L'UNIONE SARDA - Economia: Latte, aziende strozzate dai costi
Ancora caos a Termini, Dr non convince
S&P's, nostre valutazioni apolitiche
Svizzera. Uno tsunami diplomatico tra Israele e Palestina
L'UNIONE SARDA - Economia: Latte, aziende strozzate dai costi
20.09.2011
Con la Regione si cerca una soluzione definitiva. Per le associazioni serve più cooperazione
Gli allevatori: sul prezzo non si può dipendere dagli industriali Il prezzo del latte dovrebbe essere dato dall'incontro tra domanda e offerta. In realtà è fatto dal mercato sardo «distorto» dove incidono i costi esterni. Dopo l'ennesimo incontro con la Regione, senza gli industriali, le maggiori organizzazioni agricole presentano le soluzioni possibili per trovare un accordo che non dipenda dagli industriali.
IL PREZZO A incidere sul prezzo del latte, per la gran parte, sono i costi dei mangimi, che quindi non arrivano dai campi. «In Sardegna non abbiamo pascoli come in Pianura Padana, quindi dobbiamo comprarli, e i costi lievitano», sottolinea Gigi Picciau di Confagricoltura. «Per questo gli allevatori dovrebbero diventare un po' più agricoltori, con un ciclo integrato maggiore», aggiunge Ignazio Cirronis di Copagri. A comporre il prezzo del latte, concorrono poi i costi del personale (sia quello salariato che quello occasionale) e di lavorazione (come la mungitura). Lo scorso anno nell'Isola il prezzo medio di un litro di latte è stato di 70 centesimi, mentre per arrivare al pareggio il minimo dovrebbe essere di 90 cent. Molto più alti i prezzi di Francia (1,1 euro) e Spagna (1,05). CONTRATTAZIONE Il problema è ottenere un prezzo più alto senza la collaborazione degli industriali. Sicuramente la soluzione passa dalla cooperazione. «È indispensabile l'aggregazione ma anche considerare tutti i formaggi e non solo, come succede ora, il pecorino romano che incide solo per il 50% del mercato», precisa Luca Saba di Coldiretti. Per favorire la cooperazione, però, ed evitare la vendita frammentata, «occorre avviare il credito di esercizio agevolato dove la Regione abbatte gli interessi e presta le controgaranzie», spiega Cirronis. «Così l'imprenditore non si troverebbe con l'acqua alla gola e potrebbe aspettare di vendere a un prezzo equo». Importante anche l'aiuto de minimis previsto dalla legge 15 che aiuta l'aggregazione. «Fare squadra non è facile ma è più difficile poi vendere», precisa ancora Picciau. «Serve un manager. La Regione deve imporre o finanziare una figura preparata per la vendita».
PROPOSTA Ma non basta. Per uscire dal vicolo cieco in cui è finita la questione occorre ripartire dai dati del settore. «Non sappiamo quanto latte viene trasformato con certezza (la produzione è di 300 milioni di litri l'anno) né quali sono i costi di produzione precisi», dice Saba. «Abbiamo chiesto alla Regione un osservatorio per monitorare i dati e avere una base di partenza su cui ragionare. Serve anche più concorrenza». Da rivedere, secondo Coldiretti, anche i certificati Dop. «Come è possibile», si chiede ancora Saba, «che dopo anni di sovvenzioni il pecorino romano sia in perdita di 60 milioni di euro all'anno»? La soluzione è quindi il controllo, assieme a una maggiore aggregazione. Annalisa Bernardini
Ancora caos a Termini, Dr non convince
di Rosario Battiato
Il prossimo 27 settembre è previsto un incontro al ministero dello Sviluppo economico sul futuro dello stabilimento. Il progetto dell’impresa molisana non assorbirebbe tutta l’occupazione del polo, gli operai protestano.
TERMINI IMERESE (PA) – Non si placa la protesta dei 2.200 lavoratori di Sicilifiat, in attesa di una nuova sigla che possa comprendere anche il loro futuro.
