Luis adora la telecamera:
Bozen. Alto Adige: federalismo televisivo, Durnwalder chiede un canale tutto provinciale alla Rai
Fiscalita' Padana:
Roma. Fisco: Lombardia al top per evasione scovata
Roma. Fisco, scoperta evasione per 28 miliardi Lombardia e Lazio al top.
Sindrome di Fort Alamo:
Roma. Immigrati, Maroni attacca l'Europa: «Grandi principi ma no solidarietà»
Treviso. Profughi alla Zanusso, Dalla Libera dice no
Pavia. «In fuga dalla Tunisia per paura»
Mantova. Più stranieri in cerca di lavoro
Reggio Emilia. I profughi in arrivo sono una cinquantina
Bologna. Caserme e parrocchie pronte per l'emergenza immigrati
Ferrara. Da martedì attesi i primi profughi
Venezia. La resistenza dei sindaci sceriffi
Bozen. Alto Adige: federalismo televisivo, Durnwalder chiede un canale tutto provinciale alla Rai
Incontro del presidente della Provincia con i vertici dell'azienda: vogliamo una rete provinciale 24 ore 24, sfruttando il canale che già trasmette i programmi per le minoranze linguistiche. di Francesca Gonzato
BOLZANO. Futuro della Rai locale, scende in campo direttamente il presidente provinciale Luis Durnwalder, che ha incontrato a Bolzano Gianfranco Comanducci (vicedirettore generale Rai) e Luigi De Siervo (direttore dello sviluppo commerciale). Tra le richieste: un canale interamente locale.
Nei mesi scorsi le trattative a Roma con i vertici della Rai sono state avviate dai deputati della Svp Siegfried Brugger e Karl Zeller. Ora Durnwalder ha voluto un incontro diretto, visto che la trattativa riguarda il futuro finanziamento provinciale della sede locale.
Ma finanziamento di cosa? Dopo la rinuncia della Svp a percorrere la via della norma di attuazione, è stato detto che la trattativa torna a riguardare solo la convenzione da 15,4 milioni con cui oggi la presidenza del Consiglio dei ministri finanzia alla Rai i programmi per le minoranze lingusitiche, in questo caso le ore di trasmissione da Bolzano in tedesco e ladino.
La Provincia assumerebbe su di sé la convenzione, liberando il governo da tale finanziamento. Ma Durnwalder anticipa che si può pensare a una operazione più larga. «Ci sono più ipotesi sul tappeto». Dopo l'incontro dell'altro giorno a Bolzano con Comanducci e De Siervo, spiega Durnwalder, la palla torna a Roma: «Abbiamo discusso e mi presenteranno una proposta. Credo che per arrivare alla conclusione ci vorranno ancora incontri, che proseguiranno a livello romano». Una delle richieste Durnwalder la conferma, a parte quella già nota di un caporedattore per la redazione ladina: un canale tutto dedicato alle trasmissioni e informazione locale. L'obiettivo era emerso in più interventi al convegno del 25 marzo organizzato dalle redazioni della Rai: sfruttare le possibilità offerte dal digitale.
Così Durnwalder: «I programmi bolzanini vengono diffusi oggi su un canale in cui si inseriscono anche programmi nazionali. Visto che è diventato tecnicamente possibile, si potrebbe avere un canale interamente dedicato alle trasmissioni locali, senza sovrapposizioni».
Durnwalder pensa a un canale riservato solo alle trasmissioni in lingua tedesca e ladina, o anche alla produzione locale in italiano? I maligni sono pronti a giurare che il primo sia l'obiettivo. Ma Durnwalder risponde: «No, vorrei che anche il gruppo italiano potesse avere più informazioni a livello provinciale. Oggi l'offerta è ridotta e mescolata alle informazioni trentine. Si potrebbe invece allargare anche la rete della programmazione italiana sull'Alto Adige».
Questo ampliamento però non potrebbe essere finanziato con gli attuali 15 milioni, che, si dice, non coprirebbero neppure l'attuale programmazione tedesca e ladina. Non a caso già settimane fa Brugger aveva spiegato che si cerca di avere più chiarezza su cosa viene effettivamente finanziato con il budget garantito dalla convenzione. In ogni caso un aumento di programmazione comporterebbe un incremento dei fondi e giuridicamente allo stato attuale la convenzione non tocca la programmazione italiana. Se la Provincia intendesse potenziare tutta la produzione, anche quella italiana, serviranno strumenti diversi. Esclusa per il momento la norma di attuazione, che ha trovato il gelo in Commissione dei 6 anche da parte degli esponenti governativi, oltre alla convenzione si potrebbe percorrere la strada del contratto di servizio, da stipulare tra Provincia e Rai. Per questo Durnwalder accenna al fatto che ci siano «più ipotesi sul tappeto».
