Forza Eva:
Bozen. «Il 17 tutti in Austria a fare shopping».
Bozen. Ferrovie: Holzmann (Pdl), Germania riduce treni verso l'Italia.
Bozen. Unità d'Italia: Napolitano scrive a Cagnotto e Dallapè, grazie azzurre.
Bozen. Ceto medio: bandi per 320 alloggi.
Trento. Mutui casa, arriva la stangata sui mutui.
Il senso di Chabod per l'autonomia.
San Marino. E.C.S.O.: Tremonti
Padani dell'ovest:
Milano. All'inno di Mameli la Lega Nord lascia il consiglio regionale
Milano. Inno d'Italia, strappo leghista: i consiglieri fuori dall'aula regionale
Modena. Saldi invernali, è un flop: -12%.
Sanremo. Miss Italia cerca casa a Sanremo.
Padani dell'est:
Nucleare, Zaia: «Un sito in Veneto? Con me sarà sempre no a questa ipotesi»
Treviso. L' apprendistato "recupera" i quindicenni
Vicenza. «Comuni, la lotta all'evasione darà fondi per chi assume»
Verona. Previdenza complementare, dati sconfortanti in Veneto
Il tamburo di latta:
Roma. Carceri sovraffollate: altri due morti nelle case circondariali di Padova e Pesaro
Roma. Camera, Radicali: Nuovo regolamento contabile ostacola controlli
Napoli. Un 17 marzo contro ogni camorra.
Bozen. «Il 17 tutti in Austria a fare shopping». 15/03/2011 17:54 BOLZANO - Niente festa il 17 marzo per il partito della separatista sudtirolese Eva Klotz, che invita ad utilizzare la giornata per fare shopping in Austria. «Non c'è nulla da festeggiare - ha detto Sven Knoll, esponente del movimento Suedtiroler Freiheit - per noi che non abbiamo scelto liberamente di far parte di un'Italia che ogni giorno viene derisa su scala planetaria per i suoi scandali e che ormai è al collasso economico». Meglio dunque, suggerisce Knoll, approfittare della giornata festiva per fare un pò di shopping nella vicina Austria.
Bozen. Ferrovie: Holzmann (Pdl), Germania riduce treni verso l'Italia. BOLZANO. Le ferrovie tedesche (Dbb) quest'anno cancelleranno circa 90 treni sulla tratta Monaco - Verona e questo comporterà un danno notevole per il turismo dell'Alto Adige, del Trentino e del Veneto. Lo dice il deputato del Pdl Giorgio Holzmann. "La decisione delle ferrovie tedesche - afferma - nasce dalle elevate tariffe praticate da Trenitalia per il noleggio dei locomotori sulla tratta italiana ma contrasta con la vocazione turistica di un territorio ampio e di notevole ricettività". In un'interrogazione, Holzmann chiede al governo "se il sistema ferroviario nazionale ha la funzione di favorire il trasporto dei passeggeri e di essere complementare al nostro tessuto economico o se è interessato solo all'alta velocità della tratta Milano - Napoli"
Bozen. Unità d'Italia: Napolitano scrive a Cagnotto e Dallapè, grazie azzurre. ROMA. "Gentili Tania Cagnotto e Francesca Dallapè, desidero innanzi tutto complimentarmi con voi, con le atlete e con l'intero team azzurro, per le straordinarie prove sportive coronate da tre medaglie d'oro e una di bronzo ai Campionati Europei di Torino". Comincia così la lettera che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato alle campionesse azzurre di tuffi Tania Cagnotto e Francesca Dallapè che domenica gli hanno dedicato il titolo europeo appena conquistato a Torino nella finale del trampolino da tre metri sincro. Il migliore omaggio che le atlete della Federazione Italiana Nuoto potessero rivolgere al Capo dello Stato, alla vigilia delle celebrazioni dei 150 anni dell'unità d'Italia (17 marzo 2011).
"Mi compiaccio soprattutto per la preparazione, la tenacia e lo spirito agonistico con cui avete tutti insieme perseguito questo brillante risultato, riuscendo a fare apprezzare sempre più le caratteristiche di stile, di eleganza e di bellezza di questa disciplina sportiva alle nuove generazioni", prosegue il presidente della Repubblica."Ma vorrei anche ringraziarvi per aver voluto dedicare la vostra vittoria - più che a me personalmente - al 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia.
E' vero, lo sport è"un grande valore di promozione nazionale", e mi fa piacere condividere il messaggio d'orgoglio che avete inteso lanciare da Torino, prima capitale dello stato unitario: "Celebriamo il compleanno dell'Italia e vinciamo tutti. Un saluto affettuoso, Giorgio Napolitano"."Ringrazio il capo dello Stato per l'attenzione mostrata nei confronti delle nostre atlete e dell'intero movimento - ha detto il presidente della Fin Paolo Barelli - che ci inorgoglisce tutti, nell'occasione della prossima festa nazionale per i 150 anni dell'Unita d'Italia".
Bozen. Ceto medio: bandi per 320 alloggi. L'Ipes è stato autorizzato ad acquistarne 100 sul mercato privato. BOLZANO. La Provincia accelera sugli alloggi al ceto medio e decide di premiare chi recupera appartamenti nei centri storici evitando così di sprecare nuove aree.
CETO MEDIO. Dopo il bando relativo ai 60 alloggi a Casanova, ieri la giunta provinciale ha approvato la delibera che consente all'Ipes di indire altri tre bandi di gara per complessivi 320 alloggi, tutti destinati al ceto medio. Spiega Tommasini: «Il fabbisogno attuale stimato è di 330 alloggi per il ceto medio al quale aggiungere altri 79 alloggi per completare il piano costruzioni dell'Ipes. A questo si aggiunge il fabbisogno futuro che in parte sarà assorbito dalle nuove aree che metterà a disposizione il Comune. Con questa delibera abbiamo voluto portarci avanti, per non trovarci poi in situazione di emergenza». La delibera prevede tre diversi modelli di bando. Il primo (100 alloggi) riguarda la possibilità che enti o associazioni senza scopo di lucro trovino dei terreni sui quali costruire e si impegnino a realizzare gli alloggi da cedere all'Ipes (standard minimo: CasaClima B) entro 24 mesi. Altri 120 alloggi potranno essere costruiti dall'Ipes dopo un bando che prevede l'acquisto di aree non ancora edificate: «Sappiamo - dice Tommasini - che il Comune non permetterà la costruzione di alloggi nel verde agricolo, ma col bando forse riusciremo ad individuare delle zone di completamento sulle quali anche il Comune sarà disposto a far costruire». Il terzo e ultimo bando (altri cento alloggi) riguarda invece la possibilità per l'Ipes di acquistare sul mercato degli alloggi già costruiti. «Valgono i limiti che abbiamo fissato lo scorso novembre che prevedono un prezzo massimo al metro quadrato di 2.300 euro», dice l'assessore. LAIVES. Sempre in tema di ceto medio, la giunta provinciale ieri ha approvato la delibera relativa alla costruzione degli alloggi al ceto medio che saranno realizzati a Laives, nella zona di espansione Toggenburg. Saranno complessivamente trenta (3 da 85 metri quadrati, 12 da 75 metri quadrati, 8 da 60 metri quadrati e 7 da 50 metri quadrati) e costeranno 6,7 milioni di euro. «Entro il mese di marzo - annuncia Tommasini - approveremo anche i bandi di gara relativi al
comune di Merano».
