lunedì 11 luglio 2011

Giustizia lumaca, l'Italia condannata a pagare 8 milioni di euro di indennizzi

Rapporto europeo sulle violazioni italiane dei diritti dell'uomo: nel 2010 aumentati i casi del 30% rispetto all'anno precedente


ROMA - Un piccolo passo avanti dell’Italia nel rispetto dei diritti dell'uomo che però non salvano il Paese da quasi 8 milioni di euro di indennizzi. Sono due dati riportati nel rapporto della Corte europea per i diritti dell’uomo che ammonisce l’Italia sul 41 bis, l’articolo dell’ordinamento penitenziario che prevede il carcere particolarmente duro per alcuni reati molto gravi. Per il Cedu l’Italia lo dovrebbe affievolire. Da notare che i ricorsi di cittadini italiani presso la Cedu contro l’Italia sono oltre il 7% di quelli europei, pari a 10mila procedimenti con un aumento, rispetto al 2009, del 30%. Di conseguenza aumentano anche le sentenze contro l’Italia.

L’Italia, nel 2010, occupa la settima posizione nella classifica dei quarantasette stati membri del Consiglio d’Europa che commettono più violazioni in materia di diritti umani. Il dato è sempre negativo - siamo preceduti da Turchia, Russia, Romania, Ucraina, Polonia e Bulgaria - ma è pur sempre un passo avanti rispetto al 2009, quando il nostro paese occupava la sesta posizione nella graduatoria dei paesi maglia nera nel rispetto dei diritti della persona. Il dato è riportato nella relazione al parlamento, realizzata dalla presidenza del Consiglio dei ministri, sulla “Esecuzione delle pronunce della Corte europea dei Diritti dell’Uomo nei confronti dello Stato italiano”, presentata stamani alla Galleria Sordi alla presenza del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Alla presentazione del rapporto, tra gli altri, c’erano il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo e il procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito.

Per quanto riguarda i ricorsi pendenti innanzi alla Cedu contro l’Italia, il loro numero ammonta a 10 mila 208 (erano 7 mila 150 nel 2009), e rappresentano il 7,3% del totale dei ricorsi riguardanti tutti i 47 paesi aderenti alla Convenzione, con un incremento - spiega il rapporto - «di circa il 30% rispetto al 2009».

Le sentenze pronunciate dalla Cedu contro l’Italia sono state, nel 2010, 98 (erano 69 nel 2009). «Di queste, 61 hanno constato la violazione di almeno 1 articolo della Convenzione, tre sentenze non hanno accertato alcuna violazione, 34 hanno determinato l’equa soddisfazione», spiega il rapporto. Il grosso delle violazioni, 44 casi, riguarda l’eccessiva durata dei processi, 9 casi la non equità della procedura con la violazione del diritto di accesso ad un tribunale; in tre casi è stata violata la privaci della vita familiare; in sei casi il rispetto del diritto di proprietà; un caso riguarda il divieto di trattamenti inumani e degradanti; uno la violazione della libertà di circolazione e l’ultimo la violazione del diritto al ricorso individuale.<HS0.1>

Sono quasi 8 milioni di euro gli indennizzi inflitti all’Italia a favore dei cittadini italiani, che hanno fatto ricorso a Strasburgo contro la giustizia lumaca. La maggior parte dei casi riguarda risarcimenti per sentenze in tema di espropriazione, e dunque in ritardo si è avuto nel rispetto del diritto alla proprietà. In particolare ammontano a 7 milioni 838 mila 594,73 milioni di euro «le somme imposte all’Italia a titolo di equa soddisfazione». Nel 2009 la cifra ammontava a meno della metà ed era pari a 3 milioni 292 mila 327,46 euro. Nel dettaglio - prosegue il rapporto - il ministero dell’Economia e delle finanze ha liquidato 54 sentenze di condanna, per un importo di 3 milioni 968 milioni 910,90 euro per 26 pronunce del 2009, 2 milioni 644 mila 832,50 per 28 sentenze dell’anno 2010 e 1.849,40 per interessi moratori e ritardo nel pagamento di alcune sentenze, e 1 milione 374 mila 999,98 di euro a seguito di decisione di radiazione dal ruolo per intervenuto regolamento amichevole.

Affievolire il “41 bis”. Anche nel 2010, la Corte europea dei Diritti dell’uomo fa suonare per l’Italia il campanello d’allarme per quanto riguarda la violazione dei diritti umani dei detenuti sottoposti al regime del carcere duro previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario. In particolare all’Italia si addebita ritardo nel decidere i ricorsi presentati dai detenuti contro il 41 bis che dovrebbero essere decisi in 10 giorni e che, invece, sforano di gran lunga questo termine. Per questo, il rapporto, suggerisce «in prospettiva» di trasformare «il 41 bis da regime speciale a regime ordinario di detenzione o addirittura a pena di specie diversa, inflitta dal giudice con la sentenza di condanna, e prevedere meccanismi di affievolimento o revoca nel corso dell’esecuzione, alla stregua di quanto accade attualmente per tutte le altre pene in genere».

Nessun commento: