Attendiamo, con fiducia, o' schiattament':
Trichet: «La Grecia non ristruttura il debito ma resta nell'euro»
Trieste. Fincantieri, caccia a nuove commesse
Trieste. Nessuno vuole comprare i quadri della Tripcovich
Italia. Salario medio a 1.300 euro e per le donne -20%
Neee! Ce cos’!:
L'export della Puglia? «Vede» rosso come le sue ciliegie
Puglia. Lavoro e sviluppo. Il Salento attende il treno della ripresa
Trichet: «La Grecia non ristruttura il debito ma resta nell'euro»
CRISI. Il presidente della Bce torna a escludere nuove soluzioni
Papacostantinou: «Faremo tutto per avere gli aiuti. La Ue risolverà»
ROMA 29/05/2011
Il dossier Grecia è sempre più un rebus: la spaccatura interna sul piano di austerity spinge il Paese sull'orlo della bancarotta, ma a scongiurare il collasso è l'imperativo delle autorità internazionali con Jean Claude Trichet, presidente Bce, che torna a escludere l'uscita della Grecia dall'euro e la ristrutturazione del debito. All'orizzonte, però, non si vedono alternative ora che sono a rischio anche gli aiuti del Fmi. George Papacostantinou, ministro delle Finanze ha ribadito l'impegno del governo a fare «tutti i passi necessari» e si è detto fiducioso che «l'Ue alla fine riesce sempre a trovare una soluzione, a patto che la Grecia faccia la sua parte».
Il rischio default è alle porte in un Paese fuori controllo sul versante dei conti pubblici, e anche sul fronte politico interno che si è spaccato sulla manovra di tagli per ottenere gli aiuti del salvataggio internazionale. Il prestito Fmi è cruciale per onorare le scadenze di giugno ed evitare la bancarotta. Si tratta della quinta tranche degli aiuti e ora gli occhi sono puntati sul verdetto che Ue, Fmi e Bce emetteranno la prossima settimana.
Trichet, esclude categoricamente un ritorno alla dracma: «È totalmente irrealistico» che uno Stato membro esca dall'euro, ha dichiarato al quotidiano tedesco Aachener Zeitung, ribadendo che per Atene «non è in vista una ristrutturazione del debito». Trichet ha affermato che «nel Trattato Ue non è mai stata prevista alcuna clausola» sulla possibile uscita di un Paese dall'euro e che «l'eurozona è una comunità che condivide lo stesso destino: ogni membro dipende dagli altri». Trichet rimarca che «la Grecia deve implementare il programma di risanamento pienamente e rigorosamente» perché solo così «può correggere gli errori del passato» e «camminare di nuovo con le proprie gambe». E se il premier Papandreou è determinato a psocedere con austerity e privatizzazioni per portare il Paese «fuori dai guai», la situazione resta intricata come ammette Papacostantinou: «I colloqui con Ue e Fmi vanno avanti e il Fondo ha stabilito che non può versare la nuova tranche del prestito se non ci saranno due condizioni necessarie, cioè che il debito greco sia sostenibile e che la Grecia sia in grado di finanziarsi per almeno i prossimi 12 mesi. A questo punto», afferma il ministro, «la questione ancora non è chiarita, ma credo che riusciremo a ottenere la quinta tranche perchè l'Ue alla fine trova sempre una soluzione». Anche perchè, ammette Papacostantinou, il costo di qualsiasi alternativa sarebbe «troppo alto» e l'uscita dall'euro è fuori discussione.
Trieste. Fincantieri, caccia a nuove commesse
Sul piano di ristrutturazione infuria la battaglia politica. I sindacati: va ritirato. Venerdì il confronto al minister
TRIESTE. Una consistente commessa da parte di un armatore di livello internazionale al cantiere di Castellamare di Stabia, ma soprattutto la possibilità di nuove specializzazioni per la realizzazione delle navi del futuro: “verdi, innovative, ipertecnologiche” annunciata dal commissario europeo Antonio Tajani nel corso di un incontro a Bruxelles con i sindacati. In attesa del confronto tra azienda e sindacati fissato per venerdì al ministero dello Sviluppo economico, si apre qualche spiraglio per il futuro di Fincantieri che in base al piano di ristrutturazione annunciato dall’amministratore delegato Giuseppe Bono dovrebbe tagliare 2551 posti, di cui 100 a Monfalcone, chiudere i cantieri di Castellamare in Campania e di Sestri e ridimensionare quello di Riva Trigoso, sempre in Liguria.
