Melfi, nascosero dati su inquinamento
«Franzoni filati: che scandalo Intasca i soldi e poi se ne va»
Storia di un disimpegno in venti anni
Lo spreco di risorse vero nemico che impedisce la convergenza
Corte dei Conti Sicilia: “Basta ai privilegi dei dipendenti regionali"
Raggiri irlandesi e risparmiatori ignari
Grecia: da oggi nel caos per due giorni
Melfi, nascosero dati su inquinamento
Arrestati dirigenti Arpab Indagato consigliere Pd
POTENZA – L'impianto di termovalorizzazione dei rifiuti “Fenice” di Melfi (potenza) ha inquinato le falde acquifere almeno dal 2002, ma l’Arpab Basilicata non ha comunicato i dati sull'inquinamento ambientale agli enti pubblici lucani: con le accuse di disastro ambientale e omissione di atti d’ufficio, i Carabinieri hanno eseguito due provvedimenti di custodia cautelare ai domiciliari, per l’ex direttore generale e per il coordinatore del dipartimento provinciale dell’Arpab, Vincenzo Sigillito e Bruno Bove.
I particolari delle indagini, cominciate nel 2009, sono stati illustrati stamani, a Potenza, nel corso di un incontro con i giornalisti, dal comandante provinciale di Potenza dei carabinieri, il tenente colonnello Giuseppe Palma, e dai comandanti del Noe e del reparto operativo, i capitani Luigi Vaglio e Antonio Milone. Il gip di Potenza, Tiziana Petrocelli, su richiesta del pm Salvatore Colella, ha inoltre disposto il divieto, per due mesi, di ricoprire cariche direttive per l'attuale e l’ex procuratore responsabile dell’impianto “Fenice”, Mirco Maritano e Giovanni De Paoli.
Dalle indagini è emerso un “pericoloso inquinamento” della falda acquifera prodotto da metalli pesanti e solventi organici, anche cancerogeni, non comunicato dai dirigenti della struttura di termovalorizzazione e non monitorato dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale, nonostante l’obbligo di inviare relazioni periodiche alla Regione, alla Provincia e alla Prefettura. La presenza, e la quantità di alcuni metalli pesanti, inoltre, non sarebbe mai stata verificata. Da questo è derivata, infine, anche la “mancata e tempestiva attivazione delle procedure di salvaguardia del territorio”.
I Carabinieri, secondo quanto si è appreso, stanno anche effettuando delle perquisizioni all’interno della “Fenice”, e stanno verificando la regolarità di alcune assunzioni all’Arpab: per quest’ultima vicenda, sono stati emessi quattro avvisi di garanzia, uno dei quali notificato a un esponente politico lucano. Sigillito ha ricoperto l’incarico di direttore generale dell’Arpab dal 2006 al 2010.
INDAGATO ANCHE ASSESSORE REGIONALE RESTAINO
L'assessore regionale della Basilicata alle attività produttive, Erminio Restaino (Pd), è indagato su una vicenda che riguarda la gestione operativa dell’Arpab, nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Potenza sull'inquinamento prodotto dall’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti «Fenice» di Melfi (Potenza) e sulla mancata comunicazione dei dati ambientali da parte della stessa Arpab.
«Le ipotesi per le quali sono in corso accertamenti a mio carico – ha detto Restaino attraverso l’ufficio stampa della giunta regionale – riguardano la gestione operativa dell’Arpab, mentre non c'è alcun collegamento con le ipotesi di reato della vicenda 'Fenicè».
Restaino ha specificato: «Si ipotizza un mio ruolo nel consigliare l’allora direttore generale dell’Agenzia su come ottenere finanziamenti dalla Regione nelle attività di reclutamento del personale presso la stessa Arpab e nella difesa dell’Agenzia, attraverso un comunicato stampa diramato a seguito dell’audizione del direttore generale presso la terza commissione». L’assessore si è detto «assolutamente sereno anche per l’occasione di poter chiarire che mi viene offerta» ed ha espresso «piena fiducia in quanto stanno effettuando – ha concluso – gli accertamenti per le vicende che mi riguardano».
PITTELLA (PD): UNIONE EUROPEA FACCIA VERIFICHE SU IMPIANTO FENICE
Il vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella (Pd), ha presentato un’interrogazione urgente alla Commissione europea sull'attività della “Fenice spa”, l’azienda che gestisce in Basilicata l’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti “Fenice” di Melfi (Potenza), chiedendo “di verificare il rispetto da parte della società delle direttive europee sulla protezione delle acque sotterranee, sui rifiuti pericolosi, e sulla prevenzione e la riduzione dell’inquinamento”.