I RISANAMENTI. Dopo una discussione che si protraeva ormai da diverse settimane e dopo un'approfondita simulazione che ha riguardato i comuni di Bolzano, Sluderno e San Lorenzo di Sebato, la giunta provinciale ieri ha approvato la riforma dei criteri per i contributi a fondo perduto relativi alla realizzazione di alloggi per l'edilizia agevolata. «L'obiettivo - ha spiegato il presidente della giunta Luis Durnwalder - è quello di incentivare chi recupera aree edilizie in centro storico e permette quindi di risparmiare aree di espansione». La vecchia normativa prevedeva infatti soltanto degli incentivi per le nuove costruzioni nelle zone di espansione: ai Comuni veniva concessa una doppia agevolazione, pari al 50% del costo del terreno e al 50% dei costi di urbanizzazione (l'agevolazione veniva poi "girata" a chi costruiva per l'edilizia agevolata: nella maggior parte dei casi le cooperative). A questa incentivazione (che resta), ora si aggiunge un secondo binario: chi acquista e risana un alloggio per l'edilizia agevolata utilizzando cubatura già esistente, riceverà un contributo che potrà arrivare fino al 50% del costo di costruzione, pari a 330 euro al metro cubo. Per un alloggio da 100 metri (300 metri cubi), il contributo provinciale potrà dunque arrivare fino ad un massimo 49.500 euro. «Sono più soldi - spiega Durnwalder - di quanti ne riceve chi ad esempio costruisce nella zona di espansione di Sluderno, dove il contributo massimo è di 21 mila euro, ma la scelta è di privilegiare chi recupera le cubature esistenti. E il fatto che nei comuni periferici il contributo ha un valore relativo superiore a quello di Bolzano è legata al fatto di non voler svuotare la periferia».
Trento. Mutui casa, arriva la stangata sui mutui. 15/03/2011 11:35
TRENTO - Allarme delle associazioni dei consumatori sul rialzo dei tassi di riferimento che la Banca centrale europea deciderà il 7 aprile. Se l'aumento si limiterà allo 0,25%, un mutuo per la casa di 120 mila euro per 15 anni a tasso variabile vedrebbe la rata aumentare di 24 euro al mese, 288 euro l'anno. Se poi la Bce ritoccasse ancora i tassi durante l'anno, gli aumenti potrebbero superare il 10%. Ma l'incremento dei tassi d'interesse c'è già stato in questi mesi.
Il principale parametro di riferimento per il tasso variabile, l'Euribor, è raddoppiato in un anno. E i tassi fissi, che fino a novembre vedevano ancora proposte convenienti sotto il 4%, sono balzati in poche settimane oltre il 5%, fino a sfiorare il 6% e a superarlo se si aggiungono le spese. La Bce, per contrastare le tendenze inflazionistiche alimentate soprattutto dal rialzo dei carburanti, dovrebbe aumentare fra qualche settimana il costo del denaro prestato alle banche dall'1 all'1,25%.
Ma gli osservatori si aspettano un ulteriore incremento all'1,50% a giugno. I conti li fanno Federconsumatori e Adusbef. Nel caso di un mutuo decennale di 100 mila euro, l'aumento dello 0,25% porterebbe la rata mensile da 920 a 931 euro, con un aggravio annuale di 132 euro. Se il mutuo è ventennale, il rincaro annuo è di 144 euro. Nel caso di un prestito di 200 mila euro, per un decennale l'aggravio è di 264 euro l'anno, per un ventennale di 288 euro.
Il senso di Chabod per l'autonomia. Sergio Luzzatto. C'è un pezzo intero di storia dell'Italia unita - un tassello del mosaico oggi dimenticato dai più - per ritrovare il quale bisogna muovere dall'estrema periferia nord-occidentale della nostra carta geografica: da una piccola valle alpina situata al confine con la Francia, la val Savarenche. Ed è un pezzo di storia che ha per protagonista un uomo a sua volta dimenticato dai più, non fosse per il rifugio valdostano che ne porta il nome: il rifugio Federico Chabod, base di partenza per intrepidi alpinisti decisi a sfidare i crepacci del Gran Paradiso.
Figlio di un notaio della val Savarenche, Chabod era nato ad Aosta nel 1901. Aveva studiato lettere e filosofia dapprima all'università di Torino, poi a Firenze, a Roma, in Germania. Si era laureato con una tesi su Niccolò Machiavelli, e si era rapidamente imposto - alla fine degli anni 20 - come lo storico più brillante della sua generazione. Aveva fatto carriera muovendosi con abilità dentro le istituzioni culturali del fascismo, e aveva scritto, negli anni 30, studi a tutt'oggi insuperati sulla vita politica e religiosa dello Stato di Milano nell'età di Carlo V.
Se, per paradosso, l'esistenza di Federico Chabod si fosse interrotta a 42 anni, nel 1943, e fosse ripresa nel 1946 fino alla morte nel 1960, non ci sarebbe ragione di ricordarlo che per lo straordinario profilo d'intellettuale: il massimo storico italiano del XX secolo. Invece la vita di Chabod comprese una parentesi di tre anni, dal '43 al '46, durante i quali non fu un professore universitario di storia, ma tutt'altro: un capo partigiano, un uomo politico, il primo presidente della regione Valle d'Aosta. E in quei tre anni proprio la sua cultura di storico - una riflessione tanto prolungata quanto profonda sulle idee di patria, d'impero, di nazione, d'Europa - permise a Chabod di teorizzare e di praticare un modello istituzionale nuovo, inedito nella storia d'Italia: il modello dell'autonomia regionale.
Durante l'autunno-inverno 1943-44, dopo che l'8 settembre aveva consegnato l'Italia all'occupazione tedesca, Chabod inaugurò regolarmente il suo corso alla Statale di Milano, dedicandolo all'evolversi (e al corrompersi) dell'idea di nazione nell'Europa moderna. Ma nei primi mesi del '44, in un'Italia ormai lacerata dalla guerra civile, Chabod decise d'imprimere una svolta alla sua esistenza. Troncò ogni legame con gli ambienti culturali del fascismo, quali avevano cercato di riorganizzarsi sotto la Repubblica di Salò. «Maiora premunt – scrisse a un amico –; ragioni più alte devono, oggi, additare la via». Senza avere più vent'anni, e senza alcuna esperienza delle armi (orfano di padre, era stato esonerato dal servizio militare) il professor Chabod scelse di risalire le sue montagne per combattere la Resistenza.
Il sentimento di rinascere, da partigiano, a una nuova vita, è testimoniato dal nome di battaglia di Chabod: "Lazzaro". Di là da questo, un nuovo inizio per le valli alpine come regioni confinarie - nel loro problematico rapporto con gli Stati-nazione, che da secoli se le contendevano - era battezzato dalla "dichiarazione di Chivasso" che alcuni intellettuali dell'antifascismo clandestino, provenienti dalla Valle d'Aosta e dalle valli valdesi, avevano sottoscritto il 19 dicembre 1943: dichiarazione alla quale Chabod aveva contribuito con un testo preliminare, in cui va riconosciuto il documento fondativo dell'autonomismo italiano. La posa della prima pietra, su cui sarebbe cresciuto, dopo la Liberazione, l'edificio politico delle regioni a statuto speciale.
Impolverandosi con le carte degli archivi di mezza Europa, Chabod storico aveva imparato a diffidare del "principio-nazione" quale entità suprema dell'umano sviluppo: e le rovine fumanti dell'Italia fascista non potevano che confermarlo in tale diffidenza. Ma Chabod aveva imparato anche, specularmente, i limiti degli irridentismi e dei separatismi: la grettezza di ogni concezione striminzita, asfittica, intollerante, del "principio-regione". Così, per lo Chabod imprestato alla politica del triennio 1943-46, il futuro delle aree italiane di confine non stava nel cambiare patria (la Francia per la Valle d'Aosta, l'Austria per l'Alto Adige, la Jugoslavia per la Venezia Giulia), né stava nello sganciarsi dalla patria (la Sardegna ai sardi, la Sicilia ai siciliani). Il futuro era quello di "piccole patrie" istituzionalmente vincolate all'Italia nuova, ma garantite da una piena autonomia linguistica, culturale, amministrativa. E votate, in quanto regioni liminari, a servire da raccordo fra lo Stato-nazione e una comunità sovranazionale: non barriere, ma ponti, fra l'Italia e l'Europa a venire.
Dal novembre 1944 al maggio 1945, le circostanze della lotta resistenziale costrinsero Chabod all'esilio in Francia. Nel frattempo, da dirigente del Partito d'Azione, era stato nominato presidente del Comitato di liberazione nazionale valdostano, e forte di questa carica aveva perorato la causa politica dell'autonomismo presso i vertici del Cln. Ma Chabod si faceva poche illusioni sull'accoglienza che i valligiani avrebbero finito per riservare - nell'Italia libera - alla sua battaglia per una Valle d'Aosta insieme autonoma e italiana. «La mia azione contro i separatisti mi apporterà, personalmente, soltanto fastidi e amarezze; quel che dovrò poi fare in Valle, mi frutterà invidie, gelosie, attacchi. Poco importa...».
Chabod fu facile profeta. In Valle d'Aosta, il paesaggio politico del dopo-Liberazione era dominato dal contrasto tra il fronte ciellenistico, di cui Chabod era il massimo rappresentante, e la neonata Union valdôtaine, che brandiva la minaccia di un plebiscito e di un'annessione alla Francia come strumento per alimentare una concezione angusta e provinciale del regionalismo. Eletto di stretta misura alla presidenza del Consiglio di valle, Chabod dovette sopportare, il 26 marzo 1946, una manifestazione popolare degli annessionisti filo-francesi durante la quale venne fisicamente percosso, e si trovò a rischiare la sua stessa vita.
Superata la crisi, Federico Chabod lavorò ancora qualche mese per gettare le basi - amministrative oltreché politiche, e culturali oltreché legali - di quella novità assoluta che era la regione autonoma. In particolare, avvertendo la necessità di coinvolgere l'opinione pubblica locale mediante una scommessa su obiettivi concreti, Chabod s'impegnò nel duplice progetto del casinò di Saint-Vincent e del traforo del Monte Bianco. L'uno, il casinò, progetto quasi furbesco, per attirare turisti e creare posti di lavoro. L'altro, il traforo, formidabile sfida economica e tecnologica. Ma soprattutto, il traforo, simbolo di un'interpretazione dinamica e cosmopolita dell'idea di frontiera: frontiera non come separazione ma come interfaccia, luogo deputato all'incontro degli uomini, delle cose, delle idee.
Per promuovere tali obiettivi, l'azionista Chabod poté contare - a Roma - su un'intesa personale con il presidente del Consiglio, il democristiano Alcide De Gasperi, molto più che sulla collaborazione delle forze politiche valdostane. E anche per questo, forse, volle rapidamente chiudere quella parentesi della sua vita: nell'ottobre 1946, si dimise dalla carica di primo presidente della regione Valle d'Aosta. Nominato professore all'università di Roma, abbandonò per sempre la carriera politica, ritornando a fare quello che aveva fatto prima del settembre 1943: lo studioso di storia moderna e l'organizzatore di cultura.
Addirittura, Chabod scelse un esilio volontario dalla "piccola patria" che aveva contribuito a rifondare: dopo il 1946, rifiutò di mettere piede in Valle d'Aosta sino alla vigilia della morte. Il lettore acutissimo di Machiavelli, il raffinato interprete di Carlo V era uomo che volava alto, troppo alto, per accomodarsi dentro il cortile della politique politicienne.
San Marino. E.C.S.O.: Tremonti
15/03/11 10:28 [c.s.] L’Italia e Tremonti volgiono sconfiggere le infiltrazioni mafiose nel bel paese, volgiono sconfiggere l’evasione (in costante crescita in Italia) e indicano San Marino come principale covo di malavitosi e evasori fiscali d’Italia. Io mi chiedo se si accorgono che la Lombardia (a sentire i telegiornali Italiani) è piena di camorristi, la sicilia è in mano alla mafia e lo stato non c’è mai stato!
Roma (secondo il giornale tedesco BILD) è la capitale dei fancazzisti, la sanità del Lazio è in amministrazione controllata e perde 1miliardo di euro all’anno ed ha società di consulenza che fanno capo alle isole Cayman!
La fiat è controllata da Holding lussemburghesi e l’evasione fiscale Italiana è ai massimi degli ultimi 20 anni!
Ci dicano cosa volgiono e sopratutto cosa dobbiamo fare per adeguarci e smettano di lanciarci addosso accuse infamanti. Sappiamo di essere stati governati da persone discutibili ma ci lascino fare pulizia a noi come popolo senza infangare la nostra gente e la nostra storia.
Francesco Fabbri
Milano. All'inno di Mameli la Lega Nord lascia il consiglio regionale
Tranne Davide Boni, rimasto in aula per doveri istituzionali, i consiglieri del Carroccio sono andati alla buvette per bere un caffè o un cappuccino
MILANO. I consiglieri regionali lombardi della Lega Nord, come annunciato, non hanno partecipato all' esecuzione dell'Inno di Mameli che poco fa ha aperto la seduta dell'assemblea al Pirellone. In aula era presente solo il presidente Davide Boni, che ha assicurato la sua presenza per il ruolo istituzionale. Tutti gli altri leghisti, fra cui gli assessori e Renzo Bossi, sono rimasti alla bouvette a prendere un caffè e a fare colazione.
