giovedì 29 settembre 2011

Federali.sera_29.9.11. Il provvedimento, spiega l’assessore, si è reso necessario perchè il gestore della Italcave non intende adempiere alle richieste fatte dalla Regione il 23 settembre scorso con una diffida per evitare il conferimento di rifiuti campani non conformi alle leggi. La diffida era rivolta ai gestori di tutte le discariche di rifiuti speciali della Puglia.----Massimo Brancati: Carrozze che attraversano mestamente le stazioni. È un deserto dentro e fuori il treno. La metropolitana di Potenza, inutile girarci attorno, è un servizio che la città nella migliore delle ipotesi non ha compreso. Questo segmento del trasporto pubblico cittadino è sottoutilizzato, tanto da far sorgere più di qualche dubbio sull’opportunità di tenerlo in piedi. È sempre più ampio il fronte di chi chiede di sopprimerlo per poter risparmiare, in questo periodo di magra, qualcosa come 200mila euro all’anno.----Verona, padania. Ci sono anziani e adulti in difficoltà, ma anche giovani coppie che cercano di metter su famiglia. È quanto mai variegata la platea dei beneciari dei contributi integrativi per pagare l'affitto finanziati dalla Regione e dal Comune, per l'anno 2009. Sono 2.608 i beneficiari dei contributi, che ammontano a due milioni 156mila euro. I soldi verranno stanziati a partire da ottobre.

Rifiuti non conformi dalla Campania: chiude discarica di Taranto
Metrò a Potenza viaggia deserta
LA NUOVA SARDEGNA - Economia: I sardi riprendono la valigia
Venezia, padania. Venezia alza il tiro: «Né rifiuti campani né veneti»
Verona, padania. Quasi tremila i contributi per gli affitti
Bundestag, sì a rafforzare Esfs
Germania: tasso disoccupazione cala al 6,9% in settembre
Nella ricca Italia meglio non fare l’imprenditore
La Slovenia andrà alle urne il 4 dicembre


Rifiuti non conformi dalla Campania: chiude discarica di Taranto
BARI – La Regione Puglia ha sospeso l'attività della discarica Italcave di Taranto, nella quale vengono smaltiti rifiuti speciali provenienti anche dalla Campania. Lo rende noto l’assessore regionale alla Qualità dell’ambiente, Lorenzo Nicastro.
Il provvedimento, spiega l’assessore, si è reso necessario perchè il gestore della Italcave non intende adempiere alle richieste fatte dalla Regione il 23 settembre scorso con una diffida per evitare il conferimento di rifiuti campani non conformi alle leggi. La diffida era rivolta ai gestori di tutte le discariche di rifiuti speciali della Puglia.
Le richieste ai gestori delle discariche, specifica Nicastro, riguardavano «indagini analitiche volte alla verifica delle condizioni previste dalla normativa vigente che prevede il divieto di conferimento in discarica di rifiuti contenenti diossine, furani, pcb e pop (inquinanti organici persistenti)».
Nell’incontro tecnico del 23 settembre, riferisce ancora l'assessore, è emerso che non possono escludersi rischi per la salute pubblica proprio in relazione alla composizione dei rifiuti campani smaltiti in Puglia. «L'atto di sospensione si configura pertanto come un doveroso provvedimento di amministrazione attiva, con finalità precauzionali – conclude l'assessore – volto a tutelare le matrici ambientali della Puglia e il diritto alla salute dei cittadini pugliesi».