“Nel 2009 – ha detto Pittella in una nota – l'Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, Arpab, ha reso noto che, in base ai rilievi effettuati dalla stessa azienda nei pozzi di emungimento interni al sito industriale, l’acqua del sottosuolo è inquinata da metalli pesanti e cancerogeni come il nichel, il mercurio e il manganese. L’accertamento attesta che l'inceneritore ha inquinato le falde acquifere della zona fin dal 2003”.
“Nonostante la gravità di tali rivelazioni – ha aggiunto Pittella – la società Fenice spa si appresta ad ottenere l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), il provvedimento necessario per permettere all’impianto di continuare a svolgere la propria attività”.
RESPONSABILI IMPIANTI FENICE: SIAMO A DISPOSIZIONE DEI GIUDICI
In uno “spirito di massima collaborazione e trasparenza”, la Fenice “si mette a disposizione dell’autorità giudiziaria al fine di chiarire quanto prima tutti gli aspetti della vicenda, con la certezza che verrà chiarita la correttezza del proprio operato”.
In un comunicato diffuso dall’ufficio stampa è spiegato che “in data odierna si è tenuta un’ispezione da parte dell’autorità giudiziaria presso il sito del termovalorizzatore a Melfi (Potenza) e presso la sede centrale di Rivoli (Torino). L'azienda prende atto con serenità dei provvedimenti a proprio carico ribadendo ancora una volta di aver rispettato tutte le prescrizioni autorizzative ed informato costantemente, tempestivamente ed in modo trasparente tutti gli enti competenti”.
«Franzoni filati: che scandalo Intasca i soldi e poi se ne va»
di LUCIA DE MARI
TRANI - Non ha più stabilimenti in Italia, avendo chiuso anticipatamente anche quello di Trani, e per questo deve ancora restituire al Ministero dello Sviluppo Economico 1milione e 800 mila euro avuti grazie alla legge 488/92: nonostante tutto il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (Miur) pare abbia concesso proprio alla Franzoni Filati Spa circa 8milioni di euro per un progetto di ricerca sul cotone antibatterico. Una notizia che lascia un po’ tutti stupefatti, compreso l’assessore provinciale alle Politiche del lavoro, Pompeo Camero: «Sulla lunga vertenza Franzoni Filati-Stabilimento di Trani – dice in una nota - occorre che lo Stato e la Regione Puglia facciano al più presto chiarezza, a partire dalla notizia, confermata di recente, che il Ministero dell’Istruzione dell’Univer - sità e della Ricerca (Miur) avrebbe concesso proprio alla Franzoni Filati SpA circa 8 milioni di euro per un progetto di ricerca sul cotone antibatterico. La notizia mi ha lasciato stupefatto, in quanto questo gruppo industriale, come è facile constatare, non ha più stabilimenti in Italia ed al Ministero dello Sviluppo Economico oltretutto, deve ancora restituire 1,8 milioni di euro in ragione della chiusura anticipata dello stabilimento di Trani, realizzato a suo tempo con i proventi della Legge n. 488/92, le cui macchine sono state nel frattempo spostate in Bosnia nella Città di Dubicanka».
«Sosteniamo e sosterremo sino in fondo gli ex lavoratori Franzoni di Trani nelle loro sacrosante rivendicazioni – dice Camero - oltretutto questi nostri concittadini disoccupati hanno avuto il merito di mettere a nudo, attraverso la loro vertenza, una vicenda tutta italiana che a tratti ha dell’incredibile. Bisogna considerare infatti la mancata estensione sinora dell’Accordo di Programma Pit 9 alle aziende del settore Tac cui appartiene la stessa Franzoni, ricadenti nel territorio del Pit 2 che ricomprende la Bat, il tutto nonostante le reiterate richieste della nostra Provincia».
Secondo Camero «in quest’ultima vicenda la Regione Puglia deve superare ogni resistenza palese od occulta all’allargamen - to del contratto di programma ad altre aziende esterne all’area salentina del Pit 9. E’ bene rammentare – conclude Camero - che qui stiamo disquisendo di un accordo oramai scaduto, i cui effetti potrebbero essere procrastinati soltanto attraverso l’auspicato allargamento degli stessi benefici all’area del Pit 2 ed il rifinanziamento dell’iniziativa da parte della Regione Puglia, dell’accordo che sconta, ad oggi, la mancata utilizzazione di ben 24 milioni di euro dei 40 inizialmente stanziati. E’ importante quindi che attraverso l’estensione del riferito accordo, si favorisca il rilancio del TacBat, riattivando da noi eccellenze produttive ed imprenditoriali tutt’altro che sopite».
