Fincantieri, più di cento esuberi nella sede di Trieste
I sindacati metalmeccanici di Trieste chiederanno un intervento del Prefetto per convocare un tavolo di crisi di fronte al piano di ristrutturazione della Fincantieri
MONFALCONE Oltre 100 "esuberi" tra i colletti bianchi del Palazzo della marineria e della direzione, ma forse anche 220 trasferimenti di progettisti da Trieste alla sede di Monfalcone. Il giorno dopo la presentazione del piano di ristrutturazione da parte della Fincantieri, che prevede la chiusura di tre cantieri (Sestri Ponente, Riva Trigoso e Castellammare di Stabia) e un esubero di 2551 persone, i sindacati fanno la stima sui possibili tagli di posti di lavoro nei singoli siti produttivi. Sul versante tirrenico ci saranno 1400 esuberi, sul fronte dell'Adriatico invece i restanti 1151. E per Trieste che ha la sede della Marineria e la direzione e che occupa circa 720 colletti bianchi (c'è anche il sito dell'Arsenale Triestino San Marco con i bacini di carenaggio, ma nel piano non viene citato) si attendono considerevoli sfrondamenti. Ma c'è anche quella parte del piano (una sintesi che girava tra i sindacati) in cui si dice che «Monfalcone rimarrà focalizzato sulla costruzione di grandi navi da crociera. E ospiterà inoltre gli uffici e diventerà la sede del centro di progettazione mercantile, attualmente dislocato presso il Palazzo della marineria a Trieste, nell'ottica di un contenimento dei costi "morti" e di una maggiore continuità fra progettazione e produzione».
Significa, secondo i sindacati, il trasferimento di almeno 220 persone. Uno spostamento che consola ben poco però il cantiere monfalconese che (si pensa) non sarà affatto risparmiato, nonostante la strategicità confermata dall'azienda, dall'ondata di esuberi. L'azienda non intente fare licenziamenti, si applicheranno gli ammortizzatori sociali, ci saranno esodi incentivati e slittamenti dalla mobilità al prepensionamento. In pratica sarà bloccato il turn over e diminuirà l'organico attuale che vede impiegate 1647 persone. A Monfalcone la popolazione del cantiere è molto giovane, nonostante questo sono circa 100 (calcolo dei sindacati) i lavoratori con i requisiti per un prepensionamento. Potrebbero essere tagliati questi, ma la cosa più grave è che a un calo dei lavoratori diretti corrispondono in genere altri 2 dell'indotto: per la città dei cantieri significa un'emorragia di 300 posti di lavoro con la chiusura di decine e decine di ditte. «Siamo molto preoccupati - commenta il segretario provinciale della Fiom, Stefano Borini - e il nostro timore è che l'ipotesi degli esuberi per Trieste ricalchi i numeri della cassintegrazione, richiesta da Fincantieri, che partirà lunedì. Si tratta di almeno 100 persone della Marineria e per la direzione sono alcune decine di dipendenti.
L'azienda ha annunciato la volontà di chiudere 3 cantieri su 8 e un calcolo di tipo proporzionale ci fa pensare che i riflessi sulla progettazione e sulla direzione non saranno modesti». Ieri la Fiom assieme alla Fim e alla Uilm si sono riunite a Trieste assieme alle Rsu per decidere come applicare il pacchetto di 8 ore di sciopero. Oggi anche alla Marineria si terranno assemblee. «Sui trasferimenti da Trieste a Monfalcone non c'è nulla di ufficiale - continua Borini - abbiamo letto anche noi quelle poche righe sulla sintesi del piano. La progettazione impiega 220 persone e trasferire questo settore vuol dire spostare un centro di produzione che vale centinaia di milioni, una perdita per Trieste». Il piano presentato da Fincantieri ai sindacati metalmeccanici è una mazzata pesantissima, non solo sui lavoratori, ma su un settore che finora sembrava strategico. «Il governo o davvero si impegna per una vera strategia di sviluppo sul mare, che parte dalle stesse vie del mare, il settore navalmeccanico e tutta la filiera - conclude il segretario della Fiom di Trieste - o è evidente che non riusciremo a difendere la cantieristica e le eccellenze che hanno fatto grande quest'area ancora prima che diventasse Italia». Venerdì 3 giugno (il 6 è previsto il secondo incontro sindacati-azienda) il ministro allo sviluppo economico, Paolo Romani, ha convocato un tavolo di crisi a Roma. Erano mesi che il governo stava in silenzio dopo le promesse delle commesse pubbliche. E ora sindacati, politici e istituzioni dicono che «è ormai troppo tardi». «In questo Paese manca una regia dello sviluppo - commenta il segretario provinciale Fiom di Monfalcone Thomas Casotto - e mentre gli altri Stati adottano misure protezionistiche l'Italia non fa nulla. In Germania sono intervenuti per tutelare il cantiere di Meyer Werft e quando c'è stata la crisi lo hanno fatto con tutte le aziende con misure precise e la riduzione dell'orario di lavoro. Nessuno è stato licenziato e ora gli operai sono tornati ai ritmi di un tempo e guadagnano il doppio degli italiani con un costo della vita minore».
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