Mentre risuonava l'inno nazionale, come imposto da una legge per i 150 anni dell'Unità d'Italia, che solo il Carroccio non ha votato, tutti gli altri consiglieri regionali, invece, sono stati in piedi dietro i loro banchi, indossando chi una coccarda tricolore, chi una spilla o chi addirittura mostrando una bandiera italiana nel taschino della giacca, come l'assessore Romano La Russa. In aula per l'occasione anche il governatore Roberto Formigoni.
Poco prima dell'inizio della seduta c'è stato anche un siparietto tra lo stesso Formigoni e il capogruppo della Lega Nord, Stefano Galli. «Ti offro un caffè», ha detto il governatore all'altro. «No, te lo offro io», ha replicato il leghista.
I due, a cui si è subito aggiunto Renzo Bossi per una spremuta, hanno scherzato e parlottato per qualche minuto. Ma quando i lavori del consiglio regionale stavano per iniziare con l'esecuzione dell'inno nazionale, Formigoni si è congedato sottolineando: «il dovere mi chiama». Tutti i leghisti sono invece rimasti al banco della bouvette, compreso il vicepresidente della Giunta, Andrea Gibelli, per poi guadagnare i propri banchi non appena concluso l'inno. Dallo scranno della presidenza, il presidente Boni (che indossava una vistosa cravatta verde) ha subito dato il via alla discussione con l'ordine del giorno, senza fare alcun cenno alla celebrazione in onore dell'Italia.
Milano. Inno d'Italia, strappo leghista: i consiglieri fuori dall'aula regionale
Per il Carroccio in Aula solo il presidente Boni. Formigoni: «70 secondi di Inno non fan male a nessuno». MILANO - Alla «prima» dell'inno di Mameli eseguito nell'aula del Consiglio regionale della Lombardia in onore dei 150 anni dell'Unità d'Italia, i leghisti, come annunciato alla vigilia, non hanno partecipato. Gli esponenti della Lega Nord nel Consiglio, che si erano opposti alla legge regionale che prevedeva l'esecuzione dell'inno nazionale nella seduta di oggi, sono usciti dal'Aula prima dell'esecuzione patriottica che ha dato il via alla seduta per celebrare il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. Per il Carroccio era in Aula solo il presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, per svolgere il suo ruolo istituzionale. Gli esponenti della Lega, si sono fermati a prendere un caffè alla buvette.
Un gesto abbastanza prevedibile, quello della Lega già contraria alla festa del 17 marzo, ma che comunque ha creato scalpore prima ancora di venir messo in pratica. Il governatore Roberto Formigoni, come annunciato, era invece in aula, con una spilla con il simbolo 150 sulla giacca. «Settanta secondi di Inno di Mameli non fanno male a nessuno, sono un simbolo importante di quello che siamo», ha commentato, all'uscita dei consiglieri leghisti. «Da lombardi partecipiamo alla festa del tricolore. La Lombardia ha avuto una parte molto grande nella costituzione dell’Unità di Italia, abbiamo dato un contributo di sangue e di ideali e oggi continuiamo ad essere la locomotiva dello sviluppo dell’Italia in Europa e nel mondo».
BONI: «IN AULA MA IDEALMENTE FUORI» - Il presidente Boni, presente in aula «suo malgrado», ha poi commentato: «Purtroppo non ho potuto bere il cappuccino con gli altri del mio gruppo. Ero in Aula perché sono il presidente di tutti, ma idealmente non l'ho sentito. L'ho vista come una grossa azione demagogica, come se i problemi dei cittadini lombardi si risolvessero con tutta questa enfasi. Oggi il Paese chiede più sobrietà e non autocelebrazioni di sepolcri imbiancati». «La positività che registro - ha aggiunto ironico Boni - è che Formigoni sarà in Aula da qui a tutto il 2011. Vista infatti l'euforia con la quale ha salutato l'iniziativa di suonare l'Inno sono sicuro che non vorrà perdersene neanche uno» all'inizio di tutte le prossime sedute dell'anno. Il presidente dell'Assemblea lombarda ha criticato anche i 3.500 euro spesi dall'ufficio di presidenza per comprare un migliaio di bandiere tricolori ai cittadini, 490 dei quali sono stati però dati ai consiglieri regionali. Boni ha infine dato ordine ai commessi di evitare che durante l'esecuzione dell'Inno venissero sventolati Tricolori. «Queste cose - ha ribadito - vanno fatte con sobrietà e solennità nel rispetto di tutti, non come se fossimo una squadra contro l'altra».
BUFERA SUI LEGHISTI - «Penso che il miglior modo per onorare le istituzioni sia lavorare nell'interesse dei lombardi». Così il vicepresidente della Regione Lombardia, Andrea Gibelli, mentre sui leghisti si scatena la bufera delle polemiche. «È gravissimo che i consiglieri regionali lombardi della Lega siano usciti oggi durante l'esecuzione dell'inno di Mameli. È un vero e proprio schiaffo al Paese. Se non si sentono italiani si dimettano e rifiutino il lauto stipendio che gli arriva puntuale a fine mese», afferma il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando. «Chi non riconosce lo Stato che governa - afferma in una nota Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd - dovrebbe trarne le conseguenze. Non si può essere ministri, governatori, sindaci, assessori, consiglieri di un esecutivo nazionale, di una regione, di una provincia e di una città se non si approva l'ordinamento dal quale queste articolazioni discendono. Dal canto suo Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria nazionale del PdCI-Federazione della sinistra, ritiene «intollerabile che i consiglieri regionali lombardi della Lega siano usciti oggi durante l'esecuzione dell'inno di Mameli. I leghisti che fanno parte del governo o si dissociano pubblicamente da quanto fatto dai loro colleghi di partito a Milano o escano immediatamente dal governo nazionale della Repubblica italiana, che come recita la Costituzione è una e indivisibile, e sulla quale hanno giurato prima di fare i ministri. La Lega è secessionista. Chi non lo ha ancora capito continua a fare del male al Paese e alla sua unità, che ipocritamente festeggia ma che nei fatti calpesta ogni giorno». Redazione online
15 marzo 2011
Modena. Saldi invernali, è un flop: -12%. I modenesi non spendono e preferiscono risistemare scarpe e vestiti. Le associazioni: «L'andamento delle vendite natalizie e il buon avvio dei saldi invernali ci aveva fatto illusi. Invece si è trattato di un fuoco di paglia». I modenesi non hanno più soldi per shopping fine a se stesso. Se proprio devono spendere lo fanno quando è proprio necessario. La controprova arriva dal fatto che se, da un lato, nemmeno i saldi riescono più a spingere le vendite, dall'alto a veder aumentare il proprio volume di affari sono sarti e calzolai.