Dopo la definizione del nuovo quadro di imprese che andrà a sostituire la Fiat - la principale sarà la Dr Motor che ha vinto il derby dell’automotive con la De Tomaso – i dubbi non si sono affatto dileguati. Sicuramente, anche nella migliore delle ipotesi, la nuova cordata che occuperà gli ex stabilimenti del colosso automobilistico torinese non potrà assorbire tutta la manodopera attualmente a lavoro, ed inoltre anche sui progetti dell’industria molisana permangono molti dubbi. In ballo ci sono 350 milioni di euro di contributi regionali.
Intanto fa discutere la scelta di produrre la Lancia Ypsilon a Mirafiori e non, come originariamente previsto a Termini Imerese, dove la Fiat mollerà gli ormeggi a fine 2011. La prossima di tappa di questa estenuante vicenda è prevista per il 27 settembre prossimo al ministero dello Sviluppo economico.
L’onda d’urto degli operai palermitani non trova argine. Ancora nei giorni scorsi i lavoratori dello stabilimento e dell’indotto hanno occupato la stazione ferroviaria della cittadina della provincia di Palermo. Sul fronte occupazionale il punto resta chiarissimo: le tute blu chiedono piena chiarezza sul “respiro” strategico e produttivo del dopo Lingotto, che evidentemente non è stato soddisfatto neanche dalle indicazioni di Di Risio che ha esposto gli obiettivi del suo gruppo in Sicilia. Quello che continua a ballare è il numero di occupati, con l’unica certezza che, allo stato dei fatti, non esiste alcuna garanzia occupazionale per gli oltre 2 mila operai, considerato che le cinque imprese selezionate che subentreranno a Fiat potranno collocarne a regime poco più di 1.500. Che fine faranno gli altri? Proprio su questo grande interrogativo monta la protesta, anche perché continuano ad aggiornarsi le date sull’incontro tra Regione e governo per il futuro dell’area. L’ultima data è stata fissata per martedì prossimo.
“Lo slittamento al 27 settembre dell’incontro al ministero delle Attività produttive sul dopo Fiat a Termini Imerese è un fatto grave, ha spiegato Mariella Maggio, segretaria generale della Cgil Sicilia - che conferma che sull’argomento non ci sono al momento né idee chiare , né nulla di concreto”. Secondo la leader isolana del più importante sindacato nazionale “a fronte dell’esasperazione dei lavoratori il rinvio è del tutto inopportuno e probabilmente non sarebbe arrivato se ci fossero soluzioni concrete e di tutto rispetto”. L’appello è anche per la giunta Lombardo. “Anche il governo regionale - ha concluso Maggio – deve alzare la voce col Governo nazionale affinché per i lavoratori della Fiat e dell’indotto al danno non si aggiungano le beffe degli annunci che non hanno contenuti e seguito”.
Anche la Fiom di Palermo è sul piede di guerra. “Dopo la scelta di assegnare la nuova Lancia Ypsilon alla Polonia per risolvere i problemi di Pomigliano, adesso pare che l’auto venga trasferita a Mirafiori per coprire il buco causato dalla decisione di non produrre più i Suv a Torino. Se così fosse, non si capisce perché la Lancia Ypsilon non venga riassegnata a Termini Imerese, come previsto dai progetti iniziali di Marchionne: chiediamo al governo Berlusconi e al governo Lombardo di cambiare rotta e di fare in modo che il Lingotto non abbandoni la fabbrica siciliana”.
Per oggi è previsto l’incontro tra il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo e i sindacati, che saranno ricevuti a Palazzo d’Orleans. L’incontro servirà anche per discutere del piano Di Risio che non convince affatto i rappresentanti dei lavoratori.
“Dato che la proposta fatta dal gruppo Dr per rilevare la fabbrica Fiat è poco chiara e non in grado di dare garanzie occupazionali a 2.200 lavoratori - afferma il segretario provinciale della Fiom Roberto Mastrosimone - lo Stato e la Regione utilizzino i fondi pubblici, previsti nell’accordo di programma, per andare incontro alle esigenze della Fiat secondo cui lo stabilimento di Termini Imerese è poco conveniente per problemi di natura logistica. S’investano le risorse pubbliche per adeguare le infrastrutture alle necessità di Fiat, così si tutelano 2.200 posti di lavoro, le aziende dell’indotto e si dà un futuro vero alla fabbrica”.
