lunedì 31 gennaio 2011

Notizie dall’Unione europea, Storia di un ingegnere che ha lasciato l'Italia; 31 gennaio 2011

Politica ed economia:
1. Storia di un ingegnere che ha lasciato l'Italia e abbracciato il vento danese.

Finanza e debiti sovrani:
2. Egitto nel caos, non si fermano le proteste. Moody's declassa il debito, Borse ancora chiuse.


1. Storia di un ingegnere che ha lasciato l'Italia e abbracciato il vento danese. di Giorgio Nava. Lasciare l'Italia senza rimpianti. Unirsi alla fuga «silenziosa, dei professionisti validi e normali, che sta avvenendo ogni giorno di più». Anche se ingegnere, appartenente dunque a una delle professioni più "solide" del sistema produttivo. E' la storia di Antonino Pizzuto, ingegnere meccanico siciliano di 34 anni che - a un certo punto della sua vita- ha deciso che era ora di dire "basta". Un "basta" dettato da una semplice domanda: quale futuro, per la figlia appena nata, in Italia?
Ma c'è dell'altro: perché gli ingegneri, i "costruttori" del futuro, lasciano la Penisola? Nella risposta ai due quesiti troviamo la chiave di lettura della storia di Antonino, laureatosi col massimo dei voti all'Università di Catania. Protagonista di un doppio espatrio: prima dalla Sicilia al Piemonte, poi dal Piemonte alla Danimarca. Dove si è messo al lavoro in uno dei settori trainanti dell'industria locale: l'energia rinnovabile. Ottenendo un contratto in una delle aziende leader a livello mondiale.
«La mia esperienza universitaria è stata positiva, forse un po' troppo teorica, ma in generale mi hanno formato molto bene, se teniamo conto che -per anni- ho lavorato con colleghi di mezzo mondo, senza prendere lezioni da nessuno»: forte del suo bagaglio tecnico, Antonino parte così per Torino, dove viene assunto in una grande azienda metalmeccanica. Il processo di selezione è professionale e meritocratico: tre colloqui e test attitudinali, poi il contratto. «Nei primi anni ho fatto un'ottima carriera, con riconoscimenti salariali quasi annuali. Poi - a un certo punto - hanno continuato a crescere solo le responsabilità, ma non lo stipendio - insieme a "straordinari" sempre più pretesi». Quel che è peggio, Antonino osserva progressioni di carriera "sospette", «decise dall'amicizia, piuttosto che dal valore. Il problema è che noi italiani siamo più bravi a costruire relazioni che progetti, e alla fine tendiamo con naturalezza a dare una certa importanza alle prime». Gli "amici degli amici" cominciano a sorpassarlo… ovviamente a destra.
La nascita della figlia rappresenta il detonatore di un sentimento che da tempo covava sotto le ceneri: «il desiderio di un trasferimento all'estero si è trasformato in una necessità. Abbiamo cominciato a chiederci cosa avremmo potuto offrire a lei, e ai suoi eventuali fratelli. Che scuola, se non potevamo permettercene una privata? Che opportunità, se non eravamo ricchi in un Paese dove tutto - ormai - sembra in vendita?»
La moglie - ricercatrice a progetto all'università - era nel frattempo stata messa gentilmente alla porta, non appena aveva comunicato di essere incinta. Antonino comincia a inviare curricula: riceve diverse proposte, in giro per l'Europa, fino a quando non si concretizza quella decisiva. A proporgliela è la Vestas, azienda danese leader nella progettazione e produzione di turbine eoliche. Destinazione: Aarhus, la seconda città del Paese. Antonino fa le valigie: via da «orari assurdi, capi spesso indisponibili al confronto, poca innovazione e molta politica». Presto lo seguiranno altri: «in un semestre, nell'azienda danese dove mi trovo ora, siamo passati da un solo italiano assunto a ben sei».
Dopo l'arrivo in Danimarca, la vita di Antonino e della sua famiglia è radicalmente cambiata. Quello che descrive è un mondo alla rovescia, esattamente speculare al Belpaese: «partiamo dallo stipendio, appena esci dall'Italia praticamente raddoppia. Sistema sociale: quasi tutto è gratis e funziona in modo meraviglioso. Finalmente non mi sento stupido a pagare le tasse. Meritocrazia: qui non è una "favoletta", con cui riempire le discussioni serali in tv. Se vali, sei premiato: io sono stato promosso dopo appena due mesi. Infine, bilancio tra lavoro e vita privata: questa è stata la sorpresa più grande. In Italia si lavora tantissimo, male e per pochi euro. Esistono però Paesi dove - oltre il lavoro - c'è una "vita". Personalmente lavoro duramente dalle 8 alle 16.30: alle 17 sono a casa. Il livello di stress è crollato e la "felicità" è salita alle stelle. Quanti soldi vale il sorriso di tua figlia?»
