Bari. Allarme geologi. L'Italia deve fare più prevenzione sismica
Marcegaglia, intollerabile stallo Governo
Debito, S&P boccia (a sorpresa) l'Italia
Merkel, se crolla euro crolla Europa
Crisi: Grecia, Roubini, meglio default
Svizzera. Le due anime della Lega Nord
Bari. Allarme geologi. L'Italia deve fare più prevenzione sismica
BARI – «L'Italia deve accelerare nella prevenzione sismica. Dal 1968 ad oggi 4600 morti e 500.000 senza tetto per terremoti». Lo ha sottolineato a Bari Giovanni Calcagnì, tesoriere del Consiglio nazionale dei Geologi, al Congresso dell’Associazione nazionale di ingegneria sismica (Anidis). «Non è nella ricerca sismica – ha aggiunto Calcagnì – che l'Italia soffre, ma nell’applicazione dei risultati raggiunti. E su questo, rispetto ai paesi più virtuosi nella prevenzione sismica, siamo indietro di 15 anni, come evidenziato dall’Ocse, indicando nel mancato adeguamento sismico delle strutture esistenti il punto più dolente per il nostro Paese, dove l'investimento di risorse economiche ed umane resta insufficiente».
Per Calcagnì, le applicazioni geologiche e sismiche finalizzate alla definizione puntuale delle pericolosità di sito è quindi uno dei settori da incentivare al massimo giacchè i ritardi hanno determinato, dal 1968 ad oggi, circa 4600 vittime e 500.000 senza tetto con una spesa pubblica per l’emergenza e la post-emergenza che si calcola in circa 150 miliardi di euro in soli 40 anni. «Di contro, in prevenzione sismica, lo Stato – ha spiegato Calcagni – ha inteso investire 'solo' 300 milioni dall’86 al 2003, e 750 milioni dal 2003 a oggi, soprattutto per adeguare edifici pubblici».
«Nel territorio italiano sono state ricostruite dall’Ingv ben 36 diverse zone sismogenetiche – ha proseguito Calcagnì – nelle quali, statisticamente, si originano circa 2000 terremoti l'anno aventi magnitudo superiore ai 2.5 gradi Richter. Di essi almeno un evento all’anno, sempre statisticamente, è sopra la soglia del danno significativo, compreso quindi tra 5 e 6 gradi ed uno ogni 10-20 anni è gravissimo, tra 6 e 7 gradi Richter. La faccenda dunque è assolutamente seria. Se aggiungiamo l’alta vulnerabilità sismica da cui è caratterizzata una significativa percentuale dell’edificato esistente in Italia, sia pubblico sia residenziale, risulta che ancora oggi ogni evento sismico di una certa intensità determina nuovi lutti e danni enormi, anche quando trattasi di eventi che, per la loro magnitudo, dovrebbero dare effetti molto più ridotti. L’Aquila 2009 ha purtroppo ancora una volta confermato tutto ciò».
Dopo il sisma dell’Aquila, «la legge 77/2009 – ha continuato l'esponente dell’Associazione – ha previsto circa 960 milioni da investire fino al 2016 in valide ed innovative azioni di prevenzione, perchè oltre agli edifici pubblici si investe in microzonazione sismica, nell’adeguamento di edifici privati, nella educazione sismica. Tutto ciò è apprezzabile, ma rappresenta solo l’1% di quanto si stima che occorrerebbe in totale per completare la prevenzione sismica in Italia. E speriamo che la scure delle varie manovre finanziarie non tagli tali già esigui fondi».
Marcegaglia, intollerabile stallo Governo
Per leader industriali lo scenario italiano e' drammatico
19 settembre, 17:54
(ANSA) - MODENA, 19 SET - ''Confindustria non tollera piu' una situazione di stallo, dove non si fanno le riforme necessarie e si aspetta per non andare incontro a crisi di governo o al cambiamento di equilibri politici''. Con queste parole la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha rinnovato l'appello al Governo a fare le riforme, parlando a Modena.