Metrò a Potenza viaggia deserta
di MASSIMO BRANCATI
Carrozze che attraversano mestamente le stazioni. È un deserto dentro e fuori il treno. La metropolitana di Potenza, inutile girarci attorno, è un servizio che la città nella migliore delle ipotesi non ha compreso. Questo segmento del trasporto pubblico cittadino è sottoutilizzato, tanto da far sorgere più di qualche dubbio sull’opportunità di tenerlo in piedi. È sempre più ampio il fronte di chi chiede di sopprimerlo per poter risparmiare, in questo periodo di magra, qualcosa come 200mila euro all’anno. C’è chi, invece, come i gruppi di opposizione in consiglio comunale, avevano suggerito altre idee per rendere utile il servizio.
La proposta dei consiglieri Giuseppe Molinari e Salvatore Lacerra, in particolare, era quella di realizzare una stazione degli autobus extraurbana a Lavangone per intercettare i pendolari dell’area nord. Da lì doveva partire la metropolitana diretta alle varie fermate di Potenza. L’ipotesi, a quanto pare, è caduta nel vuoto. Torna, così, l’interrogativo: ma se il servizio è snobbato dai potentini, perché insistere?
Il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, invita a pazientare: «Bisogna insistere. Abbiamo avuto un finanziamento di 11 milioni di euro per migliorare il servizio metropolitano e con il nuovo piano di trasporto pubblico locale ci sarà sicuramente un’integrazione tale da rendere funzionale al massimo la metropolitana. È vero - ammette il sindaco - al momento il servizio è sottoutilizzato e la città non ha compreso la sua importanza, ma sono convinto che stiamo andando nella direzione giusta. D’altra parte ricordo che anche le scale mobili non erano molto «gettonate», mentre oggi registriamo circa 12-13mila passaggi al giorno».
Quando Santarsiero parla di finanziamenti fa riferimento Si chiamano ai Pisus (Piani Integrati di Sviluppo Urbano Sostenibile). Grazie a questo programma il Comune di Potenza può contare su un plafond di 40 milioni di euro da spendere per le infrastrutture. Una parte cospicua dei fondi, poco meno di 11 milioni di euro, sarà utilizzata per il progetto della metropolitana fra il terminal previsto a Gallitello, nei pressi del «nodo complesso», il ricondizionamento dei 5 km della linea ferroviaria e le 12 fermate fino a Macchia Romana.