Questo significa che se prima i modenesi cambiavano scarpe ad ogni nuova stagione, ora quello che andava bene l'anno scorso andrà bene quest'anno e probabilmente pure il prossimo. «E' calma piatta» commentano sconsolati i rappresentanti delle associazioni di commercio che proprio in questi giorni stanno tirando le somme sui saldi invernali. I numeri sono desolanti, specie per la moda. Quando si arriva a parlare di un - 12% da un anno all'altro, e nel periodo in cui le vendite dovrebbero schizzare verso l'alto c'è poco di che essere allegri. «E pensare che l'andamento, sostanzialmente positivo delle vendite natalizie di dicembre e il buon avvio dei saldi invernali aveva fatto illudere che si fosse ad un punto di svolta. Invece si è trattato di un fuoco di paglia». Come evidenzia una preoccupata analisi di Fismo Confesercenti». Su quel -12% pesa la capacità di spesa sempre più ridotta delle famiglie.
Tutto questo preoccupa, e non poco, gli operatori del settore moda che non riescono ovviamente a guardare con fiducia il futuro. Rimanendo sui risultati del sondaggio Fismo Confesercenti evidenzia che «la vendita di capi di abbigliamento al dettaglio è stata contrassegnata da tanti segni meno, mentre hanno fatto registrare una sostanziale tenuta solo le calzature e gli accessori di pelletteria. Conforta il fatto che ad essere maggiormente premiate siano state le imprese che hanno attuato i saldi in modo corretto». Analisi sostanzialmente confermata in casa Confcommercio.
Come spiega Paolo Ivassich di Federmoda. «Si è partiti bene, poi le vendite si sono inchiodate. La media generale delle vendite è stabile per il 41%, è aumentata per il 15% e calata per il 44%. Unica nota consolante: i modenesi, rispetto al resto della regione si sono mostrati di manica più larga. Si è speso 105 euro in media contro i 94 del resto della regione». Anche Alberto Carretti, Lapam Licom, parla di calma piatta. «Ancora non abbiamo concluso l'analisi, ma c'è poco da dire: i modenesi in questo momento spendono solo se devono, i soldi preferiscono tenerli in tasca. Il momento, anche a livello internazionale, non è dei migliori. La gente è senza fiducia: non spende. Di conseguenza i nostri commercianti vedono un futuro incerto. Quanto avviene tra Giappone e soprattutto in Nord Africa non aiuta».
Dalla Cna, infine, parlano di saldi che non sono andati bene. Da qui la segnalazione che suona come un chiaro indizio. «Se i saldi ristagnano, abbiamo invece un boom per sartorie e calzolai. A riprova che chi, in passato, ha acquistato capi o scarpe di marca preferisce rinnovarli e proseguire con quelle. La crisi si misura anche 15 marzo 2011
così»
Sanremo. Miss Italia cerca casa a Sanremo. 15 marzo 2011 Francesca Baraghini. Il servizio completo su Il Secolo XIX in edicola. Francesca Testasecca, Miss Italia 2010
Sanremo - Miss Italia cerca casa. Dove? A Sanremo. Dopo la clamorosa rinuncia di Salsomaggiore al concorso di bellezza più famoso, scende in campo il sindaco sanremese Maurizio Zoccarato: «Sono anni che sogniamo di ospitare Miss Italia. E quando si comincerà a discutere con l’organizzazione di una nuova sede, noi saremo sicuramente in prima fila».
È già bufera, dunque, sul futuro del concorso che ha segnato pagine importanti del nostro costume. Per non dire di tutte le volte che ha cambiato il nostro senso della bellezza e consacrato dive e pin up. E che ha fatto sognare gli italiani, orgogliosi e convinti di avere le donne più belle al mondo. Ma una tradizione storica è stata liquidata da Massimo Tedeschi, sindaco di Salsomaggiore che sceglie di «salvare un asilo» piuttosto delle miss «è una questione finanziaria, non posso chiuderlo in nome di una gara. Mancano 600 mila euro, ma se Rai e Miss Italia ci finanziano, siamo pronti a continuare».
La verità sarebbe un’altra: difficoltà a far collimare la recezione di “Salso” con le esigenze della Rai che non vede l’ora di traslocare. Così il sindaco del “gran rifiuto” rischia di finire stritolato fra una crisi di bilancio e l’addio poco mesto di Patrizia Mirigliani: «Salso è nel mio cuore e oggi finisce un’epoca. Adesso valuteremo dove andare, le località sono tante». Anche Sanremo? «Soprattutto»
Nucleare, Zaia: «Un sito in Veneto? Con me sarà sempre no a questa ipotesi»
Il governatore a Antennatre: «La Regione non ha le caratteristiche necessarie per ospitare una centrale» Galan: «Equilibrio economico solo con un mix di diverse fonti. Ma l'eolico va limitato per tutelare i paesaggi»
TREVISO - «Non ho nulla da nascondere e l’ho scritto anche in un libro. Il Veneto non ha le caratteristiche necessarie per ospitare una centrale nucleare, per cui dico ai comitati che non perdano tempo a protestare: fino a quando ci sarò io sarà sempre no a questa ipotesi». Lo ha detto il presidente del Veneto Luca Zaia, intervenendo a La Voce del Mattino, su Antennatre, che ha diffuso una sintesi. «Il nucleare - ha aggiunto Zaia - è una buona tecnologia, ma se aggiungiamo anche gli aspetti sismici usciamo del tutto da una possibilità di una candidatura del Veneto a ospitare un sito. Il nucleare in mezzo al deserto o in una zona molto stabile ha un senso; in Giappone abbiamo invece purtroppo visto cosa vuol dire».
Anche il ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan si è espresso sul tema energia durante l'incontro con il Direttore Generale dell’Organizzazione Statale Federale e Agenzia per l’energia della Federazione russa. «La produzione dell’energia fotovoltaica in Italia -ha detto- rappresenta un costo notevole perché non è affiancato dall’energia nucleare. L’equilibrio economico infatti può essere ottenuto solo avendo a disposizione un mix di produzioni derivanti da diverse fonti: nucleare, fotovoltaico e biomasse. L’eolico, invece, va limitato, a tutela dei nostri splendidi paesaggi». «Leggo che il governo mediterebbe di abolire l’obbligo di indicare la localizzazione dei siti potenziali di nuovi impianti nucleari inizialmente prevista dal progetto di legge. Questa scelta, se confermata, sarebbe un indecente e vergognoso atto di omertà». Rosanna Filippin, segretario regionale del Pd Veneto, commenta così le notizie di stampa secondo cui il governo si appresta a modificare il progetto di legge sul nucleare, eliminando l’obbligo di comunicazione sulle possibili localizzazioni di nuovi impianti nucleari. Sulle dichiarazioni rese da Zaia, la Filippin aggiunge: «Troppo facile dire »da noi no«, se poi la Lega accetta il piano del governo. In caso di incidente nucleare in un’altra regione italiana, come crede Zaia di poter proteggere gli abitanti della nostra Regione? Forse distribuendo fazzoletti verdi a tutti i veneti? Non scherziamo, i rischi del nucleare non sono una barzelletta e la Lega, purtroppo, su questo tema è complice, a Roma, dell’ennesima politica sbagliata di Berlusconi».(Ansa)
Treviso. L' apprendistato "recupera" i quindicenni
TREVISO. Si tratta di percorsi professionalizzanti, fra pratica e teoria, per 400 ore di formazione: ci sono 50 mila ragazzi che non studiano e non hanno occupazione
Un protocollo d'intesa fra Regione e Ministero per corsi qualificanti rivolti agli adolescenti che abbandonano la scuola. Critiche della Cgil. Antonella Benanzato
TREVISO
Un po' sui banchi di scuola e un po' in azienda. Il Veneto è la seconda regione dopo la Lombardia a dotarsi di un programma di apprendistato indirizzato a quei quindicenni precocemente usciti dal sistema formativo scolastico, che come noto prevede l'obbligo di frequentare la scuola fino ai 16 anni. Il protocollo d'intesa firmato ieri a Conegliano dal presidente del Veneto, Luca Zaia, e dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, a Quinto di Treviso, prevede l'avvio di percorsi formativi in ottemperanza al decreto legislativo del 2003 sul diritto dovere di istruzione e formazione. I quindicenni veneti che non continueranno gli studi, grazie all'iniziativa siglata tra ministero e regione, potranno comunque ottenere una qualificazione professionale da spendere sul mercato del lavoro, unitamente a un'adeguata formazione culturale di base.