Debito, S&P boccia (a sorpresa) l'Italia
Il rating tagliato di un «notch», l'outlook è negativo: "Governo fragile, limitate capacità di risposta alla crisi"
MILANO - L'agenzia internazionale di rating Standard & Poor's ha annunciato, a sorpresa, la decisione di tagliare di un gradino, un «notch» in gergo, il voto sul debito pubblico italiano: il «rating» indica in sintesi la capacità di ripagare il debito pubblico da parte di un Paese. Standard and Poor's ha declassato il debito sovrano a breve e a lungo termine dell'Italia portandolo a «A» da «A+» e a «A-1» dal precedente «A-1+». Le prospettive future per l'Italia, spiega l'agenzia americana, sono per giunta «negative».
DEBOLI PROSPETTIVE ECONOMICHE - Nella nota dell'agenzia americana, si sottolinea come il taglio del rating sul debito sia dovuto alle «deboli prospettive» di crescita economica, con il Paese governato da una «fragile coalizione»: la situazione politica e la fragilità della coalizione di governo in Italia, si legge, «limita la capacità di risposta dello Stato» nell'affrontare la crisi, così come la debolezza della crescita economica. Sulla manovra, S&P sostiene che le misure allo studio e le riforme prospettate «riusciranno probabilmente a fare ben poco per rilanciare le performance di crescita dell'Italia». «A nostro parere - si legge ancora nella nota, datata 19 settembre e diffusa a New York nel pomeriggio, notte fonda in Italia (ndr) - una crescita economica più debole probabilmente limiterà l'efficacia del programma di consolidamento del bilancio in Italia». S&P ha rivisto le previsioni sul debito pubblico italiano, il cui picco è previsto ora a un livello più elevato rispetto alle precedenti aspettative. L'agenzia di rating sostiene come «le prospettive di crescita economica dell'Italia si stanno indebolendo. E ci aspettiamo - prosegue il rapporto - che la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all'interno del Parlamento continueranno a limitare la capacità del governo di rispondere in maniera decisa alle sfide macroeconomiche interne ed esterne».
DECISIONE INATTESA - La scelta di Standard & Poor's - che all'inizio di agosto aveva per la prima volta declassato gli Stati Uniti, negando la «tripla A» al debito americano - è giunta inattesa nel panorama già molto complicato della finanza internazionale: ci si attendeva, per la verità, un declassamento da parte di Moody's, un'altra, e più piccola, agenzia di rating. Alla fine della scorsa settimana Moody's ha però comunicato che l'esame sul debito e sulle prospettive del Paese avrebbero richiesto un altro mese di lavoro. Invece, è arrivata la nota del gruppo Usa. La decisione è destinata a produrre effetti per nulla leggeri sui mercati del Vecchio continente, già duramente provati dallo spettro del contagio dell'effetto Grecia, considerata da molti pericolosamente vicina al default, ovvero dalla dichiarazione di insolvenza. Lunedì, i rinnovati timori sulla capacità del governo di Atene di rinsaldare le finanze pubbliche avevano mandato a picco le Borse, con Piazza Affari (-3,17%) nello scomodo ruolo di maglia nera d'Europa. Un quadro fosco, in cui il cancelliere tedesco, Angela Merkel, era stata costretta a uscire allo scoperto in difesa della moneta unica e dello stesso progetto di Unione monetaria europea: «Se crolla l'euro, crolla anche l'Europa».
Paolo Ligammari
Merkel, se crolla euro crolla Europa
Cancelliera a Cdu: pesare parole per non innervosire i mercati
19 settembre, 17:54
(ANSA) - ROMA, 19 SET - ''La disgregazione dell'euro portera' alla disgregazione dell'Europa''. Lo ha ribadito la cancelliera Angela Merkel oggi a Berlino. La leader tedesca ha anche consigliato ai membri della sua coalizione di governo di ''pesare molto attentamente le parole per non innervosire i mercati'' dell'eurozona.