Nelle redazioni resta alta l'attenzione. Per la settimana prossima la redazione italiana tornerà a riunirsi in assemblea. I giornalisti chiederanno al direttore della sede locale Carlo Corazzola di avere informazioni sulle trattative tra Provincia e azienda.
9 aprile 2011
Roma. Fisco: Lombardia al top per evasione scovata
Poi Lazio-Campania. Nel 2010 a Trento aumento record (+71,6%).
di Manuela Tulli
ROMA - Gli accertamenti fiscali diminuiscono ma diventano piu' fruttuosi. Nel 2010 l'Agenzia delle Entrate ha effettuato seimila controlli in meno rispetto all'anno precedente ma ha aumentato il 'bottino', almeno in termini di evasione scovata anche se resta un certo scarto tra quanto accertato e quanto poi viene effettivamente riscosso.
La maggiore imposta accertata si attesta a 27,8 miliardi di euro, il 5,7% in piu' rispetto al 2009. In alcune aree del Paese i controlli sono stati particolarmente incisivi: a Trento la maggiore imposta accertata e' aumentata, dal 2009 al 2010, del 71,6%, a fronte di un numero di controlli che e' rimasto costante: 7.251, solo 2 in piu' rispetto all'anno precedente.
Anche in Lombardia la caccia agli evasori ha fatto registrare un aumento della presunta evasione: +48,6% rispetto all'anno precedente, per un ammontare di 8,2 miliardi di euro. In crescita invece la fedelta' fiscale in Emilia Romagna, dove i controlli del 2010 hanno fatto emergere un calo dell'evasione (sempre in termini di maggiore imposta accertata) del 54,9%. E' quanto risulta dai dati della lotta all'evasione nel 2010 dell'amministrazione fiscale, divisi regione per regione.
In termini assoluti e' ancora la Lombardia in cima alla classifica per accertamenti e imposta accertata. E' evidente pero' che sul dato incide il peso che la Regione ha nell'economia nel Paese.
Al secondo posto, per maggiore imposta accertata dall'amministrazione fiscale figura il Lazio (5,5 miliardi di euro, ammontare che pero' registra un calo del 4,8% rispetto all'evasione scovata nel 2009). In questo caso va sottolineato il fatto che in questa regione si sono registrate importanti operazioni (come Telecom Sparkle) che hanno fruttato importanti introiti per l'erario.
Terzo posto per la Campania con poco piu' di 2 miliardi di euro, pari a quelli dell'anno precedente. Per quanto riguarda le tipologie di contribuenti, 5,4 miliardi dell'evasione scoperta nel 2010 arriva dai 2.609 ''grandi'' contribuenti oggetto di controlli, le societa' con un giro d'affari superiore ai 150 milioni di euro.
Considerato il tessuto economico dell'Italia, il lavoro del fisco tra i ''paperoni'' e' stato pressoche' tutto concentrato al Centro-Nord. La meta' dei controlli sono stati fatti tra Lombardia e Lazio. Al Sud i controlli sui 'big' sono stati una manciata: 46 in Campania (16,9 milioni l'evasione rintracciata), 33 in Puglia (con 88,9 milioni di maggiore imposta accertata), 20 in Sicilia (3 milioni), 6 in Calabria (2 mln).
Roma. Fisco, scoperta evasione per 28 miliardi Lombardia e Lazio al top.
ROMA - Ammonta complessivamente a 27,8 miliardi di euro la maggiore imposta accertata nei controlli fiscali eseguiti nel 2010. L'aumento è mediamente del 5,7% ma in alcune aree del Paese i controlli sono stati particolarmente incisivi: a Trento la maggiore imposta accertata è aumentata, dal 2009 al 2010, del 71,6%, a fronte di un numero di controlli che è rimasto costante: 7.251, solo 2 in più rispetto all'anno precedente.
