Marò, firmato accordo con le famiglie dei pescatori: ''Perdoniamo i fratelli italiani''
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Rimborsi fiscali, contribuenti.it: 2 su 3 bloccati.
La discriminazione geografica della Rc Auto
Niente soldi dal pubblico, aziende chiudono: in Sicilia debiti per 3 miliardi
Crisi: Saccomanni, non c'e' contrazione del credito
Spagna: la scure dei tagli sanita’ sugli immigrati irregolari
Ungheria: Simor, rischia mancare target inflazione 3% in 2013
Marò, firmato accordo con le famiglie dei pescatori: ''Perdoniamo i fratelli italiani''
ultimo aggiornamento: 24 aprile, ore 15:33
New Delhi, 24 apr. (Adnkronos) - "Perdoniamo i fratelli italiani". Così si sono espresse le famiglie dei due pescatori uccisi lo scorso 15 febbrario dell'incidente in cui sono coinvolti i due marò italiani, secondo quanto riferito dall'emittente indiana Times Now, dopo la firma dell'accordo extragiudiziale con il governo italiano.
L'accordo, firmato davanti all'Alta Corte del Kerala, prevede da parte italiana una donazione 'ex gratia' di 10 milioni di rupie, circa 150mila euro, per ciascuna famiglia. I familiari dei due pescatori uccisi, riferiscono i media indiani, hanno quindi ritirato le petizioni presentate presso le autorità giudiziarie in qualità di parte lesa.
Gli assegni circolari da dieci milioni di rupie sono state consegnate dalle autorità italiane al Lok Adalat (tribunale popolare) di Kochi, scrive l'Hindustan Times. La scorsa settimana, l'attuazione dell'accordo extragiudiziale raggiunto dalle famiglie di Ajesh Binki e di Gelastine e dalle autorità italiane per il risarcimento era stato trasferito dall'Alta corte di Kochi al tribunale popolare della stessa città. Gli assegni consegnati sono quindi due: uno sarà diviso dalla vedova di Gelastine e con i suoi due figli, il secondo assegno dalle due sorelle di Binki.
Un portavoce del ministero degli Esteri di New Delhi, secondo quanto riferisce l'agenzia Pti, ha precisato che il procedimento giudiziario contro i due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone andrà avanti. Nonostante l'accordo siglato tra il governo italiano e le famiglie dei pescatori uccisi nell'incidente che vede coinvolti i due marò, e gli indennizzi corrisposti da parte italiana, il caso giudiziario "continuerà", ha detto il funzionario.
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Rimborsi fiscali, contribuenti.it: 2 su 3 bloccati.
ROMA - In Italia, quando si tratta di pagare le tasse il fisco non perdona. Basta anche un solo giorno di ritardo per far scattare cartelle di pagamento con sanzioni ed interessi da capogiro. Ma sul versante opposto, lo Stato, invece, si conferma un pessimo e tardo pagatore. Nel 2012 risultano bloccati 2 rimborsi fiscali su 3, con una crescita del 74% rispetto all'anno precedente. Peggiorano anche i tempi di attesa. Nel 2012 l' amministrazione finanziaria fa attendere anche 14,3 anni per rimborsare le imposte, contro i 12,8 del 2011, quando la media europea è di 12 mesi.
E' questa la sintesi della nuova inchiesta condotta da KRLS Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it Magazine dell'Associazione Contribuenti Italiani.
Secondo la classifica stilata da KRLS Network of Business Ethics, l'Italia si aggiudica il 'primato mondiale' per la lentezza n! ei rimborsi fiscali con 14,3 anni, seguita dalla Turchia (4,2 anni), della Romania (3,9 anni) dalla Grecia (3,8 anni), dalla Spagna (2,3 anni), dell'Albania (2,1 anni), dalla Francia (1,6 anni), dall'Inghilterra i (1,2), dalla Germania (0,8 anno), dall'Austria (0,4 anni), dagli Usa (0,2 anni) e dal Giappone (0,1).
In Italia, in cinque anni, il debito pubblico per i rimborsi fiscali si è quasi triplicato passando da 18,9 miliardi del 2007 a 54,2 miliardi del 2012, da rimborsare a 12,8 milioni di contribuenti.
Nel 2012, i contribuenti maggiormente penalizzati dai mancati rimborsi dei crediti fiscali sono quelli residenti in Campania, con +202,6%. Secondo e terzo posto spettano rispettivamente a quelli residenti nel Lazio con + 196,3% ed in Valle d'Aosta con +184,1%. A seguire nell'Emilia Romagna con +181,5%, nella Toscana con +179,1%,nella Liguria con +169,6%, nella Sicilia con +168,7%nelle Marche con +166,6%, nella Puglia con +164,4%, nell'Abruzzo con +159,1%, nel Piemon! te con +157,1%, nel Veneto con +142,9%, ed in Lombardia con +141,0%.
Tutto questo accade perché non solo le Amministrazioni finanziarie, dopo 12 anni, non ha ancora dato attuazione all'art. 8 dello Statuto del contribuente, in dispregio della Carta Costituzionale, ma soprattutto perché il Governo ha ridotto le dotazioni del programma di spesa per i rimborsi d'imposta.
"Per esigenze di cassa non si può sempre far leva sui rimborsi fiscali - afferma Vittorio Carlomagno, presidente di Contribuenti.it Associazione Contribuenti Italiani - I fondi recuperati dalla lotta all'evasione fiscale debbono, innanzitutto, essere utilizzati per ripianare i debiti che lo Stato ha nei confronti dei contribuenti".
"Agiremo innanzi alle Corti di giustizia europee per denunciare questo scandalo tutto italiano ed assisteremo i Contribuenti nel far valere i loro diritti - continua Carlomagno - Serve un Europa forte che difenda i diritti dei contribuenti. Urge un'armonizzazione fiscale in m! odo che, quanto prima, in tutta Europa, la tassazione possa essere omogenea - conclude Carlomagno - e i rimborsi fiscali possano essere erogati con gli stessi tempi e modalità"
Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani
L'ufficio stampa Infopress 3314630647 – 0642828753
La discriminazione geografica della Rc Auto
E quella norma "affossata" dal governo
Le liberalizzazioni teorizzavano per «le classi di massimo sconto identiche offerte su base nazionale». Ma il Ministero dello Sviluppo economico chiarisce: «Contrasto con la normativa europea»
MILANO - E se l'assicurazione per la propria autovettura originasse una vera e propria discriminazione geografica, dettata dalla città di residenza? Se contravvenisse persino all'articolo 3 della Costituzione, comma 2, quello che sancisce la nascita dello stato sociale e che indica al legislatore di rimuovere tutti gli ostacoli (anche sostanziali) che impediscano l'effettiva parità di diritti tra i cittadini? La questione è nota, ma i costi per la Rc Auto - soprattutto nel sud del Paese - hanno ormai assunto dimensioni imbarazzanti, tanto che il fenomeno delle autovetture prive di "copertura" sta assumendo sempre più i contorni di un'enorme fuga collettiva dalle compagnie assicurative.
IL DECRETO - Ecco perché il decreto Liberalizzazioni tentava di attenuare questa sproporzione geografica (a Napoli la tariffa media Rc Auto è tre volte superiore a chi risiede a Milano, mette nero su bianco il portale Supermoney) all'articolo 32. Il testo licenziato dal governo diceva così: «Per le classi di massimo sconto, a parità di condizioni soggettive e oggettive, ciascuna delle compagnie di assicurazione deve praticare identiche offerte». La norma era stata accolta con favore anche dalle associazioni dei consumatori, soprattutto presupponeva il sospiro di sollievo della gran parte dei residenti nelle regioni meridionali (guidatori virtuosi e onesti) che pagavano il conto per colpa anche di chi truffa le compagnie, utilizzando i rimborsi della Rc Auto come un autentico ammortizzatore sociale.
IL DIETROFRONT - Ma chi si attendeva l'applicazione delle stesse tariffe su tutto il territorio nazionale ora dovrà ricredersi. Una nota del Ministero dello Sviluppo Economico ha chiarito che escludere il parametro della territorialità nell'analisi del rischio sarebbe in contrasto «con il principio di libertà tariffaria sancito dalla normativa europea». Un'analisi che - pur corretta da un punto di vista commerciale per le compagnie assicurative - rischia di tradursi in un'autentica sperequazione dettata da dove si nasce o si risiede. Dice Andrea Manfredi, amministratore delegato di Supermoney (portale comparatore di polizze auto) che tutto ciò presenta i connotati di uno «schiaffo sociale».
Fabio Savelli@FabioSavelli
Niente soldi dal pubblico, aziende chiudono: in Sicilia debiti per 3 miliardi
Gli spaventosi dati sono forniti dalle associazioni di categoria e dagli uffici del dipartimento regionale dell'Economia. "Il 60% delle imprese è fornitrice degli enti pubblici - dice Alessandro Albanese di Confindustria Palermo - per cui i ritardi, la malaburocrazia e talvolta l'intermediazione della politica hanno contribuito nel 2011 alla chiusura di 600 imprese in tutta l'Isola di cui circa 200 solo a Palermo, con oltre 1200 lavoratori licenziati"
di RICCARDO VESCOVO
PALERMO. Gli imprenditori la spiegano un po' così: «Fino ad aprile si attende l'approvazione del bilancio e gli enti pubblici non saldano i debiti con le aziende, a settembre invece scattano i meccanismi rigidi del patto di stabilità. Se sei fortunato ti pagano tra giugno e agosto, altrimenti puoi aspettare anche due anni». Un meccanismo ritenuto «infernale», che è solo uno dei tanti motivi per i quali oggi le imprese siciliane, secondo i dati forniti delle associazioni di categoria e dagli uffici del dipartimento regionale dell'Economia, vanterebbero tre miliardi e mezzo di euro nei confronti dello Stato, della Regione e degli enti locali. Per capire la dimensione del problema basta solo sapere che «il 60% delle imprese è fornitrice degli enti pubblici - dice Alessandro Albanese di Confindustria Palermo - per cui i ritardi, la malaburocrazia e talvolta l'intermediazione della politica hanno contribuito nel 2011 alla chiusura di 600 imprese in tutta l'Isola di cui circa 200 solo a Palermo, con oltre 1200 lavoratori licenziati».
Questa volta il problema non è un marchio di fabbrica dell'Isola ma riguarda tutto il mondo
imprenditoriale italiano. Antonio Tajani, da vicepresidente della Commissione europea e commissario responsabile per l'Industria e l'imprenditoria, spiega che «c'è una direttiva che prevede pagamenti entro 30 giorni, con limitate eccezione fino a 60, pena interessi di mora dell'8%.
Gli Stati dell'Unione europea devono attuarla in maniera corretta e completa entro il termine ultimo di marzo 2013 per evitare procedure d'infrazione da parte della Commissione». E invece la norma non sarebbe stata ancora recepita «e in Italia capita che per saldare un debito della pubblica amministrazione - sostiene Mario Filippello della Cna - passino da sei mesi fino a due anni. Così o l'impresa ha le spalle solide o è destinata a entrare in crisi».
La questione interessa un po' tutti i settori produttivi, a cominciare dalla sanità, dove Barbara Cittadini, nelle scorse settimane, aveva lanciato un appello assieme all'ex presidente di Confindustria Ivan Lo Bello: «Le nostre aziende vantano un credito di 130 milioni, senza il pagamento delle prestazioni da parte della Regione sono a rischio le retribuzioni dei seimila dipendenti del settore». L'esempio più eclatante è però quello degli Ato rifiuti, società nate per gestire la raccolta in Sicilia oggi al collasso, che attendono il pagamento di circa un miliardo da parte dei Comuni. «Il buco si ripercuote su tanti lavoratori - spiega Filippello - dal meccanico che ha aggiustato un mezzo al fornitore di carburante».
Per Giuseppe Catanzaro, di Confindustria Sicilia, «i ritardati pagamenti costituiscono un altro grave fenomeno del deliberato agire di certa politica, che assieme ai Comuni appare a dir poco distratta dal momento che nessuno si è preoccupato di incassare quel credito». Dal canto suo, l'assessore per l'Economia, Gaetano Armao ha spiegato che «la Regione ha fatto la sua parte a cominciare dall'accordo con le banche per la sospensione o la moratoria per le imprese di ogni settore del pagamento dei mutui e dei debiti, estendendone la portata ai finanziamenti erogati da Irfis, Ircac e Crias. Adesso stiamo lavorando con dare piena attuazione alla certificazione dei crediti vantati dai privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni locali». Ed è questo il tema che sta più a cuore delle associazioni di imprenditori, cioè la possibilità di attestare il credito vantato per poter ottenere o un finanziamento o una sorta di compensazione con i tributi da pagare. Del resto, spiega Tajani, «non vedo differenze tra l'obbligo, non solo giuridico ma anche morale, di pagare le tasse e quello della pubblica amministrazione di onorare puntualmente i propri debiti».
Crisi: Saccomanni, non c'e' contrazione del credito
24 Aprile 2012 - 17:11
(ASCA) - Roma, 24 apr - ''Evidentemente siamo preoccupati degli atteggiamenti del mercato pero' per quanto riguarda le analisi del Fondo Monetario riteniamo che il deleveraging, cioe' la riduzione dell'esposizione da parte delle banche nei confronti dell'economia sia gia' sostanzialmente avvenuta tra novembre e dicembre scorsi e che quindi oggi non ci sia una contrazione del credito, anzi abbiamo segnali che questo processo si sta invertendo. E siamo abbastanza convinti che il grado di capitalizzazione delle banche italiane sia piu' che adeguato''. Lo afferma in un' intervista in esclusiva a Mario Platero per America 24 su Radio 24, Fabrizio Saccomani, il direttore generale della Banca d'Italia, in arrivo da Washington dopo gli incontri FMI/Banca Mondiale seguiti da tre incontri diversi a New York con la comunita' finanziaria.
