno a beneficio delle casse dello stato, che da questa situazione non ci guadagna.
Tremonti ha così voluto chiarire all’aula, che è suo impegno spezzare questa circolo vizioso di controlli soffocanti, attraverso una loro riforma complessiva, che consenta agli imprenditori italiani di respirare, ferme restando le condizioni essenziali di sicurezza del lavoro, che non sarebbero in discussione. Il ministro però ha affermato che non è serio, nè utile che una settimana dopo l’altra un’impresa sia soggetta a continui controlli, da parte di corpi diversi dell’amministrazione statale. Ciò crea perdita di tempo e occasioni di corruzione, aggiunge Giulio Tremonti, che continua, sostenendo che bisogna smetterla con una situazione per cui un giorno arrivano i vigili a farti i controlli e dopo una settimana la Guardia di Finanza, e dopo ancora altri.
Risultato della situazione descritta dal ministro dell’economia è l’impegno del governo a cambiare strategia fiscale e dei controlli, consentendo alle imprese di dedicarvi meno tempo e minori risorse.
Una svolta clamorosa quella di Tremonti, accusato fino a due giorni fà da Confindustria di non avere inserito nulla o poco sulla sburocratizzazione in favore delle imprese, nel noto piano nazionale delle riforme. E’ chiaro che ieri Tremonti ha voluto lanciare un segnale al mondo delle imprese, che negli ultimi tempi ha guardato con non poca diffidenza le misure del ministro del governo Berlusconi, accusato sottovoce di non essere poi tanto dissimile dall’odiato predecessore Visco.
Semaforo verde del Senato al decreto omnibus. Il provvedimento torna alla Camera
Primo via libera del Senato al decreto legge omnibus (leggi l'Abc), che contiene misure per il reintegro del Fus, sugli incroci stampa-tv, sulle frequenze radiotelevisive, sullo stop al programma di realizzazione delle centrali nucleari e sulla partecipazione della Cassa depositi e prestiti in società di rilevante interesse nazionale. Il provvedimento, approvato con 132 voti favorevoli, 98 contrari e 8 astenuti, passa ora all'esame della Camera per la seconda e, secondo il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ultima, lettura.
Nel corso dell'esame a Palazzo Madama il provvedimento è stato modificato in Aula con un emendamento del Governo che sancisce lo stop del Governo al nucleare, sostituendo la moratoria di un anno, già prevista dal decreto legge, con l'abrogazione di tutte le norme previste dalle varie leggi per la realizzazione delle centrali nucleari. Un'altra modifica, approvata sempre in Aula su proposta dei relatori e subemendata dal Pd, prevede che la Cassa Depositi e Prestiti potrà acquisire partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale a patto che queste operazioni vengano effettuate "esclusivamente con riferimento a società caratterizzate da una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e da adeguate prospettive di redditività". (Il Sole 24 Ore Radiocor)
20 aprile 2011
Bozen. Rapporto economia: in Alto Adige aumenta il rischio di povertà
Efficienza del mercato del lavoro, con il raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Ue sul fronte dell'occupazione, sia totale che femminile. Superiore alla media europea risultano anche i dati relativi al Pil pro capite e alla produttività. Ma ci sono dei segnali d'allarme
BOLZANO. Luci con qualche ombre: è questo il bilancio del rapporto sull'economia dell'Alto Adige dell'Astat che evidenzia diversi punti di forza, cosi come alcune minacce, opportunità o debolezze.
In generale viene palesata l'efficienza del mercato del lavoro, con il raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Ue sul fronte dell'occupazione, sia totale che femminile. Superiore alla media europea risultano anche i dati relativi al Pil pro capite e alla produttività.
Tuttavia il fatto che questi indicatori abbiano evidenziato una perdita di competitività nel medio periodo, li classifica come elementi a rischio. La situazione è simile anche nella redistribuzione del reddito, dove l'indicatore sul rischio di povertà risulta in linea con il dato europeo, ma in peggioramento rispetto al passato.
Come opportunità di sviluppo per l'economia altoatesina vengono individuati gli ambiti dell'istruzione giovanile e della ricerca e sviluppo. In entrambi i campi emerge un potenziale di crescita sul quale investire. 20 aprile 2011
“La cricca spolpa Trieste. E noi assistiamo”
Dal porto al Parco del Mare, “Se lasemo portar via tuto”. La provocazione di Paolo Rumiz
E così, quasi per caso, abbiamo avuto la prova definitiva che a Trieste esiste una cricca. Una macchina di potere che è stata capace di affossare l'occasione miliardaria dell'Expo su cui la città avrebbe potuto giocare tutte le sue carte. Una banda pronta a tutto, pur di impedire che altri mangino la torta. Anche a lavorare con lettere anonime e la denigrazione contro chi si oppone a questo monopolio soffocante. Ora è chiaro: non è l'ideologia ma questo potere quasi scientifico di interdizione e questa bulimia di onnipotenza a lacerare il centrodestra alla vigilia delle elezioni. Ricordo a tutti che dell'esistenza di una "cupola" a Trieste hanno parlato prima Claudio Boniciolli, quand'era presidente dell'Autorità portuale, e poi Roberto Dipiazza da sindaco.