Anche in Lombardia la caccia agli evasori ha fatto registrare un aumento della presunta evasione: +48,6% rispetto all'anno precedente. In crescita invece la fedeltà fiscale in Emilia Romagna, dove i controlli del 2010 hanno fatto emergere un calo dell'evasione del 54,9%. È quanto risulta dai dati della lotta all'evasione nel 2010 dell'amministrazione fiscale, divisi regione per regione.
Gli accertamenti fiscali complessivamente diminuiscono ma diventano più fruttuosi. Nel 2010 l'Agenzia delle Entrate ha effettuato seimila controlli in meno rispetto all'anno precedente ma ha aumentato il "bottino", almeno in termini di evasione scovata anche se restaun certo scarto tra quanto accertato e quanto poi viene effettivamente riscosso.
In termini assoluti è ancora la Lombardia in cima alla classifica per accertamenti e imposta accertata. È evidente però che sul dato incide il peso che la Regione ha nell'economia nel Paese. Al secondo posto, per maggiore imposta accertata dall'amministrazione fiscale figura il Lazio (5,5 miliardi di euro, ammontare che però registra un calo del 4,8% rispetto all'evasione scovata nel 2009). In questo caso va sottolineato il fatto che in questa regione si sono registrate importanti operazioni (come Telecom Sparkle) che hanno fruttato importanti introiti per l'erario.
Terzo posto per la Campania con poco più di 2 miliardi di euro, pari a quelli dell'anno precedente. Per quanto riguarda le tipologie di contribuenti, 5,4 miliardi dell'evasione scoperta nel 2010 arriva dai 2.609 «grandi» contribuenti oggetto di controlli, le società con un giro d'affari superiore ai 150 milioni di euro. Considerato il tessuto economico dell'Italia, il lavoro del fisco tra i «paperoni» è stato pressochè tutto concentrato al Centro-Nord. La metà dei controlli sono stati fatti tra Lombardia e Lazio.
Al Sud i controlli sui "big" sono stati una manciata: 46 in Campania (16,9 milioni l'evasione rintracciata), 33 in Puglia (con 88,9 milioni di maggiore imposta accertata), 20 in Sicilia (3 milioni), 6 in Calabria (2 mln).
Roma. Immigrati, Maroni attacca l'Europa: «Grandi principi ma no solidarietà»
Oggi Berlusconi torna a Lampedusa. La Germania si schiera con Parigi contri i permessi temporanei
ROMA - Saranno tutti trasferiti in giornata i 535 profughi arrivati ieri a Lampedusa con un barcone dalla Libia. La metà di loro partirà con la nave San Giorgio della Marina militare: 200 andranno a Pozzallo, 40 a Caltanissetta mentre 47 minori non accompagnati andranno a Porto Empedocle. Altri 224, attualmente ospitati nella base Loran, saranno invece trasferiti con un ponte aereo con destinazione Foggia e Bari.
Rimarranno invece nel centro di accoglienza dell'isola i tunisini sbarcati ieri con due barconi e quelli arrivati nella notte tra martedì e mercoledì scorsi. A Lampedusa lavori di pulizia nelle strade e sulle spiagge in attesa dell'arrivo del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, atteso nel primo pomeriggio.
Intanto Berlino si schiera con Parigi contro i permessi temporanei decisi dall'Italia per gli immigrati giunti dalle coste del Nordafrica: la Germania definisce la decisione di Roma «contraria allo spirito di Schengen» e si dice pronta a sollevare la questione lunedì prossimo a Lussemburgo, quando si riuniranno i ministri interni ed esteri dei 27.
«L'Europa si fa vanto di grandi principi, ma quando deve dimostrare che c'è solidarietà questo non avviene», ha detto il ministro dell'Interno Roberto Maroni parlando a Bergamo. «La collaborazione che mostra il popolo italiano - ha aggiunto - manca un po' invece in Europa». «Noi vogliamo portare in tutto il mondo il modello italiano - ha detto ancora Maroni -. Il modello italiano si basa sul fatto che quando qualcuno è in difficoltà noi lo aiutiamo, non diciamo agli aquilani in difficoltà: "Noi siamo di Bergamo non vi aiutiamo"». Maroni ha insistito sul sistema italiano che si basa soprattutto sulla professionalità e la solidarietà della protezione civile. «Questo spirito di solidarietà in Europa dovrebbe essere più diffuso - ha aggiunto - in Italia c'è ed è un esempio di come si gestiscono le emergenze, con l'aiuto reciproco e la solidarietà: tutto questo non mi pare sia molto diffuso in Europa». «Nelle difficoltà la protezione civile interviene esprimendo un principio di solidarietà che deve essere alla base della convivenza civile - ha concluso il ministro - ed è quello che ci aspettiamo avvenga anche in Europa».