Antonino rimpiange il sole della sua Sicilia, ma la qualità della vita e del lavoro danesi lo aiutano a superare i lunghi inverni nordici. Resta però un'ultima, amara, considerazione: «la nostra società non è - da anni - realmente democratica. Per me la democrazia finisce, quando il figlio di un impiegato non ha le stesse opportunità di quello di un ricco. Io vorrei che mia figlia potesse scegliere cosa fare nella vita, con tante possibilità avanti. Onestamente, questo è possibile - oggi - in Italia?». Sergio Nava è il conduttore di "Giovani Talenti" su Radio 24 (sabato, ore 13.30-13.55 CET)
2. Egitto nel caos, non si fermano le proteste. Moody's declassa il debito, Borse ancora chiuse. Nel settimo giorno degli scontri contro il regime l'agenzia di rating Moody's ha declassato il debito dell'Egitto da Ba1 a Ba2, con outlook passato da stabile a negativo. La decisione é stata presa a fronte dell'aggravarsi della situazione politica e nel timore che la risposta politica ai disordini di piazza possa minare le già deboli finanze egiziane. Anche le piazze finanziarie egiziane continuano a rimanere chiuse a causa dei disordini che da alcuni giorni stanno sconvolgendo le attività nel paese. I mercati azionari erano rimasti chiusi già ieri, domenica, giorno feriale in Egitto e negli altri paesi musulmani. Nei giorni precedenti la chiusura, l'indice Egx30 della Borsa del Cairo aveva perso pesantemente terreno, con una flessione dell'11% nella sola giornata di giovedì.
Petrolio in rialzo. Ma la difficile situazione in Egitto ha provocato anche un rialzo del prezzo del greggio sui mercati asiatici, in un mercato che teme le turbolenze nel passaggio del petrolio dal Canale di Suez. Il Wti, consegna marzo, é salito di 37 cents a 89,71 dollari a barile e il Brent del Mare del Nord di 18 cents a 99,60 dollari.
Euro in calo sul dollaro. La crisi egiziana fa sentire i suoi effetti anche sulle quotazioni. L'euro apre sotto quota 1,36 dollari, dopo essere sceso a un minimo di 1,3571 dollari. La moneta europea passa di mano a 1,3599 dollari. Euro/yen a 111,63 e dollaro/yen a 82,07.
La situazione in piazza. Mubarak sempre più solo. È terminato da poco il coprifuoco al Cairo e gli egiziani si preparano al settimo giorno di protesta. La centrale piazza Tahrir è stata presidiata da una folla di qualche centinaio di manifestanti. L'esercito, d'altro canto, non fa molto per applicare il coprifuoco, se non ricordare che chiunque lo violi è in pericolo.
Il governo appena nominato dal presidente egiziano, e affidato ad Ahmed Shafik giocherà l'ultima carta del rais, che in una lettera ha esortato l'esecutivo a mantenere i sussidi, controllare l'inflazione tagliando i prezzi e aumentare i posti di lavoro.
L'iniziativa di Mubarak, però, appare ben poca cosa rispetto all'entità della protesta, che oggi dovrebbe concretizzarsi in uno sciopero generale. E il rais sembra anche aver perso del tutto i contatti con Washington, che ieri ha fatto intendere di veder bene la sua rimozione e l'avvio di una fase di transizione. Prima il segretario di Stato, Hillary Clinton, e dopo Barack Obama hanno, di fatto, dato il benservito a Mubarak. Il presidente americano ha chiamato alcuni leader stranieri sostenendo che in Egitto serve «una transizione ordinata verso un governo che risponda alle aspirazioni del popolo».
A chiedere un «governo di transizione» era stata tutta l'opposizione, compresi i potenti Fratelli Musulmani, che ha delegato a Mohamed ElBaradei il compito di negoziarla. L'opposizione egiziana negozierà la transizione non con il presidente Hosni Mubarak ma con l'esercito, ha poi dichiarato Ayman Nour, dissidente storico e oggi esponente di spicco della protesta.
La posizione di Israele. Israele ha fatto pervenire un messaggio confidenziale agli Stati Uniti e ad alcuni paesi europei, chiedendo loro di sostenere il presidente Hosni Mubarak e il suo governo. Secondo quanto riferito dal quotidiano Haaretz, in questo messaggio i responsabili israeliani sottolineano che è interesse dell'Occidente e di tutto il Medio Oriente mantenere la stabilità del regime in Egitto. 31 gennaio 2011

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