Storia di un disimpegno in venti anni
1990. La «Filatura di Trani» apre con 120 operai.
2003. Lo stabilimento incrementa il personale fino a 176 unità.
24 febbraio 2005. Primi segnali di crisi e primo sciopero.
16 marzo 2006. Azienda e sindacati firmano i contratti di solidarietà per due anni.
3 luglio 2007. Lo stabilimento viene chiuso ufficialmente “per ferie”: non riaprirà più.
10 ottobre 2008. Sottoscritta la cassa integrazione straordinaria in deroga per i 147 lavoratori per l’eventuale insediamento di un centro commerciale.
20 novembre 2009. Arrivano nuove lettere di licenziamento e nove lavoratori, disperati, si asserragliano sul campanile della chiesa di San Giuseppe per protesta. Sarà la prima di tre manifestazioni.
15 marzo 2010. Inizia lo sciopero della fame di sei lavoratori all’interno di una tenda montata in piazza della Repubblica.
15 luglio 2010. Tenda rimossa con l’impegno di Comune di Trani e gruppo Materrese ad assorbire una quota parte di operai nella futura cementeria di Trani.
5 novembre 2010. Terminano le proroghe della cassa integrazione ed il licenziamento dei 147 diviene ufficiale: tutti in mobilità. Ora si tenta la strada, approvata dalla Regione Puglia, di estendere l’accordo di programma sul Tac “Filanto-Adelchi” anche all’ex Filatura di Trani.
Lo spreco di risorse vero nemico che impedisce la convergenza
di Maria Francesca Fisichella
L’incremento del Pil nel 2010 dell’1,3%, poco meno di un terzo di quello della Germania (3,6%). Svimez: “Fondi Ue destinati a sparire se non ci sono prospettive di recupero”
“Nel complesso, l’economia del Mezzogiorno ha perso terreno rispetto alle altre regioni europee, sia ricche che meno ricche”. (…). Per l’Italia sarebbero quattro regioni convergenza (Campania, Puglia, Sicilia, Calabria), mentre la Sardegna e la Basilicata sarebbero entrambe in obiettivo intermedio.
Lo sostiene il recente rapporto 2011 elaborato dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno).
Lo scenario è di un Mezzogiorno che, rispetto alle altre aree svantaggiate dell’Europa, non riesce ad affrancarsi dal suo “cronico sottosviluppo”.
Anche in altri stati europei esisteva il problema che ad aree ricche all’interno dello stesso paese si affiancavano aree in ritardo di sviluppo, come in Germania e Spagna. Non si tratta, quindi, di un problema legato a dinamiche coreperiphery, che sono state comunque superate con adeguate misure.
“Nel Mezzogiorno vi è stato uno spreco di risorse, che non hanno consentito la convergenza. Anche se questa situazione può ora avvantaggiare l’Italia nella distribuzione dei fondi europei, rimane comunque un problema di sostenibilità: difficilmente gli Stati europei continueranno a sostenere il Mezzogiorno, se non vedono dei segnali di corretto utilizzo dei fondi e quindi l’affermarsi di prospettive di recupero per l’area”.
Tra le principali economie industrializzate, quella italiana è tra le più lente nel recupero dalla crisi. Il Pil (Prodotto interno lordo) è aumentato nel 2010 dell’1,3%, recuperando solo parzialmente la forte flessione del 2009 (–5,2%). L’incremento è stato pari a poco meno di un terzo di quello registrato in Germania (3,6%), meno della Francia (1,5%), lo stesso del Regno Unito.
La competitività resta il tallone d’Achille per il nostro Paese. Permane, infatti, una difficoltà a rispondere all’aumentata competitività tra Paesi, che è cresciuta sotto la potente spinta dei processi di globalizzazione.
La crisi ha messo in risalto gli squilibri esistenti nella struttura produttiva italiana, specializzata in settori con basse opportunità di crescita e caratterizzata da piccole e piccolissime imprese.
Il quadro che ne risulta è quindi chiaro: il Mezzogiorno rimane l’unica area rilevante e territorialmente estesa dei Paesi dell’UE 15 ancora in ritardo di sviluppo, mentre le altre regioni hanno in parte intrapreso processi virtuosi di crescita. Inoltre le regioni del Mezzogiorno sarebbero ancora finanziate intensamente per ben il terzo ciclo di programmazione consecutivo. Per l’Italia non vi sarebbero cambiamenti notevoli: le 4 regioni convergenza verrebbero tutte confermate (Campania, Puglia, Sicilia, Calabria), mentre la Sardegna e la Basilicata (rispettivamente prima in phasing out e in statistical effect) sarebbero entrambe in obiettivo intermedio, a cui si unirebbero Abruzzo e Molise. Tutto il Mezzogiorno storico sarebbe quindi riunito tra Obiettivo Convergenza e Obiettivo intermedio.