Treviso. Profughi alla Zanusso, Dalla Libera dice no
Il sindaco chiude all'ipotesi accoglienza: «Nessuna disponibilità per problemi di sicurezza».
di Barbara Battistella
ODERZO. Nessuna disponibilità ad accogliere profughi in città. Lo ribadisce il sindaco Pietro Dalla Libera che, alla luce della presenza in territorio comunale dell'ex-caserma Zanusso e dell'ipotetica eventualità di un suo utilizzo per l'emergenza sbarchi, preferisce prendere posizione. «Non siamo attrezzati - dichiara - è una questione di sicurezza e di tutela di tutti i cittadini». Nessuna richiesta è stata avanzata in merito e, del resto, l'ex-caserma Zanusso è di proprietà dello Stato e quindi non è detto che in caso di necessità non venga deciso da parte del Ministero dell'Interno di impiegarla senza chiedere permessi. La questione è che l'enorme complesso militare, dismesso alla metà degli anni Novanta, in anni recenti è passato dal Demanio Militare al Demanio Civile, che attualmente ne detiene la proprietà. L'amministrazione comunale opitergina ha avanzato un paio di anni fa il diritto di prelazione sulla superficie di nove ettari in via Spinè che, una volta debitamente riqualificata, potrebbe diventare spazio strategico a vantaggio della città. Ma il Comune l'ha chiesta in costo zero, senza mettere sul piatto una offerta economica, dati i tempi magri per tutte le casse delle amministrazioni comunali. Le ex-caserme sono quindi attualmente proprietà del Governo. «Penso che se decidessero di impiegarla per accogliere i profughi - spiega il sindaco Dalla Libera - per lo meno dovremmo essere avvertiti. Invece nessuno ci ha interpellato. Solo un mese fa abbiamo ricevuto una telefonata nella quale ci veniva chiesto se c'erano proprietà comunali in grado di accogliere eventuali arrivi di profughi. Ma penso che sia stata una domanda rivolta a tutti i principali Comuni. Un sondaggio a livello nazionale data l'emergenza prevista». Nell'occasione il primo cittadino aveva ribadito che non esistono disponibilità del genere a Oderzo perché non ci sono spazi pubblici né tanto meno associazioni attrezzate. Nessuna richiesta in merito alle ex-caserme che sono state utilizzate l'ultima volta qualche anno fa dai militari del Cimic Multinational di Motta di Livenza per una esercitazione con simulazione di scenari di guerra. «Richieste formali a Oderzo non ne sono arrivate - precisa l'avvocato Pietro Dalla Libera - se l'ex-caserma fosse inclusa nell'elenco penso che almeno dovrebbero chiederlo o comunicarcelo. Se ce lo chiederanno sarà certamente un no». Il presidente della Regione Luca Zaia, nel contesto della conferenza Stato Regioni, non più tardi di mercoledì scorso ha ribadito la non disponibilità del Veneto ad accogliere i tunisini che arrivano sui barconi a Lampedusa. Resta però il fatto che i profughi dalla Libia in guerra civile, per legge e nel rispetto delle norme umanitarie internazionali, vanno accolti e tutelati. Quindi non è detto che non arrivino anche in terra veneta.