L’improvviso ritorno sulla scena di Fiat illustra una situazione decisamente statica.
Articolo pubblicato il 20 settembre 2011
S&P's, nostre valutazioni apolitiche
Agenzia rating replica a parole Palazzo Chigi
20 settembre, 12:57
(ANSA) - MILANO, 20 SET - ''I rating sovrani di Standard & Poor's sono valutazioni apolitiche e prospettiche del rischio di credito fornite agli investitori''. Cosi' l'agenzia internazionale replica alle dichiarazioni del governo di questa mattina. Secondo quanto affermato oggi da Palazzo Chigi, le valutazioni di Standard and Poor's sul downgrade dell'Italia sono ''dettate piu' dai retroscena dei quotidiani che dalla realta' delle cose e appaiono viziate da considerazioni politiche''.
Svizzera. Uno tsunami diplomatico tra Israele e Palestina
di Roberto Antonini - 09/20/2011
“I palestinesi sono diventati gli ebrei degli ebrei”, ha confessato con amarezza e consumata disillusione Elias Khuri, scrittore libanese, ospite della rassegna letteraria bellinzonese Babel. Già Victor Hugo metteva in guardia: “Negli oppressi di ieri, gli oppressori di domani”.
Il principio, con i diversi distinguo e specificità a cui la storia ci rende attenti, è certamente valido anche nel contesto israelo-palestinese , alla ribalta in questi giorni per il clamore che sta suscitando quello che Ehud Barak ha definito “uno tsunami diplomatico”: l’ex colomba laburista e ora ministro della Difesa di uno dei governi più inflessibili della recente storia del Paese, guidato dai falchi Netanyahu e Lieberman, paventa la catastrofe. L’uomo che a Camp David nel 2000 sembrava pronto alla grande svolta, vede nei passi intrapresi da Mahmoud Abbas i prodromi della catastrofe. La richiesta del riconoscimento dello Stato Palestinese da parte delle Nazioni Unite costituirebbe, secondo lui, la fine del processo di pace. ovverosia, il ritorno alla casella di partenza dell’infinito percorso negoziale.
L’adesione a pieno titolo via Consiglio di sicurezza (comunque esclusa considerato il veto americano) o quella a statuto limitato (simile a quello attributo al Vaticano) di Stato non membro, sembra aver gettato nel panico il governo israeliano e le frange più intolleranti dell’opinione pubblica dello Stato ebraico. Le ragioni sono numerose e facilmente intuibili: spaziano dalle possibilità che avrà la nuova entità di ricorrere alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia contro gli insediamenti illegali in Cisgiordania o Gerusalemme agli effetti che un sì massiccio al nuovo Stato potrà avere sulle relazioni internazionali. Israele potrà contare sul sostegno di Stati Uniti, Germania o Repubblica Ceca, ma gran parte del mondo, dalla Francia alla Russia, dalla Cina alla maggioranza dei Paesi africani fino ovviamente a tutta l’area arabo-islamica è pronto a sancire con il suo voto la nascita del 194esimo Stato. Si tratterebbe in realtà dell’applicazione, con oltre 60 anni di ritardo, delle decisioni dell’Assemblea Generale (la risoluzione 181 che stabiliva l’esistenza di 2 Stati in Palestina) nei territori stabiliti alla fine della guerra dei sei giorni del 1967 con l’ancor più famosa risoluzione 242. L’impasse nel conflitto israelo-palestinese ha potuto, per anni, essere spiegata con il principio della contrapposizione di due legittimità, di due verità, di due motivazioni. Entrambi i contendenti avevano, in altre parole, ragione. Israele aveva diritto a uno Stato, alla pace e alla sicurezza. E così pure i palestinesi. Ecco il perché di un nodo gordiano. Il riconoscimento dello Stato ebraico da parte palestinese siglato con gli accordi di Oslo del 1993 avrebbe dovuto sbloccare lo stallo: ogni popolo avrebbe potuto avere una sua entità, bilateralmente e internazionalmente riconosciuta. Così non è stato. Le colpe non possono essere attribuite a una sola parte, vero, ma ben più errato sarebbe ragionare in termini simmetrici: come ha scritto in una celebre