È UN INCENTIVO ALL'OCCUPAZIONE. L'intesa fa seguito all'analogo accordo firmato nello scorso dicembre tra Regione e parti sociali. Soddisfatto il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi che ha sottolineato come l'accordo si indirizzi proprio a «giovanissimi, quelli di quindici anni, quei giovani che sono usciti precocemente dal percorso educativo e che devono essere recuperati alla conoscenza» attraverso «esperienze pratiche che, tuttavia, si accompagnano con conoscenze teoriche». Secondo il titolare del Lavoro, il protocollo d'intesa firmato anche in Veneto, rappresenta «un particolarissimo tipo di apprendistato, che ha un contenuto formativo ma che si realizza riconoscendo che il lavoro è parte del processo educativo». In sintesi, ha aggiunto Sacconi, l'accordo è un ulteriore tassello per dare corpo a politiche di incentivo all'occupazione. «Si tratta di recuperare - ha spiegato il ministro - anche il valore della manualità, di dare continuità a mestieri tradizionali, di consentire a questi giovani di essere occupati».
IN VENETO 50 MILA GIOVANI "IN PANCHINA". Il governatore Zaia riconosce il valore di uno strumento, che auspica possa essere garanzia all'ingresso dei giovani nei processi produttivi del Veneto. «Il mio pensiero - spiega il presidente della giunta regionale - non può che andare ai 50 mila giovani che in Veneto non studiano nè lavorano e non partecipano a progetti di formazione. Spero - prosegue il governatore - che questo sia un ulteriore incentivo per fare entrare anche questi giovani, al compimento del quindicesimo anno di età, nei nostri processi produttivi e formativi». Il progetto di apprendistato ha ricordato Zaia «prevede ben 400 ore di formazione, pari al doppio rispetto a prima» ossia alle 120 ore previste per l'apprendistato professionalizzante, quello sopra i 18 anni.
«IN BOTTEGA CI SI FORMA». Anche l'assessore veneto al lavoro Elena Donazzan ha rilevato come l'atto d'intesa «risponda a un'esigenza che è sempre stata del nostro territorio, a una cultura sempre presente secondo cui 'in bottega ci si forma'; oggi lo facciamo con lo strumento innovativo di un contratto di apprendistato, secondo la legge Biagi, per quei ragazzi giovanissimi che non studiano, non lavorano e hanno bisogno di ottenere una qualifica magari usando al meglio l'intelligenza delle mani».
IL NO DELLA CGIL. Il "no" all'accordo arriva dalla Cgil del Veneto che boccia il protocollo definendolo "un attacco al diritto di studio". Emilio Viafora, segretario veneto incalza: «Preferendo la via facile del "mandarli a lavorare a 15 anni" anziché operare politiche di contrasto alla dispersione scolastica - sostiene il numero uno della Cgil in Veneto - si dà un ulteriore colpo alla qualificazione delle risorse umane in una delle regioni a più bassi livelli di istruzione ed a più alto tasso di precarietà del lavoro». La Cgil promette battaglia e invia un messaggio all'amministrazione regionale: «Anziché abbassare la scolarità in nome di un presunto 'recupero alla conoscenza' attraverso il lavoro dei quindicenni, la Regione si preoccupi di verificare la qualità dell'apprendistato professionalizzante per i ragazzi più grandi che - conclude Viafora - accedono a questi contratti, ma di formazione ne vedono molto poca».
Vicenza. «Comuni, la lotta all'evasione darà fondi per chi assume»
CONFARTIGIANATO VICENZA. Il prof. Luca Antonini ieri alla Scuola di politica ed economia Federalismo: «Altro che tasse in più, ecco le novità» 15/03/2011. «Il federalismo non porterà tasse in più alle imprese». Lo assicura il prof. Luca Antonini, presidente della commissione nazionale Copaff per il federalismo e capo dei "saggi" scelti dal governatore Luca Zaia per attuare in Veneto forme di federalismo anticipate. Antonini ieri era in città come docente della Scuola di politica ed economia di Confartigianato Vicenza.
Professore, a livello nazionale le piccole-medie imprese però hanno dati che fanno temere più prelievi nei loro riguardi col federalismo municipale.
Per aumentare le tasse sarebbero bastate due righe: se si fanno otto decreti legislativi vuol dire che le cose sono ben diverse. La verità è che si va a razionalizzare un sistema che era andato fuori controllo, e da questa operazione non possono certo derivare maggiori prelievi. Più tasse si pagano oggi, col sistema attuale in cui il cittadino versa ma non sa dove vanno spesi i soldi, e ci sono realtà regionali con spese assurde che sono andate completamente fuori controllo. Catania ha avuto 140 milioni di euro di contributo straordinario del Governo e poi è stata pure premiata per l'applicazione del Patto di stabilità: significa che il sistema va radicalmente corretto. I decreti combattono gli sprechi a favore di una spesa trasparente e razionale che porterà a ridurre le tasse.
Quindi il Veneto va rassicurato.
Sì perché si premieranno i Comuni virtuosi e si penalizzeranno quelli che sprecano, grazie soprattutto a una redistribuzione delle risorse con l'indicazione dei "fabbisogni standard" dei vari servizi. Oggi Napoli prende "pro capite" il doppio di risorse rispetto a quelle di Treviso, e di Vicenza, senza alcuna spiegazione razionale. I "fabbisogni standard" correggeranno questa situazione fuori controllo. Per questo si potrà ridurre la pressione: l'Imu con un'aliquota fissata allo 0,76 per cento permetterà un risparmio d'imposta perché ingloba anche l'Irpef sui redditi fondiari. Ogni sindaco potrà poi ridurre l'Imu per le imprese, fino a metà dell'Ici attuale.
Che cambiamenti scatteranno già quest'anno con il decreto del federalismo municipale?