LA NUOVA SARDEGNA - Economia: I sardi riprendono la valigia
29.09.2011
CAGLIARI. Andrea Loi, 31 anni, di Tertenia, dopo il diploma al Liceo artistico di Lanusei, ha cercato invano un posto di lavoro davanti al lido di Sarrala. Ma ha dovuto fare le valigie: destinazione Torino con trasferte frequenti a Detroit. È un designer d’auto. Antonella Demontis, 41 anni di Perdasdefogu, tre anni fa ha lasciato il camice bianco a Cagliari (macinava ricerche avanzate sul dna) e segue la contabilità in un’azienda di Piacenza, alle dipendenze di Ikea. Francesco Melis, 28 anni, pure lui di Tertenia, biologo di laurea, disperato nel cercar busta paga in Sardegna, se n’è andato a Perugia. Da Paulilatino, a gennaio, sono partiti Caterina Mura e Daniele Vidili, entrambi di 28 anni. Caterina, laurea in Economia con 110 e lode, ha trovato impiego alla Asl di Rimini. Daniele, dottore in Lingue, ha lavori saltuari a Milano, destinazione preferita dei nuovi sardi del Grande Esodo del terzo millennio (seconda regione è il Lazio). Sono i protagonisti - loro malgrado - dello stunami demografico che, come nel dopoguerra, sta svuotando il Sud, Sardegna compresa. Nell’ultimo anno dall’Isola sono emigrati 6600 giovani generalmente fra i 18 e i 34 anni. La maggior parte dei quali - da Carbonia e Iglesias come da Ozieri e Nuoro - con titoli di studio superiore. Seicento sardi (definiti pendolari di lungo raggio) hanno scelto ancora una volta destinazioni estere. E così nelle città, ma soprattutto nei piccoli paesi ormai abitati da anime morte, si consolida la presenza di una popolazione ultrasettantenne e perciò improduttiva. Il risultato è una Sardegna che - capoluoghi compresi - è alla recessione con la crescita zero. Se il Pil del 2010 era a quota 1,3 nel 2011 è proprio zero, zero totale come avviene in Sicilia. Fermi al palo. L’Isola è una canna al vento senza direzione. Non produce. Anche l’agroalimentare - quello di qualità - nell’ultimo anno arretra di quasi un punto. Il Pil pro capite è di 32.222 euro in Lombardia, di 21.574 in Abruzzo (regione leader al Sud). La Sardegna vacilla a quota 19.552. Sono solo alcuni dei dati che emergono nel Rapporto che lo Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha presentato avant’ieri a Roma e che, più degli anni precedenti, lancia un marcato grido di allarme per il Sud. Da dove sono scappati in 583 mila. Il tasso di disoccupazione svetta al 14,1 per cento, quello giovanile al 38. E se si considera la fascia 16-40 anni si arriva al 40,7, qualche punto in più di quello che ha portato alla Puerta del Sol gli indignados di Madrid. “Viviamo su una bomba sociale che sta per esplodere e nessuno se ne vuol accorgere”, commenta la sociologa del lavoro Maria Lezia Pruna. E così “un’area giovane e ricca di menti e di braccia si trasformerà nel prossimo quarantennio in una zona spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese”, ha aggiunto Adriano Giannola, presidente dell’Istituto che era stato guidato da Pasquale Saraceno. Ancora Gianola: “Per il Sud, il 2011 è dunque il secondo anno consecutivo di stagnazione, dopo il forte calo del Pil nel biennio di crisi 2008-2009”. Per la Sardegna - al di là della grancassa mediatica di villa Devoto - è buio pesto per il futuro soprattutto dopo le ultime decisioni adottate dal Governo. Decisioni che aggraveranno ancora le condizioni economiche e sociali delle regioni meridionali. Secondo stime confermate dal Rapporto Svimez, “l’effetto cumulato delle manovre 2010 e 2011 dovrebbe pesare in termini di quota sul Pil 6,4 punti al Sud (di cui 1,1 punti nel 2011, ben 3,2 punti nel 2012, 2,1 nel 2013) e 4,8 punti nel Nord (1 nel 2011, 2,4 nel 2102, 1,4 nel 2013)”. Siamo allo sberleffo, all’insulto. Perché “il Sud - osserva Gianola - contribuirebbe in maniera maggiore all’azzeramento del deficit, pari nel 2010 al 4,5 per cento del Pil nazionale. Più in particolare, sul fronte degli incrementi delle entrate, il 76 per cento si realizzerebbe al Centro-Nord e il 24 per cento al Sud, ricalcando così il peso delle diverse aree in termini di produzione della ricchezza”. Discorso diverso, invece, riguardo alla riduzione delle spese. Qui il contributo delle regioni meridionali al risanamento finanziario arriverebbe al 35 per cento del totale nazionale, una quota superiore di 12 punti percentuali al suo peso economico. I motivi? “I tagli agli enti locali (6 miliardi di euro) e la contrazione degli investimenti pubblici nazionali e regionali, per effetto del Patto di stabilità”. Cifre e tabelle che compaiono in questa pagina dimostrano in modo inequivocabile quanto è grave la situazione dell’Isola. Che da tempo non conosceva periodi di così marcato oscurantismo economico. “Mi auguro che nessun assessore si meravigli del perché abbiamo proclamato lo sciopero generale con Cisl e Uil”, ha commentato il leader della Cgil sarda Enzo Costa.