8 aprile 2011
Pavia. «In fuga dalla Tunisia per paura»
Said, 19 anni, a Pavia dopo una settimana a Lampedusa. Con lui altri 4
di Anna Ghezzi
PAVIA. E' arrivato su un barcone attraversando il mare che separa il porto di Sfax, in Tunisia, da Lampedusa. Saif è il più piccolo della sua famiglia, ha 19 anni ed è fresco di maturità. Da qualche giorno è a Pavia, diretto in Francia. Dalla provincia di Gasserine a Sfax, poi da Lampedusa alla tendopoli di Manduria, Taranto. 18 ore in mare, sei giorni al centro isolano, poi la figa dalle tende. «Sono scappato dalla rivolta, accusavano la mia famiglia di essere legata al regime abbattuto di Ben Ali - racconta con gli occhi grandi sbarrati, la voce più calma di quello che ci si aspetta da un ragazzo della sua età dopo dieci giorni di fuga -. Siamo tre fratelli, mio padre ha deciso di fare partire solo me». Alla ricerca di un futuro migliore, come tanti migranti, ma con alle spalle la paura come gli altri rifugiati. Che per l'Europa e l'Italia hanno uno status giuridico diverso dai clandestini. E che con il decreto firmato ieri dal Governo dovrebbero ricevere il permesso di soggiorno a tempo per sei mesi. Lui potrebbe studiare, ma è pronto a lavorare: «L'importante è essere regolare», racconta. «Sono rimasto in mare 18 ore - racconta in arabo, con un amico che fa da traduttore seduto al tavolo di un bar -. E' stata dura, anche se il mare era tranquillo avevamo paura. Il viaggio sul peschereccio l'ho pagato 800 euro». E' partito con un altro ragazzo diciannovenne. «A Lampedusa era una sofferenza - spiega -. Eravamo uno sull'altro. Ma ci sono rimasto una settimana, fino a quando non ci hanno trasferito alla tendopoli». Dalla quale con un amico è fuggito dopo poche ore dall'arrivo. «Abbiamo camminato per tutta la notte per allontanarci dal campo dove eravamo arrivati quella stessa mattina, poi abbiamo cercato una stazione e preso un treno». Per percorrere i 967 chilometri che separano Taranto da Pavia ci ha messo sei giorni, su e giù dai treni per evitare i controllori e la polizia, con in mente la Francia, lo studio, la possibilità di una vita tranquilla. «Vorrei solo andare in Francia, l'Italia non è come pensavo», racconta Saif, che a Pavia ora si arrangia, aiutato dalla comunità tunisina. Ma senza mai fermarsi più di una notte nello stesso posto, per non mettere nei guai gli amici. Gli stessi amici della comunità tunisina che, se non si tirano indietro nell'aiutare chi ha bisogno, cercano di avvertire chi parte dai porti tunisini che la crisi c'è anche in Italia e che chi cerca fortuna non deve pensare di trovare il paradiso dall'altro lato del Mediterraneo. Kamel Imami, presidente della comunità tunisina, che a Pavia conta circa 800 membri, lancia un appello: «A Pavia in queste settimane sono arrivati in cinque, scappano da una situazione difficile. Chiedo ai pavesi di aiutare questi profughi, che vogliono solo essere regolari». Vittorio Pesato (Pdl), è invece radicale: «Fino ad ora abbiamo bloccato l'ondata di clandestini a Pavia. L'assessore alla sicurezza e alla protezione civile Romano La Russa e il Pdl lombardo, hanno fatto presente al ministro dell'interno Maroni che la Lombardia non può accettare quest'ondata - spiega - Un conto sono i rifugiati politici, un conto i clandestini».
8 aprile 2011
Mantova. Più stranieri in cerca di lavoro
Nel primo trimestre sono quasi 900. Iurato: sono un patrimonio
di Graziella Scavazza
Sono oltre 15mila i lavoratori immigrati che hanno trovato occupazione nel Mantovano, secondo i dati illustrati ieri dalla segreteria generale della Uil di Mantova. In prevalenza sono impiegati nel comparto agricolo e zootecnico, «dove gli italiani non vogliono più andare», inserendosi bene anche nell'edilizia, nell'agroalimentare ed in percentuale minimale nel commercio. Il lavoro è stato inteso come il filo conduttore che porta all'integrazione sociale, tema sul quale la Uil ha inteso riflettere, organizzando al Centro di formazione professionale di Porto Mantovano, il convegno «Integrarsì», richiamando al rispetto dei diritti e dei doveri verso i migranti. Il segretario generale della Uil Mantova, Francesco Iurato, ha definito gli extracomunitari attivi nel mondo del lavoro «un patrimonio di risorse per la nostra Nazione». Una multietnicità che deve essere rispettata negli ambienti in cui sono occupati e pertanto ha sollecitato gli imprenditori a cambiare la cartellonistica in materia di sicurezza, inserendo oltre all'italiano, anche altre lingue straniere, rispondendo a moderni concetti di integrazione, «perchè la ghettizzazione è