Periodo 1995-2010. La nostra economia è cresciuta meno della Grecia
Il divario di crescita con i principali Paesi europei è da oltre un decennio la costante nello sviluppo dell’economia italiana, colta dalla crisi in un momento di particolare fragilità, dopo un lungo periodo di bassa crescita, nel quale si sono acuite le differenze in termini di produttività con il resto dei Paesi europei.
Se si consideri, ad esempio, il quindicennio 1995-2010, il Pil italiano è cresciuto dello 0,8% medio annuo, meno della metà della media europea (1,8%), e meno della metà anche della crescita dei Paesi dell’euro (1,7%), più simili in quanto a struttura economica e grado di sviluppo all’Italia.
Nello specifico, rispetto ai Paesi principali concorrenti, la crescita è risultata meno di un terzo di quella della Spagna (2,7%), meno della metà di quella del Regno Unito (2,1%) e della Francia (1,7%), inferiore anche alla Germania (1,2%).
Il divario è stato rilevante anche con i Paesi mediterranei più deboli, come Portogallo, cresciuto a un tasso medio annuo dell’1,8%, e della Grecia (2,7%).
Nel Centro-Nord meno divari, nel Mezzogiorno aumentano
Un indicatore del grado di differenza esistente all’interno di un insieme di regioni o di Paesi può misurare la disuguaglianza, in alternativa alla misurazione del divario nel Pil (Prodotto interno lordo) pro capite tra regioni.
Questa misura, può essere calcolata utilizzando gli andamenti di un indice di variabilità. In questo rapporto si segnala come in termini di valore aggiunto pro capite il processo di riduzione delle disuguaglianze regionali in Italia, che proseguiva dal 2007, si sia arrestato.
Il Mezzogiorno, pur partecipando alla diminuzione tendenziale della disuguaglianza dell’intero Paese, ha mostrato dal 2004 una tendenza all’aumento delle disuguaglianze interne che, interrotta nel 2008, ha ripreso nel 2010, in presenza di una rialzo dell’attività economica che è risultato piuttosto diseguale nell’area. Tra le regioni del Centro-Nord continua, invece, il processo di riduzione dei divari regionali, in particolare con una convergenza delle regioni del Centro verso quelle del Nord.
Articolo pubblicato il 13 ottobre 2011
Corte dei Conti Sicilia: “Basta ai privilegi dei dipendenti regionali"
di Lucia Russo
La delibera del 22 settembre delle Sezioni riunite in sede di controllo denuncia le differenze su dipendenti in aspettativa e retribuzioni. L’ipotesi d’accordo trasmessa 120 giorni in ritardo dall’Aran Sicilia ai magistrati contabili per la certificazione
PALERMO - Con delibera depositata il 22 settembre del 2011, la Corte dei Conti Sicilia, Sezioni riunite in sede di controllo, a firma del primo referendario Licia Centro e dei referendari Francesco Albo e Giuseppa Cernigliaro, ha rilasciato certificazione positiva per l’ipotesi di accordo quadro sulle prerogative sindacali relativo all’area della dirigenza e del comparto, sottoscritto da Aran Sicilia e dalle Organizzazioni sindacali in data 14 marzo 2011.
La certificazione è stata rilasciata solo a settembre 2011 perché l’accordo è stato trasmesso, scrive la Corte stessa, con notevole ritardo, “ben oltre il termine massimo di 40 giorni previsto dall’art. 27, comma 9 della Lr. 10/2000”. Precisamente è stato trasmesso dall’Aran Sicilia solo il 7 settembre 2011, cioè non 40 giorni dopo, ma ben 160 giorni dopo (aprile, maggio, giugno, luglio e agosto sono trascorsi a vuoto).
La Corte ha rilasciato la certificazione, presentando, però, alcune annotazioni che ne sono parte integrante, trasmesse a tre soggetti: Aran Sicilia, presidente della Regione, assessore alle Autonomie locali e funzione pubblica e assessore all’Economia.