Venezia, padania. Venezia alza il tiro: «Né rifiuti campani né veneti»
L’assessore Bettin: «Solo della nostra provincia. E niente scorie tossiche». L’ad Tolomei, che aveva aperto a Napoli: «Mi adeguo».
VENEZIA — Non solo i rifiuti di Napoli. Il caso Fusina s’impasta con altre partite politiche, tutte legate alla «monnezza». Dopo due giorni di dibattito innescato da Adriano Tolomei, amministratore dell’impianto di Fusina, che si era detto pronto a ricevere i rifiuti di Napoli, il Comune di Venezia, baluardo delle amministrazioni di centrosinistra del Veneto, chiarisce ogni dubbio residuo: «La questione di Napoli non può non essere affrontata su scala nazionale. La Regione si è precipitata a dire di no ai rifiuti di Napoli a Fusina? Benissimo. Ora dica un no altrettanto chiaro ai rifiuti tossico-nocivi da altri territori del Veneto». Lo scandisce bene l’assessore all’Ambiente del Comune, Gianfranco Bettin, che conferma che la linea dell’amministrazione è quella tratteggiata dall’amministratore delegato di Veritas, Andrea Razzini (la società che ha la proprietà quasi totale della Ecoprogetto, che gestisce l’impianto di Fusina): no ai rifiuti campani a Marghera, l’impianto di Fusina è di Venezia e del suo territorio. E in questo senso Bettin va oltre: «La Lega, in territori come Treviso, Belluno, ha detto più volte, ma lo stesso Zaia a suo tempo, che Fusina poteva essere utilizzata anche per i rifiuti tossico- nocivi che non smaltivano da loro. Ecco: sia chiarito una volta per tutte che non sarà così. Dove sta il difetto di quello che ha detto Tolomei? Nel fatto che una questione così non la decide Ecoprogetto e nemmeno Veritas: è un’ingenuità crederlo».
Ma l’impianto è o non è sottoutilizzato come sostiene Tolomei? Per Bettin no: «Non c’è nessuna crisi a Fusina, i nostri impianti sono improntati a risolvere tutta la situazione locale, siamo perfettamente allineati. In un anno e mezzo chiuderemo l’impianto di rifiuti "tali e quali" autorizzato dalla Regione nel ’96, che scarica sul territorio il maggior impatto ambientale. La crisi contrae i rifiuti, ma non rimette in discussione la strategia che è quella di ridurre gli inceneritori». È evidente che da parte di Tolomei c’è stata una fuga in avanti. E infatti, lo stesso manager sentito a due giorni di distanza, sembra un’altra persona: «Sono amministratore di una società di proprietà di Veritas — dice — gli indirizzi di ordine strategico sono dettati dalla capogruppo, così come le quantità e le tipicità stagionali. E io mi adeguo». Ma qualcosa si può dire ancora sul sottoutilizzo dell’impianto che il manager aveva lamentato. Lo fa Sandro Boscolo Todaro, vicepresidente di Veritas ed espressione della minoranza (centrodestra): «Per i rifiuti di Napoli Tolomei ha fatto una dichiarazione che non era di sua competenza, perché la legislazione attuale non permette a Fusina di prendere i rifiuti della Campania.
Ma ci sono probabilmente margini per un miglior utilizzo di Fusina, e sicuramente la produttività aumenterà con la centrale di Porto Tolle. Esistono poi margini di un miglioramento ulteriore: se si fa lavorare l’impianto 24 ore al giorno, magari andando a gestire il rifiuto solido urbano di altri centri del Veneto, si possono ottenere ottimi risultati. Ma al momento questo è bloccato: devono deciderlo le Province con un accordo tra loro. Se le strutture si mettono d’accordo Fusina può migliorare il suo rendimento, ma è solo una questione politica ». Lo si capisce dal tono delle reazioni in città: la Lega, al solo sentir parlare di rifiuti campani a Fusina parla di «comportamento assurdo», mentre l’Udc chiede che se una decisione del genere verrà presa, i cittadini di Marghera e Malcontenta (che ne subirebbero le conseguenze) ne traggano qualche vantaggio: «Pur condividendo dal punto di vista tecnico il ragionamento—dicono l’ex procuratore generale Ennio Fortuna e Simone Venturini dell’Udc— esprimiamo alcune perplessità circa i vantaggi che potrebbero derivare da questa operazione. Ci chiediamo infatti chi sarebbero, nell’eventualità prospettata, i beneficiari dei maggiori utili del termovalorizzatore: la società di gestione? L’indistinta cittadinanza (come spesso viene richiamata in queste discussioni) a seguito di minori costi di smaltimento? Veritas? Di sicuro non i cittadini di Fusina, Malcontenta e Marghera».
Sara D’Ascenzo