ancora alta». Tra i presenti c'era anche l'assessore provinciale al Lavoro, Carlo Grassi, il quale, ha fatto rilevare che la crisi economica ha colpito maggiormente i migranti ed i giovani. Dai dati enunciati, afferenti agli stranieri iscritti ai Centri per l'Impiego di Mantova e provincia, si evince che nel 2010 erano 2.893 di cui 1.294 donne. Nel primo trimestre del 2011 sono già 887. «Rappresentano complessivamente il 35% -ha detto-. C'è un'intera generazione che non riesce a trovare un progetto di vita». Grassi ha sottolineato anche il problema della delocalizzazione delle aziende che preferiscono abbandonare l'Italia e trasferirsi all'estero considerato economicamente più conveniente. Ha annunciato che nella zona dell'Ostigliese entro la fine dell'anno potrebbero essere lasciate a casa 600 persone. Il coordinatore nazionale delle Politiche Migratorie della Uil, Giuseppe Casucci, ha proposto di applicare verso i profughi in fuga dal Nord Africa, la direttiva comunitaria della Protezione Temporanea, consentendo loro di avere un permesso di un anno per lavorare o studiare, sfruttandolo magari per raggiungere parenti o conoscenti che vivono in altri Paesi. «Nel frattempo si dovrebbe aiutare la Tunisia a creare sviluppo affinchè queste persone possano poi ritornare -ha sostenuto-. Sarebbe un errore regalarle alla malavita. Negli ultimi 5 anni sono morti in 15.000 nel Mediterraneo». Osservato un minuto di raccoglimento per i profughi che hanno tentato di sbarcare a Lampedusa, incontrando invece la morte. 8 aprile 2011
http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2011/04/08/news/piu-stranieri-in-cerca-di-lavoro-3896527
Reggio Emilia. I profughi in arrivo sono una cinquantina
Saranno al massimo una cinquantina i profughi tunisini destinati ad arrivare in provincia di Reggio. Il sindaco Delrio lo ha annunciato ieri soddisfatto delle condizioni strappate dalla Regione al governo.
REGGIO. Saranno al massimo una cinquantina i profughi che da Lampedusa arriveranno in provincia di Reggio. Quindi nessuna invasione di massa, anche se ancora non c'è certezza circa la località in cui saranno sistemati. Il gruppo potrebbe anche essere frazionato. L'annuncio è arrivato venerdì pomeriggio dal sindaco Delrio che si è detto soddisfatto delle condizioni strappate dalla Regione al governo. Non solo per quello che riguarda il numero ma anche per la copertura finanziaria dell'operazione: tutte le spese saranno a carico di Roma e i profughi saranno instradati anche verso quelle regioni governate dal centrodestra che si sono dette contrarie ad offrire ospitalità. 8 aprile 2011
Bologna. Caserme e parrocchie pronte per l'emergenza immigrati
Bologna, 9 aprile 2011 - ULTIMA IDEA: Villa Aldini, sul Colle dell’Osservanza. Lì rimase stregato persino Napoleone, adesso potrebbero arrivare gli immigrati dal Nord Africa in fiamme. Ipotesi balenata in ambiente Protezione Civile, ieri a tarda sera, e confermata da fonti del sociale. Ma, giurano il responsabile regionale delle emergenze Demetrio Egidi e il subcommissario Raffaele Ricciardi, «un piano preciso ancora non c’è». Per Bologna, però, le strutture sul piatto sarebbero due: Prati di Caprara, la caserma già utilizzata durante le evacuazioni (l’ultima, di qualche settimana fa, aveva svuotato la domenica mattina di Santa Viola e portato lì gli anziani ospiti di una residenza protetta e i malati); e appunto Villa Aldini, che fino ad alcuni mesi fa ospitava gli ospiti del Centro Beltrame ‘sfrattati’ per le disinfestazioni.
VILLA ALDINI sarebbe un’ipotesi ottimale: più defilata rispetto ad altre strutture del centro, è un’area praticamente ‘chiavi in mano’ e per questo potrebbe entrare in funzione subito, come richiesto dall’emergenza immigrati. Il Comune aveva dato però l’ok al trasferimento sui colli del centro di accoglienza per lavoratori immigrati Marconi, che la Coop Dolce ha ereditato da Pianeta Aloucs da qualche mese: l’edifico, due piani in zona Lazzaretto al Navile (67 letti e 23 camere), deve scomparire per fare spazio a una rotonda. Ecco perché era stato deciso di spostare tutto a Villa Aldini. Gli scenari sono quindi due, nel caso l’ipotesi del Colle dell’Osservanza divenisse realtà: o il trasferimento del Centro Marconi slitterà dopo la soluzione dell’emergenza immigrati, o alcuni stranieri in fuga dall’Africa verranno sistemati al Centro Marconi, fermando i lavori stradali. La situazione è in fase embrionale e solo lunedì (quando si capirà la decisione definitiva dell’Esercito su Prati di Caprara, anche se il sì viene dato per scontato) il quadro si chiarirà.