Crisi: Grecia, Roubini, meglio default
Ft, ritorno a moneta nazionale per recuperare crescita
19 settembre, 17:56
(ANSA) - ROMA, 19 SET - La Grecia dovrebbe avviare un default pilotato e lasciare l'eurozona, in modo da rompere ''il circolo vizioso di insolvenza, bassa competitivita' e depressione''. Lo scrive l'economista Nouriel Roubini, sottolineando, sulle colonne del Financial Times, che ''il ritorno alla moneta nazionale e una drastica svalutazione permetterebbe di recuperare rapidamente la competitivita' e la crescita, come e' successo in Argentina''.
Svizzera. Le due anime della Lega Nord
di Robi Ronza
L’annuale "rito dell’ampolla", celebrato domenica scorsa a Venezia, è forse il momento in cui più impietosamente emerge il lato oscuro della Lega Nord, la sua pretesa di darsi addirittura una veste sacra andando a ripescare forme rituali pre-cristiane e vagamente celtiche. Umberto Bossi va alle sorgenti del Po e riempire della loro acqua appunto un’ampolla che tre giorni dopo va a versare nella laguna veneta: un pontificale con cui tra l’altro unisce simbolicamente delle acque che di natura loro non s’incontrano. Da Verona, dalla val d’Adige in avanti l’intero Nordest italiano, il cosiddetto Triveneto, non fa parte del bacino del Po; insomma non è Padania. Ormai però la Lega Nord non può più mettere in soffitta il nome "Padania". Il rito dell’ampolla serve perciò anche a rimediare a una svista ormai irrimediabile.
Sia come sia, a questo punto al rito dell’ampolla Umberto Bossi non può più rinunciare. Né tanto meno può limitarsi a fare un discorso di circostanza alla platea di leghisti militanti giunti a Venezia per assistere al rito. Tradizionalmente è anzi quella l’occasione in cui il leader della Lega presenta non solo ai militanti ma anche all’elettorato leghista in genere il programma del partito per la stagione politica che sta iniziando. Cronisti e commentatori politici si soffermano poi ad analizzare attentamente non solo il suo discorso ma anche gli interventi degli altri politici leghisti di primo piano nonché le loro presenze o assenze dal palco in questa o quella fase della manifestazione. Qual è allora il quadro che la Lega Nord ha dato di sé a Venezia? Quello di un partito diviso, il che - occorre subito sottolinearlo -- non è affatto un’eccezione sulla scena politica italiana attuale.
In un momento di seria crisi generale, che peraltro riguarda non solo l’Italia ma l’intera area dell’Eurolandia, tutti i maggiori partiti, sia di governo che di opposizione, sono sempre più divisi al loro interno. Nel caso della Lega Nord la situazione è ulteriormente complicata dallo stato di salute del fondatore e leader carismatico Umberto Bossi che da una parte lo rende per così dire intoccabile ma dall’altra sempre meno gli consente di dominare una dialettica interna, che pur restando finora "subacquea", non cessa di inasprirsi. C’è nella Lega Nord un evidente contrasto tra un’area di governo che fa capo al ministro Roberto Calderoli, e che non ha esitato in questi ultimi mesi ad accettare in nome della stabilità di governo scelte politiche che cozzano frontalmente con i principi di autonomia e con il modello federalista, e un’area, i cui leader naturali sono i sindaci leghisti (Tosi di Verona, Fontana di Varese e molti altri) che si sono apertamente schierati contro i provvedimenti marcatamente centralistici contrabbandati da Tremonti e da Calderoli dentro il "pacchetto" delle misure straordinarie per il contenimento del deficit del bilancio dello Stato. Trincerato nel suo ruolo di ministro degli Interni, Roberto Maroni, mentre evita attentamente di schierarsi con grande abilità e cautela disegna un identikit del possibile premier prossimo venturo che ha i suoi lineamenti. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma è il mare di un crescente vuoto politico che qualcuno dovrà pur a un certo punto riempire al termine di una burrasca della quale nessuno può ora seriamente prevedere il tempo, la dinamica e le dimensioni. I candidati a riempirlo sono più di uno, ma di certo Maroni è tra loro.
Nessun commento:
Posta un commento