Verona, padania. Quasi tremila i contributi per gli affitti
 CASA. Due milioni a disposizione delle famiglie veronesi ammesse agli aiuti per il pagamento del canone 2009
29/09/2011
Ci sono anziani e adulti in difficoltà, ma anche giovani coppie che cercano di metter su famiglia. È quanto mai variegata la platea dei beneciari dei contributi integrativi per pagare l'affitto finanziati dalla Regione e dal Comune, per l'anno 2009. Sono 2.608 i beneficiari dei contributi, che ammontano a due milioni 156mila euro. I soldi verranno stanziati a partire da ottobre.
L'assessore ai servizi sociali Stefano Bertacco, illustrando il bilancio per Verona del Fondo sostegno affitti 2009, stanziato dalla Regione per i comuni del Veneto, spiega che lo stanziamento regionale, pari 1.656.058 euro, anche quest'anno è stato integrato dall'Amministrazione comunale con ulteriori 500mila euro. «Sono state accolte tutte le domande risultate idonee, pari a 1.924 sulle 3.353 presentate, ed è stato possibile inoltre recuperare altre 684 richieste quali casi sociali, ammesse anch'esse al finanziamento», dice l'assessore.
Verona si conferma la città capoluogo di provincia che ha dato una risposta al maggior numero di domande, seguita da Venezia (2.391), Padova (2.238), Vicenza (1.184), Treviso (543), Rovigo (258) e Belluno (249). «Rispetto al fabbisogno complessivo, la percentuale finale di copertura è stata pari al 50,54 per cento con l'erogazione di contributi effettivi che, singolarmente, arrivano a una somma massima di 1.112 euro», aggiunge Bertacco.
Ai beneficiari sarà inviata comunicazione sull'ammissibilità della domanda, l'importo effettivo del contributo e le modalità pratiche di riscossione della somma. «Un dato significativo», conclude Bertacco, «è l'esiguo aumento, rispetto a un trend di crescita sempre maggiore dal 2007, del numero di domande presentate, solo 35 in più. Se da un lato questo dato fa ben sperare sulla minore necessità di contributi, dall'altro è anche conseguenza dei controlli che vengono effettuati in collaborazione con i Caaf, tesi ad accertare la conformità dell'autocertificazione dichiarata dal cittadino in sede di domanda, evitando attribuzioni irregolari di fondi pubblici a scapito di chi ha veramente bisogno».E.G.

Bundestag, sì a rafforzare Esfs
Il parlamento tedesco ha dato il via libera per potenziare il fondo Ue salva stati. I sì sono stati 523
MILANO- Il Parlamento tedesco ha deciso per un via libera sul rafforzamento del fondo Ue salva stati (Esfs). L'ok è stata dato con larga maggioranza: 523 parlamentari hanno detto sì, mentre i voti contrari sono stati 85 e le astensioni 3. Lo scrutinio era considerato un test cruciale sulla leadership del Cancelliere Angela Merkel.
LA RIFORMA-Questa proposta di legge prevede l'ampliamento della dotazione del fondo salva stati da 250 a 440 miliardi di euro. Viene inoltre autorizzata la possibilità di acquistare titoli di stato europei sul mercato secondario e di mettere linee di credito a disposizione dei paesi in difficoltà. In base all'accordo raggiunto dal Consiglio europeo il 21 luglio, tutti i parlamenti dei 17 paesi membri dell'Eurozona devono approvare l'adozione delle nuove misure. La Germania diventa il decimo paese ad approvare la proposta formulata nel vertice europeo del 21 luglio.