Ferrara. Da martedì attesi i primi profughi
Si comincia con un nucleo 60-65 immigrati, in totale non più di 300
La chiamano accoglienza diffusa. Significa che invece di concentrare centinaia o migliaia di profughi nello stesso sito ogni Provincia si impegnerà a mettere a disposizione un numero variabile di possibili destinazioni con la collaborazione di Comuni, Protezione civile e associazioni. A Ferrara i primi immigrati potrebbero arrivare la prossima settimana, a partire da martedì. Se ne attendono non più di 60-65 in una prima fase, non più di 300 a regime. Il punto lo hanno fatto, convocando una conferenza stampa volante, ieri alle 16, la presidente della Provincia Marcella Zappaterra, l'assessore comunale Chiara Sapigni e il viceprefetto Massimo Marchesiello. A Ferrara portavano i dati emersi durante i lavori della cabina di regia che aveva concluso i lavori alle 13.30 a Bologna. L'emergenza nazionale è stata tarata sul possibile arrivo di 50mila immigrati (finora gli sbarchi sono stati 21-22mila), alla Regione Emilia Romagna spetteranno - nel caso il piano venga attivato al più alto regime - 3.700 arrivi (il calcolo rispetta più o meno questo rapporto: 1 immigrato ogni mille residenti). I primi ingressi, previsti per la prossima settimana, non dovrebbero essere più di 1.500. E' su queste cifre che è stato ricavato il dato dell'accoglienza ferrarese: non più di 60-65 profughi nella fase iniziale e non più di 300 nell'ipotesi più pessimistica. «Le prime presenze potrebbero essere registrate martedì - ha annunciato la presidente Zappaterra - impossibile oggi conoscere i numeri precisi. E' certo però che è stata esclusa l'ipotesi di insediare delle tendopoli e quindi è caduta la soluzione che prevedeva l'accoglienza di circa 2mila persone in un campo militare a Poggio Renatico». Il sistema adottato in tutta Italia, Ferrara compresa, è basato «su piccoli numeri con l'interessamento di più punti del territorio e la possibilità quindi di poter rispondere meglio alle esigenze dei profughi. Questa è una missione umanitaria», ha aggiunto Marcella Zappaterra. Il coordinamento sarà affidato alla Protezione civile «per rendere più veloci le procedure». Da oggi a lunedì, quando si svolgerà un vertice con Comuni, associazioni ed enti privati, saranno consultati gli enti locali per individuare tutte le soluzioni praticabili. In pole position per l'accoglienza restano per ora le ex scuole elementari di Casaglia. Saranno individuati anche i luoghi che potrebbero essere adibiti all'accoglienza dei minori non accompagnati. «Ognuno è chiamato a fare la sua parte: capoluogo e comuni della provincia», hanno dichiarato l'assessore Sapigni e il viceprefetto Marchesiello. I primi profughi potrebbero essere accolti in una struttura temporanea (come Casaglia) e trasferiti poi sul territorio di altri Comuni. Nel frattempo saranno muniti di permesso temporaneo valido sei mesi con il quale potranno circolare liberamente sul territorio nazionale. Tutti confidano che l'Europa accolga chi vuole spostarsi dall'Italia all'estero (ma ieri i francesi non sembravano particolarmente ben disposti rispetto a questa richiesta). Lunedì e martedì saranno definiti in due nuovi incontri i possibili siti e le disponibilità. «Le risorse dovranno provenire, comprese le anticipazioni di spesa, dal livello nazionale», ha concluso la presidente Zappaterra. (gi.ca.) 8 aprile 2011
Venezia. La resistenza dei sindaci sceriffi
«Per noi i divieti rimangono»
Lo stop della consulta verrà aggirato inserendoli nei regolamenti dei vigili
VENEZIA — C’è chi fa spallucce e lascia le ordinanze al loro posto, come Treviso. Chi si arrovella per trovare un escamotage, ad esempio tra le pagine del regolamento di polizia, come Vicenza e Padova. E perfino chi approfitterà della sentenza della Corte costituzionale per fare un po’ di pulizia, come Belluno. Anche perché con il florilegio di poteri via via attribuiti ai sindaci dallo Stato (costasse pure abdicare un poco al proprio ruolo), tra un’ordinanza e l’altra han finito per stratificarsi tali e tante pagine che in qualche Comune neppure si ricordano più esattamente cosa si possa e non si possa fare. La via maestra pare essere quella dell’inserimento dei divieti contenuti nelle ordinanze dei sindaci nei regolamenti di polizia urbana, ossia dei vigili, soluzione che prevede tempi piuttosto lunghi, con un passaggio obbligato in consiglio comunale, ma almeno mette al riparo dai ricorsi ed evita che sia vanificato quanto fatto finora.