Alla domanda se si riesce a vendere il debito italiano in America, Saccomanni replica: ''Io credo di si. Tra l'altro abbiamo fatto quattro conti e coloro che avessero comprato il debito italiano a novembre-dicembre avrebbero fatto un profitto del 20% in pochi mesi''.
did/
Spagna: la scure dei tagli sanita’ sugli immigrati irregolari
24 aprile, 16:01
(di Paola Del Vecchio) (ANSAmed) - Madrid, 24 APR - La scure dei tagli alla spesa sanitaria si abbatte sugli immigrati irregolari in Spagna. Secondo il decreto pubblicato oggi sulla gazzetta ufficiale (Boe), costoro resteranno senza tessera sanitaria a partire dal prossimo 31 agosto, se non potranno provare i versamenti alla previdenza sociale. Finora agli stranieri bastava l'iscrizione all'anagrafe comunale per ottenere la tessera che dà accesso ai servizi di assistenza primaria. In ogni caso, fonti del governo citate dai media, sottolineano che qualunque immigrato continuerà ad avere accesso ai pronto soccorso, specialmente i minori di 18 anni e le donne in gravidanza, che continueranno ad avere una copertura completa dell'assistenza sanitaria, così come previsto dalla legge. Secondo le stime pubblicate oggi dal quotidiano El Pais, si calcola che saranno ritirate 150.000 tessere sanitarie, se gli immigrati non potranno dimostrare l'iscrizione alla previdenza sociale e il pagamento delle imposte nel paese iberico. Il risparmio medio stimato in base alla spesa media degli spagnoli nel servizi sanitari è di circa 250 milioni di euro, rispetto ai 500 milioni inizialmente previsti dall'esecutivo presieduto da Mariano Rajoy, Attualmente sono 459.946 stranieri iscritti alle anagrafi comunali, dei quali la maggioranza (306.477) residenti della Ue, che non hanno obbligo di iscrizione al Registro centrale degli Stranieri e sono pertanto esclusi dalle nuove restrizioni. Allo stesso tempo, il decreto stabilisce che "gli organi competenti in materia di immigrazione potranno comunicare all'Istituto nazionale della previdenza sociale i dati imprescindibili per comprovare i requisiti, senza il consenso dell'interessato". Il provvedimento contiene "le misure urgenti per garantire la sostenibilità del sistema sanitario nazionale", con le quali il governo del PP punta a ridurre di 7 miliardi di euro, per centrare l'obiettivo del 5,3% del Pil imposto per l'anno in corso da Bruxelles. Introduce, inoltre, contributi alle prestazioni farmaceutiche - del 10% per i pensionati, fino al 60% per i redditi superiori ai 100.000 euro annui - e il pagamento di protesi, prodotti dietetici e trasporto sanitario non urgente, considerati "prestazioni accessorie" e pertanto a carico degli utenti. Le comunità autonome avranno tempo fino al 30 giugno per adattare l'erogazione dei servizi farmaceutici alla nuova normativa. Le restrizioni alle prestazioni sanitarie agli immigrati in posizione irregolare hanno suscitato la protesta di associazioni come Sos Racismo, che le bolla come "misure incostituzionali", che rischiano di alimentare "l'esclusione e la conflittualità sociale". Da parte sua, la Federazione Statale delle associazioni per immigrati e rifugiati, considera i tagli all'assistenza sanitaria agli stranieri "un'aggressione", e ricorda che questo collettivo è quello che meno fa ricorso ai servizi sanitari e ai consumi farmaceutici, rispetto alla media degli spagnoli.
(ANSAmed).
Ungheria: Simor, rischia mancare target inflazione 3% in 2013
Non si può affermare con certezza che l'Ungheria sarà in grado di raggiungere l'obiettivo di inflazione al 3% nel 2013, come previsto. Lo ha dichiarato il governatore della Banca centrale ungherese, Andras Simor, aggiungendo che le tasse annunciate dal Governo come parte delle misure volte a ridurre il deficit di bilancio alzeranno probabilmente il tasso di inflazione.
La Banca centrale potrebbe inoltre avere bisogno di abbassare le sue stime di crescita sia per il 2012 che per il prossimo anno, ha spiegato Simor. Al momento attuale, l'Istituto centrale reputa che l'output economico salirà dello 0,1% nel 2012, con una crescita dell'1,5% prospettata per il 2013. Il prossimo report sull'aumento dei prezzi al consumo verrá pubblicato a fine giugno, ha concluso il governatore.
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