Germania: tasso disoccupazione cala al 6,9% in settembre
 Meglio di attese. Livello piu' basso da inizio rilevazione Milano, 29 set - In Germania il tasso di disoccupazione destagionalizzato e' calato al 6,9% in settembre dal 7% di agosto. Si tratta del livello piu' basso dal 1998, anno di avvio della rilevazione. Il dato e' migliore delle attese degli analisti, che avevano previsto un tasso fermo al 7%. Il numero dei senza lavoro e' diminuito di 26mila unita' contro stime per 10mila.

Nella ricca Italia meglio non fare l’imprenditore
di Maarten Veeger – 19 settembre 2011
Pubblicato in: Olanda
Traduzione di ItaliaDallEstero.info
Perché proprio la ricca Italia è la pecora nera della zona euro? Gli italiani sono ricchissimi, più ricchi degli inglesi e dei francesi. Addirittura persino più ricchi dei tedeschi e degli americani.
 Qualche cifra. Nel 2010, la ricchezza lorda degli italiani ammontava a 9.732 miliardi di euro. Quasi diecimila miliardi di euro. Per contro si conta un indebitamento privato che ammonta a oltre 1.000 miliardi di euro ma restano comunque 8.700 miliardi di ricchezza, più che negli altri Paesi. L’economia italiana versa però in condizioni molto peggiori.
Le cause sono varie: per esempio gli italiani sono grandi risparmiatori ma anche grandi evasori fiscali. Non pagando le tasse sono in grado di risparmiare di più, con il risultato che il saldo dei risparmi ha continuato a crescere anche negli anni di crisi.

Beni immobili
È anche a causa dell’evasione fiscale che il debito pubblico ammonta a 1.900 miliardi, ossia al 120% del PIL. La conseguenza di un debito pubblico così alto è che l’interesse aumenta anche sui debiti contratti dalle aziende (che vogliono investire in macchinari) e dai privati cittadini (che per esempio prendono un mutuo per comprare una casa).
 Il 58% di questi 10.000 miliardi di ricchezza privata italiana sono concentrati soprattutto in immobili (la maggior parte dei quali prime case), il 5% è investito in beni che realmente producono valore aggiunto (per esempio macchinari) e il restante 37% è investito in prodotti finanziari (azioni, obbligazioni ecc).

Grande ricchezza personale
Queste percentuali spiegano già tutto: l’Italia è ricca ma il denaro non viene usato per creare ulteriore ricchezza. I soldi vengono investiti in case (spesso poi disabitate) o in prodotti finanziari (che continuano a perdere di valore).
 Se poi si analizza cosa gli imprenditori fanno con i soldi che guadagnano creando valore aggiunto, le cose non vanno meglio. I guadagni aziendali vengono spesso investiti in immobili privati, gli imprenditori infatti investono il meno possibile nelle proprie aziende. In media, un padrone d’azienda italiano mette solamente il 12% dei propri soldi nel bilancio aziendale (le percentuali sono il 30% in Francia e il 34% in Germania), il restante 88% del bilancio totale sono debiti. Il padrone si arricchisce personalmente ma mantiene l’azienda povera e spesso anche piccola.

L’atteggiamento degli italiani è colpa del sistema fiscale
Questo atteggiamento difensivo è tipico degli imprenditori italiani. È un dato di fatto che agli italiani piace investire nel mattone, perché il valore delle case aumenta automaticamente. Perché ingrandirsi ed entrare nel mercato internazionale, quando questo non fa che complicare la gestione dell’azienda? Oggi il Corriere della Sera spiega che questo tipico atteggiamento italiano è colpa del sistema fiscale che tassa le aziende e i loro dipendenti in base a quanto guadagnano, mentre i proprietari di case e altre proprietà che aumentano di valore vengono spesso lasciati indisturbati. Per esempio, nel 2008 il governo Berlusconi ha cancellato l’ICI sulla casa di abitazione, un incentivo a tenersi la vecchia villa di famiglia, anche quando in realtà non ci vive nessuno. Tanto non costa niente.