È questa macchina ramificata di connivenze, capace anche di trasversalità con il centrosinistra, che vogliamo provocatoriamente chiamare "mafia", che accelera la nostra decadenza nonostante Dio ci abbia messo in una delle condizioni più favorevoli del Mediterraneo per crescere e prosperare. In qualsiasi altro luogo, gente simile sarebbe cacciata con ignominia e costretta a pagare i danni. Qui li abbiamo lasciati crescere, li abbiamo votati, e ora sono dappertutto. Come la gramigna. In porto, in Comune, in Parlamento, in Regione e nelle sue mille aziende partecipate, all'Acegas, nelle Coop, alla Camera di commercio, alla Fondazione Crt e in un'infinità di organi collaterali. Spolpano la cosa pubblica, ingrassano se stessi e bloccano chi non si genuflette.
Ora l'omertà si sta rompendo, ma non per senso civico. Non perché Trieste, la città cara al cuore, ha rialzato la testa. Si rompe, come a Roma, o come in Calabria, per giochi di potere, perché qualcuno tra gli ammessi al banchetto è rimasto deluso dalle elargizioni del Sultano. Gli altri hanno taciuto, per un ventennio, come se il futuro della città non importasse. E noi? Abbiamo vissuto la città in bermuda e infradito, come turisti, come se non fosse nostra ma un luogo di vacanza altrui. Come se non sapessimo che i nostri figli per trovar lavoro debbono andar lontano o strisciare come vermi davanti a questa banda dispensatrice di briciole e detentrice di un potere ereditario. Dovremmo farci un po' di domande, nel tempo che ci separa dal voto.
Dove è finito il nostro senso civico, il nostro senso di appartenenza a questa terra di frontiera che ha partorito capitani di mare e grandi costruttori di motori per le navi di mezzo mondo? Dove sono finiti la memoria e l'esempio dei tanti triestini che hanno lasciato alla collettività il loro personale patrimonio, con mirabile senso civico e del bene comune? Ho paura di rispondere a queste domande, perché misurerei l'abisso che mi separa dal passato. Come abbiamo potuto? Perché abbiamo tollerato che il porto tornasse nelle mani di chi finora ne aveva fatto un luogo di monopoli e favoritismi? Dove è finita la nostra memoria delle bianche navi? Perché non abbiamo saputo esigere un professionista serio, magari anche straniero, al timone dell'azienda più strategica del Nord Adriatico?
Perché non chiediamo alla Camera di commercio contezza sulle sue iniziative, sui contributi che infligge alle categorie del terziario, sui risultati delle sue decine e decine di inutili missioni all'estero? Perché il suo presidente ipotizza un milione di presenze l'anno al "suo" improbabile Parco del mare e accredita però previsioni per un futuro miserabile da 70 mila abitanti per la "nostra" città? Perché nessuno chiede il conto sull'efficienza della gestione dell'Acegas o mette il naso in quell'altro santuario discutibilmente gestito che sono le Cooperative operaie, caposaldo inesplorato dell'immobilismo locale? Perché li abbiamo lasciati fare?
Il nostro disinteresse trova un riscontro perfetto anche nel volto fisico di Trieste. Le sta scolpito addosso. Perché non reagiamo davanti all'espianto delle venerabili pietre in "masegno" e la loro sostituzione con parallelepipedi color topo dove gli escrementi si spalmano così bene da creare un diffuso effetto pisciatoio? Perché abbiamo tollerato l'imbroglio del piano Urban che ha creato un quartiere nuovo e morto tra Cavana e San Giusto, un labirinto di fantasmi dove l'anima, come le vecchie pietre (rubate sotto il naso di tutti), è volata via da tempo? «I ne porta via tuto» sento lamentare. Sbagliato: la frase giusta è «Se lasemo portar via tuto».
Se così non fosse non avremmo accettato senza rivoltarci che la memoria marinara di Trieste fosse insultata con la trasformazione della pescheria, uno dei più begli edifici del Mediterraneo, in uno spazio vuoto di eventi e di idee, quando potrebbe essere il luogo dell'identità, lo spazio dove mostrare ai "foresti" ciò che siamo stati nei giorni grandi. Ed ecco altre domande. Perché consentiamo che il sentierone pedonale delle notti triestine diventi luogo di sballo, urla, pessima musica apolide a volumi insopportabili, mentre ai nostri musicanti di strada, dalle emissioni infinitamente inferiori in termini di decibel, sono costretti alla fame e umiliati nella triestinità di cui sono portatori?