Cosa osserva la Corte? Innanzitutto che è sì vero che il numero delle aspettative concesse - fissato in 21 per il comparto non dirigenziale e 3 per l’area della dirigenza - è inferiore rispetto al precedente calcolo numerico (un dipendente ogni 650), 25 invece di 21. Ma il parametro 1 ogni 650 si applica, considerato l’aumento di personale regionale di 5 mila unità avvenuto il primo gennaio del 2011. Il parametro, dice la Corte, si sarebbe mantenuto più basso senza quell’aumento di personale.
Rispetto al numero di giornate di permesso sindacale retribuito, scrive la Corte, “i contenimenti operati al contingente dei permessi, non appaiono idonei a colmare la più che significativa distanza tra la disciplina regionale e quella applicabile negli altri comparti”.
E ancora “emerge che il contingente dei permessi in ambito nazionale è pari a 76 minuti e 30 secondi annui per dipendente mentre in ambito regionale, considerando il personale a tempo indeterminato in servizio al 31 dicembre 2010 e il contingente dei permessi previsto a regime per il 2012, tale quota ascende a 775 minuti e 50 secondi”. “Non può d’altra parte sostenersi - aggiunge la Corte - , come ha fatto l’Aran Sicilia, che l’art. 8 dell’accordo produca dei risparmi, stimati complessivamente in 3,2 milioni di euro per il quadriennio di vigenza dell’accordo”. Non si tratta infatti di risparmi in senso proprio ma di “un recupero di produttività derivante dalla presenza in servizio di un maggior numero di dipendenti. Tale presunto aumento di produttività è tuttavia difficilmente quantificabile in termini economici”.
A questo punto la Corte chiede un “rapido avvicinamento agli analoghi contingenti previsti in ambito nazionale” e anche un’implementazione dei controlli sulla fruizione delle prerogative sindacali.
Infine solo per i dirigenti in aspettativa sindacale, in base al nuovo accordo, non è più prevista l’erogazione della retribuzione di risultato ma solo di quella di posizione. La Corte, però, sottolinea che “rimane improcrastinabile un definitivo allineamento alla disciplina contrattuale vigente in ambito nazionale per il personale non dirigenziale, per il quale, in caso di aspettativa sindacale, è prevista l’attribuzione del trattamento economico accessorio di produttività, solo in base all’effettivo apporto dato al raggiungimento degli obiettivi”.
Anche le ore di diritto di assemblea a livello regionale sono di più che a livello nazionale: 12 contro 10 ore. E’ chiaro come la Corte dei conti dica basta ai privilegi dei dipendenti regionali.
Articolo pubblicato il 13 ottobre 2011
Raggiri irlandesi e risparmiatori ignari
Avevano detto che le banche irlandesi erano state salvate con i soldi dello Stato e lo Stato con i soldi dell'Europa. Mancava un piccolo particolare: gli istituti di credito di Dublino sono stati salvati anche grazie a un'operazione spregiudicata - e legalizzata - a danno dei risparmiatori italiani. È il caso di Bank of Ireland. L'istituto ha ristrutturato i suoi bond, offrendo agli investitori la possibilità di convertire i vecchi titoli con bond nuovi. Il problema è che questa proposta non è mai arrivata ai risparmiatori italiani, anche perché molte banche del Belpaese non li hanno mai avvertiti: così per le circa 200 famiglie italiane che avevano investito nei bond di Bank of Ireland è stata applicata la clausola riservata a chi non aderiva all'offerta. Sapete quale? Perdita quasi totale. Per ogni mille euro investiti in bond di Bank of Ireland, è stato rimborsato loro un solo centesimo di euro. Chi aveva investito 10mila euro, insomma, si è trovato 10 centesimi sul conto corrente e tanti saluti. Sembra incredibile, ma Bank of Ireland ha probabilmente agito rispettando – almeno nella forma – le leggi. E ha anche avuto il via libera della Commissione europea. Così l'istituto britannico ha salvato le penne, staccandole una a una agli ignari risparmiatori italiani: in tempi di crisi, funziona così. Mors tua, vita mea.
Grecia: da oggi nel caos per due giorni
Fermi trasporti, ministeri, ospedali, portuali e avvocati
13 ottobre, 11:03
(ANSA) - ATENE, 13 OTT - Oggi e domani in Grecia tutti i mezzi di trasporto, salvo treni suburbani, resteranno fermi per lo sciopero di 48 ore indetto dai lavoratori del settore che alle 11 hanno in programma una manifestazione nel centro di Atene e una marcia di protesta fino al Parlamento. Tra oggi e domani resteranno fermi anche taxi, siti archeologici, musei, dipendenti di vari ministeri, giornalisti e avvocati. Scioperi a singhiozzo anche da parte dei portuali, mentre i medici si fermeranno per 4 ore.
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