Proprio parlando ai lavoratori di quest’ultimo sito, il sottosegretario leghista alla Semplificazione amministrativa, Francesce Belsito, che è anche vicepresidente (autosospeso) della stessa Fincantieri, sottolineando come il piano sia «solo una bozza, non approvata dal governo», ha affermato che «la strategia adottata da Fincantieri è sbagliata. Se sarà portata avanti, siamo pronti a chiedere la sfiducia del managment». E non è un mistero che la Lega, almeno quella ligure, sia tentata di chiedere la testa di Bono. Il sindaco di Genova Marta Vincenzi ha però replicato affermando che «sono evidenti sul caso Fincantieri le responsabilità del governo e della Lega».
Tornando all’annuncio di Tajani a Bruxelles, il progetto delle navi ipertecnologiche si chiama “Leadership 2015” e l’intenzione è di prorogarlo fino al 2020. Il commissario europeo ha rilevato che vi sono anche possibilità di tipo finanziario che riguardano la ricerca e l’innovazione per la cantieristica specificando che vi sono già a disposizione 50 di 200 milioni complessivi.
La questione sta per irrompere anche nel Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. Il capogruppo dell’Udc Edoardo Sasco chiede al presidente della Regione Renzo Tondo cosa intenda fare. «Tenuto conto che l’azionista di riferimento di Fincantieri è il ministero del Tesoro - afferma Sasco - la Regione deve richiedere l’immediata attivazione di un tavolo di lavoro nell’intento di garantire gli attuali livelli occupazionali delle sedi di Trieste e Monfalcone». Secondo Roberto Antonaz, consigliere regionale di Rifondazione comunista, «serve un pacchetto di incentivi governativi e di commesse pubbliche».
Il caso Fincantieri ieri ha tenuto banco a Napoli nel corso del Giubileo per il lavoro promosso dal cardinale Crescenzio Sepe. Susanna Camusso, leader della Cgil ha affermato che «il piano Fincantieri non va bene. Bisogna trovare strumenti di politica industriale che diano prospettive al gruppo». E riguardo a Castellamare di Stabia, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni ha affermato che «è una realtà che non possiamo perdere. È necessario reagire, l’Europa ci può aiutare, ma ci deve aiutare anche lo Stato considerando che le azioni della Fincantieri sono proprio dello Stato».
«La crisi della Fincantieri è per certi versi peggiore di quella di Pomigliano», la considerazione del leader dell’Ugl, Giovanni Centrella. «Chi ha le responsabilità se le prenda - ha affermato Centrella - anche perché la chiusura del cantiere potrebbe avere gravi ripercussioni sociali». «Non c’è futuro in Fincantieri se si riduce la capacità produttiva - l’opinione di Maurizio Landini, segretario generale Fiom - c’è bisogno di investire su ricerca, innovazione e differenziazione delle attività». E Giorgio Ambrogioni dirigente di Federmanager ha accusato la politica «che si è dimostrata distratta e non ha messo sul tavolo un piano per affrontare la crisi globale».
Trieste. Nessuno vuole comprare i quadri della Tripcovich
Messe all’asta dalla Stadion in un unico lotto su disposizione dei Beni culturali invendute le otto tele che appartennero alla storica compagnia di navigazione
È andata deserta l'asta per la vendita dei dipinti appartenuti alla storica compagnia di navigazione Tripcovich. Nessuno venerdì sera alla casa d'aste Stadion ha alzato la paletta, ha fatto un cenno o una telefonata per aggiudicarsi il lotto 582, corrispondente agli otto quadri che venivano venduti in blocco a fronte di un vincolo del ministero dei Beni culturali. Era fissato in 40mila euro il prezzo base per le tele dal valore stimato tra i 60 e i 70 mila. «Ho fatto il possibile - commenta Furio Princivalli, amministratore della Stadion - per sensibilizzare la città nei confronti di quello che io considero un pezzo di storia della marineria triestina. Ho spedito avvisi alle compagnie di navigazione, a enti e istituzioni, alle società di assicurazioni e alle più importanti realtà imprenditoriali della città. Ma nessuno si è fatto vivo».
