mercoledì 25 maggio 2011

La manovra di Tremonti: il conto da pagare all'Europa

Roma, 25 mag (Il Velino) - (Renzo Rosati).
Agli addetti ai lavori, così come al palazzo politico, non è affatto sfuggita la sostanziale convergenza di vedute tra Giulio Tremonti ed il procuratore generale della Corte dei Conti, Luigi Mazzillo. Presentando in Senato il Rapporto 2011 sulla finanza pubblica, il capo dei magistrati contabili ha detto che l’Italia dovrà effettuare una manovra da 35-40 miliardi da qui al 2014; mentre negli anni successivi, in presenza dei meccanismi della governance europea, i governi dovranno tagliare di 45 miliardi l’anno.

Il ministro ha replicato: “Il rigore di bilancio con il quale l’Italia ha affrontato questi tre anni di crisi non può essere allentato, ma è nel nostro presente e sarà nel nostro futuro”. Sabato scorso, alla pubblicazione della contestatissima analisi di Standard & Poor’s che rivedeva da stabile a negativo l’outlook sull’Italia a causa della bassa crescita, Tremonti aveva ribattuto su tutti i punti, tranne uno, quello che riguarda il debito pubblico: “Terremo fede ai nostri impegni”.

Che significa tutto ciò? Il ministro si è impegnato con l’Unione europea ad arrivare a un sostanziale pareggio di bilancio (“close to balance”) nel rapporto tra deficit e Pil nel 2014. Occorrono 40 miliardi o giù di lì nel triennio, e si comincerà con una “manutenzione” quest’anno, a fine giugno, che dovrebbe riguardare il rifinanziamento delle missioni militari, la messa all’asta delle frequenze digitali, lo smaltimento di cause civili e contenziosi fiscali, con relativi concordati. Il tutto per 5-7 miliardi. Il grosso, pari a 30-35 miliardi, verrà spalmato nel biennio successivo. Che è anche quello a cavallo delle elezioni. Ma è dal 2015 che, se le cose restano come sono, scatterà il piano di rientro automatico dal debito previsto dall’Europa.

 Il meccanismo prevede che i paesi dell’Eurozona riducano i loro debiti al 60 per cento del Pil. Poiché l’Italia è esposta per 1.800 miliardi pari al 120 per cento del Pil, deve rientrare di 900 miliardi. L’accordo impone tagli al bilancio di un ventesimo l’anno: per l’Italia, 45 miliardi. La cifra non è fissa, perché più scende il debito più si riducono gli interessi che servono per ripagare i titoli pubblici, e che oggi gravano per 80 miliardi l’anno. Un taglio di un terzo sui rendimenti equivarrebbe da solo a coprire quasi la metà della manovra annua. Inoltre si valuterà la buona condotta tenuta dai governi nel triennio precedente. Il resto, però, cadrà sulle spalle di chi vincerà le prossime elezioni.

 Finora Tremonti ha, per così dire, accumulato munizioni, destinando per esempio alla riduzione del debito quanto ottenuto con la guerra all’evasione fiscale. Si tratta finora di un tesoretto da 25 miliardi che fa gola a molti, soprattutto a chi si augura (o si augurava) che servisse a finanziare tagli di tasse. Ma il ministro ha chiarito che, per legge, essi possono solo andare a copertura del debito. Un’altra fonte è quella dell’avanzo primario, cioè del saldo tra entrate e uscite al netto degli interessi. Il governo conta di tornarvi già da quest’anno, e di aumentarlo negli anni prossimi. Infine c’è una terza possibilità: che fra tre-quattro anni i governi europei rinegozino le modalità di riduzione dei loro debiti. L’Italia ha ottenuto che si tenesse in considerazione, come fattori rilevanti, la consistenza della nostra ricchezza privata, soprattutto del patrimonio delle famiglie che tra immobili e risparmi ammontano a 9.500 miliardi lordi, oltre cinque volte il debito pubblico; e inoltre la solidità del sistema bancario, il meno esposto d’Europa verso i paesi a rischio. Ma questo è stato finora accettato in linea di principio; occorrerà vedere come inciderà sui meccanismi di rientro. E quanto inciderà la disciplina di bilancio da qui al 2014.

 Ovviamente si tratterà anche di capire quale governo e quale premier sarà in sella nel 2015. Basandoci sull’esperienza del passato, la sinistra ha centrato le sue manovre su aumenti delle tasse. E’ il modo più rapido di fare cassa. E d’altra parte non è un mistero che nel programma economico del Pd figurino, per esempio, l’aumento dell’imposta sulle rendite finanziarie (dal 12,5 al 20 per cento), la reintroduzione dell’Ici, una revisione delle aliquote Irpef, un riferimento generico alla tassazione dei “grandi patrimoni” con un richiamo alla Francia, dove la “tassa sui ricchi” parte colpisce depositi e immobili oltre gli 800 mila euro, e che peraltro Nicolas Sarkozy vorrebbe abolire. Naturalmente in casi estremi non sarebbero da escludere altre e più pesanti tentazioni patrimonialiste, mai sopite in questi mesi.

 Un nuovo centrodestra non potrebbe che proseguire sulla via di Tremonti (il quale è oltretutto ben accreditato in Europa), magari con un maggiore riguardo per la crescita, e sperando che l’economia riprenda a tirare. Nel primo caso la sinistra potrebbe dare la colpa all’eredità del centrodestra, anche se il debito è una eredità del passato. Nel secondo caso non si potrebbe dire che il governo non ne era al corrente.
(Renzo Rosati) 25 mag 2011 17:10

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