Il fisco becca subito
La Banca d’Italia ha diffuso anche le cifre: gli introiti che lo Stato incassa dalle imposte dirette ammontano al 14% del PIL, e altrettanto incassa dalle imposte indirette. I proventi derivanti dalle imposte patrimoniali ammontano invece allo 0,2%. In questo modo, il sistema fiscale stimola le famiglie italiane ricche soprattutto a fare il meno possibile con la loro ricchezza: investite i soldi nel mattone e in Titoli di Stato e soprattutto non aiutate un imprenditore, né diventate voi stessi imprenditori. Altrimenti il fisco vi becca subito.
 È chiaro quanto il processo politico sia cruciale al fine di stimolare l’economia, quella reale. È particolarmente spiacevole constatare che, su questo punto, proprio un imprenditore come Berlusconi non abbia fatto niente in veste di premier per scuotere il suo Paese.
Ma certo, questo succede quando uno passa le sue giornate con i pantaloni abbassati.
[Articolo originale "Ga vooral niet ondernemen in het rijke Italië" di Maarten Veeger]

La Slovenia andrà alle urne il 4 dicembre
Lo ha deciso il capo dello Stato Danilo Türk al termine delle consultazioni. Il Parlamento sarà sciolto il 21 ottobre
 di Mauro Manzin
TRIESTE. Tutto come da copione. Nessuna sorpresa dell’ultimo momento. Elezioni si volevano ed elezioni saranno. Lo ha deciso ufficialmente ieri il presidente della Repubblica di Slovenia, Danilo Türk.
 Essendo scaduto il tempo di sette giorni a partire dalla sfiducia ottenuta in Parlamento dal governo Pahor in cui i partiti potevano presentare il nome di un nuovo premier incaricato il capo dello Stato ha deciso che le elezioni anticipate si terranno il prossimo 4 dicembre (stesso giorno delle politiche in Croazia) mentre il Parlamento sarà sciolto il prossimo 21 ottobre.
 «Tutti coloro i quali lavorano in Parlamento - ha detto leggendo la sua decisione in diretta televisiva - svolgano il loro lavoro con serietà e responsabilità per fare così in modo che i cittadini possano scegliere nel modo migliore il prossimo 4 dicembre». La scelta di Türk è giunta dopo le consultazioni con tutti i capigruppo dei partiti presenti alla Camera di Stato e con il presidente della stessa. La data è stata decisa anche per dare tempo ai partiti di organizzarsi per la campagna elettorale e al Parlamento di portare a termine il proprio lavoro.
 La Slovenia, dunque, si trova ad affrontare le prime elezioni anticipate della sua ventennale storia di Stato indipendente.
Le condizioni finanziarie ed economiche del Paese sono critiche, la crisi globale non ha risparmiato neppure quella che fin qui si vantava di essere una sorta di Svizzera dei Balcani. La disoccupazione sta salendo, gli industriali vogliono tagliare gli stipendi e in più c’è la riforma pensionistica da approvare (già bocciata da un referendum popolare). Le condizioni perché si crei una situazione di forte scontro sociale ci sono tutte. C’è poi il problema della crescita stimata al ribasso nel 2012, dal 2,5% previsto all’1,7%.
 Il prossimo governo, dunque, sarà chiamato a sfide particolarmente delicate e difficili da far digerire all’opinione pubblica. La quale, peraltro, si sta dimostrando molto delusa dal lavoro dei proprio politici al punto che più del 40% si dice ancora incerta se e chi votare. Ma quel che più dovrebbe far riflettere i partiti sloveni nel corso della prossima campagna elettorale è la forte richiesta da parte della gente di un Parlamento che operi veramente nell’interesse della nazione al di là delle contrapposizioni ideologiche che hanno caratterizzato soprattutto questo ultimo scorcio di legislatura finita prematuramente.
 Oltre il 35% degli interpellati nei sondaggi su quale sarebbe il miglior governo futuro per la Slovenia ha risposto: una coalizione tra socialdemocratici (Sd) e democratici (Sds). In altre parole una “Grosse Koalition” in grado di traghettare il Paese fuori dalla palude della crisi economica e sociale.

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