quanto controversa presa di posizione l’intellettuale ebreo francese Edgar Morin, non si possono mettere sullo stesso piano i due campi, quello che conduce una guerra fatta di violenza, prevaricazione e umiliazione e quello che reagisce sporadicamente con atti di resistenza e terrorismo. Per Morin Israele è diventato uno Stato oppressore che tratta da sottouomini quegli stessi palestinesi ai quali, con le varie iniziative di pace e le varie road map, riconosce teoricamente pari dignità. L’ex presidente americano Jimmy Carter era ricorso al termine di apartheid. Scioccante certo, perché ricorda gli anni bui della segregazione in Sudafrica. Eppure alcuni fatti sono incontrovertibili: dagli accordi di Oslo, il numero di insediamenti illegali (perché violano il diritto internazionale e in particolare la quarta convenzione di Ginevra) ha conosciuto un aumento del 300% in Cisgiordania. Confinati in un fazzoletto di terra (Gaza) , costretti a vivere a causa delle colonie ebraiche nelle zone meno ospitali della loro terra in Cisgiordania, a mendicare un lavoro in Israele dopo ore di attesa ai posti di blocco e di frontiera, cacciati da Gerusalemme est, i palestinesi non possono essere considerati un partner negoziale in grado di esercitare una certa pressione, di far valere i proprio diritti. In questo contesto, parte della responsabilità ricade sugli Stati Uniti. Molte personalità israeliane aperte al dialogo, come lo scrittore Avraham Yeoshua, avevano da tempo lanciato l’allarme: Washington deve esercitare il suo peso internazionale per piegare l’intransigenza di Netanyau. Altrimenti lo stallo continuerà. Barack Obama però ha deluso le attese. In un editoriale al vetriolo, il giornalista di Haaretz, Gideon Levy, scrive che il presidente statunitense non è meglio dei Tea party e che la sua estrema prudenza è dovuta a uno smaccato opportunismo elettorale. Come dire: Obama vuole essere rieletto e per questo è pronto a sacrificare gli interessi del suo Paese (leadership internazionale, rapporti con il mondo arabo) ma anche di Israele che per l’appunto avrebbe bisogno di un partner ben più convinto, autorevole ed energico, per sbloccare la cecità politica ormai cronica dei suoi dirigenti. Certo Israele si sente sempre sotto assedio, sotto la minaccia del mondo arabo e dell’Iran. Ma, come sostengono gli ambienti più aperti della società israeliana, questo è anche il risultato di decenni di violenza e prevaricazione. In un celebre canto dell’Iliade, il fiume Scamandro, saturo di cadaveri, ammonisce Achille: “Mi sembra di essere davanti a un carnefice non a un eroe”. Achille, che aveva scatenato la sua ira funesta per vendicare la morte del suo amico Patroclo, non si ferma: continua a uccidere. E allora il fiume si gonfia, rovesciando le sue acque sull’eroe acheo. Il canto XXI è una metafora di come la violenza generi violenza, di come, la violenza miri all’eradicazione dell’avversario, spiega l’intellettuale Michel Serres. Di come, in altre parole, l’uso ripetuto della forza non sia in grado di produrre altro che macerie. Israele, che continua a chiedere alla controparte di sedersi al tavolo negoziale, ha perso a più riprese la storica occasione di dimostrare con i fatti la propria disponibilità a un grande gesto di pace, nell’interesse suo e dei palestinesi. Così contro lo Stato ebraico è cresciuta sempre più quell’onda di condanna diplomatica e politica alla quale si rivolge oggi, in tutta logica, il popolo palestinese. In un brillante corsivo, Alain Franchon del giornale Le Monde, fa un sogno: quello di un sì israeliano allo Stato Palestinese davanti all’assemblea delle Nazioni Unite. Il sogno di un osservatore. Certo. Ma in fondo molto simile a quello che fece Itzhak Rabin, il grande coraggioso statista israeliano, che nel 1993 riconobbe il diritto reale alla dignità del popolo antagonista. Quello palestinese.
Nessun commento:
Posta un commento