Uno spiraglio sembrava essersi aperto quando intorno alle 20.45, orario previsto per la battuta d'asta dei quadri, si è accomodato in sala un componente di una famiglia a capo di una storica agenzia marittima di Trieste. Ma quando il battitore ha chiamato il lotto 582, il più atteso della serata, e i collaboratori di Princivalli hanno portato in sala l'olio su tela "Nave Cerania sotto carico" di Ugo Flumiani, nessuno ha fatto un cenno. Pochi secondi, fiato sospeso e sguardi a scrutare fino in fondo la sala che accoglieva una settantina di persone, per poi rendersi conto che i quadri sono rimasti invenduti. «Peccato, era una buona occasione, - ha detto Princivalli - adesso parleremo con la proprietà e vedremo se sarà possibile aprire qualche trattativa privata».
I dipinti di Ugo Flumiani, Paolo Klodic e Argio Orell che ritraggono navi della storica agenzia marittima appartengono alla Nuova Tripcovich, la società di brokeraggio marittimo che li rilevò nel 2001 dal fallimento della Tripcovich srl pagandoli oltre 100 milioni delle vecchie lire. Fino a pochi mesi fa solo tre dei quadri erano esposti negli uffici della Nuova Tripcovich, gli altri erano finiti in un magazzino. Si tratta di opere dalle dimensioni importanti come "Nave Tripcovich a Trieste", l'olio su tela di Flumiani di oltre un metro di base per un metro e sessanta di altezza. Imponenti anche i dipinti di Klodic, tra i quali uno che ritrae il piroscafo Venezia nella laguna veneta, e "Nave da carico della Tripcovich", entrambi di un metro e mezzo di base per due metri d'altezza, un tempo sistemati nella sala riunioni della agenzia di navigazione. Tra i quadri anche un ritratto di Diodato Tripcovich firmato Orell.
«Probabilmente il fatto che siamo in periodo di elezioni - evidenzia l'amministratore della Stadion - ha impedito anche alle istituzioni di fare un investimento e di programmare una collocazione di questi dipinti».
Italia. Salario medio a 1.300 euro e per le donne -20%
LAVORO. Secondo il Rapporto annuale dell'Istat le retribuzioni nette mensili tra 2008 e 2010 segnano +3,7%
All'assunzione lo stipendio è di 900 euro e arriva al massimo dopo vent'anni Stranieri fermi a 973
29/05/2011
ROMA
Lo stipendio netto di un italiano in media non supera i 1.300 euro mensili, una cifra che nasconde, però, la forte differenza che c'è tra uomini e donne, con le lavoratrici che hanno retribuzioni più basse del 20%. Ancora peggio va per gli stranieri, che ricevono una busta paga sotto i mille euro. I giovani, invece, scontano il fatto di essere neo-assunti e nei primi due anni di lavoro il salario medio è di appena 900 euro.
È questa la fotografia scattata dall'Istat sulle retribuzioni nette mensili per dipendente nel 2010. Nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese, l'istituto nazionale di statistica presieduto da Enrico Giovannini, calcola, infatti, che lo stipendio medio di un cittadino italiano è di 1.286 euro, frutto di una media, appunto, tra i 1.407 euro ricevuti dai lavoratori e i 1.131 che sono dati alle lavoratrici; in altre parole le donne sono pagate un quarto in meno degli uomini. Sugli stranieri la riduzione è ancora più forte, visto che la busta paga si ferma a 973 euro (-24%). E a proposito degli stranieri l'Istat sottolinea che «in confronto al 2009, lo svantaggio degli stranieri è divenuto ancora più ampio».
Oltre al genere e al passaporto, un'altra differenza sul peso delle retribuzioni la fanno gli anni di lavoro: all'inizio della carriera si parte sotto i 900 euro superando la soglia dei mille solo dopo 3-5 anni di servizio e il tetto dei 1.300 compiuti i 20 anni di attività.
D'altra parte, emerge sempre dal rapporto annuale dell'Istat, la spesa che lo stato italiano indirizza agli aiuti al reddito è inferiore rispetto alle quote sborsate nel resto d'Europa.
Nel volume si legge, infatti, che «l'Italia si colloca all'ultimo posto tra i paesi Ue per le risorse destinate al sostegno del reddito, alle misure di contrasto della povertà o alle prestazioni in natura a favore di persone a rischio di esclusione sociale».
Stando a dati del 2008, sottolinea l'Istat, «la maggior parte delle risorse sono assorbite da trasferimenti monetari di tipo pensionistico, mentre quote molto residuali e inferiori alla media Ue vengono destinate alle funzioni dedicate», si legge nella pubblicazione «al sostegno delle famiglie, alla disoccupazione e al contrasto delle condizioni di povertà ed esclusione sociale». Più in particolare, le uscite per protezione sociale sono assorbite per il 51,3% dalla voce «vecchiaia», mentre solo il 4,7% va alla famiglia, ancora miniore è la fetta dedicata ai disoccupati (1,9%).