Perché non reagiamo quando a pochi passi dalla questura e dalla centrale dei vigili urbani, fuori da locali discutibili, il ghetto che fu degli ebrei, doloroso luogo della memoria, nelle ore notturne diventa spazio di canti sguaiati, ubriacature, piscio e vetri rotti, senza che nessuno venga a imporre il decoro? A cosa serve tutto quello show di manganelli e pistole, se non sappiamo nemmeno imporre la decenza? Perché consentiamo che Trieste, la città che è porto e il cui destino è tutt'uno col mare, si ritrovi snobbata da una regione di un milione di abitanti, dopo essere stata centro strategico e spazio internazionale di investimenti per un impero di cinquanta milioni di anime?
Perché non ci solleviamo contro un palazzo che taglia i fondi alla logistica portuale, pur ricevendo annualmente trecento milioni di euro in termini di tasse? E perché siamo stati a guardare il declassamento voluto, anzi pervicacemente propiziato, del ruolo culturale della città-simbolo del ponte fra Centro Europa e Mediterraneo? Perché abbiamo taciuto di fronte alla fuga di Trieste dagli eventi che contano, e la sua sostituzione con Udine, Pordenone, Cividale, Gorizia e persino Monfalcone? Perché i gloriosi teatri locali sono sempre nelle stesse mani, senza ombra di rinnovamento? Stiamo uscendo dalla carta geografica, perché così piace alla cricca. Settantamila abitanti, è questo il nostro destino.
La mappa dell'Adriatico parla già chiaro. Non abbiamo più traghetti. È rimasto solo Durazzo, Albania. Niente per Patrasso, Pola, Venezia e Spalato. Il mare non è più nostro. È diventato "cosa loro". Par di sentire il rumore dei catenacci che lo sprangano. Povera mia città dell'anima, luogo di tante partenze e di tanti ritorni. Non credo ti meriti tutto questo.
Venezia. I 9 tunisini arrivati fanno già tremare gli operatori turistici
di Gian Piero del Gallo
BIBIONE. I tunisini sono arrivati, in nove ma sono arrivati, nonostante tutte le smentite ed i distinguo. Ma voci di corridoio parlano di arrivi ben più consistenti. E con la stagione all'uscio, più di qualche operatore turistico già trema. «L'accoglienza ai migranti che stanno scappando da paesi in guerra è doverosa e non ammette reticenze, si tratta però di riflettere ed agire in modo ponderato - dice don Vena - anche la carità chiede di esser fatta con intelligenza. Il Centro Italiano Femminile è una realtà inserita all'interno di un territorio quindi non è pensabile prescindere da una riflessione collettiva insieme a tutte le realtà istituzionali presenti». Quindi la solidarietà è doverosa ma va fatta con saggezza e di questi principi ne aveva parlato prima e scritto poi, il parroco don Andrea Vena che conferma la sua posizione. «L'azzardo - precisa - è stato fatto a monte, quello cioè di aver dato la disponibilità di una struttura come quella di Bibione, senza aver interpellato nessuno. Comunque, precisa il parroco, io andrò a salutare gli ospiti anche se non è facile trovarli in quanto hanno un permesso provvisorio che consente loro di muoversi, di uscire o addirittura di non rientrare nella struttura. Mi risulta che qualcuno di loro voglia già lasciare Bibione per la Francia». Nettamente contrario a questa situazione il candidato sindaco del Pdl Mauro Del Sal che non lesina critiche e preoccupazioni: «Tale presenza è inopportuna proprio perché i comandi di carabinieri, Guardia di Finanza e polizia locale, non sono ancora potenziati, e non ci possono essere garanzie al controllo dei profughi ospitati, liberi di fare quello che ritengono più gradito. Non posso condividere quindi le affermazioni fatte da Sergio Bornancin, secondo il quale "la colonia è adatta ad accogliere profughi senza causare disagi a turisti e residenti", né quella di Gianni Carrer che è giunto a paragonare l'ospitalità ai tunisini con quella doverosa alle vittime del terremoto in Friuli». Più comprensivo ma non meno deciso Pasqualino Codognotto candidato sindaco per Idea Comune: «Se il numero rimane limitato non credo possa incidere sulle dinamiche sociali, però se questi sono l'apertura per futuri e più consistenti arrivi c'è sicuramente da preoccuparsi perché ospitalità vuol dire capacità di g estione con dignità ed intelligenza diversamente sarebbe un problema vero».
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