C'è la cedolare secca sugli affitti che è immediatamente operativa. C'è il trasferimento ai Comuni della compartecipazione dell'Iva: parte dal 2011 ed elimina gli attuali trasferimenti. E va sommata assieme anche alla compartecipazione di alcuni contributi erariali sugli immobili. E c'è un terzo dei "fabbisogni standard" che verrà applicato già dal 2012 perché saranno cifre appunto definite nel 2011. E poi c'è il concorso del Comune al recupero dell'evasione fiscale: i Comuni sugli immobili incamereranno il 50% di maggiore gettito da subito, senza aspettare che il recupero sia esecutivo. In Emilia Romagna c'è già oggi una norma con un recupero del 30% che ha dato risultati, con proposte interessanti come il costituire con il gettito della lotta all'evasione dei fondi di aiuti alle imprese che non hanno licenziato o assumono.
I "fabbisogni standard" vengono definiti dalla società Sose: controllate voi il suo lavoro?
Sì, è la commissione Copaff che valuterà tutte le standardizzazioni effettuate.
Ora c'è da votare il federalismo regionale: a Roma avverte lo stesso clima teso di quello municipale?
Forse è un po' migliore, ma si capirà questa settimana. Secondo me certe proposte del Pd rischiano di avere un impatto pesante sulle finanze pubbliche e quindi difficilmente potranno essere accolte. Su altre si potrà venirsi incontro.
Ha in mente qualche tema?
In termini di fabbisogni standard sull'assistenza sociale si può dialogare. Anche sulla Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica: c'è proposta di anticipare, e probabilmente verrà accolta.
Sanità: sono usciti a sorpresa dati secondo cui i costi standard favoriranno il sud.
No, anzi. Oggi il buco grosso è sugli sprechi: ci sono circa 5 miliardi di disavanzo di alcune Regioni del sud. Verranno identificati come sprechi e non più come fabbisogno sanitario: è una rivoluzione. Poi si lavorerà molto sugli indicatori dei prezzi di riferimento: non potrà più essere che una tac costi il doppio in una regione rispetto a un'altra.P.E.
Verona. Previdenza complementare, dati sconfortanti in Veneto
STATO SOCIALE. Dibattito Cisl: molti pensano che la pensione sarà come quella dei loro genitori Scarse adesioni, ma soprattutto poca conoscenza della necessità di questa forma integrativa Salamon: le cose peggioreranno 15/03/2011. Previdenza complementare poco conosciuta e scarsa attenzione da parte dei giovani soprattutto sul loro futuro previdenziale. Sono alcuni degli aspetti emersi ieri al convegno su welfare e previdenza, tenuto ieri nella sede Ater di Verona, organizzato dalla Cisl per «sensibilizzare tutti i lavoratori», ha detto Massimo Castellani, segretario provinciale, «al problema del futuro della loro pensione».
«Solo attraverso un maggior tasso di occupazione dei giovani e delle donne si può costruire il futuro civile del paese», ha detto l'imprenditrice Marina Salamon. «Non è una questione di mero reddito, ma di speranza e sicurezza di sé, che spesso passano dal lavoro. A mio avviso le cose tenderanno a peggiorare, e non solo per responsabilità imputabili ai Governi, bensì a più parti sociali, sindacati e imprenditori».
Un adeguato welfare potrebbe tuttavia fermare tale trend. Salamon ha richiamato l'esempio del part-time: «Per migliorarne le condizioni è necessario fare leggi, anche a livello sperimentale, che portino le donne a lavorare di più, pur continuando a conciliare lavoro e vita familiare».
«Il federalismo inciderà molto sugli aspetti della previdenza complementare, della sanità, e delle politiche sociali che subiranno un forte decentramento» ha detto Giuliano Cazzola, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera. «Le Regioni da un alto, gli Enti locali dall'altro avranno a disposizione risorse con cui far fronte ai loro impegni verso i cittadini. Inoltre sarà incentivata la sussidiarietà orizzontale. Ci sarà, infatti, sempre più bisogno di risorse private per garantire anche i beni pubblici. Questa l'esigenza individuata in particolare nel campo della previdenza. Anche le aziende stanno convertendo la contrattazione su forme di protezione, a livello aziendale (welfare aziendale). Perciò la divisione di compiti tra pubblico e privato garantirà maggior tutela e risparmio di risorse».
Ma sulla previdenza complementare, vero aspetto emergente del welfare, non c'è abbastanza informazione né cultura da parte delle nuove generazioni: «Nonostante la possibilità di scegliere tra fondi nazionali di categoria e fondo regionale complementare, i dati di adesione nel Veneto sono sconfortanti» ha detto Bruno Silvestrin di Fondo Pensione Solidarietà Veneto. «Molti lavoratori decidono di tenere il tfr (trattamento di fine rapporto, ndr) in azienda, convinti che la propria pensione sarà come quella dei genitori. Ma per i co.co.co, per i quali il tfr non è previsto, la previdenza complementare diventa una necessità, sulla quale bisogna fare più informazione».
Per Arturo Alberti, presidente di Apindustria Verona, «per non trovarci in una società povera, anche le imprese, in quanto soggetti del territorio impegnati nell'evoluzione dell'economia complessiva del paese,devono promuovere la previdenza complementare» .
Ma quindi si potranno salvare le nostre pensioni? Nicola Sartor, docente di Scienza delle finanze all'Università di Verona ha ricordato che se da un lato «gli immigrati stanno portando forza lavoro», accrescendo il Pil e contribuendo al sistema previdenziale, dall'altro «molti giovani Italiani con alte qualifiche emigrano» non avendo più certezze sul futuro lavorativo e previdenziale. «Un buon welfare permetterà di rialzare il livello qualitativo della nostra forza lavoro». F.S.
Roma. Carceri sovraffollate: altri due morti nelle case circondariali di Padova e Pesaro
Nella città del Santo è stato trovato deceduto un tunisino di 36 anni: secondo l'Osservatorio permanente di «Ristretti orizzonti» l'indice di affollamento è del 220%
ROMA - Altri due detenuti morti in cella, uno nella casa circondariale di Padova e l’altro in quella di Pesaro, entrambi immigrati. A darne notizia è l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere dell’associazione «Ristretti Orizzonti» che rileva: «nelle sovraffollate carceri italiane negli ultimi 15 giorni si sono verificati sette decessi; da inizio anno i morti sono 31, di cui 11 suicidi. Un’altissima frequenza di infarti anche in persone giovani». Nella Casa Circondariale di Padova, lunedì pomeriggio è stato trovato morto nella sua cella Adel Mzoughi, tunisino di 36 anni. L’uomo, come riferisce «Ristretti Orizzonti» era in carcere con l’accusa di detenzione di droga e resistenza a pubblico ufficiale. Sono in corso indagini per appurare le cause del decesso, dalle prime informazioni trapelate sembra si sia trattato di un infarto.