Le retribuzioni nette mensili degli italiani dal 2008 al 2010 sono aumentate, in media, da 1.239 a 1.286 euro (+3,7%), se si guarda alle donne, sono passate da 1.080 a 1.131 euro (+4,7%), quanto agli uomini, la crescita porta gli stipendi dai 1.361 ai 1.407 euro (+3,7%), mentre la busta paga degli stranieri è rimasta ferma a 973 euro.
L'export della Puglia? «Vede» rosso come le sue ciliegie
ROMA - La Puglia si può dire che sia il regno della ciliegia, coprendo l’80% del mercato, soprattutto nella provincia barese sono migliaia i nuclei familiari ai quali la produzione delle ciliegie offre una consistente fonte di reddito. L'export è in espansione tanto che l’Ice calcola che il valore dell’export della produzione cerasicola italiana è passato dai 4 milioni di euro del 2004 fino ai 38 del 2008, con una media che supera i 20 milioni.
Si tratta di vendite effettuate soprattutto in Europa (l’80% nei Paesi dell’Unione Europea a 27), i Paesi con la massima quota di mercato sono Germania (42%), Svizzera (14%), Austria (14%), Spagna (11%). Ma “interessanti le potenzialità, ancora inesplorate, per il nostro export nei Paesi Arabi” commenta Giuseppe La Macchia, direttore dell’Ice per la Puglia. Di questo tema se ne parlerà il 1 giugno a Conversano, in provincia di Bari, al convegno 'Marchio e Terriorio: sinergia vincente per la ciliegia di Conversano e del Sud-Est barese" promosso dal Comune di Conversano, dall’associazione Sapori in Conversano e dalla provincia di Bari con l’Informatore Agrario. In base ai dati Ismea del 2009 nei 5 comuni del sud Barese di Conversano, Casa Massima, San Michele, Castellana Grotte e Turi, vi sono 5.000 ettari di ciliegeto, pari a 2.800 produttori e con un giro d’affari di 350 miliardi di euro lordi venduti che corrispondono al 60% della produzione regionale.
Puglia. Lavoro e sviluppo. Il Salento attende il treno della ripresa
Siamo meno ricchi e più imprenditori. Più piccoli e per questo più flessibili alle dinamiche internazionali. Siamo soprattutto senza lavoro. La Giornata dell’Economia, giunta alla nona edizione, permette anche quest’anno di fotografare nel suo complesso la situazione socio-economica del Salento. Non più notizie economiche mordi e fuggi su questo o quel comparto, o piuttosto su indicatore e non un altro. Stavolta il quadro è complessivo. E il gusto rimasto nella bocca degli osservatori, sommersi di numeri al termine della conferenza di ieri, è agrodolce. Almeno nell’immediato, quando si capisce che qualche segnale di ripresa c’è. Ma è ancora amaro, amarissimo, nel retrogusto: la strada della ripresa è lunga e se altrove c’è chi ha preso il treno, qui in provincia di Lecce si è ancora con le orecchie sulle rotaie.