Seguirà questa strada il Comune di Vicenza, spiega l’assessore alla Sicurezza Antonio Dalla Pozza (e mai occasione fu più propizia: il regolamento della città è datato 1926), anche se «l’arma così ne esce spuntata, perché chi violava l’ordinanza violava l’atto di un’autorità di ordine pubblico mentre violando il regolamento si incorre soltanto nella sanzione amministrativa», così farà quello di Belluno, anche se «soltanto dopo aver fatto un po’ di pulizia regolamentare» precisa il portavoce del sindaco Prade, Vincenzo Agostini, «perché non è detto che tutte abbiano funzionato a dovere», ed altrettanto meditano di fare a Padova, come spiega l’assessore alla Sicurezza Marco Carrai: «L’opzione regolamentare mi sembra la migliore. Sarebbe un peccato buttare al macero ordinanze come quelle sulla prostituzione o sull’uso di droga che hanno dato grandi risultati, specie sotto il profilo dell’identificazione». Non lontano da Padova, ha giocato d’anticipo Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella: «La decisione della consulta era già ampiamente prevista e infatti quel che è stato adottato con le ordinanze a Cittadella è stato trasferito nel nuovo regolamento di polizia urbana.
A Cittadella dunque rimane fermo, attuale e vigente tutto quanto in precedenza normato in materia di sicurezza». Si dice tranquillo anche l’altro «sceriffo» leghista per eccellenza, Flavio Tosi da Verona, che pure non metterà mano alle sue ordinanze perché «abbiamo sempre emanato provvedimenti annuali mai a tempo indeterminato», che poi è l’appiglio a cui si sono agganciati i giudici costituzionali per mandare a picco le ordinanze benedette dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. A Treviso, patria di quel Giancarlo Gentilini che è stato precursore di tutti i sindaci stellati d’Italia, l’assessore alla Sicurezza, Andrea De Checchi, si dice tranquillo. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, infatti, «in città vige un’ordinanza soltanto, quella contro gli accattoni, emanata ben prima del pacchetto sicurezza. Fa leva su altre norme, dunque resta così com’è». C’è poi chi guarda al parlamento, come il sindaco di Roncade Simonetta Rubinato che chiede che si approvi finalmente la nuova legge quadro sulla sicurezza urbana ferma in aula da quasi dieci anni, o quello di Mogliano Giovanni Azzolini, che auspica il ritocco del pacchetto Maroni. Punta gli occhi su Roma anche il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni: «Il legislatore dovrà intervenire se vuole dare nuovi strumenti ai Comuni. Le ordinanze sono infatti utilissime perché sono accompagnate da un sistema di sanzioni e confisca dei beni che nel regolamento non c’è. Hanno un’importante funzione di deterrente. Forse per il governo sarebbe più facile aumentare le sanzioni in violazione del regolamento. Noi ora esamineremo una a una le nostre ordinanze e le aggiusteremo per renderle valide, visto che formalmente lo sono ancora». Proprio quest’ultimo aspetto frena gli entusiasmi di Ermes Coletto, presidente di Federconsumatori: «Abbiamo messo in moto i nostri legali, perché l’impressione è che le ordinanze siano nulle perché adottate in virtù di una legge incostituzionale, ma il caso va approfondito. Già in passato, infatti, ad esempio con la Tia, abbiamo visto che una pronuncia della Consulta produce effetti assai meno devastanti di quel che si pensa all’inizio. E non mi pare che i Comuni abbiano tanti soldi in cassa da restituire ai multati».
Marco Bonet Gloria Bertasi
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