Le condizioni detentive nella Casa Circondariale di Padova, secondo l’associazione, «sono caratterizzate da un drammatico sovraffollamento: a fronte di 98 posti regolamentari i detenuti presenti all’ultima rilevazione, lo scorso 28 febbraio, erano 216 (indice di affollamento del 220%). Gli stranieri presenti erano 168 (78% del totale), i tossicodipendenti 94 (44% del totale)». Nella casa circondariale di Pesaro, invece, domenica sera è stato trovato morto Victor Galvez, 47enne di origine cilena, ma con cittadinanza italiana. L’uomo era in cella con altri due detenuti e, riferisce «Ristretti Orizzonti», «sembra che prima di morire abbia litigato con uno di essi, poi gli animi si sono placati e tutti si sono distesi in branda». L’immobilità dell’uomo ha allertato gli altri due detenuti. E' stato chiamato il 118 ma il trasporto in ospedale è stato inutile. La procura ha deciso sia fatta l’autopsia per accertare le cause del decesso. Si escludono comunque ferite da arma da taglio. Nel carcere di Pesaro, a fronte di una capienza di 178 posti, i detenuti presenti sono 337 (indice di affollamento del 190%). Gli stranieri sono 182 (56% del totale), i tossicodipendenti 48 (15% del totale). Nelle celle di 8 metri quadri, progettate per un solo detenuto, sono rinchiuse 2 o anche 3 persone. (Ansa)
Roma. Camera, Radicali: Nuovo regolamento contabile ostacola controlli
Continua l'operazione trasparenza sulle spese dei Palazzi: i dati aggiornati al 2011 sarnno pubblicati online in stile "Wikileaks"
Roma, 15 mar (Il Velino) - Il nuovo regolamento di amministrazione e contabilità entrato in vigore alla Camera ostacola l’accesso agli atti rendendo più difficile l’operazione di trasparenza e il controllo sui conti di Montecitorio. Lo denunciano i Radicali italiani nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio con Emma Bonino, Rita Bernardini e Mario Staderini. Con il nuovo regolamento “viene definitivamente eliminata - denunciano i Radicali - la previsione, peraltro mai attuata, di affiancare al sistema di contabilità generale un sistema di contabilità analitica” presente nella precedente versione del regolamento e comunque obbligatoria per tutte le amministrazioni pubbliche. L’abolizione della contabilità analitica comporta inoltre l‘eliminazione dell’obbligo di utilizzare il sistema contabile per la programmazione e per il controllo dell’attività amministrativa. “Lo stesso collegio dei questori – spiegano i Radicali – non avrà alcuno strumento proprio mediante il quale esercitare la nuova funzione del controllo di gestione che sulla carta gli viene attribuita”.
Nella nuova versione del regolamento sparisce inoltre l’avverbio “comunque” relativo alla possibilità di accesso dei deputati ai contratti stipulati dall’amministrazione della Camera e all’Albo dei fornitori e degli appaltatori. Un diritto che, rispetto alla prima versione del regolamento, non potrà più avere ad oggetto una serie generalizzata o indistinta di documenti. Uno “scandalo della trasparenza” come lo ha definito Rita Bernardini che non arresta la battaglia radicale per rendere il Parlamento “una casa di vetro”. Dopo aver reso pubblici gli elenchi di tutti i fornitori e degli appaltatori, tenuti segreti per sessant’anni, i parlamentari radicali hanno ottenuto per la prima volta l’accesso ai contratti e alle convenzioni di Camera e Senato. Dati che saranno messi online con l’aiuto della società Net7 insieme ai singoli contratti digitalizzati che saranno progressivamente pubblicati sul sito Radicali.it/Parlamento-wikileaks. “Al Senato non ho riscontrato barriere – spiega Bonino –: come delegazione radicale abbiamo molto beneficiato dell’iniziativa di trasparenza avvita alla Camera”. I dati richiesti, relativi a tutti gli impegni contrattuali del 2010, appariranno sul sito e “li lasceremo all’analisi di cittadini, esperti e giornalisti”, dice Bonino. Quanto all’anagrafe pubblica degli eletti, sono una cinquantina i senatori di tutti gli schieramenti che hanno concesso la liberatoria per mettere i loro dati online.
(chi) 15 mar 2011 13:07
Napoli. Un 17 marzo contro ogni camorra. «Napoli città vittima del potere mafioso»
I festeggiamenti per l'Unità d'Italia come momento per ribadire la voglia di opporsi alla criminalità organizzata. NAPOLI - «Il 17 marzo celebreremo il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Lo faremo a Napoli, perla del Sud, la Napoli delle "4 giornate", la città resistente, figlia e madre di un popolo speciale e unico che per troppo tempo è rimasto schiacciato dal potere politico-mafioso e che ora vuole rialzare la testa». Sono queste le parole con cui si apre la nota che annuncia i singolari festeggiamenti organizzati per la ricorrenza dall’«Associazione nazionale familiari vittime di mafia e l’Unione dei familiari delle vittime per stragi, i familiari delle vittime di Ustica, le «Agende rosse» di Salvatore Borsellino, l’Arcigay, l’Anpi, il Popolo Viola, la Consulta nazionale del servizio civile e altre associazioni. «Festeggiare l’Unità vuol dire anche costruire assieme – fanno sapere dall’organizzazione – e questo evento che abbiamo chiamato "150 proposte per l’Italia" è il modo in cui intendiamo rilanciare la nostra nazione nel suo giorno più importante».
L'EVENTO - E così a partire dal primo mattino Piazza Dante sarà letteralmente invasa dai mille colori dell’antimafia e dalle decine e decine di associazioni del territorio che si stanno mobilitando in queste ore per sostenere l’iniziativa. Un programma ricco di appuntamenti che vedrà la partecipazione di alcuni personaggi di primissimo piano tra cui il magistrato campano anticamorra Raffaele Cantone, Loris Mazzetti, Marco Ligabue, Sabina Guzzanti, Don Aniello Manganiello, Samanta Di Persio, Piergiorgio Morosini, Serena Sorrentino, Rossana Dettori, Claudio Messora e anche lo scrittore Roberto Saviano.
LA MUSICA - E a sostenere con forza le idee lanciate dal palco saranno le note e le musiche di artisti di livello nazionale tra cui: Edoardo Bennato, Francesco Baccini, i Rio, Enzo Gragnaniello & Sud Express. A condurre Pif, il noto showman del programma «Le Iene».
ASPETTANDO IL 21 MARZO - Si moltiplicano così le iniziative che preparano il campo al 21 marzo, giorno d’ ingresso della primavera e da ormai 16 sinonimo di lotta alla criminalità organizzata con la «Giornata della memoria e dell'impegno» per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie. Anche a Napoli diverse iniziative tra cui «i Nostri cento passi verso il 21». L’iniziativa prevede una serie di cortei che attraverseranno le cittadine della provincia raccogliendo scatti fotografici di persone comuni ritratte con il tipico cartello anti-mafia «Io ci metto la faccia» per dire basta a qualsiasi forma di mafia. La prima, partita ad Arzano il 12 marzo ed organizzata dalle associazioni Dal Basso, I.D.E.A., Legambiente Arzano e Vivace, ha visto la partecipazione di oltre duemila persone.
Luca Mattiucci
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