SEGNALI DI VITA - Il titolo della canzone di Franco Battiato calza a pennello. Dal Rapporto Economico 2011 - che raccoglie tutte le notizie economiche elaborate dal Servizio Studi e Statistica della Camera di Commercio di Lecce in collaborazione con l’Istituto Guglielmo Tagliacarne su dati dell’Istat - è indubbia la presenza di alcuni segnali positivi. Il dato sulla natimortalità (cioè il saldo tra imprese nate e imprese cessate) è positivo: dopo qualche anno di flessione, i salentini hanno riscoperto il piacere dell’auto - nomia e del rischio di impresa, anche come risposta all’esodo di massa dal mondo del lavoro dipendente. Quasi che l’imprenditorialità, in particolare quella individuale, fosse la risposta giusta per trovare lavoro (il concetto di auto- occupazione). Al 31 dicembre 2010 il Salento vantava 499 imprese attive in più rispetto all’anno precedente, per un totale di 62mila 963 unità. L’altro sintomo di guarigione del «Salento malato» arriva dall’apertura ai mercati internazionali: l’export è ripartito. Anche in provincia di Lecce, in linea con il trend nazionale, tornano a crescere le esportazioni: +10,7 per cento. Fatto positivo soprattutto se confrontato con la drastica riduzione del biennio 2008-2009 (-44,8 per cento). Un’apertura che potrebbe dare nell’anno in corso un nuovo slancio anche alla produttività, così come è accaduto a livello nazionale. Da segnalare la ripresa delle esportazioni per il tessile, abbigliamento e calzaturiero (quello che oggi si chiama «Sistema Moda Salento» e che un tempo era semplicemente «Tac»): in un anno, dopo una sfilza di segni meno, la bilancia commerciale torna a sorridere, almeno nelle esportazioni, con un bel 17 per cento in più. Ma siamo ancora molto lontani dai livelli degli anni scorsi: nel 2006 a tale comparto si doveva circa il 60 per cento del totale delle esportazioni della provincia leccese, mentre oggi la sua quota si è quasi dimezzata (ora ha un’incidenza ferma al 35,6 per cento). Straordinari i numeri del turismo, che contrariamente a qualsiasi previsione, continuano a crescere. I flussi hanno ormai raggiunto numeri da grande meta: 4milioni e mezzo di presenze in un anno (8 per cento in più su base annuale) e 910mila arrivi (12 per cento in più). Un boom sorretto già nel 2009 da un generale miglioramento dell’offerta ricettiva: +8 per cento di alberghi e +5,1 per cento di esercizi complementari rispetto al 2008.
REALISMO - La relazione tenuta dal presidente della Camera di Commercio, Alfredo Prete, guarda anche alle criticità. Che di certo non mancano. Il Prodotto interno lordo a prezzi correnti registra in provincia di Lecce una flessione dello 0,6 per cento. Dato in controtendenza se si pensa che in Puglia (+0,6 per cento) e in Italia (+1,8 per cento) riprende a crescere. Nel 2009 la perdita fu comunque sensibilmente superiore (-1,9 per cento a fronte del -3,3 regionale), nel 2010 invece l’economia provinciale non riesce a beneficiare degli effetti della ripresa. Ciò dà l’idea di una economia, quella salentina, meno esposta alle turbolenze della crisi finanziaria: perché composta prevalentemente da piccole imprese, perché complessivamente più povera e perché sostanzialmente terziarizzata e quindi meno produttiva. Prima della crisi, tra il 2000 ed il 2008, la crescita del Pil provinciale è stata molto sostenuta, con punte del 6,9 per cento nel 2006. Nella graduatoria nazionale relativa al Pil pro-capite, la provincia di Lecce si piazza solo al 94esimo posto con 16mila 527 euro annui a persona (in calo dello 0,7 per cento rispetto al 2009). In Puglia il reddito cresce dello 0,6 per cento (16mila 818 euro), mentre la media nazionale è per noi imbarazzante: 25mila 615 euro (+1,4 per cento). Differenze che testimoniano il ritardo della provincia di Lecce: 9mila euro di Pil pro-capite in meno rispetto alla media nazionale. Incoraggia però il dato sul valore aggiunto, che si è attestato sui 12miliardi di euro (di cui il 76,3 per cento dovuto al settore terziario): tra il 2003 e il 2009 il valore aggiunto provinciale è cresciuto del 3,3 per cento (in Puglia è avanzato nello stesso periodo solo dell’1,6 per cento e in Italia del 2,2 per cento).
DISOCCUPATI - I timidi segnali di ripresa non si sono tradotti ancora in nuovi posti di lavoro. L’emorragia nel mondo occupazionale non si ferma: tasso di disoccupazione a livelli record, 17,4 per cento con un giovane su tre a spasso. In Italia lo stesso tasso raggiunge l’8,4 per cento. In un anno i disoccupati sono aumentati di 4mila 545 unità. Il calo del numero di occupati ha determinato un’impennata del tasso di disoccupazione; risulta, infatti, evidente il forte incremento della disoccupazione in provincia, tra il 2007 ed il 2010, cresciuto in tale periodo del 3,2 per cento (dal 14,5 per cento del 2007 al 17,7 per cento del 2010). Il numero di occupati in un anno è passato da 243mila 300 persone a 240mila, con una riduzione pari a 3mila 285 unità (-1,3 per cento). Trend negativo in linea con quelli nazionale (-0,7 per cento) e regionale (-1,2 per cento). Il tasso di occupazione leccese è in linea con il livello regionale (44,4 per cento), ma è distante 12,5 punti percentuali dal tasso nazionale (56,9 per cento): il risultato più basso degli ultimi 10 anni.
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